martedì 1 dicembre 2020

Recensione de «Il Quarto Vangelo» (da parte di Paul-Louis COUCHOUD)

(Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro di Joseph Turmel, «le quatrième évangile». Per leggere il testo precedente, segui questo link)

INDICE

INTRODUZIONE

PRIMA REDAZIONE DEL QUARTO VANGELO.

1. — Il Cristo giovanneo rinnega Maria.

2. — Il Cristo giovanneo rivela Dio agli uomini.

3. — Il Cristo giovanneo respinge l'Antico Testamento.

4. — Il Cristo giovanneo respinge Mosè e i profeti.

5. — Il Cristo giovanneo combatte il principe di questo mondo.

6. — Il Cristo giovanneo respinge la resurrezione della carne.

7. — Il Cristo giovanneo è un essere spirituale.

8. — Esposizione della dottrina marcionita.

9. — Origine del quarto Vangelo.

SECONDA REDAZIONE DEL QUARTO VANGELO.

1. — Il corpo carnale del Cristo.

2. — Il pane di vita.

3. — Il Verbo e la Luce.

4. — La conversazione con Nicodemo.

5. — La resurrezione del Cristo.

6. — I riferimenti all'Antico Testamento.

7. — Il quarto Vangelo e Giustino.

8. — Il Paraclito.

9. — Il Vangelo di san Giovanni.

IL QUARTO VANGELO.

Il Verbo e la Luce. Giovanni il Battista e i primi discepoli

Le nozze di Cana — I mercanti del tempio

La conversazione con Nicodemo. Ancora Giovanni il Battista

La Samaritana — L'ufficiale di Cafarnao

Il paralitico di Betesda

Il pane di vita

La festa dei Tabernacoli

La donna adultera 

La festa dei Tabernacoli (seguito)

Il cieco nato

Il buon Pastore — La Dedizione

La resurrezione di Lazzaro

L'ultimo viaggio a Gerusalemme

La lavanda dei piedi

Il discorso dopo la Cena

La Passione

Le apparizioni di Gerusalemme

L'apparizione del lago di Tiberiade


Recensione de «Il Quarto Vangelo» (da parte di Paul-Louis COUCHOUD)

Traduzione di: G. Ferri


Revue de l'histoire des religions
Vol. 92 (1925), pp. 155-161 (7 pagine)






H. DELAFOSSE. -- Le quatrième évangile, Parigi, Rieder, 1923.


Dei libri del Nuovo Testamento il vangelo del
 «discepolo prediletto» è quello che possiede il più alto valore letterario e il significato religioso più profondo. Ed è quello che ha l'origine più nascosta. «L'origine di questo vangelo», ha detto Harnack, «è il più grande enigma di tutta la storia antica del cristianesimo».

Fin da Wellausen e Schwartz si è riconosciuto generalmente che il libro non è omogeneo ma presenta due redazioni differenti, ed anche antagoniste. Loisy è d'accordo con questa opinione, nella seconda edizione espansa del suo Quatrième Evangile (Parigi, 1924). H. Delafosse presenta una tesi audace e vigorosa che, se fosse ammessa, renderebbe conto dell'origine del quarto vangelo e della sua doppia redazione.

Egli mette in luce i caratteri particolari del Cristo giovanneo. Questi respinge le Scritture ebraiche, Mosè e i profeti. È venuto a rivelare Dio agli uomini e a combattere Satana, il principe di questo mondo. Respinge la resurrezione della carne. Rinnega sua madre terrena. È un essere spirituale. Ma tutti questi tratti sono quelli del Cristo di Marcione. Delafosse ne conclude che la prima redazione del quarto vangelo è di origine marcionita.

Delle modifiche, spesso molto visibili, correggono e contraddicono quel ritratto. Al Cristo spirituale è attribuito, di qua e di là, un corpo carnale. La resurrezione della carne è reintrodotta surrettiziamente, così come dei riferimenti all'Antico Testamento. Delafosse ne conclude che la seconda redazione è destinata a rendere inoffensiva la prima. Essa è di origine anti-marcionita, vale a dire cattolica. Il quarto vangelo è «l'edizione cattolica di un libro marcionita».

Il signor Guignebert [
1] ha riconosciuto che il signor Delafosse ha sviluppato e sostenuto molto abilmente le sue tesi e che restano del suo lavoro molto interessante delle osservazioni penetranti e suggestive. Ma egli obietta che la Chiesa non ha potuto mutuare dai marcioniti un vangelo senza che nessuno in essa abbia protestato né si sia indignato. Il signor Delafosse ha previsto l'obiezione alla quale egli ha risposto in anticipo. Il vangelo esponeva la dottrina di Marcione con «l'intento di non infastidire i pregiudizi correnti», con delle formule ambigue, delle reticenze. Le sue spiegazioni «stuzzicavano la curiosità senza soddisfarla» e «richiedevano esse stesse di essere completate in tempo opportuno tramite delle spiegazioni orali». La chiesa dove apparve questo vangelo «ammetteva alla sua liturgia i discepoli del Cristo spirituale, di cui non conosceva che molto vagamente la dottrina». Quando le fu presentato «essa non tentò di approfondirlo, si accontentò di ammirarne il lato edificante; l'altro lato le sfuggì» (pag. 43).

Occorre ricordare che Marcione fu condannato solo nel 144. In precedenza egli godette di un grande favore in Asia Minore e anche a Roma.

Il signor Loisy [
2] ha fatto altre obiezioni. «Come mai Marcione ha potuto preferire un vangelo comune della Chiesa, il vangelo di Luca, ad un libro scritto per lui?» In effetti il vangelo di Luca che era il vangelo ammesso da tutti ha dato gran pena a Marcione. Costui ha fatto delle acrobazie per provare a sé stesso e per provare agli altri che la sua dottrina si accordava con quel libro. Marcione si è molto occupato e preoccupato del vangelo di Luca, egli non lo ha preferito.

«Come mai Giustino non ha fiutato il marcionismo in un libro che secondo il signor Delafosse, lo predicava apertamente?» Al contrario, secondo il signor Delafosse, il quarto vangelo non predicava il marcionismo apertamente. Quando apparve il libro del signor Loisy, L'Evangile et l'Eglise un sacco di preti che non erano stupidi non vi compresero nulla. Si può ammettere che Giustino che non era molto intelligente non comprese a prima vista dove tendeva la prima edizione del quarto vangelo.

«Come mai Ireneo parla con tanta certezza della raccolta dei quattro vangeli che nell'ipotesi del signor Delafosse, era appena formata?» Ad un vicino esame, la certezza di Ireneo non deriva dal credo in vigore al suo tempo. Ireneo ha conosciuto un numero imprecisato di vangeli. Ha scartato tutti quelli che non si adattavano con i suoi sentimenti personali. Tra quei vangeli sacrificati si trovavano probabilmente il vangelo di Pietro e quello di cui l'Omelia Clementina ha dato strani estratti. Ha preservato quelli che fornivano delle armi per la verità. Quei vangeli utili che avrebbero potuto essere cinque o tre si sono ritrovati ad essere quattro in numero. Ireneo ha elevato questo fatto fortuito all'altezza di una disposizione provvidenziale. La sua certezza non è l'effetto di un consenso anteriore ma è stata la causa del consenso della posterità. Se Ireneo avesse parlato dei quattro vangeli con moderazione, le sue parole sarebbero passate inascoltate. È la sua veemenza che ha fatto impressione.

«Come mai Taziano ha fatto posto al quarto Vangelo nel suo Diatessaron? Sarà quindi necessario assumere per questa edizione cattolica un grande successo?» Il signor Loisy ammette che il Diatessaron è stato scritto nel 175, sebbene ad opinione di Zahn (Forschungen I, pag. 203) questo libro poteva essere posteriore al 190. Renan disse giustamente: «In generale è all'indomani della loro pubblicazione che i libri apocrifi furono accolti e citati» (Les Evangiles, pag. 34). È così che Giustino utilizza il vangelo di Pietro che doveva essere del tutto recente. D'altro canto non abbiamo quasi modo di ricostruire il Diatessaron, neppure di sapere se uno dei quattro vangeli utilizzati da Taziano fosse semplicemente il vangelo di Pietro.

«Si sarebbe quasi obbligati a supporre che Ireneo sia stato uno degli iniziatori e un iniziatore difficilmente inconsapevole della frode mediante la quale il quarto vangelo fu attribuito all'apostolo Giovanni». Ireneo era a Lione, in seno ad una colonia asiatica, quando, secondo Delafosse, l'edizione cattolica del quarto vangelo fu composto negli ambienti montanisti dell'Oriente. Favorevole come tutti i suoi compatrioti al movimento montanista egli poté ricevere con solerzia e buona fede un libro che i montanisti d'Oriente avrebbero recato a Lione verso il 175-180. D'altronde la sincerità come la intende la nostra sensibilità moderna è stata per lunghi secoli sconosciuta all'intera Chiesa. Si commetterebbe un anacronismo nell'esigerla da Ireneo. Ricordiamoci le rivelazioni successive che permisero a sant'Ambrogio di scoprire i corpi dei martiri; il penitenziale trovato negli archivi romani; il martirologio trovato da Adone; la lettera di san Pietro a Pipino il Breve scritto dal papa Stefano; la grande menzogna che Bellarmino nella sua autobiografia si vanta di aver commesso per salvare l'onore della Santa Sede.

Di tutti i tempi i più seri personaggi della Chiesa hanno creduto che la sincerità non fosse incompatibile con l'impiego della frode per la gloria di Dio. La tesi del signor Delafosse non sarebbe screditata se tendesse a fare di Ireneo l'autore oppure uno degli autori della frode sulla quale si basa l'origine apostolica del quarto vangelo. Ma essa non porta a quel risultato.

Il signor Loisy fa altre obiezioni di natura interna di cui la principale è questa qui: «In che modo il grande Dio di Marcione può avvalersi della testimonianza di Giovanni il Battista? Se Giovanni il Battista, creatura del Dio degli ebrei, è stato inviato dapprima dal Dio supremo, perché non i profeti e perché non Mosè?» La questione è sapere se Marcione si rappresentava Giovanni il Battista nella linea ebraica oppure già in opposizione assoluta con gli ebrei. Luca, senza dubbio, ha conservato sulla nascita del Battista una leggenda che si ispira al messianismo nazionalista degli ebrei. Ma i discepoli del Battista che figurano negli Atti non hanno nulla di codesto messianismo, nulla del giudaismo legalista e ortodosso. Marcioniti e cattolici potevano dunque, con lo stesso diritto, considerarsi gli eredi legittimi delle comunità del Battista.

Il signor Loisy ha detto ancora: «Il dio di Marcione non è affatto la luce degli uomini». Egli dimentica il testo di Tertulliano (Adv. Marc. 4:79: 
«Bene autem quod et Deus Marcionis illuminator vindicatur nationum». Marcione ha proprio presentato il suo Dio come la luce degli uomini.

Il signor Goguel, [
3] dopo aver sottolineato la novità e l'originalità della tesi del signor Delafosse, dopo aver riconosciuto che essa è sviluppata con grande ingegnosità e difesa con grande abilità dialettica, fa alcune osservazioni molto forti di cui occorre tener conto. Esse non sconvolgono la tesi generale del libro ma obbligano l'autore ad alcune revisioni dei dettagli. A mio avviso le correzioni da fare si reggono su quattro punti:

 L'episodio del colpo di lancia (19:31-37) è destinato secondo il signor Delafosse a mostrare che è proprio un corpo reale, pieno di sangue, e non un fantasma che è stato crocifisso. Questo sarebbe dunque una interpolazione anti-marcionita e tutto l'episodio sarebbe da cancellare dalla redazione primitiva. Ma mal si comprende perché il redattore cattolico disse che fuoriuscì dal corpo del sangue e dell'acqua. Perché dell'acqua? Il sangue bastava.

Io credo che l'amputazione radicale proposta dal signor Delafosse possa essere evitata. È sufficiente attribuire alla redazione cattolica 
«il sangue» e le citazioni dell'Antico Testamento 36-37. Resta un testo proprio marcionita dove dal fianco di Gesù scaturisce solamente dell'acqua, un flusso di acqua viva, conformemente a ciò che Gesù ha annunciato lui stesso (7:37-38). «Se qualcuno ha sete, venga a me e che beva chi crede in me. Dal mio fianco sgorgheranno fiumi di acqua viva». [4]

Quest'interpretazione del colpo di lancia è confermata dalla prima epistola di Giovanni, scritto che ha per obiettivo di combattere la prima redazione marcionita del vangelo di Giovanni e di autenticare la sua seconda redazione cattolica. Quest'epistola respinge ufficialmente (5:6) l'opinione di coloro che negano che Gesù sia venuto con l'acqua e il sangue. Afferma che Gesù è proprio venuto con l'acqua e il sangue. Insiste: 
«Non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e il sangue». Una tale insistenza presuppone uno stato del vangelo dove vi era menzione solamente dell'acqua.

Se nel vangelo marcionita l'acqua che scaturì dal fianco di Gesù è un'allusione al flusso d'acqua viva di Apocalisse 22:1 si indovina facilmente chi è colui che
 «ha visto e reso testimonianza». Non è, come lo vuole il testo attuale, l'autore del vangelo: è il visionario dell'Apocalisse. La prima Epistola di Giovanni lo intendeva ancora così poiché identifica questa testimonianza con quella dello Spirito (5:6).

2° Nell'episodio della corsa al sepolcro (20:2-10) il redattore cattolico, secondo il signor Delafosse, avrebbe interpolato nel testo marcionita il passo messo qui di seguito in corsivo: «I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, e il sudario...». Qui il chirurgo si mostra troppo timido. Egli si accontenta di curare dove l'amputazione mi sembra necessaria.

Nel verso 2 Maria abbandona il sepolcro per congiungersi coi discepoli. Nel verso 11 la si ritrova inaspettatamente presso il sepolcro senza che si sia detto che vi fu ritornata. Il verso 11 si lega direttamente al verso 1 e tutto il pezzo 2-10, vale a dire tutto l'episodio della corsa di Pietro e di Giovanni al sepolcro, è da eliminare. L'interpolatore ha potuto ispirarsi a Luca 24:12. [
5] In effetti nel testo giovanneo il verso 9: «Perché non avevano ancora capito le Scritture» si lega solo alle parole che precedono: «e credette». Il «perché» sembra presupporre qualcosa d'analogo a ciò che si legge in Luca: «meravigliandosi per quello che era avvenuto». In Luca l'interpolatore di Giovanni ha trovato Pietro e di propria iniziativa lo fa accompagnare dal discepolo prediletto.

 Un altro episodio, dove Pietro è accompagnato dall'«altro» discepolo, mi sembra interpolato dalla stessa mano e improntato a sua volta a Luca. È il rinnegamento di Pietro (18:15-18, 25-27). In Giovanni il racconto è diviso in due tronconi, il che non sembra primitivo. L'interruzione è anche molto manifesta: la frase che comincia il secondo troncone ripete quella che termina il primo: «18. Ora anche Pietro stava con loro e si scaldava... 25. Ora Simon Pietro stava là e si scaldava».

I due errori di Pietro, il colpo di spada e il rinnegamento, fanno doppione. Il signor Delafosse ha ragione a sopprimere uno e a conservare l'altro. A mio avviso, è il rinnegamento che occorre attribuire all'interpolatore. Delafosse sopprime il colpo di spada, parchè lo trova in contraddizione con 23:36. 
«Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto...». Ciò sembra troppo sottile. E no, i servitori di Gesù non hanno combattuto! Vi è stato solo un tentativo isolato, subito represso da Gesù stesso.

 Il verso 3:24 «Infatti Giovanni non era stato ancora imprigionato» mi sembra un'aggiunta secondaria, da respingere dal testo primitivo. Raschke [6] fa osservare che quel passo presuppone la storia del Battista come è raccontata nei sinottici ed egli sottolinea che il quarto vangelo non si mostra in alcuna delle sue parti primitive dipendente da questi ultimi. Io credo che Raschke abbia ragione.

Queste diverse correzioni non toccano che nei dettagli. Nell'insieme la tesi del signor Delafosse mi pare la spiegazione più forte e la più solida che si sia finora data dell'origine del quarto vangelo.


Paul-Louis COUCHOUD.


NOTE

[
1Impartial français, 18 luglio 1925.

[
2] Revue critique, 1 luglio 1925.

[
3] Revue d'histoire et de philosophie religieuses, maggio-giugno 1925.

[
4«A me» è attestato da parecchi manoscritti e adottato da Loisy. Il punto deve essere messo non dopo «beva» ma dopo «in me». Il signor Delafosse ha giustamente soppresso «come dice la Scrittura»; ora, la terza persona, «dal suo fianco», è legata con questo episodio (Loisy, pag. 272); occorre dunque ristabilire la prima persona.

[
5] Questo verso non sembra appartenere a Luca primitivo ma «ad un rimaneggiamento ulteriore che avrebbe coinciso più o meno con la fissazione del canone dei quattro vangeli» (Loisy, L'Evangile de Luc, Parigi, 1924, pag. 572).

[
6] H. Raschke, Die Werkstatl des Markus evangelien, Iena 1924, pag. 123.

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