(segue da qui)
3° Il Logos Cristo
Benché sia conosciutissimo, mi sembra necessario ricordare qui l'esordio del IV° vangelo:
«In principio era il Logos,
E il Logos era presso Dio
e il Logos era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
Tutto è stato fatto per mezzo di lui,
E senza di lui niente è stato fatto.
In lui era la Vita, (verso alterato)
E la Vita era la Luce degli uomini;
E la Luce splende nelle tenebre,
E le tenebre non l'hanno accolta».
Questo preambolo maestoso, col quale l'autore esprime una concezione teologica, apre prospettive molto ampie. Appare fin da subito che tre termini richiedono un'interpretazione:
— Il Logos, — che non ho volutamente tradotto con «Verbo», secondo l'uso, perché quella traduzione ne altera il senso;
— La Vita;
— la Luce, contrapposta alle tenebre: quella opposizione può far pensare agli Esseni.
In compenso, non troviamo nulla nel giudaismo che possa essere designato col Logos o con la «Vita»: è al di fuori del giudaismo che vanno cercati l'origine e il significato di questi termini.
IL LOGOS — Il termine logos è ben conosciuto nella filosofia greca, fin da Eraclito. Ma ha assunto un significato particolare nella filosofia alessandrina.
Il termine greco logos designa prima di tutto la parola, il discorso; ma in un senso derivato, designa ciò che si esprime con la parola, vale a dire il pensiero, e soprattutto il pensiero razionale, quindi la «ragione». In quella concezione, il logos è inerente al mondo, immanente. La dottrina finisce per affermare l'identità fondamentale della ragione umana con il determinismo fisico: per questo il mondo è intelligibile.
Per Platone, al contrario, il nostro mondo materiale non è che il riflesso di un mondo spirituale, creato da un Dio: è in questo mondo spirituale, in Dio, che si deve cercare l'origine delle leggi che reggono il mondo materiale. Dio, essendo intelligente, ha impresso nel mondo qualcosa del suo pensiero; il mondo materiale rimane intelligibile, ma non da sé. Il Logos diventa trascendente, di essenza divina. Siccome il mondo deriva dall'intelligenza divina, si può dire che è stato creato dal — cioè per mezzo del — Logos: il Logos, principio astratto, non è l'autore della creazione, ma Dio ha creato il mondo per suo mezzo.
Faremo un passo in più con Filone di Alessandria che, intriso di platonismo, vuole conciliare Platone e la Bibbia. Ma lui trova nella Genesi un racconto in cui la parola divina è creatrice: «Elohim disse: Sia la luce! E la luce fu». Filone non crede alla creazione in sei giorni, è per lui un'allegoria. [120] Ma la «parola» divina, che ha una virtù creatrice, non può tradursi in greco che con logos. Per questa via, Filone fa penetrare, nella sua interpretazione della Genesi, tutto il contenuto del logos platonico.
Che il Logos sia ragione o parola divina, è ancora un principio astratto. L'originalità di Filone sarà di trasformarlo in personaggio divino, di farne il «primogenito» della creazione. Dio ha dapprima creato il Logos, ed è per mezzo di quella prima creatura che tutto il resto è stato fatto. Il Logos esiste quindi fin dall'origine del mondo, ed è vero dire: «In principio era il Logos». Il Logos era infatti «presso Dio», e anche «in Dio»; senza confonderli, si può dire che il Logos è lui stesso di essenza divina, e che tutto è stato fatto da lui.
Ma non è tutto. Primogenito di Dio, il Logos diventa logicamente «Figlio di Dio», cioè una persona, o, se si preferisce, un Eone gnostico. Si comprende quanto, in ambiente greco, sarà facile dare a questo «Figlio primogenito di Dio» una personalità autonoma, dotarlo nel contempo di potenza e di intelligenza. A poco a poco il Logos si separa da Dio, e diventa una persona distinta, derivante da Dio.
Poiché questo Logos indipendente è il creatore, è logico che l'uomo si rivolga a lui. In Filone, egli è già «il mediatore dell'essere perituro che aspira ai destini immortali, l'intermediario tra l'Essere Supremo e i suoi soggetti». [121]
È dunque, attraverso il prologo di Giovanni, tutto il pensiero di Filone che si riserverà nel cristianesimo, probabilmente attraverso la Gnosi.
Gli Gnostici, per questo tempo, avevano raggiunto una nuova fase. Avendo riconosciuto che questo mondo è malvagio, e non può quindi essere l'opera di un Dio sovranamente saggio e buono, erano stati portati a concludere che era l'opera di un demiurgo ignorante o ribelle, e che tra il Dio supremo e questo mondo doveva esistere tutta una gerarchia di Eoni, intermediari sempre meno spirituali man mano che si scende nella gerarchia, fino al demiurgo creatore e ai suoi servi, gli «arconti» nefasti che dirigono la marcia dei pianeti. Ma siccome sarebbe impensabile che il Dio supremo ignorasse e lasciasse senza soccorso un mondo così malvagio, egli deve logicamente farvi discendere un Eone dalle sfere superiori, di un rango più elevato del demiurgo.
Quell'inviato celeste sarà il Logos.
Sappiamo come, in Basilide, Marcione o Valentino, l'Eone superiore discende in questo mondo sotto l'apparenza di un uomo. Non si incarna, poiché la carne è malvagia, non riveste che una «rassomiglianza di carne di peccato»; [122] come Marcione fa dire all'apostolo Paolo: «Se fosse divenuto veramente uomo, egli avrebbe cessato di essere dio». Non potrà quindi né soffrire, né morire, ma rigenererà il mondo per mezzo di un sacrificio simbolico, che ricorda quelli dei culti misterici: l'essere divino dovrà, almeno in apparenza, trionfare sulla morte per assicurare ai suoi fedeli la «rinascita» [123] e la vita eterna.
Il cristianesimo ha ereditato, in Oriente, tutte queste speculazioni, attraverso la Gnosi e il Paolinismo. Ma a Roma queste concezioni astratte oltrepassano il livello intellettuale dei fedeli. Una grande polemica nascerà, che porterà nel 144 alla rottura con Marcione. Quella rottura si verifica proprio sul punto di sapere se il Cristo (riserviamo per il momento il significato di quell'appellativo) si sia realmente incarnato, se abbia sofferto nella sua carne e subito la morte, o se tutto ciò non sia stato che un'apparenza, un rito sacro. La 2° epistola di Giovanni ci precisa che si deve considerare «anticristo» ogni persona che nega che Gesù sia venuto nella carne, ovvero gli Gnostici. Per dimostrare l'incarnazione reale, i vangeli attribuiti a Matteo e a Luca racconteranno la nascita di Gesù, lo doteranno di una madre. [124]
Quale sarà, in quella polemica, la soluzione data dal IV° Vangelo? Non la si comprenderebbe, senza queste lunghe spiegazioni preliminari:
— Da una parte, Gesù è il Logos, esisteva fin dal principio del mondo, è per suo mezzo che tutto è stato creato, è l'Eone superiore.
— Ma ecco la novità: «E il Logos si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua gloria». [125] La posizione è molto chiara, la nozione di Logos ha raggiunto il termine della sua evoluzione: contro gli Gnostici, si afferma che il Logos si è incarnato.
— Si dovrà pertanto dare ragione a Matteo e a Luca, premiandolo con una nascita terrena? No, su questo punto si dà ragione agli Gnostici:
«Egli non fu generato né da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma da Dio» (1:13). Capisca chi può come ciò si sia fatto, nulla è impossibile a Dio, e se gli è piaciuto dotare il Logos di una carne non umana, non abbiamo da sorprenderci. Ma la nascita umana per mezzo di Maria è chiaramente negata.
Così, tutti sembrano dover essere soddisfatti: l'espressione è accettabile per gli Gnostici, che rimangono liberi di credere ad una carne angelica, anche se concedono che il Logos si sia fatto «carne». Scopriamo, quindi, fin dal prologo, la volontà che ha presieduto alla stesura del IV° vangelo: è un tentativo di conciliazione, di sintesi, tra le diverse concezioni che dividevano i cristiani del II° secolo. Ne troveremo altre prove.
VITA — La parola «Vita» ci darà meno problemi. Ricordiamoci dapprima come Marcione chiama Gesù, quando si va a cercarlo alla tomba: «Non cercare il Vivente tra i morti». Stesso appellativo nel vangelo di Tommaso: «Ecco le parole segrete di Gesù il Vivente».
La vita? Ma è l'intero scopo dell'iniziazione ai misteri ellenistici. Basandosi, nelle loro lontane origini, sui culti primitivi che celebravano o attualizzavano il mistero della generazione, il potere generativo del chicco di grano, o anche quello della donna, i misteri si basano essenzialmente sulla ricerca della natura della Vita.
Ma, siccome è troppo evidente che la vita porta alla morte, e che non può essere la vera Vita, si arriva a distinguere tra la vita peritura del corpo e la vita eterna promessa all'anima. Lo scopo di tutte le iniziazioni è di conferire ai discepoli l'immortalità. Ecco perché tutti gli dèi salvatori dell'ellenismo conferiscono la Vita, perché sono essi stessi la Vita. Questo è anche ciò che dice il Gesù giovanneo: «Io sono la resurrezione e la vita» (11:25), ma «chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita» (3:36).
Per ottenere quella vita eterna, l'iniziato deve partecipare alla morte del dio salvatore, in particolare mediante un battesimo di rinascita. Questo è l'insegnamento di Gesù a Nicodemo: «Quello che è nato dalla carne, è carne, e quello che è nato dallo spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: bisogna che nasciate di nuovo». [126] Questa è anche la conclusione del discorso sul pane della vita: «Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». [127]
Designando il Logos con la parola «Vita», il prologo di Giovanni integra tutto il contenuto dei misteri ellenistici. Realizza (o registra) una conciliazione, che deriva dal paolinismo.
Ci si può anche chiedere se non si debba spingersi più lontano. Nella Gnosi esisteva un Eone femminile, che si chiamava Zoé (Vita). Quando dice che è lui stesso Zoé, il Cristo giovanneo non si identifica con l'Eone? Si dirà che non può essere nel contempo sia Logos che Zoé, ma queste distinzioni non sono così nette come nelle nostre menti cartesiane. Sappiamo da Ireneo che Zoé era il 3° Eone, e che era derivato dal Logos. Così gli Gnostici prendevano alla lettera il 4° verso del prologo di Giovanni: «In lui era la Vita», volendo dire con ciò che, se tutto il resto è stato fatto «per mezzo» del Logos, la Vita fu fatta «in» lui. E quando gli Gnostici accoppiano gli Eoni, la Vita è unita al Logos da cui deriva. È quindi permesso dire che il Logos è anche la Vita.
LA LUCE — L'opposizione della Luce alle Tenebre sarà ripresa più volte, [128] e potrebbe sembrare banale, se non sapessimo peraltro che l'opposizione Luce-Tenebre è uno degli elementi fondamentali del dualismo iraniano, gnostico e persino esseno. Tutto questo vocabolario astratto e simbolico ci allontanano considerevolmente dal Gesù dei sinottici, per introdurci in piene speculazioni gnostiche, come se lo pseudo-Giovanni avesse voluto incorporare la Gnosi nella sua teologia.
Sempre da Ireneo, sappiamo che gli Gnostici accettavano l'espressione: «E la Vita era la Luce degli uomini». Allo stesso modo Paolo diceva: «Tutto ciò che è manifestato è Luce», [129] e nel vangelo (gnostico) di Tommaso, Gesù dice anche: «Io sono la Luce che è su tutte le cose. Io sono Tutto: da me Tutto proviene». [130]
IL FIGLIO — Ho detto che il Logos era descritto da Filone come «Figlio primogenito» di Dio, ma quella traduzione è sbagliata: il Logos è nel contempo il primo e l'unico, e Loisy ha ragione a tradurre con «Figlio monogene». Quel che ne sia di questo problema linguistico, nessun dubbio sull'espressione, ed è con buona ragione che si traduce il verso 18 del prologo: «Il Figlio unico, che è nel seno del Padre».
L'idea del Figlio deriva dalla nozione del Logos primogenito. E se il Logos si è fatto carne, l'essere così incarnato sarà il «Figlio di Dio», non come ogni uomo può esserlo, ma in senso pieno: il vero Figlio, il Figlio unico di Dio. Ma vediamo che quella qualità è spesso rivendicata dal Gesù giovanneo. [131] Nuova influenza dalla Gnosi, o anche dai misteri, perché Mitra a sua volta il Figlio di Dio. Ma scandalo per gli ebrei, al punto che, secondo lo pseudo-Giovanni, è per aver preso questo titolo che Gesù sarà perseguitato, arrestato, condannato. [132]
IL MESSIA — Sarà evidentemente impossibile realizzare una conciliazione con gli ebrei ferocemente monoteisti, per cui la sola espressione «Figlio di Dio» costituisce una bestemmia. La si tenterà, però, con quella audace affermazione: il Logos è anche il Messia che attendeva Israele. Come sarà possibile? Per l'intermediazione di una nozione ben conosciuta dai sinottici e derivante dal Libro di Enoc: quella del Figlio dell'uomo.
In Enoc (forse sotto l'influenza delle idee greche) il Figlio dell'uomo, che sarà il Messia, esisteva prima della creazione del mondo: «E prima che fosse creato il sole e gli astri, prima che fossero fatte le stelle del cielo, il suo nome fu chiamato innanzi al Signore degli spiriti... Egli fu Scelto e nascosto, innanzi al Signore, da prima che fosse creato il mondo, e per l'eternità». [133]
Si potrà quindi dire, secondo Enoc: al principio era il Figlio dell'uomo. Ma se il Figlio dell'uomo è anche il Logos, come è il Messia, il Logos diventa il Messia. L'operazione di conciliazione è chiara.
A dire il vero, il IV° vangelo si interessa poco al Messia ebraico: quando lo si scrive, la rottura è già stata consumata con il giudaismo, e il Messia giovanneo non è più veramente il Messia ebraico, è un Messia universale che verrà a salvare l'umanità, — [134] e forse anche l'umanità tranne gli ebrei! Tuttavia, la volontà di non rompere con gli ebrei convertiti rimane abbastanza chiara, poiché il Gesù del IV° vangelo si definisce ancora «Figlio dell'uomo». [135] Ma quell'appellativo ha perso molta importanza rispetto ai sinottici. Resta nondimeno il fatto che, a differenza di Marcione, lo pseudo-Giovanni non intende rinnegare la nozione ebraica del «Figlio dell'uomo», equivalente per lui a quella di «Figlio di Dio».
Il Figlio dell'uomo è il Messia, e sarà chiaramente affermato che Gesù è il Messia. [136] Ma siccome egli è il Logos, bisogna arrivare a quella uguaglianza sorprendente: Logos = Figlio di Dio = Figlio dell'uomo = Messia. Tutti possono essere contenti, tranne forse gli Esseni, ma quando viene scritto il IV° vangelo, è già da molto tempo che abbiamo perduto le loro tracce.
IL CRISTO — Resta da spiegare il nome «Cristo», che non si trova nel prologo, ma che appare nel vangelo e soprattutto nella sua conclusione (20:31). Se si ammette che Cristo è una semplice traduzione di «Messia», non ci sono problemi. Ma questo è proprio ciò che si afferma: Cristo = Messia. [137]
Per gli Gnostici, per contro, la nozione ebraica del Messia non ha lo stesso valore: per loro, l'Eone superiore discende per recare la salvezza a tutti gli uomini. Vediamo, però, che è spesso chiamato da loro «Cristo» o «Logos Cristo», e ciò pone un problema difficile quanto all'origine o all'estensione del termine; ma è sufficiente qui constatare che le due nozioni erano già confuse. Quella fusione è probabilmente stata realizzata ad Antiochia, culla del cristianesimo e dei primi Gnostici.
SINCRETISMO — Così possiamo estendere la nostra lista di equivalenze, e scrivere: Logos = Figlio di Dio = Figlio dell'uomo = Messia = Cristo. La sintesi è completa.
Il IV° vangelo, almeno nella sua stesura finale, è quindi davvero un tentativo di unione e di unificazione tra le varie concezioni che dividevano gli spiriti nel II° secolo, e più specialmente tutti coloro che si indicava con l'epiteto «cristiani», che fossero romani o «eretici».
Il IV° vangelo è l'espressione finale, la più riuscita, del sincretismo cristiano. Essa non è evidentemente perfetta: oltre alle contraddizioni logiche che contiene, domandava a ciascuno il sacrificio di una parte della sua dottrina o di certe espressioni, e questa è la cosa più difficile da ottenere dai dogmatici e dai credenti.
I GRECI — Un'indicazione molto caratteristica di questo sforzo di conciliazione figura in 12:20, quando Gesù riceve dei «Greci» che sono venuti a vederlo. Si è voluto vedervi un annuncio dell'universalismo cristiano, c'è un bel po' di strada da fare. Ma se questi Greci sono venuti a vedere Gesù, è perché, secondo una famosa voce successiva, lo avevano già trovato in loro. Questi non sono Greci comuni, adoratori di Zeus o di Atena, ma iniziati ai misteri. La prova ne è che Gesù, ricevendoli, recita loro subito una espressione ben conosciuta dei misteri: «In verità, in verità vi dico: Se il granel di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto» (12:24). L'immagine è comune, figura anche in Paolo; [138] ma il fatto che sia richiamata qui dimostra la volontà di sincretismo.
LA CROCIFISSIONE — Il punto sul quale la conciliazione era più difficile era evidentemente la crocifissione. Gli Gnostici si rifiutavano di accettarne la realtà, e non vi vedevano che un simbolo. Per Paolo, essa costituiva una sorta di mistero permanente, non si era realizzata ad una data precisa nel tempo ma nell'eternità, e aveva così poca di realtà terrena che Paolo la riferisce agli «arconti», [139] divinità malvagie che, al livello più basso della scala delle Eoni, governano la marcia dei pianeti.
I sinottici, al contrario, presentano la morte di Gesù come un fatto datato, storico.
Tra queste due concezioni opposte, alcuni ammettevano, come Cerinto, una sorta di compromesso: un uomo Gesù, figlio di Giuseppe e di Maria, era veramente morto in croce, ma non era il Cristo, che si era temporaneamente incarnato in lui, ma che aveva abbandonato lo sfortunato prima del tormento. Oppure era un certo Simone di Cirene che era stato sostituito a Gesù. Quella soluzione era insoddisfacente, e il IV° vangelo la rifiuta, sopprimendo Simone di Cirene, che i sinottici hanno conservato come portatore della croce. [140] Se si ammette che le epistole giovannee sono dello stesso autore, vi si trova una espressione ancora più netta: è anticristo «ogni spirito che divide Gesù Cristo». [141]
Era quindi necessario scegliere tra la crocifissione simbolica e il supplizio reale. È evidente che, nel IV° vangelo come nei sinottici, la morte di Gesù è presentata come un fatto reale. Ma egli si sforza di dare qualche soddisfazione alla tesi gnostica, facendo dire a Gesù: «Ora il Figlio dell'uomo è glorificato, e Dio è glorificato in lui». [142] Senza dubbio quella gloria non cancellava, agli occhi degli Gnostici, l'assurdità della morte del Logos, figlio unico di Dio; è probabilmente per questo che la sintesi giovannea non riuscì a conquistare tutti gli avversari della tesi romana.
È comunque interessante esaminare se quella concezione del nostro vangelo come tentativo di sintesi e di conciliazione si riflette nel contenuto dell'opera.
NOTE
[120] Si veda FILONE, De opificio mundi, Ed. du Cerf.
[121] F. DELAUNAY, Ecrits historiques de Philon d'Alexandrie, Introd. (Didier et Cie, 1867).
[122] Paolo, Romani 8:3.
[123] Giovanni 3:1-21.
[124] Pur conservando del resto l'espressione di Marcione che negava quell'incarnazione: Matteo 12:48.
[125] Giovanni 1:14.
[126] Giovanni 3:1-21.
[127] Giovanni 6:51.
[128] Giovanni 8:12, 12:46.
[129] Efesini 5:13.
[130] Vangelo di Tommaso, logion 77.
[131] Giovanni 1:49, 3:16 e 3:18, 5:25, 6:46, 14:10, 17:1, e tutte le espressioni in cui «Padre mio» ha lo stesso senso: 2:16, 5:36, 14:20-21, 15:23, ecc.
[132] Giovanni 5:18, 19:7.
[133] Enoc 48:3 e 48:6.
[134] Giovanni 8:12, 12:46.
[135] Giovanni 1:51, 3:13, 5:27, 6:62, 8:28, 9:37, 12:23, 13:31.
[136] Giovanni 4:26, 10:25.
[137] 1:41, 4:25.
[138] 1 Corinzi 15:36-37.
[139] 1 Corinzi 2:8.
[140] Marco 15:21, Matteo 27:32, Luca 23:26.
[141] 1 Giovanni 4:3.
[142] Giovanni 13:31.
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