sabato 26 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELIElementi interni

 (segue da qui)

6 — Elementi interni

Si potrebbe essere tentati di ricercare nei vangeli stessi delle allusioni ai fatti che permetterebbero di datarli. Quella ricerca si rivela molto deludente.

Si constata che gli autori dei vangeli ignorano la cronologia in una maniera stupefacente. Ricordandosi vagamente del censimento di Quirino, che ha scatenato in Giudea la rivolta di Giuda il Gaulonita, il prologo di Luca ha la singolare idea di collocare a quella data (nel 7) la nascita di Gesù. Ma Matteo lo fa nascere sotto Erode il Grande, almeno undici anni prima. 

Il capitolo 3 di Luca sembra dare un riferimento preciso: «Nel quindicesimo anno del regno di Tiberio...», ma sappiamo che quella precisazione viene da Marcione, e che Luca non ne ricava più alcuna concordanza con un fatto. D'altronde, se la comparsa di Gesù dovesse collocarsi a quella data (nel 29-30), lui non avrebbe potuto avere 30 anni, se fosse nato nel 7; se fosse nato sotto Erode, avrebbe avuto almeno 35 anni.

Nessuno sa più chi era il sommo sacerdote in carica: Anna e Caifa, dice Luca, [100] come se potesse averne due allo stesso tempo! Qualcuno meglio informato ha corretto Giovanni [101] facendo condurre Gesù davanti ad Anna, suocero di Caifa che era il sommo sacerdote dell'anno (come se la funzione fosse annuale). In realtà Anna fu sommo sacerdote dal 6 al 15, e Caifa dal 18 a 38, il che lascia un ampio margine di imprecisione per i nostri racconti.

Tutti questi errori confermano che gli autori, non disponendo evidentemente di alcun trattato di storia, scrivono molto tempo dopo gli eventi in cui collocano i loro racconti, senza preoccuparsi di concordanze esatte, ma sforzandosi di metterli in relazione con i nomi o i fatti conosciuti: Erode, il censimento, il regno di Tiberio...

Secondo i sinottici, Gesù sembra morire l'anno stesso della sua comparsa. Ma Giovanni, facendo durare tre anni la sua vita pubblica, lo fa morire tre anni più tardi... supponendo che adotti lo stesso sistema di riferimento. Egli sembra altrove [102] dare 49 anni a Gesù, il che ci riporterebbe ad una teoria che sembra avere avuto qualche credito alle origini, e secondo la quale Gesù sarebbe morto, non sotto Tiberio, ma al tempo dell'imperatore Claudio. [103] Ireneo sembra ammettere quella tradizione.

Tutto ciò è troppo incoerente perché si possa trarne un argomento di cronologia. 

Due episodi soltanto meritano, da questo punto di vista, che li si esaminino da vicino: entrambi ci condurranno ad una conclusione identica.

LA ROVINA DEL TEMPIO — Gesù annuncia, nei vangeli, la rovina del Tempio di Gerusalemme in termini così categorici che se ne è concluso logicamente che gli scrittori conoscevano l'evento e scrivevano dopo la sua realizzazione. Ma la rovina di Gerusalemme, e specialmente quella del Tempio, di cui non resterà «pietra su pietra», è accompagnata da una precisazione in apparenza importante: questa generazione non passerà prima che la cosa non sia compiuta. Se quella espressione è stata mantenuta nei vangeli, si potrebbe pensare che la loro stesura sia ancora abbastanza vicina all'evento.

Ma ho dato molteplici ragioni che conducono a fissare dopo il 150 la stesura dei sinottici. L'obiezione sembra sorgere da sé: in che modo, dopo il 150, si sarebbe potuto scrivere (o conservare un testo che dicesse) che «questa generazione» deve vedere un evento sopraggiunto nel 70? 

Ma i vangeli non dicono assolutamente nulla del genere. Ben al contrario, tra l'annuncio della rovina del Tempio [104] e l'espressione «questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute» [105] si interpongono numerosi eventi: i loro autori sanno quindi che dopo la rovina del Tempio vi saranno ancora molti tormenti da subire prima della fine dei tempi. Essi scrivono dunque ad una data molto posteriore rispetto al 70, — e, lo vedremo, posteriore al 135.

Riprendiamo il seguito delle predizioni, sostanzialmente analogo in Marco e Matteo: 

— Gesù comincia col predire che il Tempio sarà distrutto, e che non ne resterà più «pietra su pietra». Si può ammettere che ciò si riferisca all'anno 70. Non che il Tempio sia completamente bruciato durante l'assedio, poiché vediamo soldati farvi ancora un importante bottino; ma probabilmente perché, come dice Giuseppe, [106] Tito lo fece radere al suolo.

— Dopo quella predizione, i discepoli domandano a Gesù di precisare quando verrà la fine del mondo e quale sarà il segno premonitore. Questo non è la rovina del Tempio, poiché Gesù annuncia in seguito l'apparizione di falsi Cristi e di rumori di guerra, ma «non sarà ancora la fine»; poi di scontri di «nazione contro nazione, regno contro regno», e di carestie, di terremoti: tutto ciò non sarà ancora che «il principio dei dolori». È difficile identificare esattamente questi turbamenti, in un periodo che ne conosceva tanti, ma la lotta «regno contro regno» può essere facilmente riconosciuta: è la guerra di Traiano contro i Parti (115-117), nel corso della quale gli ebrei si sollevarono in vari luoghi, e furono selvaggiamente schiacciati. Eusebio dirà che perirono, in questi disordini, «diverse migliaia di ebrei».

— In seguito verrà la «grande tribolazione», di cui parlerò più oltre, e che si colloca, senza alcuna possibile esitazione, tra il 132 e il 135: sarà «tale che non ce n'è stata una uguale dal principio del mondo fino ad ora» (vi è là qualche esagerazione, ma la cosa è vista dalla prospettiva ebraica).

— Dopo quella tribolazione, il sole sarà oscurato, le stelle cadranno dal cielo (si riprende l'Apocalisse), «e allora comparirà il segno del Figlio dell'uomo nel cielo»: ciò avverrà quindi dopo il 135.

— È soltanto dopo l'annuncio di questi ultimi eventi che troviamo l'espressione: «Questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute». Siamo quindi lontanissimi dalla rovina del Tempio, che è stato solo il primo segno premonitore della serie di eventi. Su questo punto almeno, non c'è alcuna incoerenza nei testi: tra la rovina del Tempio nel 70 e il tormento finale che deve vedere «questa generazione», essi sanno al contrario che molte cose devono ancora avvenire.

LA GRANDE TRIBOLAZIONE — Marco e Matteo annunciano questo evento finale [107] sotto una forma enigmatica, e come in linguaggio riservato agli iniziati. Per comprendere, va ricordata la decisione dell'imperatore Adriano, nel 132, di far erigere un tempio a Giove Capitolino sul luogo del Tempio ebraico, cioè di profanare il luogo sacro. Tale sacrilegio era già avvenuto al tempo di Antioco Epifane, e il profeta Daniele [108] vi aveva visto (traduzione greca) «l'abominio della desolazione». Questo confronto permette di interpretare l'espressione di Matteo: 

«Quando dunque avrete visto l'abominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge intenda), allora coloro che sono nella Giudea fuggano ai monti... perché allora vi sarà una tribolazione così grande, quale non vi fu mai...», ecc.

Si tratta della seconda guerra degli ebrei, di quella che provocò il Messia Bar Kochba sollevando gli ebrei contro la decisione di Adriano. Conosciamo quella guerra meno bene della prima, poiché non ha avuto il suo Giuseppe, ma sappiamo che fu sanguinosa e crudele. Sappiamo anche che i cristiani non si sono uniti agli insorti, ma che al contrario la maggior parte di loro si unì ai Romani.

Tutto ciò, gli scrittori evangelici lo sanno, conoscono il fallimento di Bar Kochba: scrivono quindi necessariamente dopo il 135. Certamente, dalla data di questo passo non si potrebbe concludere la datazione dell'insieme di Marco e di Matteo che lo contengono. [109] Ma, lontano dal contraddire la nostra datazione generale, questo episodio la conferma. Ciò che deve vedere questa generazione è la rovina definitiva delle speranze ebraiche, che erano sopravvissute alla rovina del Tempio e avevano provocato ancora molte agitazioni e sofferenze. I nostri autori sanno anche che dopo quella grande tribolazione del 132-135, «mai più vi sarà». [110] Sarà infatti l'ultima, mai più gli ebrei si rivolteranno e aspireranno al dominio del mondo antico sotto la guida di un Messia conquistatore.

 Si possono anche rilevare altre precisazioni: la catastrofe finale ha dovuto avvenire in inverno, [111] mentre la presa di Gerusalemme da parte di Tito aveva avuto luogo a settembre. Ed è allora soltanto che si sono levati, con Bar Kochba, quei «falsi profeti che sorgeranno e sedurranno molti», [112] e «anche gli eletti», [113] vale a dire i cristiani, di cui alcuni hanno probabilmente seguito il nuovo Messia, operatore di «segni e di prodigi». Niente di tutto ciò può applicarsi all'incendio del 70, anche se si è alquanto confuso il ricordo del primo dramma col racconto della catastrofe finale.

NOTE

[100] Luca 3:2.

[101] Giovanni 18:13.

[102] «Tu non hai ancora cinquant'anni» (8:57).

[103] È a Claudio, non a Tiberio, che era rivolto il falso rapporto di Pilato.

[104] Marco 13:2, Matteo 24:2 (si veda Luca 21:6).

[105] Marco 13:30, Matteo 24:34 (si veda Luca 21:32).

[106] Guerra Giudaica 7:1:1.

[107] Marco 13:14 ss., Matteo 24:15-22.

[108] Daniele 11:31 e 12:11.

[109] Luca (21:20-24) ha soppresso il riferimento a Daniele, il che rende incomprensibile l'intero brano.

[110] Marco 13:19, Matteo 24:21.

[111] Marco 13:18, Matteo 24:20.

[112] Matteo 24:11.

[113] Marco 13:22, Matteo 24:24.

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