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2° Attribuzione e datazione
La tradizione della Chiesa, almeno dal III° secolo, attribuisce la stesura del IV° vangelo all'apostolo Giovanni. Importa ricercare dapprima se quella attribuzione è possibile. Scartato l'apostolo, resterà da datare, nella misura del possibile, l'opera che ci è pervenuta sotto il suo nome: è evidente che una datazione tardiva, posteriore al 160, confermerà l'impossibilità di una stesura da parte di un discepolo diretto di Gesù.
OPERE ATTRIBUITE A GIOVANNI — Secondo la tradizione della Chiesa, l'apostolo Giovanni sarebbe l'autore, oltre al del IV° Vangelo, dell'Apocalisse e di tre epistole canoniche.
Non insisterò sull'impossibilità assoluta di attribuire l'Apocalisse e il IV° vangelo ad uno stesso autore: non soltanto lo stile delle due opere è totalmente diverso, ma la sostanza stessa le situa all'opposto l'una dell'altra. L'Apocalisse è di ispirazione ebraica, il vangelo è anti-ebraico. Il vangelo racconta l'incarnazione già realizzata del Logos, l'Apocalisse annuncia la venuta dell'Agnello celeste come imminente, ma ancora futura. Il Messia sanguinario, annunciato nell'Apocalisse, non ha nulla in comune con il Cristo giovanneo. In breve, vi è una incompatibilità così totale che anche gli scrittori cattolici mettono in dubbio l'unità d'autore; ma preferiscono allora sacrificare l'Apocalisse per conservare il messaggio essenziale del vangelo, senza il quale il cristianesimo sarebbe molto diverso da ciò che è.
La prima epistola attribuita a Giovanni è anonima. La sua affinità di contenuto e di forma con il IV° vangelo è variamente apprezzata: nonostante i dubbi di Loisy, [84] non scorgo incompatibilità assolute, e penso che l'epistola possa derivare o dall'autore del vangelo, o da una delle sue fonti, o infine da un imitatore. Il vocabolario del capitolo 1, con i suoi riferimenti al prologo del vangelo, [85] esclude una totale indipendenza.
Le due epistole seguenti, brevi e insignificanti, provengono dal «presbitero», e si vedrà l'importanza di quella designazione. Esse hanno per scopo di denunciare «quelli che non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne», [86] chiunque non lo confessi è un «anticristo». L'epistola è quindi diretta contro gli Gnostici, e presuppone una rottura già realizzata con loro: essa è quindi posteriore alla rottura con Marcione (144), in cui gli autori del II° secolo hanno riconosciuto l'Anticristo. [87] La stessa datazione si applicherebbe alla 1° epistola, se si prendesse nello stesso verso il brano [88] sugli anticristi «che sono usciti di mezzo a noi».
Insomma, non è escluso che le epistole siano della stessa mano di uno degli autori del vangelo. Ma questo non ci permette di datare, ancora, il vangelo: la stesura delle epistole dopo il 150 esclude in ogni caso l'attribuzione all'apostolo Giovanni.
ATTRIBUZIONE DEL VANGELO — A differenza dei sinottici, il IV° vangelo non reca alcun nome d'autore. La cosa è tanto più sorprendente in quanto tutti gli altri vangeli, apocrifi o gnostici, sono posti sotto il nome di un personaggio dei tempi apostolici, per meglio accreditarli.
È soltanto da Ireneo, intorno al 190, che apprendiamo l'attribuzione a Giovanni del IV° vangelo, ma vedremo quanto la testimonianza di Ireneo sia inconsistente. Per di più, quella attribuzione non era ammessa da tutti: nel IV° secolo ancora, Eusebio si contraddirà tentando di conciliare le sue fonti, e dal II° secolo l'attribuzione a Giovanni era contestata almeno da coloro che si sono chiamati gli Alogi.
L'attribuzione a Giovanni sembra confermata da un verso finale del vangelo: vi è dapprima menzione di un «discepolo che Gesù amava» (21:20), dopodiché qualcuno ha aggiunto: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (21:24). Sfortunatamente:
— quella menzione non è dell'autore del vangelo, e ignoriamo da chi e quando è stata aggiunta; non ha quindi alcun valore probatorio;
— figura nel capitolo 21, che tutta la critica razionalista concorda nel considerare un'aggiunta tardiva: [89] ciò risulta dal finale normale in 20:30-31, e ciò è stato confermato dalle analisi del vocabolario di Merlier; [90]
— Infine, l'identificazione del «discepolo amato» con Giovanni è un'interpretazione molto contestata: sembra probabile che si tratti di una favola tardiva, destinata precisamente a giustificare l'attribuzione del vangelo a Giovanni.
ARGOMENTI CONTRO GIOVANNI — L'attribuzione a Giovanni è peraltro esclusa da numerosi argomenti.
1 — Esistono, sul soggetto dell'apostolo Giovanni, due tradizioni opposte: secondo l'una, egli sarebbe perito a Gerusalemme con suo fratello Giacomo; secondo l'altra, avrebbe finito i suoi giorni a Efeso, ad un'età avanzata. Ma è la prima che sembra la più probabile, la seconda non essendo stata immaginata che più tardi, quando gli si attribuì il vangelo.
La morte di Giovanni in Giudea prima del 70 è attestata da un testo del IV° secolo, che attribuisce quella affermazione a Papia. [91] Essa concorda con una predizione attribuita a Gesù nei sinottici, [92] secondo la quale Giacomo e Giovanni dovevano entrambi subire il battesimo del sangue (martirio): è proprio il tipo stesso della profezia a posteriori. Infine, se negli Atti è scritto (12:2) che Erode fece uccidere «Giacomo, il fratello di Giovanni», quella espressione sembra proprio essere una correzione del testo iniziale che doveva portare «Giacomo e Giovanni», poiché non vi era alcun bisogno di precisare che Giacomo, ben conosciuto, fosse il fratello di un Giovanni allora molto eclissato, e Giovanni scompare dall'opera nello stesso tempo di suo fratello.
Certo, il finale del IV° vangelo è obbligato a spiegare, contrariamente all'opinione allora ammessa, che Giovanni non era morto, ma lo è nel capitolo 21 (22:23), aggiunto tardivamente al vangelo. È quindi pressappoco certo che Giovanni era morto da molto tempo, e che gli si è prestata una sopravvivenza artificiale a Efeso, per accreditare il vangelo.
2 — La cosa fu tanto più facile in quanto vi era a Efeso un patriarca di nome Giovanni, detto il «presbitero» (l'Anziano). Una confusione, più o meno volontaria, tra questi due Giovanni è ammessa da numerosi autori.
Anche se l'apostolo Giovanni fosse sopravvissuto a Gesù, presunto morto nel 30/33, il suo discepolo non poteva essere ancora in vita al momento di Papia (che scrive intorno al 135). Ma Ireneo pretende fare di Papia un «ascoltatore di Giovanni», [93] ed Eusebio ci dice d'altro canto che Papia non ha conosciuto alcuno degli apostoli, ma solo il presbitero Giovanni.
Merlier ha quindi ragione di concludere: «Dai testi di Papia riportati da Eusebio, appare chiaramente che sono esistiti due Giovanni, che Papia ha conosciuto le affermazioni dell'apostolo dai presbiteri». [94] Tuttavia è bene pensare che quella confusione possa essere stata involontaria.
3 — Se l'apostolo Giovanni fosse realmente venuto ad Efeso e vi avesse scritto il suo vangelo, come mai lo pseudo-Ignazio di Antiochia, nella sua lettera agli Efesini, l'avrebbe ignorato? Ma egli non parla che della venuta di Paolo, [95] e, nei suoi elogi alla chiesa di Efeso, ignora che essa avrebbe accolto un apostolo diretto e visto nascere un vangelo.
4 — Il IV° vangelo è un'opera metafisica; il suo autore conosce la dottrina del Logos come l'aveva elaborata la scuola di Alessandria. Come si poteva attribuirla ad un semplice pescatore del lago di Tiberiade, [96] che gli Atti definiscono, così come Pietro, «uomini illetterati e senza istruzione» ? (4:13).
5 — Se il vangelo fosse stato scritto dal suo vicino di Efeso, come mai Papia, vescovo di Ierapoli, non l'avrebbe conosciuto? Non solo non ne parla, ma, secondo Eusebio egli non ha conosciuto che le versioni primitive di Marco e di Matteo. L'argomento vale peraltro anche contro l'attribuzione al presbitero Giovanni, ben conosciuto da Papia.
6 — Che sia dell'apostolo oppure del presbitero, un tale vangelo orientale avrebbe dovuto essere conosciuto da Marcione, che non avrebbe mancato di trarne argomenti a favore della sua dottrina.
7 — Gli Alogi contestavano l'attribuzione del IV° vangelo a Giovanni. Per rispondere loro, Ireneo, — che però viene anche lui dall'Oriente, dal «paese stesso dove gli scritti giovannei sono stati composti e che è stato il loro centro di diffusione» —, [97] che pretende di aver conosciuto il vecchio Policarpo, non oppone loro alcuna testimonianza. È chiaro che Ireneo, a parte il suo riferimento a Papia, non sa assolutamente nulla della composizione del vangelo giovanneo. E come mai gli stessi Alogi avrebbero potuto negare l'attribuzione all'apostolo, se quella fosse basata su una tradizione antica? [98]
8 — Il vangelo attuale si presenta come scritto da un «discepolo che Gesù amava», e attribuisce a questo discepolo, che sarebbe Giovanni, un posto particolare in seno ai dodici. Quella posizione eminente di Giovanni, i sinottici la ignorano, vi è una contraddizione totale su questo punto.
Nei sinottici, Giovanni svolge un ruolo riservato, viene sempre citato dopo suo fratello Giacomo, Gesù recluta sulla riva del lago Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo; [99] Giacomo e Giovanni assistono alla guarigione della suocera di Simone; [100] Giovanni è citato tra i dodici, senza alcuna menzione di predilezione, dopo suo fratello Giacomo; [101] entrambi assistono, con Pietro, alla resurrezione della figlia di Giairo, [102] poi alla trasfigurazione, [103] ma solo Pietro prende la parola in loro nome; il discorso escatologico sul Monte degli Ulivi è pronunciato in presenza di Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea; [104] Pietro, Giacomo e Giovanni assistono Gesù nel Getsemani, [105] e vi si addormentano. Certo, Giovanni figura tra i quattro che sono i più spesso citati, ma da nessuna parte è messo in primo piano. Si dirà che è per meschina gelosia? Una sola volta Giovanni prende da solo la parola, ma è per farsi subito rimproverare. [106]
Infine, quando Giacomo e Giovanni domandano a Gesù un posto privilegiato, [107] Gesù risponde loro solo con l'annuncio del loro martirio, e gli altri dieci si indignano per la loro pretesa. [108]
È vero che il IV° vangelo riporta vari episodi favorevoli al «discepolo amato»; sfortunatamente i sinottici non li conoscono o li contraddicono:
— In Giovanni, [109] il discepolo amato è reclutato con Andrea, mentre i sinottici fanno reclutare Giacomo e Giovanni assieme; in Giovanni, sono Filippo e Nataniele che prendono il posto dei figli di Zebedeo, sconosciuti nel IV° Vangelo. Anche se Giovanni non avesse voluto nominarsi per modestia, come spiegare che non nomini suo fratello?
— quando dopo il suo arresto Gesù è condotto dal sommo sacerdote, solo Pietro lo segue da lontano, nei sinottici, e resta nel cortile; [110] un secondo discepolo anonimo è aggiunto in Giovanni, ma è difficile ammettere che questo sia il semplice pescatore, perché questo discepolo anonimo è «conosciuto dal sommo sacerdote» e perché è lui che fa entrare Pietro. [111] I sinottici ignorano questo discepolo discreto e potente;
— Nel racconto della cena, il discepolo amato è «a tavola, inclinato sul seno di Gesù», [112] e Pietro deve passare per suo tramite per rivolgersi a Gesù; ma i tre sinottici ignorano il fatto che Giovanni abbia occupato quel posto privilegiato;
— infine, la presenza del discepolo amato ai piedi della croce è ancora sconosciuta ai sinottici.
Da tutto ciò risulta evidente che l'introduzione di un «discepolo amato» nel IV° vangelo è un'aggiunta artificiale. Vedremo però che essa può avere un altro scopo rispetto ad autenticare il vangelo, sforzandosi di collocare Giovanni al di sopra di Pietro.
9 — Se veramente l'apostolo Giovanni, unico sopravvissuto del gruppo apostolico, avesse scritto il vangelo nella sua vecchiaia, quale merito non avrebbe mancato di avere subito quest'ultimo resoconto vissuto! Ma non solo il vangelo aveva avuto difficoltà ad imporsi, ma fin dall'origine gli si sono preferiti i sinottici, — di cui almeno due non passano nemmeno per derivazioni da testimoni diretti. Il vangelo si è imposto per il suo contenuto teologico, perché se ne aveva bisogno; ma si è imposto a parte da un'attribuzione all'apostolo Giovanni, che sembra essere stato ammesso solo più tardi, per meglio accreditare l'opera.
Come racconti storici, i sinottici hanno migliore apparenza: raccontano i fatti come se fossero accaduti. In Giovanni, tutto è simbolico, e si ha ben difficoltà ad ammettere che un pescatore del lago di Tiberiade abbia potuto «far parlare al suo Maestro un linguaggio scolastico, sostituire alla personalità viva di Gesù un'entità metafisica e teologica». [113]
ORIGINE — Il IV° vangelo non è dunque dell'apostolo Giovanni.
Sarebbe di Giovanni il presbitero? È improbabile, perché Papia lo avrebbe saputo.
Gli Alogi pretendevano che il suo autore fosse un certo Cerinto, al quale altri prestano l'Apocalisse. [114] Cerinto è ben conosciuto, ma la sua dottrina è lontana dal concordare con il nostro vangelo. [115] Crederemmo anche più volentieri a Ireneo, che assicura che il IV° vangelo sarebbe stato scritto contro Cerinto. [116]
Allora, si deve proprio ammettere che non conosciamo la provenienza del IV° vangelo. È probabilmente orientale, secondo la quasi-unanimità degli esegeti: alcuni accettano di situarla ad Efeso, secondo la tradizione, mentre altri propendono più per Antiochia o Alessandria.
Ho già rilevato che al contrario dei sinottici, lo pseudo-Giovanni sembra conoscere bene la Palestina, e specialmente la Samaria. Questo non è sufficiente per affermare, come Renan, che egli vi avrebbe vissuto a lungo e che sarebbe un ebreo: non vi erano solo ebrei in Palestina, e soprattutto in Samaria, e alcuni dettagli esatti [117] non possono costituire prove determinanti.
In effetti, se l'autore conosce bene il giudaismo, egli è piuttosto ostile agli ebrei, e conosce bene anche i misteri ellenistici e la gnosi. Allora, sarebbe un convertito dal paganesimo in qualche sinagoga, o al contrario un ebreo ellenizzato in una comunità gnostica? Ciò che è ben stabilito, nonostante alcune opinioni contrarie, è che il vangelo è stato scritto in greco, e che utilizza la traduzione greca della Bibbia. [118]
Ma il problema così posto è insolubile, perché si basa sul falso postulato dell'unità dell'opera. Ma questa comprende:
— essenzialmente, un'introduzione nel cristianesimo della dottrina del Logos, di origine gnostica, ma unificata alla concezione del Messia ebraico. Quella fusione assomiglia a quella che aveva tentato Filone di Alessandria, ma è più evoluta. Turmel la attribuisce a Giustino, che, a giudicare dal dialogo iniziale con Trifone, doveva essere platonico, ma questa non è che un'ipotesi. Propenderei piuttosto per l'utilizzo di un testo gnostico, che sembra supporre l'esatta sequenza dei primi Eoni nel prologo;
— in secondo luogo, una vita di Gesù, comprendente alcuni episodi e grandi discorsi ignorati dai sinottici, ma i cui fatti hanno perso la loro natura storica per diventare simbolici;
— un tentativo di armonizzazione di questo vangelo con i tre sinottici, armonizzazione incompleta ma che presuppone la conoscenza dei sinottici già scritti;
— delle aggiunte, destinate ad accreditare l'opera, in particolare quella del discepolo amato, e tutto il capitolo 21, di cui spiegherò l'utilità.
Bisognerebbe anche parlare dei rapporti del IV° vangelo con il paolinismo...
DATA — La data di quella sintesi è relativamente facile da precisare.
A — Il vangelo è menzionato per la prima volta da Ireneo (intorno al 190). Prima di allora, esso non è conosciuto né da Giustino, né da Erma, né da alcun autore. Certo si possono scoprire in Giustino, nello pseudo-Ignazio di Antiochia, allusioni ad alcuni elementi che furono in seguito utilizzati nel IV° vangelo. Ma devo ripetere quella ovvietà, troppo disconosciuta, che la conoscenza (peraltro più o meno vaga o distorta) di un verso non testimonia quella dell'opera intera, ma di una delle fonti dell'opera, più in particolare dei «logia». È evidente che, se Giustino avesse conosciuto il nostro vangelo, ne avrebbe ricavato ben altre cose per la sua Apologia!
B — Il IV° Vangelo utilizza dati presi dai sinottici, correggendoli nel senso necessario alla sua tesi: la natura sistematica del procedimento presuppone la conoscenza dei sinottici. Siccome questi sono stati scritti dopo il 150, il IV° Vangelo, almeno nella sua forma attuale, si trova anche respinto al di là di quella data, — il che spiega perché Giustino lo ignora ancora intorno al 160, anche se viene dall'Oriente.
C — Infine risulterà da una analisi dell'opera che lo scopo perseguito è di tentare una conciliazione tra la tesi giudaico-cristiana che ha prevalso a Roma e lo Gnosticismo: questo tentativo non è concepibile che dopo la rottura con gli Gnostici.
Siamo quindi indotti a collocare il nostro vangelo intorno al 160. Questo è oggi l'avviso di Weill-Raynal, [119] ma questo fu già l'avviso di coloro che, come Baur, più di cento anni fa, hanno riconosciuto nel vangelo il tentativo di conciliazione segnalato.
Non ne consegue, beninteso, che tutto ciò che è nel vangelo risalga al 160. Come per i sinottici, il problema delle fonti è molto più importante di quello dell'arrangiamento finale. Sfortunatamente non abbiamo alcun elemento che ci permetta di datare una qualunque delle fonti. La più antica risalirebbe al presbitero Giovanni, di cui ignoriamo tutto, se non che sarebbe stato conosciuto da Papia. Ciò ha spinto Turmel a supporre che il racconto della vita di Gesù nel IV° vangelo verrebbe dal presbitero: semplice ipotesi, che poggia su basi fragili.
NOTE
[84] LOISY, Le quatrième évangile, pag. 135.
[85] Quel che è stato fatto dal principio, il Verbo di vita, la Vita si è manifestata, ecc. (1 Giovanni 1:1-2).
[86] 2 Giovanni 7.
[87] Si veda H. DELAFOSSE (Turmel), Lettres d'Ignace d'Antioche, pag. 56, ss.
[88] 1 Giovanni 1:18-19.
[89] Perfino il padre Lagrange è esitante e ammette «una aggiunta, ma una aggiunta quasi contemporanea». Come lo sa?
[90] Op. cit., pag. 151 ss.
[91] Filippo di Side (430 circa) doveva ancora possedere le opere di Papia.
[92] Marco 10:39; Matteo 20:23.
[93] Eusebio, Hist. Eccl. 3:39:1.
[94] Op. cit., pag. 231.
[95] Ignazio, Efesini 12.
[96] Marco 1:19-20, Matteo 4:21.
[97] LOISY, op. cit., pag. 27.
[98] Si veda LOISY, op. cit., pag. 18-21.
[99] Marco 1:19, Matteo 4:21.
[100] Marco 1:29. Matteo 8:14 e Luca 4:38 non lo menzionano nemmeno in quella occasione.
[101] Marco 3:17, Matteo 10:2, Luca 6:14.
[102] Marco 5:37, Luca 8:51. Matteo 9:23-25 non lo dice.
[103] Marco 9:2, Matteo 17:1, Luca 9:28.
[104] Secondo Marco 13:3, gli altri non lo menzionano.
[105] Marco 14:33, Matteo 26:37. Luca non lo dice.
[106] Luca 9:49-50.
[107] Marco 10:35. In Matteo 20:20, è la loro madre che fa quella richiesta in loro nome.
[108] Marco 10:41, Matteo 20:24.
[109] Giovanni 1:35-40.
[110] Marco 14:54, Matteo 26:58, Luca 22:54.
[111] Giovanni 18:15.
[112] Giovanni 13:23.
[113] LOISY, op. cit., pag. 137.
[114] Dionigi d'Alessandria, secondo Eusebio H.E. 7:23, che confuta quella opinione: Epifanio, Haer. 51:3.
[115] Si veda LOISY, op. cit., pag. 18-20.
[116] Ireneo 3:10:1. Si veda LOISY, op. cit., pag. 18, nota 8.
[117] Il pozzo di Giacobbe, l'appellativo lago di Tiberiade, la piscina di Betzaeta con i suoi 5 portici, le feste della Dedicazione o dei Tabernacoli.
[118] Si veda MERLIER, op. cit., pag. 179.
[119] Chronologie des évangiles, Ed. Rat. 1968.
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