domenica 27 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELIVariazioni ulteriori dei testi

 (segue da qui)

7 — Variazioni ulteriori dei testi

Ammetto quindi che il testo dei canonici fosse pressappoco fissato intorno all'anno 200. Ma non era ancora definitivo, ha subito ancora modifiche di cui alcune sono identificabili.

Nessun documento ci permette di ricostruire esattamente il testo dei quattro vangeli conosciuti al tempo di Ireneo. Ma già in quell'epoca esso subiva variazioni, di cui Ireneo si preoccupava: per ciò che vi è di più sacro, esortava i copisti a fare attenzione a ciò che scrivevano, denunciava «coloro che si credono più abili degli apostoli e non temono di correggerli». [114]

Le correzioni non erano tutte l'opera di copisti maldestri o presuntuosi. Poco prima, Celso si beffava dei cristiani che «hanno alterato a loro piacere, tre o quattro volte e anche più, il testo del vangelo, al fine di confutare ciò che si obietta (loro)». [115] Celso ha dunque assistito a queste alterazioni e ce ne dà la ragione: nella misura in cui nascevano le obiezioni, si alteravano i testi per rispondervi. Ecco quel che non è minimamente rassicurante sulla concordanza attuale dei nostri testi con la versione iniziale!

Si deve prendere la sua parte: nulla ci permette di risalire al di là delle versioni del IV° secolo, e di ottenere la versione primitiva: è certo che questa differiva dalle nostre, ma non possiamo sapere in cosa ne differiva. Solo la possibilità di una citazione o di un frammento di papiro permette di verificare l'antichità (o la non concordanza) di questo o quel verso: ciò è raro, e non prova nulla per gli altri.

CORREZIONI — Per secoli i vangeli sono stati ricopiati a mano, era inevitabile che numerosi errori risultassero da queste trascrizioni. Il confronto tra i manoscritti ne rivela un grandissimo numero: parole o frasi sono a volte omesse o ripetute, interi passi mancano, l'ortografia dei nomi propri è fantasiosa, ecc.

Tutto ciò non è molto grave, ma bisogna tener conto anche delle correzioni volontarie di uno scriba che, sorpreso di leggere qualcosa di contrario a quanto gli è stato insegnato, lo corregge di sua propria autorità. Ecco due esempi:

— nella versione primitiva della guarigione del lebbroso in Marco, [116] era detto che Gesù «adirato» stese la mano sul supplicante. Questo termine ha scioccato uno scriba, che vi ha sostituito la versione oggi conservata: «mosso da compassione, egli stese la mano e lo toccò». Gli altri due autori sinottici [117] hanno preferito cancellare la parola scomoda senza sostituirla;

— laddove il nostro Luca reca che «Il Figlio dell'uomo è padrone del sabato», [118] un manoscritto [119] reca quella lezione diversa: «Quando vide un uomo lavorare di sabato, gli disse: Uomo, se sai cosa stai facendo, sei benedetto. Ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della legge»

Quest'ultimo esempio la dice lunga sulla libertà che prendevano certi copisti, e ciò resta molto inquietante per la nostra conoscenza del testo primitivo dei vangeli:

«Noi li conosciamo solo tramite copie di copie, e l'esattezza rigorosa degli archetipi stessi è in discussione. Da allora, la negligenza, l'ignoranza o, peggio ancora, la pretesa di intelligenza di molti copisti hanno infierito sullo sfortunato testo, per non parlare della malizia dei correttori che, di deliberato proposito, gli hanno imposto, in un senso o nell'altro, le loro visioni della fede». [120]

ARMONIZZAZIONE — Ciò che il confronto tra i vari manoscritti non può rivelarci è il lavoro di armonizzazione che, a partire dal III° secolo, ha unificato le espressioni, attenuato le divergenze primitive. Non sappiamo fino a che punto i nostri testi siano stati armonizzati. È chiaro che non lo sono stati totalmente, poiché importanti contraddizioni vi sussistono; ma nella forma degli arrangiamenti sono molto probabili. Ora il solo fatto di sostituire «Gesù» o «il Cristo» con l'espressione «Gesù Cristo» può distorcere tutto il senso, o impedirci di conoscere la provenienza di un verso.

INTERPOLAZIONI — Molto più gravi ancora sono le interpolazioni, cioè le aggiunte inserite nel testo. Non è sempre facile individuarle.

L'interpolazione più ovvia è quella che concerne la fondazione della Chiesa, inserita in Matteo. È sufficiente confrontare i passi paralleli dei tre sinottici perché il pezzo inserito in Matteo appaia chiaramente (Si veda la tabella riportata sotto).

Là si sorprende, in flagrante, il lavoro di interpolazione, allo stesso tempo il modo di rivelarla.

Quell'espressione sulla missione di Pietro ha dato luogo a molti commentari. Essa non ha potuto essere scritta prima che fosse concepita, se non realizzata, una «Chiesa» unificata, mentre, fino al III° secolo, non sono esistite che comunità autonome. In bocca a Gesù, l'espressione «io fonderò la mia assemblea» [121] sarebbe stata priva di senso, e anche al tempo in cui furono scritti i vangeli, non esisteva un'Assemblea, ma assemblee locali. Il primo riferimento all'espressione di Matteo figura in Cipriano, vescovo di Cartagine, intorno al 250; anche lui le dà un significato molto diverso da quello che ha assunto, poiché ne ricava la prova dell'uguaglianza di tutti i vescovi. L'espressione ha per scopo di giustificare il primato del vescovo di Roma, e quel tentativo di unificazione sotto la guida di Roma appare in effetti ai tempi di Cipriano, ma l'Oriente ha sempre respinto quella tesi. Quindi l'interpolazione risale al III° secolo, la Chiesa non avendo mai esitato a fabbricare testi secondo i suoi bisogni; ma l'idea del primato di Pietro nel collegio apostolico è già in germe nei nostri vangeli. 

Marco

Matteo

Luca

Egli domandò ai suoi discepoli: Chi dice la gente che io sia? Essi risposero: Alcuni, Giovanni il Battista, altri, Elia, e altri, uno dei profeti.

Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo.

Egli domandò ai suoi discepoli: Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo? Essi risposero: Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri, Elia, altri, Geremia o uno dei profeti.

Disse loro: Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

Egli pose loro questa domanda: Chi sono io secondo la gente? Essi risposero: Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto.

Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio».

 

E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.

 

E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.

Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.

Ciò che sorprende di più è che l'interpolazione sia stata fatta in Matteo, e non in Marco che si rappresenta come il compagno di Pietro: il fatto che Marco la ignora è abbastanza grave. Ignoriamo le condizioni nelle quali l'espressione poté essere inserita nel 250 circa in un testo preesistente, e perché fu poi impossibile toccare Marco (e Luca).

Quel che è certo è che l'interpolazione dell'espressione è tardiva quanto l'idea di un'unificazione delle chiese a vantaggio di Roma. Come dice Bultmann: «Le parole messe in bocca a Gesù, e che indicano Pietro come la roccia sulla quale si edificherà la sua Chiesa, sono state elaborate dalla comunità». [122] Si può anche aggiungere, senza rischio di errore: dalla comunità di Roma.

Si obietterà forse che al tempo di Gesù esisteva già un'organizzazione della Chiesa, ossia la comunità essena, sulla quale sembra essere modellata quella della Chiesa cristiana. [123] Ma non abbiamo alcuna prova dell'esistenza di un'unica «assemblea», comune a tutti gli Esseni. E c'è una gran distanza tra le assemblee essene e l'idea di una Chiesa universale, gerarchizzata nell'interesse di un unico capo mondiale. Che l'organizzazione ecclesiastica derivi dalle assemblee essene è probabile, ma ciò ci conduce ancora solo alle assemblee locali, presiedute dagli Anziani [124] e dotate di sorveglianti, [125] come ne esistevano nei primi tempi del cristianesimo. L'idea di una Chiesa unificata deriverà dall'organizzazione dell'impero romano, centralizzata nell'interesse di Roma: quella idea è totalmente estranea all'Essenismo.

LA POLEMICA DEL LOGOS — Sappiamo dai Philosophoumena che al tempo di Callisto, che fu vescovo di Roma tra il 217 e il 222, un grande conflitto dogmatico oppose Ippolito a Callisto: questi due personaggi, canonizzati in seguito (ma Ippolito è appena stato spogliato della sua aureola), si coprirono cristianamente di insulti e si accusarono reciprocamente di eresia.

Spiegherò, in occasione del IV° Vangelo, l'evoluzione della nozione di Logos, dapprima semplice principio razionale in Platone, personificato e divenuto il «figlio primogenito di Dio» nella scuola alessandrina, poi identificato con il Figlio dell'uomo di Enoc, con il Cristo gnostico, infine con il Messia. Che Gesù sia il Logos (in latino Verbum) è ciò che afferma oggi il prologo del IV° Vangelo, che completa l'evoluzione assicurando che «il Logos si è fatto carne» (1:14).

Tutto andò bene fin quando non si approfondì le condizioni di quella incarnazione, ma apparve ben presto che essa conduceva a fare del Logos un dio distinto dal Padre. Gli Gnostici non avevano problemi a riconoscervi un Eone derivato dal Padre, ma allora egli non era Dio. I monoteisti assorbirono il Logos nel Padre, ma ciò condusse alla spaventosa idea che il Padre, essendo anche il Logos, avesse potuto soffrire e morire. Questi interrogativi furono violentemente sollevati nel III° secolo, ed è solo a Nicea nel 325, che si giunse ad una formula di conciliazione. Ciò che ci interessa qui è che l'espressione inserita nel prologo del nostro IV° Vangelo è proprio quella che Callisto finisce per imporre, contro la concezione di Ippolito, accusata di diteismo. Da cui risulta con certezza che questo prologo non era ancora, al tempo della controversia, come lo leggiamo oggi; altrimenti la tesi di Ippolito sarebbe stata insostenibile.

Quello che diceva il prologo di Giovanni alla fine del II° secolo non lo sapremo mai. Celso lo ha conosciuto, poiché rimprovera ai cristiani di aver osato identificare il loro Cristo con il «Logos divino», [126] ma non va oltre. Vedremo che il prologo del IV° Vangelo ha certamente subito modifiche profonde. Quel che è certo qui è che la concezione del Logos che vi figura è quella di Callisto, riconosciuta la sola ortodossa dopo la condanna di Ippolito: risale, quindi, all'inizio del III° secolo.

LA TRINITÀ — Ai tempi di Callisto e di Ippolito, si conoscevano ancora solo due persone divine. Si parlava anche dello Spirito Divino, ma lo Spirito o Soffio di Dio non era una persona distinta, era solo uno dei suoi attributi. Solo pochi gnostici ne hanno già fatto un'emanazione personale. Ci vorrebbe troppo tempo per raccontare qui le controversie che hanno portato al dogma trinitario di Nicea. Quel che è certo è che le due formule trinitarie che si trovano nei testi canonici non possono essere originali.

Ad esempio, laddove Matteo corretto fa dire a Gesù: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo» (28:19), sappiamo che vi si leggeva ancora al tempo di Eusebio: «Andate e insegnate a tutte le nazioni nel mio nome, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato»

L'attuale formula trinitaria è stata quindi inserita verso la metà del IV° secolo.

Come si vede, per la loro stessa complessità, i vangeli pongono, dal punto di vista della loro datazione, problemi molto delicati. Quel che è ben certo è che la stesura che ci è pervenuta contiene molte cose che avrebbero sorpreso o offeso gli autori originali. 

NOTE

[114] Adv. omnes haer. 4:2:1.

[115] Discorso vero, § 20.

[116] Marco 1:41.

[117] Matteo 8:3, Luca 5:13.

[118] Il Codex Bezae.

[119] GUIGNEBERT, Jésus, introd. pag. 43-44.

[121] Il termine greco ecclesia significa «assemblea», ha preso solo più tardi il significato di chiesa.

[122] BULTMANN, Le christianisme primitif, pag. 239, nota 54.

[123] Si veda A. RAGOT, Evêques, prêtres et diacres, Bull. du Cercle E. Renan, novembre 1967.

[124] Greco presbuteroi, che ha dato «prete».

[125] Greco episcopos, che ha dato «vescovo».

[126] Discorso vero, § 22.

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