domenica 14 febbraio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIConclusione

 (Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro di Guy Fau, «Le Puzzle des Évangiles». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


INDICE

CONCLUSIONE

Al termine di questa lunga analisi, mi sembra utile riassumerne le conclusioni principali. 

1 — «È cercando delle prove che mi sono imbattuto in difficoltà». [1] Bisogna essere ben ignoranti della questione, per credere che i vangeli non sollevino dei problemi. 

2 — Nella versione che ci è pervenuta, i vangeli sono molto più tardivi di quanto si è creduto, sulla fede della Chiesa. Nessuno di loro è anteriore al 150. Non soltanto perdono così il loro valore di testimonianze dirette o indirette, ma non possono legarsi ad alcuna tradizione. 

3 — Lungi dal presentare un'unità di sostanza e di dottrina, ciascuno di loro è una confezione, spesso mal cucita, di fonti contraddittorie e inconciliabili. Essi sono la traduzione del sincretismo cristiano, che si sforza di fondere, in una sintesi più o meno riuscita, elementi di provenienza ellenistica e gnostica con elementi ebraici e principalmente esseni. Le circostanze nelle quali si è realizzata quella sintesi restano ancora il grande enigma delle origini cristiane. 

4 — In quella sintesi, il Gesù evangelico è un personaggio composito, riunendo in lui i caratteri fondamentali degli dèi salvifici dei misteri ellenistici, del Cristo eone gnostico, del Logos platonico personificato di Filone di Alessandria, e anche del Messia ebraico concepito secondo il libro di Enoc e lo pseudo-Isaia, vale a dire secondo la mistica essena. Non è escluso che i ricordi riguardanti il Maestro di Giustizia esseno, il suo insegnamento e il suo supplizio, siano stati utilizzati per costruire la biografia di Gesù; ma quella, e in particolare i dettagli della passione, sono attinti quasi interamente da testi dell'Antico Testamento considerati profetici, e di cui si pretende di dimostrare la realizzazione. 

5 — I tre sinottici sono delle armi fabbricate (grazie al riutilizzo o al capovolgimento di fonti preesistenti) in vista del conflitto che oppose, a partire dal 144, la Chiesa di Roma agli Gnostici cristiani. Il IV° vangelo, al contrario, tende a conciliare le concezioni romane e la Gnosi: in quest'ultimo stato del sincretismo cristiano, gli elementi gnostici restano preponderanti, e Gesù vi si disumanizza di nuovo per ridiventare un dio. 

6 — L'insegnamento morale messo in bocca a Gesù riproduce, nei suoi tratti essenziali, un corso di morale essena. 

7 — Liberati da ciò che la Chiesa ne ha tratto, i vangeli danno del cristianesimo primitivo un'immagine spesso opposta a quella che si insegna. I Protestanti hanno ragione su questo punto, ma non hanno sufficientemente messo in luce le analogie sostanziali tra il Gesù evangelico e le divinità come Attis o Mitra, che furono a lungo i suoi concorrenti, e dai quali ha attinto un buon numero di aspetti e di riti. La «buona novella» del cristianesimo è essenzialmente l'annuncio della salvezza degli uomini grazie al sacrificio di un dio che muore e rinasce in primavera, secondo un'antica mitologia di origine agraria. Questo sacrificio, dapprima concepito fuori dal tempo e di valore permanente nel paolinismo, coi vangeli è stato traposto nella storia, sotto la forma di una crocifissione reale, sostituita al simbolismo della croce gloriosa del Logos. 

 8 — Persino se i ricordi di alcuni personaggi reali, e principalmente del Maestro di Giustizia esseno, hanno potuto essere riportati su un Gesù composito e pieno di contraddizioni, costui resta un essere mitico, che non si può inserire nella storia: egli è stato concepito come un Cristo celeste, un Eone o come il «Figlio dell'uomo» di Enoc, molto prima che gli si presta una vita terrena, dapprima fantomatica, poi sempre più umanizzata. È contro gli Gnostici che due dei nostri vangeli gli attribuiranno, dopo il 150, una nascita terrena, dapprima concepita sul piano cosmico nell'Apocalisse. In ogni caso, egli non ha fondato né il cristianesimo né una Chiesa, e neppure istituito dei sacramenti: ciò che gli si fa annunciare, nei vangeli, è l'imminente fine del mondo, e l'avvento di un regno di cui diverse definizioni contradditorie possono essere ricavate dai testi. 

*** 

Certi saranno sorpresi (o indignati) per la natura negativa, o addirittura distruttiva, di queste conclusioni. Che cosa!, mi si dirà, questo è tutto ciò che avete trovato nei libri che hanno servito da guide spirituali al pensiero occidentale per secoli, suscitato così tante opere ammirevoli, consolato così tanti afflitti, e perfino cambiato il mondo? Non nego questi prodotti: la fede, anche se non è che un'illusione, è un motore possente delle azioni umane. D'altra parte, devo ricordare che questi stessi libri hanno servito a giustificare molti massacri, le Crociate, lo sterminio dei Catari, l'Inquisizione, le guerre di religione — in breve, che la lezione di violenza e di intolleranza, che vi si trova in effetti, sia spesso stata compresa meglio dell'insegnamento della dolcezza e del perdono? Si dovrebbe ridire che, messi al servizio delle potenze temporali, di cui la Chiesa romana fu e resta uno dei più influenti, i vangeli hanno servito soprattutto a legittimare l'asservimento degli umili, a insegnare loro la rassegnazione e l'obbedienza, a frenare ogni progresso sociale? Il bilancio non mi appare talmente positivo! E a giudicare, nella storia come ancora oggi, il comportamento di molti cristiani, non mi appare che il cristianesimo abbia contribuito a rendere gli uomini migliori. «La nostra religione è fatta per estirpare i vizi; li copre, li nutre, li incita», constatava Montaigne. [2] E ciò non è cambiato molto. Ma l'utilizzo che si è fatto dei vangeli formerebbe il soggetto di un altro libro. Ciò che mi sembra più discutibile, nella dottrina che si può estrarre dai vangeli, è l'idea stessa della necessità di un riscatto dell'umanità. Si è detto che il cristianesimo aveva valorizzato la sofferenza umana: questo è molto eccessivo, poiché altre religioni, altre filosofie avevano tentato di farlo prima di esso. Ma ha legittimato quella sofferenza dicendola voluta da un Dio onnipotente, e insegnato la corruzione dell'uomo: questo è ciò che non posso accettare. Gli Gnostici, almeno, attribuiscono ad un demiurgo disobbediente o maldestro demiurgo la creazione di un mondo così imperfetto. Il cristianesimo non è sfuggito del resto a questo dualismo, poiché ha sostituito il Diavolo al demiurgo; ma esso insegna che la sofferenza e la morte sono state volute da un Dio buono, e, anche con l'attenuazione del riscatto, la contraddizione rimane evidente. Non è aggiungendo una nuova contraddizione, quella di una divisione di Dio, che si rimuoverà la difficoltà: «Dio padre giudica gli uomini degni della sua eterna vendetta; il figlio di Dio li giudica degni della sua misericordia infinita; lo Spirito Santo resta neutrale. Come accordare questo sproloquio cattolico con l’unità della volontà divina?». [3

Si dirà, con Pascal, che vi è là un mistero incomprensibile? Ma c'è mistero e contraddizione solo perché si è posto il postulato di una decadenza dell'umanità. Questo postulato domina i vangeli, poiché rende necessario il sacrificio del dio salvatore. 

Alla base di questo dramma mitico che costituisce la passione di Gesù, riedizione di quella di tanti altri dèi, vi è quella idea primitiva che la sofferenza di un innocente possa riscattare una umanità, dichiarata colpevole fin dalla sua origine. Ciò viene da molto lontano: «L'antichissimo mito della sofferenza, della morte e della resurrezione di Tammuz conosce repliche e imitazioni in quasi tutto l'antico mondo orientale». [4] La passione di Gesù ripete quella di Tammuz, sempre con lo stesso significato: il dio sofferente, per mezzo del suo sacrificio, salva l'umanità decaduta.

Ma perché decaduta? Il peccato originale, punito da un Dio proclamato giusto e buono sull'intera discendenza dei due colpevoli, e perfino con la sofferenza dei bambini piccoli — è questo, dunque, ciò che bisognerebbe portare all'attivo del cristianesimo? 

Io credo nel lento progresso della moralità umana. L'abolizione della schiavitù fu imposta, contro la dottrina ancora difesa da Bossuet, grazie alle idee generose, non degli evangelisti, ma delle filosofie del secolo dei Lumi. Il discorso della montagna, lungi dal contribuire alla felice evoluzione delle società umane, non ha servito che a prolungare per secoli e a giustificare lo sfruttamento dei deboli. Che non mi si domandi di estasiarmi davanti a quella lezione di rassegnazione, derivata dalle meditazioni degli asceti esseni, per cui la vita terrena non contava! 

Riabilitare l'uomo e la vita terrena, rendere l'uno migliore e l'altra più degna, ecco l'ideale che vorrei vedere sostituire alla sconfortante concezione di un'umanità decaduta e maledetta dalla sua origine, all'idea che un Dio non possa acconsentire a salvarla che al prezzo di nuove sofferenze inflitte ad un «Giusto». «Ora non hanno scusa del loro peccato», si fa dire a questo Gesù, [5] che ha appena insegnato che Dio ha volontariamente accecato i testimoni dei suoi «segni». [6] Impallidisca chi vorrà di fronte a quella concezione di una Giustizia divina: per quanto imperfetta possa essere troppo spesso, la nostra giustizia umana cerca di non colpire che i responsabili. 

 *** 

Ma si deve morire. E allora? «Alla fine ci gettano un po' di terra sulla testa ed eccoci sistemati per sempre» ? I vangeli, mi si obietterà, hanno aiutato molti uomini a morire. Forse, ma al prezzo di quale inganno? «Oggi sarai con me nel Paradiso». [7«Bella menzogna e pietosa astuzia»! [8] Eppure ce ne vuole perché questa chimerica speranza basti a confortare tutti i credenti: quanti tremano o urlano di paura sul loro letto di agonia? Gesù stesso non ha forse provato «paura e angoscia», e domandato invano che suo Padre tolga da lui il calice? [9] «In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra». [10] Ecco il povero dio e il miserabile combattente! Lui, però, non poteva temere l'inferno! Ma che dire di tanta povera gente in preda al panico per paura della dannazione eterna! «Perché molti saranno chiamati, ma pochi eletti». [11] Quanto sarebbe stato meglio divinizzare Epicuro! «Io amo la vita, e non temo la fine», dirà uno dei suoi lontani discepoli. [12] Alle angosce del Getsemani, opponiamo l'accettazione lucida e tranquilla di un Seneca. A quanti credenti si potrebbe applicare il suo rimprovero: «Non vogliono vivere, né sanno morire». [13] Almeno i cristiani sperano di rivivere? Temo proprio che su questo punto come su tanti altri, ci siano pochi di veri cristiani. «Padre Malebranche dimostra la resurrezione con l’esempio dei bruchi che diventano farfalle. Questa prova, come si può vedere, è fragile quanto le ali degli insetti da cui egli la desume». [14] Ecco perché Malebranche, filosofo cristiano, non era sufficientemente persuaso di questo dogma dalle affermazioni che leggeva nei vangeli. All'apostolo Paolo, che aveva appena predicato loro quella buona novella, gli Ateniesi risposero già: «Ti sentiremo su questo un'altra volta». [15] Le acquisizioni della scienza hanno rovinato questa speranza dell'uomo in una sopravvivenza, che il cristianesimo ha ripreso dai culti misterici e mantenuto per il maggior profitto del clero. Il confronto con il chicco di grano non fa più illusione, e non è la biologia che permetterà di sostenere quel credo. «La sola cosa di cui sono veramente sicuro è che noi siamo della stessa stoffa delle bestie; e se abbiamo un'anima immortale, bisogna che ve ne sia una anche negli infusori che stanno nel retto delle rane». [16

Però ci sono ancora studiosi che rimangono credenti, e che persistono persino a credere alla «verità» dei Vangeli. «Quella opzione appare ragionevole al ricercatore cristiano», [17] che non si chiede nemmeno quale «verità» crederebbe se fosse nato in Cina, avesse ricevuto un'educazione buddista o musulmana. Lo scienziato atomista non è per nulla preparato a discernere le contraddizioni dei vangeli, piuttosto si rifiuterebbe di vederle. Nella religione, resta a volte il piccolo bambino, il cui subconscio è intriso di una fiducia ingenua in un «Padre». Come disse Montaigne: «Gli uni danno ad intendere al mondo che credono quello che non credono. Gli altri, in più gran numero, la danno a bere a sé stessi». [18]

NOTE
[1] DIDEROT, Pensieri filosofici 61.
[2] Apologia di Raymond Sebond.
[3] Diderot, aggiunta ai Pensieri filosofici.
[4] Mircea ELIADE, Le mythe de l'éternel retour, N.R.F., collezione «Idées», 1969.
[5] Giovanni 15:22.
[6] Giovanni 12:37-40.
[7] Luca 23:43.
[8] Paul VALÉRY, Le cimetière marin.
[9] Marco 14:33-36, Matteo 26:37-39.
[10] Luca 22:44.
[11] Matteo 22:14.
[12] Saint-Evremond. Si veda anche La Fontaine, favola 8:1.
[13] Lettere a Lucilio 1:4:5.
[14] VOLTAIRE, Dizionario filosofico, v° Resurrezione.
[15] Atti 17:32.
[16] Jean ROSTAND, Pensées d'un biologiste, pag. 125.
[17] LEPRINCE-RINGUET, Des atomes et des hommes, pag. 239.
[18] Apologia di Raymond Sebond.

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