(segue da qui)
1° Particolarità del IV° vangelo
È molto più semplice segnalare le concordanze tra il IV° vangelo e i sinottici piuttosto che sottolineare le loro divergenze.
Infatti, quando si sarà detto che il personaggio centrale si chiama dovunque Gesù, che dopo aver predicato e fatto alcuni miracoli è condannato a morte da Pilato e crocifisso, si avranno riassunti i punti di accordo. Ma si tratta di uno schema, le cui realizzazioni differiscono profondamente.
IL GESÙ DI GIOVANNI — Per chi volesse cercare nei vangeli un minimo di coerenza e di credibilità nel personaggio di Gesù, il IV° solleverebbe i problemi più gravi.
Abbiamo trovato, più o meno, nei sinottici e nelle loro fonti, due concezioni opposte di Gesù, che possono al limite soddisfare ciascuna un bisogno di logica. Per Marcione era un essere celeste, disceso in questo mondo come pura apparenza, il suo supplizio essendo solo un simbolo rituale senza realtà. All'opposto, Matteo e Luca dotarono il loro Gesù di una nascita terrena, e lo fecero realmente perire in croce. Era solo dopo la sua morte che i suoi discepoli, fino ad allora ben poco lucidi, scoprirono improvvisamente che avevano avuto a che fare con una sorta di dio nascosto. La stessa impressione si riflette talvolta ancora in Giovanni, [10] ma è inconciliabile con tutte le manifestazioni del dio che lo pseudo-Giovanni racconta, in presenza stessa dei discepoli: se fossero i più ottusi, questi non avrebbero più alcuna scusa per non aver capito!
Il Cristo giovanneo, come quello di Marcione e di Marco, non ha più nascita, non si parla più dell'annunciazione angelica: è il Logos che si è fatto carne (1:14), e non fu generato «né da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio» (1:13). Non è molto chiaro: è diventato veramente uomo, si è incarnato in un corpo reale? Non ci viene detto: egli è «disceso dal cielo» (3:13), già adulto sembra, e questo ci riporta al Cristo gnostico, a quello «che non è nato da donna». [11]
Ciò sembra ancora più chiaro, quando questo personaggio osa dire: «Io sono nel Padre» (14:10), «Sono uscito dal Padre» (16:28), e soprattutto quando parla come il Dio della Genesi: «Prima che Abramo fosse, IO SONO» (8:58). Anche se arriva talvolta a convenire che è inferiore al Padre, [12] in ogni modo egli non è «di questo mondo» (8:23).
Essendo Dio e senza nascita terrena, egli non ha genealogia, e la questione della discendenza davidica non potrebbe porsi: [13] «L'incarnazione del Verbo sostituisce vantaggiosamente la nascita per mezzo dell'operazione dello Spirito Santo». [14]
Siamo in presenza di una concezione del personaggio totalmente diversa da quella dei sinottici. «Il Cristo giovanneo si presenta come un essere trascendente, che non è della terra ma del cielo, che sembra parlare e agire solo per corrispondere ai termini della sua definizione, per provare che è di Dio, che è uno con Dio... L'umano è scomparso e si è eclissato davanti al divino, la dottrina del Verbo incarnato trasforma il Vangelo in un teorema teologico che mantiene a malapena l'apparenza della storia... Il Cristo stesso non è un essere veramente umano». [15]
Sarebbe tuttavia troppo bello se le cose siano dappertutto così chiare.
È, per esempio, sconcertante, che un tale personaggio, se non ha padre terreno, sia ancora dotato di una madre e di fratelli, [16] tanto più che quella famiglia non serve più a nulla. [17] Vi è là una mancanza di concordanza difficile da spiegare: la madre e i fratelli vengono direttamente dai sinottici (o dagli apocrifi), e mal si comprende perché li si sia riportati nel vangelo del Logos.
Il personaggio divino acconsente a vivere con gli uomini; si degna a volte di mangiare, cambia perfino l'acqua in vino e prende parte al pasto di Lazzaro risorto (12:2). Ma un'altra volta, quando i suoi discepoli lo invitano a mangiare, risponde che non ha bisogno di cibo terreno. [18] A differenza del Gesù dei sinottici, così semplice e così familiare, quello di Giovanni non si mescola al popolo. Invece di parlare una lingua accessibile a tutti, tiene lunghi discorsi noiosi, che nessuno può comprendere.
A volte, si comporta da uomo impaurito. Lo strano dio, che «non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo»! [19] Così rifiuta di accompagnare i suoi discepoli alla festa di Gerusalemme. Poi questo dio volubile si ravvede, va a Gerusalemme «in segreto», e, arrivando nel bel mezzo della festa, si affretta ad insegnare pubblicamente nel Tempio! Tutto ciò è incoerente, e l'autore stesso, incapace di armonizzare le sue fonti, ne conviene. [20] Ben più, Gesù gioca a nascondino, e si prende gioco di coloro che vogliono prenderlo: «Dove vado io voi non potete venire». [21] Gli ebrei non capiscono più, e noi nemmeno.
Se si nasconde, è perché la sua ora non è ancora venuta, ma sapete bene che non ha paura della morte: sa in anticipo [22] che ignorerà la sudorazione del sangue e l'agonia del Getsemani. Condannato, resterà impassibile, poiché lo ha voluto: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre». [23] Il Cristo gnostico non parlava diversamente, ma doveva solo elevarsi al cielo. Ciò che il Cristo di Giovanni non spiega, ciò che i suoi stessi discepoli non capiscono, nonostante il lungo discorso che ha inflitto loro la vigilia, è che il Figlio di Dio è obbligato a morire. «Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che qualcuno ti interroghi», [24] concludono, ma per loro rinunciano a saperne di più.
IL MESSIA — Gli ascoltatori meno familiari con un linguaggio così oscuro si mostrano più curiosi, e specialmente gli ebrei, che vorrebbero proprio sapere se sia il Messia. Lo è?
Che il Logos sia anche il Messia ebraico, questa sarà una delle rivelazioni importanti del IV° vangelo. Ma è senza grande conseguenza, perché questo singolare Messia non si interessa particolarmente al popolo eletto; avrebbe piuttosto a suo riguardo l'ostilità ben conosciuta dai Romani! La sua missione è tutt'altra: viene ad aprire un regno universale ai figli della Luce, e a dare loro la vita eterna. [25] Questo è ciò che faceva anche il Cristo gnostico.
Il Gesù dei sinottici proibiva, perfino ai suoi discepoli di dire che egli era il Cristo; quello di Giovanni, al contrario, rivendica questo titolo, [26] si proclama apertamente Figlio di Dio in un senso molto elevato, talvolta Dio stesso. [27]
Il Gesù dei vangeli proclamava che solo il Dio supremo è buono, rifiutando per sé stesso quella qualifica. Quando gli si domandava su quale sia il primo comandamento, egli rispondeva: amare Dio con tutta la propria forza e con tutto il proprio spirito. [28] Il Cristo di Giovanni dice proprio qualcosa di simile, [29] ma aggiunge, e questo è l'essenziale: «Credete anche in ME... Nessuno viene al Padre se non per mezzo di ME». [30] È lui che dà la vita eterna, e quella vita eterna è sapere che l'inviato del Padre è il Cristo. [31] E quando Filippo ha l'ingenuità di chiedergli: «Mostraci il Padre e ci basta», Gesù risponde: «Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?». [32]
Ecco allora il Messia, inviato dal Padre, che si identifica al Padre: gli ebrei sono scusabili per non credergli sulla parola. [33]
La teologia giovannea è quindi molto diversa da quella dei sinottici. Senza le concezioni deliranti dello pseudo-Giovanni, non avremmo conosciuto né la Trinità, né il Figlio come persona di quella Trinità. A leggere i propositi prestati a Gesù, si capirebbe che gli ebrei abbiano domandato la morte del bestemmiatore «che si fa uguale a Dio». [34] Ma perché gli altri non dicono nulla del genere?
LA VITA DI GESÙ — Nei sinottici, Gesù non abbandona mai la Galilea, — tranne che per un viaggio a Tiro e Sidone, peraltro sconosciuto a Giovanni. È attorno al lago di Tiberiade che predica ed esercita la sua attività, che fa i suoi miracoli. La sua carriera è d'altronde brevissima: la sua vita pubblica, dal battesimo nel fiume Giordano, non oltrepassa poche settimane, al più qualche mese.
Quando arriva il tempo della Pasqua, egli va per la prima volta a Gerusalemme e vi muore. Tranne che al momento della sua entrata (ben fittizia) a Gerusalemme, la sua esistenza stessa è restata nascosta.
Si capisce bene che il Logos-Cristo di Giovanni non poteva comportarsi in quel modo: è apertamente e principalmente a Gerusalemme che opererà. L'essenziale del suo ministero è in Giudea, e spesso nel cuore stesso della città santa. Dura almeno tre anni: per tre volte Gesù celebra la Pasqua ebraica a Gerusalemme, e non manca di esservi presente anche per altre cerimonie religiose.
Quella contraddizione è così manifesta che tutti i tentativi di conciliazione sono restati vani. Contrariamente ai primi commentatori cristiani — Clemente d'Alessandria, Origene, ecc., che disponevano forse di testi diversi dai nostri — la Chiesa ha finito per trattenere i tre anni di Giovanni; ma la contraddizione non riguarda solamente la durata, influisce sulla natura stesso della missione di Gesù.
Ad eccezione di una breve discesa a Cafarnao all'inizio, [35] il IV° vangelo ignora quasi tutto ciò che Gesù avrebbe fatto in Galilea. Non chiama i suoi primi discepoli sulla riva del lago di Tiberiade, si limita a togliere Pietro e Andrea al Battista, [36] poi il giorno dopo a reclutare Filippo e Nataniele, [37] sconosciuti ai sinottici. Si capisce bene che il personaggio divino di Giovanni non poteva mangiare con i peccatori e i pubblicani, né toccare un lebbroso. Se ha fatto miracoli in Galilea, il IV° vangelo non ne sa nulla: egli ignora la guarigione dell'indemoniato di Cafarnao, quella della suocera di Simone, quelle di tutti i malati della Galilea, del lebbroso e del paralitico, quella della mano paralizzata, l'espulsione dei demoni dal posseduto di Gerasa, più tardi le guarigioni della donna Cananea, del sordomuto, del cieco di Betsaida, del bambino epilettico, dell'indemoniato sordomuto, dei dieci lebbrosi: questi sono trucchi da ciarlatani, troppo comuni per un Dio. Ignora persino la resurrezione della figlia di Giairo e quella del figlio della vedova, la tempesta placata e persino la trasfigurazione.
Ben più: siccome nessun profeta è stimato nella sua propria patria, è unicamente a causa dei miracoli fatti a Gerusalemme che il Gesù di Giovanni è ricevuto in Galilea! [38]
Giovanni dice davvero che il Logos è anche il Messia ebraico, ma ciò che interessa agli ebrei lo lascia indifferente: non parla quindi né delle domande poste dalla sua prigione dal Battista, né del pagamento delle imposte al Tempio, né del tributo a Cesare, né della questione del divorzio; il suo Cristo non predice la rovina del Tempio e non mette in guardia contro «l'abominio della desolazione» che profanerà il luogo santo. Ignorando o disprezzando gli ebrei, [39] questo singolare Messia non ha bisogno di lanciare imprecazioni contro i Farisei.
L'INSEGNAMENTO — Il Gesù dei sinottici insegnava soprattutto in parabole, e Marco precisa anche che questo è un tratto caratteristico. Perché quindi non ne è lo stesso per il Gesù giovanneo? Poiché è una constatazione ben sorprendente non trovare nel IV° vangelo che una sola parabola, [40] quella del buon pastore, [41] peraltro sconosciuta ai sinottici. Chiaramente lo pseudo-Giovanni non ha utilizzato una raccolta di detti, né per disperderli nella sua opera, né per farne un lungo discorso.
Ci sono senza dubbio alcuni logia utilizzati nel IV° vangelo, poiché se ne sono ritrovati alcuni nel papiro di Ossirinco, non letterali tra l'altro. Allo stesso modo alcuni detti o espressioni figurano anche nel vangelo di Tommaso. Ma la ripresa dei Logia resta in Giovanni eccezionale e secondaria: non è così che il suo Gesù dà il suo insegnamento.
In compenso, il Cristo giovanneo pronuncia lunghi e monotoni discorsi, in linguaggio astratto: nulla di sorprendente che i suoi discepoli non li capiscano! Si deve, su questo punto, dar ragione a Renan: «Se Gesù parlava come lo vuole Matteo, non ha potuto parlare come lo vuole Giovanni». [42]
Uno dei grandi problemi posti dai sinottici era di sapere, per reazione contro Marcione, se Gesù era venuto a realizzare, modificare o abrogare la legge di Mosè. La questione non si pone così in Giovanni, e non c'è bisogno di sapere se si mette il vino nuovo in vecchi otri, o se si può cucire un pezzo nuovo su un vecchio vestito. Ma è molto più grave: se la Legge fu data da Mosè, essa non era la verità. [43] Giovanni ritorna quindi alla tesi di Marcione, ma oltrepassandola, e rinnega Matteo.
L'insegnamento di Gesù, nel IV° vangelo, è limitato a Gerusalemme, non include l'invio dei dodici, né il discorso missionario — né, beninteso, l'invio dei 72 propri di Luca.
Uno dei tratti essenziali di Luca era di mostrare la bontà di Gesù. Il Cristo giovanneo non è buono: ignora il perdono del paralitico di Cafarnao, non guarisce la donna che ha toccato la sua veste, non compatisce la donna che ha toccato la sua veste, non compatisce la folla stanca e prostrata «come pecore che non hanno pastore», [44] non perdona la peccatrice nella casa del Fariseo, [45] Non concede «briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» alla figlia della donna cananea, [46] non insegna che si deve amare anche i propri nemici, nemmeno l'amore del prossimo nella persona del buon Samaritano, [47] né il ritorno del figliol prodigo, [48] né l'obbligo di perdonare 70 o 77 volte, [49] non accoglie i bambini piccoli, non dice: «Chiedete e vi sarà dato». [50] Non piange che una volta, sulla morte di Lazzaro, che è tanto più strana in quanto lo resusciterà, e ho detto che questo miracolo era puramente simbolico.
Se mi si obietta che il Gesù giovanneo perdona la donna adultera, [51] io risponderò, con la quasi unanimità della critica, che questo episodio è solo un'aggiunta successiva nel IV° vangelo, come preciserò più avanti.
L'insegnamento del IV° vangelo differisce ancora per altri aspetti. Gesù non sembra interessarsi all'opposizione dei ricchi e dei poveri, ignora l'espressione famosa sul cammello e la cruna dell'ago, così come l'istruzione di vendere i propri beni. È vero che d'altra parte non conosce gli accessi d'ira né i propositi violenti, né la maledizione delle città del lago.
Il Gesù giovanneo è sereno e olimpico, come conviene ad un Dio, indifferente alle miserie degli uomini; dice loro soltanto, abbandonandoli, e con condiscendenza: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace», [52] o ancora: «Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me». [53] Egli annuncia ai suoi discepoli le persecuzioni, affinché non siano scandalizzati di esserne la vittima senza motivo, e con quella sola consolazione: «Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi». [54]
Infine, se promette la vita eterna, non insegna la resurrezione dei corpi.
LA PASSIONE — Benché sia stato un po' armonizzato con gli altri, il racconto della passione in Giovanni differisce per molti aspetti da quello dei sinottici:
— Anche se il sacrificio di Gesù è concepito da Giovanni come un rituale della Pasqua ebraica, e nonostante i discorsi che aveva pronunciato sul pane della vita, il Gesù del IV° vangelo non dice, nel corso dell'ultimo pasto con i suoi discepoli, che il pane è il suo corpo e il vino il suo sangue; la cena giovannea non serve che ad annunciare il tradimento di Giuda, non vi è istituzione eucaristica;
— Il Cristo giovanneo non può evidentemente conoscere l'agonia del Getsemani;
— è condannato da Pilato, senza esser prima apparso davanti al Sinedrio;
— Invece di tacere davanti a Pilato, pronuncia ancora uno dei suoi enigmatici discorsi, che il procuratore non può affatto comprendere;
— Il vangelo di Giovanni ignora la via della croce, l'aiuto di Simone di Cirene e l'apostrofo alle donne;
— ignora gli oltraggi rivolti a Gesù sulla croce, la conversione del buon ladrone;
— Invece di citare un Salmo, Gesù, morendo, constata semplicemente che tutto è finito o compiuto;
— Infine Gesù morendo non è abbandonato da tutti i suoi discepoli, poiché l'apostolo amato è ai piedi della croce.
LA RESURREZIONE — Le manifestazioni di Gesù risorto si limitano ad un'apparizione a Maria Maddalena e a due ai discepoli di Gerusalemme. Tutto il capitolo 21, contenente in particolare le ultime apparizioni in Galilea, è un'aggiunta successiva. Non si parla quindi né dell'apparizione alle donne, né dei pellegrini di Emmaus. Per contro, Giovanni è il solo a dare la seconda apparizione ai discepoli, in vista di convincere Tommaso, — se questa non un'interpolazione.
È interessante constatare quanto poco il IV° vangelo si interessi al fatto della resurrezione: perché era una cosa ovvia, Dio non può morire; ancora una volta, si ricongiungono Marcione e gli Gnostici contro l'umanizzazione dei sinottici.
Notiamo infine che Giovanni ignora l'ascensione, ma che il suo Gesù soffia lo Spirito ai suoi discepoli, il che contraddice in anticipo la Pentecoste che sarà raccontata negli Atti.
ELEMENTI PROPRI A GIOVANNI — In cambio di tutto ciò che ignora, il IV° vangelo contiene elementi propri, sconosciuti ai sinottici.
A — Il principale è il prologo del Logos. Alcuni [55] pensano che questo prologo avrebbe potuto essere aggiunto successivamente alla stesura del vangelo; vi si è visto [56] un inno gnostico annesso o rielaborato. Fatta riserva per l'origine di questo testo, che è certamente gnostica, la sua aggiunta successiva ad un vangelo già scritto mi sembra un'ipotesi da respingere, poiché il prologo domina e comanda l'opera: si potrebbe quasi dire che il vangelo non serve che a dimostrare l'identità di Gesù e del Logos. Senza dubbio l'insegnamento e la dottrina del prologo non sono messi in bocca a Gesù. Ma il vangelo, così come è stato formato, diverrebbe incomprensibile senza quella solenne introduzione, che «riassume in modo astratto il tema del vangelo, al solo scopo di collegarlo, fin dall'inizio e definitivamente, alla nozione del Logos». [57] Certo, non si parla più del Logos in tutto il resto dell'opera, ma tutto si lega comunque a quella idea centrale, e se si deve cercare l'unità nell'opera composita dello pseudo-Giovanni, è proprio là che si può trovarla. Il prologo non mi sembra quindi posteriore, nella sua versione primitiva, all'arrangiamento finale del vangelo. Io dirò per contro che esso ha subito modifiche interne.
B — Vengono in seguito le indicazioni riguardanti le varie ascese di Gesù a Gerusalemme: per la prima Pasqua [58], poi per la seconda, [59] per varie feste, [60] per quella delle Tabernacoli [61] e quella della Dedicazione, [62] tutte provenienti da una insediamento permanente in Giudea, [63] e non in Galilea.
C — Ho già parlato dei miracoli propri del IV° vangelo, e segnalato che hanno una natura più simbolica che reale:
— quello delle nozze di Cana, [64] ben difficile da prendere alla lettera;
— la guarigione dell'infermo alla piscina [65] che, oltre al disprezzo del sabato, serve soprattutto a permettere a Gesù di parlare del Padre e di farsi uguale a Dio;
— la guarigione del cieco nato, [66] permettono anche a Gesù di proclamarsi la «luce del mondo».
— e soprattutto la resurrezione di Lazzaro, [67] di cui ho spiegato la natura puramente allegorica in vista di concretizzare le parole: «Io sono la resurrezione e la vita».
D — L'insegnamento è concentrato in alcuni discorsi: la discussione con Nicodemo sulla rinascita, [68] la discussione con la Samaritana [69] sulla necessità di adorare Dio in spirito e non in un luogo particolare, il discorso oscuro sulla messe, [70] l'insegnamento alla piscina sul Padre e il Figlio, [71] il grande discorso sul pane della vita che segue il miracolo (unico) della moltiplicazione dei pani, [72] il discorso nel Tempio, [73] la breve esposizione sull'acqua viva, l'ultimo giorno della festa dei Tabernacoli a Gerusalemme, [74] la parabola del buon pastore, [75] l'allegoria della vite e del tralcio, [76] l'annuncio dell'invio del Paraclito [77] e della manifestazione del Padre. [78] Si deve aggiungervi la preghiera finale di Gesù al Padre [79] sulla glorificazione del Figlio.
E — Si devono infine menzionare alcuni episodi secondari: il reclutamento dei primi discepoli del Battista e il dialogo con Natanaele, [80] la lavanda dei piedi, [81] il ruolo di Nicodemo nell'imbalsamazione del corpo di Gesù. [82] Non menziono qui il perdono della donna adultera, perché si tratta di un'interpolazione.
CONTRADDIZIONI — Tutto ciò, evidentemente, ci distanzia molto dai sinottici. Il canone di Muratori (intorno all'anno 200) spiegava già — la cosa non era quindi così evidente — che il IV° vangelo aveva per scopo di completare i primi tre, e non di ripeterli. La Chiesa ha un bel riprendere quella lezione, che può al limite giustificare alcune omissioni, essa non riesce a mascherare la contraddizione fondamentale tra il IV° vangelo e i sinottici, in particolare sulla personalità di Gesù, sulla sua vita pubblica, il suo insegnamento e il suo modo di insegnare, sui rapporti tra il Padre e il Figlio, sulla concezione del regno, [83] sulla vita eterna e la via della salvezza, sull'istituzione dell'eucarestia, ecc.
L'essenziale dei dogmi cristiani viene dal IV° vangelo, e non avremmo che un cristianesimo ben povero, se fosse ridotto ai sinottici.
Ma contraddizioni così flagranti e così gravi non possono mancare di porre problemi, e per esempio: chi ha potuto scrivere un vangelo così diverso dagli altri, e come mai la Chiesa, che ha respinto tanti apocrifi della stessa ispirazione, ha potuto accettare questo? Secondariamente, ci si chiede quale sia il posto del IV° vangelo in relazione al paolinismo, alla Gnosi e all'Essenismo.
La divisione dell'opera ha rivelato questi problemi, senza darci elementi di risposta. È necessario quindi cercare ora da dove proviene il IV° vangelo, e quale scopo si è proposto il suo estensore o organizzatore.
NOTE
[10] Giovanni 2:22, 12:16.
[11] Vangelo di Tommaso, logion 15.
[12] Giovanni 5:19, 5:30, 8:28, 10:18.
[13] L'obiezione non è neppure confutata in 7:42.
[14] LOISY, op. cit., pag. 57.
[15] LOISY, op. cit., pag. 72-73.
[16] Giovanni 2:1, 2:12, 7:5, 7:10.
[17] La madre serve solamente a provocare il miracolo delle nozze di Cana.
[18] Giovanni 4:31-34.
[19] Giovanni 7:1. Si veda id. 11:54.
[20] Giovanni 7:25-26.
[21] Giovanni 7:34.
[22] Giovanni 12:27 confuta su questo punto i sinottici, ma quella confutazione sarebbe stata collocata molto più logicamente in 18:1 bis.
[23] Giovanni 16:28.
[24] Giovanni 16:30.
[25] Giovanni 3:16, 3:36, 6:40, 10:28, 17:2.
[26] Giovanni 4:26, 10:24-25. Si veda anche 18:37.
[27] Si veda 1:51, 3:13-18, 3:31, 6:69, 8:12, 10:33-38, 16:28.
[28] Marco 12:29-30, Matteo 22:36-37. Confronta Luca 10:25-27.
[29] Giovanni 12:44 e 12:49-50.
[30] Giovanni 14:1 e 14:6.
[31] Giovanni 17:2-3.
[32] Giovanni 14:8-10.
[33] Giovanni 8:13.
[34] Giovanni 5:18 e 10:30-33.
[35] Giovanni 2:12. Ancora si tratta probabilmente di una aggiunta destinata ad assicurare un vago raccordo con i sinottici, poiché non vi accade nulla.
[36] Giovanni 1:35-42.
[37] Giovanni 1:43-51.
[38] Giovanni 4:43-45.
[39] Giovanni 4:9, 7:24, 8:39, 8:44, 18:35.
[40] In 16:25 il termine ha un altro senso, quello simbolico.
[41] Giovanni 10:1-21.
[42] Vita di Gesù, introduzione.
[43] Prologo 1:17.
[44] Marco 6:34, Matteo 9:36.
[45] Luca 7:36-50.
[46] Marco 7:24-30, Matteo 15:21-28.
[47] Luca 10:29-37.
[48] Luca 15:11-32.
[49] Matteo 18:22.
[50] Matteo 7:7, Luca 11:9.
[51] Giovanni 8:1-11.
[52] Giovanni 14:27.
[53] Giovanni 16:33.
[54] Giovanni 15:18.
[55] HARNACK, Histoire des dogmes, 1:93-109.
[56] In particolare BULTMANN, op. cit.
[57] LOISY, op. cit., pag. 151.
[58] Giovanni 2:13-25.
[59] Giovanni 6:4.
[60] Giovanni 5:1.
[61] Giovanni 7:10.
[62] Giovanni 10:22-39.
[63] Giovanni 3:22.
[64] Giovanni 2:1-11.
[65] Giovanni 5:1-18.
[66] Giovanni 9:1-41.
[67] Giovanni 11:1-46.
[68] Giovanni 3:1-21.
[69] Giovanni 4:1-30.
[70] Giovanni 4:35-38.
[71] Giovanni 5:19-47.
[72] Giovanni 6:22-59.
[73] Giovanni 7:28-36.
[74] Giovanni 7:37-41.
[75] Giovanni 10:1-21.
[76] Giovanni 15:1-27.
[77] Giovanni 16:4-15.
[78] Giovanni 16:23-33.
[79] Giovanni 17:1-26.
[80] Giovanni 1:35-43 e 47:51.
[81] Giovanni 13:1-20.
[82] Giovanni 19:39.
[83] Si parla molto meno del regno nel IV° vangelo e questo regno ha cambiato significato. Si veda LOISY, op. cit., pag. 74.
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