martedì 29 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELILa presunta tradizione

 (segue da qui)

1° La presunta tradizione

Per la Chiesa, questo problema non si pone. Matteo e Giovanni, discepoli di Gesù, avrebbero riportato i loro ricordi personali; Marco, discepolo di Pietro, sarebbe stato direttamente informato dall'apostolo; si esita di più sull'informazione di Luca, ma si assicura che l'avrebbe avuta da testimoni diretti.

Quella tesi è completamente rovinata dalla prova della stesura tardiva dei vangeli: dopo il 150, gli scrittori avrebbero potuto raccogliere, al limite, solo le parole dei nipoti dei testimoni della passione (se la si colloca nel 29-30 circa). Una tradizione orale attraverso tre generazioni non è assolutamente impossibile, soprattutto in Oriente: si deve quindi ricercare se gli evangelisti abbiano veramente raccolto una tradizione orale. Notiamo solamente quanto quella spiegazione perda il suo valore con la distanza nel tempo e nello spazio, e anche con il cambiamento di lingua che suppone: cosa poteva raccogliere, a Roma dopo il 150, uno scrittore greco su fatti che sarebbero avvenuti 120 anni prima nella lontana Palestina, in pieno paese ebraico? Cosa poteva restare di vero nelle parole così raccolte?

Domandiamoci prima di tutto come quella tradizione si sarebbe formata e sarebbe sopravvissuta. Un autore cristiano ce lo dirà con ingenuità:

«Per anni e anni, in queste prime ferventi comunità, ci si accinse a raccogliere piccoli dettagli, venuti da non si sa quale tradizione orale, o molto spesso senza dubbio semplicemente immaginati, su tutti i temi che appassionavano gli spiriti. I viaggiatori se li trasmettevano da una città all'altra, dall'una all'altra chiesa. I presunti ricordi locali, trasportati per migliaia di leghe, prendevano l'apparenza di verità stabilite... La preoccupazione per la verità storica non è mai stata molto viva nella coscienza delle masse; si può pensare che allora l'indifferenza ai metodi di critica fosse quindi assoluta». [2]

È un non-credente chi scrive queste righe? Affatto, ma un autore cattolico, pubblicato sotto il patrocinio di Daniel-Rops. Ha dunque un accesso di lucidità? No, poiché egli tenta solamente di spiegare l'origine dei vangeli... apocrifi. E, accecato dalla sua fede, non scorge che tutto quello che dice sugli apocrifi lo si può dire altrettanto bene dei canonici, che non abbiamo alcuna ragione a priori di considerare diversi. Se, per esempio, come ci dice per scusare l'ingenuità degli autori di apocrifi, si mostrava in Egitto la casa dove Maria e Giuseppe si erano rifugiati con il bambino Gesù, quale garanzia migliore abbiamo dell'autenticità dei racconti canonici che si basano su una stessa credulità? Egli dovrebbe almeno poter dimostrare che l'informazione, trasmessa con questo mezzo così incerto, risalga ad una fonte autentica. Vedremo che non lo è affatto.

LA CHIESA PRIMITIVA — Una delle più grandi sorprese che attendono lo storico delle origini cristiane è l'ignoranza totale, riguardo a queste origini, dei primi autori cristiani, relativamente vicini alle fonti. Giustino non sa nulla della Chiesa primitiva. Ireneo e Clemente di Alessandria riproducono, sull'origine dei primi due vangeli, l'espressione di Papia, e non hanno raccolto alcun ricordo aggiuntivo. Il secondo non menziona nemmeno la presenza nella sua città della tomba di Marco, il che rende molto discutibile la morte dell'evangelista ad Alessandria. Nessuno sa quel che è divenuto Matteo, non più peraltro della maggior parte degli apostoli: è da apocrifi tardivi che apprendiamo che Pietro sarebbe stato crocifisso a testa in giù a Roma, [3] che Andrea sarebbe stato legato (e non inchiodato) su una croce, [4] e che Tommaso sarebbe morto in India, che era andato a evangelizzare. [5] La Chiesa stessa respinge questi racconti edificanti.

Quella assenza di informazione, già alla fine del II° secolo, non mancò di colpire Clemente di Alessandria, che ne dà una ragione sorprendente: «I misteri sono come Dio, non si confidano allo scritto, ma alla parola», in tal maniera che «molte cose ci sono sfuggite per non essere state scritte». Ma a riguardo degli scritti che conosce, e specialmente dei vangeli, testimonia una indifferenza quasi totale. Tutt'al più crede che Matteo e Luca furono scritti prima di Marco perché essi contengono le genealogie di Gesù (le cui contraddizioni non lo sorprendono).

Al tempo di Ireneo e di Clemente, quindi, non si sapeva già più nulla delle origini, e non si era nemmeno curiosi di saperne di più. 

La storia della Chiesa primitiva è stata ricostruita, con un sacco di immaginazione, nel IV° secolo da Eusebio di Cesarea, che non disponeva di alcun documento che non ci sia pervenuto: 

«Ciò che ci sembra molto più grave dell'ignoranza dei pagani e degli ebrei a riguardo della prima storia cristiana è quella degli stessi scrittori cristiani. Non appena si studiano, per esempio, gli apologeti del II° secolo, ci si rende conto che sembrano non sapere nulla di più rispetto a noi... Eusebio che, all'inizio del IV° secolo, disponeva senza dubbio di tutto ciò che l'Oriente conosceva ancora di libri, nelle biblioteche di Gerusalemme e di Cesarea, non ci dice quasi nulla sulle origini che noi non sappiamo da altra parte». [6]

L'essenziale della nostra informazione sulla Chiesa primitiva risiederebbe nel racconto degli Atti degli Apostoli, ma questo racconto composito è posteriore ai vangeli: è sconosciuto agli autori del II° secolo e ha potuto essere scritto solo verso la fine di quel secolo.

TRADIZIONE DI GERUSALEMME — Importerebbe però sapere se una tradizione, più o meno distorta, potesse risalire fino ad una chiesa primitiva in Palestina. Ma quella comunità è mai esistita? È passata inosservata da Flavio Giuseppe, e si può essere sorpresi del fatto che quella «casa madre» non abbia mai inviato alcuna istruzione, alcuna informazione al mondo esterno. Nessuno sostiene più seriamente l'autenticità delle epistole canoniche attribuite a Petro, Giacomo, Giovanni e Giuda; per di più il loro contenuto è insignificante.

Dovremmo quindi fare un'ammissione di ignoranza, se non disponessimo di un testo capitale: il racconto del viaggio dell'apostolo Paolo a Gerusalemme (nella misura, beninteso, in cui questo racconto provenga veramente da Paolo).

Quattordici anni dopo l'inizio delle sue predicazioni, Paolo racconta che è andato a Gerusalemme, non per informarsi, ma per regolare una disputa. Vì ha trovato un piccolo gruppo, di cui Giacomo era il capo assistito da Giovanni e da Pietro. Questi personaggi, dice con disprezzo, si prendevano per «colonne», [7] ma non gli insegnarono «nulla di nuovo». [8] Come mai Paolo poteva parlare così di uomini che sarebbero stati i testimoni diretti della vita di Gesù?

Altrove Paolo si oppone a loro, attribuendo la preferenza alla missione che egli ha ricevuto per ispirazione: «Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro». [9] Se si ricorda che Paolo conosce solo un Cristo celeste, ecco un linguaggio strano nei confronti di coloro che avrebbero conosciuto Gesù nella carne! Peraltro, questo primo «pellegrino» di Gerusalemme non si interessa per nulla ai fatti per quanto recenti, di cui avrebbe potuto trovare testimoni; non cerca di rimettere i suoi piedi sulle orme di Gesù, di vedere il luogo del supplizio o la tomba. Non ha visto nulla, non gli si è insegnato nulla.

Ecco quale potrebbe essere la fonte della cosiddetta tradizione! Secondo il tipo di vita condotta da quella piccola comunità (forse un gruppo di dodici persone?), si può pensare che si trattasse di un gruppo esseno, che praticava la comunità integrale e obbligatoria dei beni, [10] avente a capo tre «Anziani». [11] Se avessero avuto delle rivelazioni da fare, nessun dubbio che le abbiano esposte a Paolo, per abbassare il suo orgoglio. Ma non avevano nulla da insegnargli.

Al di là di ogni ricordo reale, la localizzazione a Gerusalemme della morte di Gesù sarebbe stata imposta, sia a titolo simbolico, sia soprattutto quando ci si sforzò di attribuirne la responsabilità al Sinedrio.

Ma i ricordi di uccisioni reali hanno potuto contribuirvi, poiché non ne mancarono nella città santa: quella di Stefano, se è autentica, [12] in ogni caso quella di Giacomo, o dei due Giacomi se si vuole che ve ne siano stati due, — forse anche quello di Pietro, che scompare in maniera ben sorprendente negli Atti, [13] il che ci porta a pensare che si sarebbe celata la sua morte, e probabilmente anche quella di Giovanni, la cui sopravvivenza a Efeso sembra proprio un'invenzione tardiva. E poi anche quelle che ordinò Pilato, che non era il vile dipinto dai nostri vangeli, ma che si attirò a tal punto l'odio degli ebrei coi suoi abusi che l'imperatore dovette revocarlo. In breve, i precedenti non mancavano.

Aggiungiamovi, nella tesi che identifica Gesù al Maestro di Giustizia, l'uccisione di questo personaggio, che ebbe certamente luogo a Gerusalemme, [14] benché il ritardo nel tempo sia un serio argomento contro quella identificazione.

Ma nel 70 la città di Gerusalemme fu presa dall'esercito di Tito. L'intera popolazione perì, sia di fame nel corso dell'assedio, sia massacrata dai Romani. Giuseppe assicura che questa carneficina «superò in una volta tutte le calamità di origine umana o divina». [15] I pochi sopravvissuti, condotti in cattività, furono condannati ad uccidersi l'un l'altro negli anfiteatri per il divertimento dei vincitori, infuriati per la durata della resistenza e le atrocità della guerra.

Cosa sarebbe potuto restare del piccolo gruppo conosciuto da Paolo? Scomparve senza lasciare traccia. Nello stesso conflitto scompare anche la comunità essena di Qumran, che non è più tornata a raccogliere i suoi preziosi manoscritti. La guerra degli ebrei contro i Romani fu una guerra di sterminio, e la rovina di Gerusalemme lasciò profonde impronte nel pensiero ebraico, ma non vediamo da nessuna parte che abbia giocato un qualche ruolo nel cristianesimo primitivo. Paolo aveva cominciato a predicare a partire da Antiochia, non come missionario di una comunità di Palestina.

Così è dimostrata l'inesistenza di una tradizione palestinese, di cui gli scrittori evangelici abbiano potuto avere conoscenza. Per di più, quella tradizione sarebbe ben inconsistente: a parte ciò che attingeranno dall'Antico Testamento, gli evangelisti non portano alcun fatto nuovo, neanche il minimo dettaglio che non sia stato attinto da testi precedenti per la «vita di Gesù» che sono creduti raccontare.

DIVERSITÀ DELLE TRADIZIONI — Vi è ancora di più grave: troviamo, nei testi cristiani, riferimenti, non ad una sola tradizione, ma a tradizioni diverse e inconciliabili. Paolo, per esempio, non vuole conoscere che la sua, e mette in guardia contro le altre. [16] Egli ne conosce almeno altre due, che associa a Pietro e ad Apollo, [17] sa che esistono «falsi apostoli». [18] Ci dice persino che i suoi avversari si sarebbero spinti fino a fabbricare false lettere che gli si attribuiva, per ingannare le comunità male informate. [19]

L'autore dei primi capitoli dell'Apocalisse comincia anche lui col mettere in guardia contro gli insegnamenti fuorvianti, come quelli dei Nicolaiti, [20] benché altrove ci venga rappresentato Nicola come un diacono cristiano. [21] E se usciamo dai testi canonici, vediamo che diverse tradizioni pretendono di risalire a Giacomo, o anche a Maria Maddalena che avrebbe tenuto un insegnamento segreto dell'angelo dell'annunciazione!

I Naasseni, setta gnostica conosciuta da Ippolito e da Celso, pretendevano di tenere la loro tradizione da Giacomo, fratello del Signore, per mezzo di una certa Mariamne [22] che alcuni assimilano a Maria Maddalena. Sembra che questi Naasseni [23] si confondano un po' con la setta degli Ofiti, conosciuta da Ireneo, [24] benché Ippolito li distingua. In generale, del resto, tutti gli autori gnostici pretendevano di tenere il loro sapere da una tradizione risalente ad uno dei discepoli del Signore. Basilide si appellava ad un certo Glaucia, interprete di Pietro: siccome Basilide negava l'incarnazione, si deve concluderne che l'apostolo Pietro non vi credeva? Valentino si raccomandava ad un discepolo di Paolo, chiamato Teuda, ecc.

Se ci limitiamo agli unici autori ammessi dalla Chiesa, troviamo ancora tradizioni divergenti, tra le quali la Chiesa si è riconosciuta il diritto di scegliere. Sappiamo da Eusebio che Papia, che visse intorno al 135 e pretendeva di risalire, per mezzo di Giovanni il presbitero, fino alle fonti apostoliche, possedeva una tradizione orientale che non concordava con quella che fu raccolta a Roma: «Egli ci fornisce altre notizie pervenute a lui dalla tradizione non scritta, alcune strane parabole e alcuni insegnamenti del Salvatore, e altre cose piuttosto favolose». [25] Ma in nome di chi Eusebio respingerà la tradizione di Papia, se non perché conosce una tradizione diversa? Il tempo e l'unificazione romana hanno operato una selezione, e la presunta tradizione dei vangeli ci sembra oggi la sola valida; ma  si è imposta solo per mezzo dell'autorità, per il rigetto sistematico di tutto ciò che non concordava più con la dottrina trionfante. Quante sorprese avremmo se scoprissimo tante opere scomparse, come quella di Papia, che confuse Eusebio!

Tutto ciò, Ireneo lo sa bene, e quando gli «eretici» pretendono di opporre le loro tradizioni alle Scritture, egli risponde che, tra queste false tradizioni, non ve n'è che una sola che sia vera, quella che è stata trasmessa dai «presbiteri»: così Policarpo è più degno di fede di Valentino o Marcione, «e di tutti gli altri che si ingannano». Vi è dunque solo una pura affermazione da opporre alle altre affermazioni. Per di più, aggiunge, la tradizione non può essere accettata senza che la si discuta, [26] e nel dubbio è alla Chiesa che spetta di definire la verità. [27]

Ireneo conosce d'altro canto su certi punti una tradizione diversa da quella dei vangeli, benché l'abbia ricevuta direttamente dal vecchio Policarpo. Abbiamo già visto che ricava dagli Anziani che il Signore sarebbe morto a più di 50 anni, e alla fine della sua opera adotta un «millenarismo» tratto da Papia, [28] tradizione che la Chiesa ha condannato. In quella occasione, egli fa di Papia un ascoltatore diretto dell'apostolo Giovanni, mentre, secondo Eusebio, Papia riconosceva lui stesso di non essere stato l'allievo degli apostoli, [29] ma soltanto di un presbitero Giovanni. È dunque il presbitero, e non l'apostolo, che avrebbe insegnato il millenarismo, almeno secondo Eusebio; ciò non ha impedito a Tertulliano, Lattanzio, Ilario, Commodiano e Ambrogio di accettare quella tradizione. 

Come distinguere, in tutto ciò, una tradizione vera e autentica? Ciascuno faceva dire agli «apostoli» ciò che gli conveniva. E anche se gli evangelisti avessero raccolto una tradizione, che ci garantisce che avrebbe più valore, per esempio, di quella di Marcione che veniva dall'Asia Minore?

LA QUESTIONE DI PASQUA — Non è inquietante infine constatare che i vangeli stessi hanno conservato, sulla questione di Pasqua, tradizioni divergenti, organizzate attorno ad un culto già costituito? Poiché infine, può esserci solo una tradizione autentica, e non due. ma questo problema dividerà Roma e le chiese d'Oriente fino alla fine del II° secolo, ciascuna delle due parti invocando una tradizione antica.

Gesù ha potuto morire solo il 14 o il 15 del mese di nisan, ma non in entrambi i giorni. Una differenza così piccola sarebbe trascurabile dal solo punto di vista della cronologia, ma diventa capitale per le sue conseguenze. Se Gesù muore il 14 in Giovanni, è perché tutto il suo racconto della settimana santa deve essere conforme al rituale ebraico della Pasqua, perché la morte di Gesù deve riprodurre l'immolazione dell'agnello. Anche l'apostolo Paolo conosceva questo simbolismo. [30] Questo è perché Giovanni fa morire Gesù il 14 verso la sera [31] e non, come Marco, il 15 alla 9° ora (cioè verso le 15); questo è perché, aggiunge, non si dovevano spezzargli le ossa, [32] perché doveva essere sepolto nel luogo stesso del supplizio. [33] Siamo quindi in presenza di un racconto simbolico, di preoccupazioni rituali, non di ricordi reali.

Ma possiamo credere di più al racconto dei sinottici? Marco situa la messa in croce alla 3° ora, le tenebre alla 6° e la morte alla 9°, insistendo su questi numeri, il che sembra molto artificiale. Ma vi è di più grave: secondo Marco, siamo due giorni prima della Pasqua, [34] poi bruscamente, senza che nulla sia accaduto, siamo nel giorno del pasto pasquale, [35] vediamo preparare questo pasto; [36] assistiamo al pasto, Gesù che annuncia il tradimento di Giuda, «mentre erano a tavola e mangiavano». [37] Ma non si parla dell'agnello, e Gesù spezza un pane ordinario (artos) e non un pane azzimo, benché questo sia il giorno degli Azzimi. [38] Contrariamente alla legge ebraica, vedremo riunirsi il Sinedrio e Simone di Cirene ritornare dai campi, [39] cosicché tutto il simbolismo di Giovanni scompare.

Ci si è sforzati invano di conciliare questi racconti; è chiaro che essi traducono due tradizioni o concezioni diverse. Sappiamo oggi che la differenza di cronologia può provenire dal calendario proprio degli Esseni, ma quella spiegazione non elimina le contraddizioni di fondo.

Bisogna quindi cercare altre fonti rispetto alla presunta tradizione.

NOTE

[2] F. AMIOT, Evangiles apocryphes, introduzione, pag. 13 (Fayard 1952).

[3] Atti di Pietro.

[4] Atti di Andrea, conosciuti grazie a Gregorio di Tours.

[5] Atti di Tommaso, probabilmente del III° secolo.

[6] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 18.

[7] Galati 2:9.

[8] Galati 2:6.

[9] 2 Corinzi 11:23.

[10] Si veda in particolare Atti 2:44-46 e 5:1-11.

[11] Si veda la Regola della comunità di Qumran, 8:1.

[12] Atti 7:57-58. Diversi autori, tra cui Loisy (Les Actes des apôtres, pag. 347 ss.) hanno segnalato gli artifici di questo episodio, ma la persecuzione del gruppo esseno non è impossibile.

[13] Atti 12:17.

[14] I manoscritti lasciano intendere che il Maestro, perseguitato dai soldati, si era rifugiato nelle grotte o gole che dominano Qumran (Inni C:2:25-26) e J:5:29), ma vi fu preso e condotto a Gerusalemme per esservi giudicato, e probabilmente crocifisso. È forse il suo cadavere e quello di suo compagno Sadoc che restarono esposti sulla piazza della grande città «dove il loro Signore è stato crocifisso» (Apocalisse 11:8).

[15] Guerra Giudaica 6:9:4.

[16] 2 Tessalonicesi 3:6.

[17] 1 Corinzi 1:12.

[18] 2 Corinzi 11:12; «alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo» (Galati 1:7).

[19] 2 Tessalonicesi 2:2.

[20] Apocalisse 2:6 e 2:13.

[21] Atti 6:5.

[22] Philosophoumena 5:7; Celso § 65.

[23] Nome derivato da «naas» = serpente.

[24] Ireneo 1:694-700.

[25] Storia della Chiesa 3:39:11.

[26] Haer. 3:857.

[27] Quella espressione sembra ben essere una interpolazione nella traduzione latina.

[28] Ireneo, 5:1208-1124. Il millenarismo è una teoria ispirata dall'astrologia e che si trova in particolare nell'Apocalisse, secondo la quale il mondo, dalla sua creazione, doveva durare 12 volte mille anni, ciascun millennio essendo collocato sotto un segno dello Zodiaco. La creazione aveva assorbito i primi sei. Il Messia doveva aprire l'ultimo, collocato sotto il segno dei Pesci (da cui il suo simbolo). Quella teoria provocò ancora i terrori dell'anno mille (nel 1033). 

[29] Hist. Eccl. 3:39.

[30] «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Corinzi 5:7).

[31] Egli è stato condannato alla 6° ora, quindi intorno a mezzogiorno (Giovanni 19:14).

[32] Giovanni 19:33-36. Si veda Esodo 12:46, Numeri 9:12, Salmo 34:21.

[33] Giovanni 19:41. Si veda Esodo 12:46.

[34] Marco 14:1.

[35] Marco 14:12.

[36] Marco 14:13-16.

[37] Marco 14:18.

[38] Marco 14:12.

[39] Marco 15:21.

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