martedì 1 dicembre 2020

«Il Quarto Vangelo» (Joseph Turmel) — 14) La resurrezione del Cristo

 (segue da qui)

5. — La resurrezione del Cristo.

Passiamo ora ai racconti relativi alla resurrezione del Cristo e studiamo i problemi che sollevano.

Quando Maddalena si recò alla tomba, constatò che era vuota e andò subito a condividere questa constatazione con i discepoli. Due di loro, Pietro e il discepolo prediletto, emozionati per quella notizia, si affrettarono a verificarla e corsero alla tomba. Qui l'evangelista, ansioso di non lasciare sfuggire alcun dettaglio minore, ci spiega che il discepolo prediletto corse più veloce di Pietro e arrivò per primo alla tomba, ma che Pietro fu comunque lo stesso il primo ad entrarvi.

Notiamo la distinzione che ci è segnalata tra l'ordine di arrivo alla tomba e l'ordine di entrata nella tomba. Riscontrata in un resoconto storico, non autorizzerebbe alcun sospetto di ritocco. Questo perché questa inversione degli ordini di arrivo e di entrata non ha nulla di impossibile e neppure di improbabile, e non si ha il diritto di contestare le affermazioni degli storici quando non sono manifestamente false, tanto meno quando non sconvolgono nemmeno la probabilità. Ma il pellegrinaggio di Pietro e del discepolo prediletto alla tomba di Gesù non contiene il minimo pezzo di storia; è del tutto fittizio. Considerato da questa prospettiva, il racconto che ci viene presentato non ha l'omogeneità o, se si vuole, l'unità che dovrebbe avere. Ecco perché. In un racconto fittizio i fatti che, per definizione, sono stati inventati, sono necessariamente messi al servizio di una tesi (non si hanno in vista qui che le finzioni di natura apologetica o dottrinale). Quella tesi devono sostenerla, dimostrarla, metterla in luce poiché non sono state create che per quello scopo. Ora, nel caso presente, i fatti così come sono narrati, invece di provare qualcosa, confondono tutto. Quando si vede il discepolo prediletto arrivare per primo alla tomba, si constata che prevale su Pietro. Ma la rapidità con la quale egli perde il suo primato sconcerta. Inventata di sana pianta, la corsa verso la tomba doveva essere destinata ad esaltare uno dei discepoli che mette in scena, o Pietro, o il discepolo prediletto; ma l'uno o l'altro. Invece di ciò, li esalta e li sminuisce tutti e due successivamente. Non è così che, in una tesi narrativa, si va a costruire la dimostrazione. E si sfugge difficilmente all'impressione che al testo, così come lo abbiamo, due autori abbiano collaborato.

Due autori di cui l'uno ha esaltato il discepolo prediletto a spese di Pietro, mentre l'altro ha esaltato Pietro a spese del discepolo prediletto. Il nostro brano appartiene proprio alla categoria delle tesi narrative; ma sostiene due tesi annidate l'una nell'altra. Il racconto primitivo stabiliva il primato del discepolo prediletto. È nell'altro che va cercato il ritocco, ritocco che, nella citazione seguente, è messo tra parentesi quadre (20:3-10):

Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; e, chinatosi, vide le fasce per terra [ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e, chinatosi, vide le fasce per terra] e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. [Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide] e credette [perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva resuscitare dai morti.] I discepoli dunque se ne tornarono a casa.

Due tesi, due autori: ecco ciò che abbiamo constatato nel racconto della corsa dei due discepoli verso la tomba. Il primo scrittore, non occorre dirlo, è marcionita, e il discepolo prediletto che lui glorifica è il rappresentante fittizio della dottrina marcionita. Questo cristiano ideale è di gran lunga superiore al cristiano volgare di cui Pietro è l'interprete. È lui che arriva per primo alla tomba. Egli si è «chinato» non appena (11) Maddalena si «chinò». Ha visto le bende stese, ha visto il sudario piegato e ha creduto. Ha creduto che il corpo spirituale di Gesù era risorto. Pietro e gli altri discepoli non hanno creduto che più tardi, quando Maddalena è venuta ad annunciare loro l'apparizione di cui era stata favorita e ad assolvere nei loro confronti la missione di cui era incaricata.

Lo scrittore marcionita si rappresentava la tomba del Cristo come una fossa scavata da cima a fondo nella terra, fossa nella quale ci si appoggia per vedere cosa vi è dentro, ma nella quale non si entra. L'interpolatore cattolico ha cambiato ciò. Ha trasformato la fossa in un anfratto di roccia nel quale si può entrare su un solo livello. I due discepoli sono penetrati nella tomba di Gesù, ma è Pietro che ha avuto l'onore di penetrare per primo. È lui che, per, primo ha visto il sudario. È lui anche che ha creduto per primo — questo non è detto a chiare lettere, ma è sottinteso. L'altro non ha creduto se non dopo Pietro, poiché non è entrato che per secondo nella tomba. Hanno creduto tutti e due alla resurrezione carnale del Cristo. Non vi hanno creduto se non dopo essere penetrati nella tomba vuota perché non conoscevano le profezie dell'Antico Testamento nelle quali questo miracolo prodigioso era annunciato da molti secoli.

La corsa di Pietro e del discepolo prediletto alla tomba è seguita dalle due apparizioni ai discepoli riuniti in una stanza. Soffermiamoci davanti a loro, ricordando che sono fittizi e che, nei racconti fittizi, i minimi dettagli hanno la loro ragion d'essere.

Gesù mostra ai suoi discepoli le sue mani e il suo costato, per metterli in condizione di constatare la traccia dei chiodi che hanno trafitto le mani, di constatare il foro che la lancia ha fatto nel costato. E lo scopo di quella osservazione è evidentemente di dare loro una certezza. Ma quale? Si tratta di provare loro che il personaggio che appare loro, che parla a loro, è Gesù stesso e non uno sconosciuto? Le osservazioni seguenti forniscono la risposta a questa domanda.

Diversi indizi, come il timbro della voce, i tratti del viso, l'evocazione di un ricordo comune, la realizzazione di un gesto caratteristico, ecc. potrebbero, senza l'esposizione delle stimmate delle mani e del costato, garantire i discepoli contro ogni pericolo di errore. Maddalena ha riconosciuto Gesù dalla sua voce, i discepoli di Emmaus lo hanno riconosciuto dalla frazione del pane, le sante donne in Matteo lo hanno riconosciuto dai tratti del suo volto; e nessuno accusa e neppure sospetta Maddalena, i discepoli di Emmaus, le sante donne di non essersi sufficientemente premunite dalle possibilità dell'illusione. Due amici che si ritrovano dopo una lunga assenza non provano il bisogno di spogliarsi per provarsi reciprocamente la loro identità (si noti che il Cristo non ha potuto mostrare il proprio costato senza spogliarsi almeno in parte). Non ne hanno nemmeno l'idea. D'altra parte, un personaggio che avrebbe mostrato le sue mani e il suo costato trafitti ma che, d'altra parte, non avrebbe richiamato affatto il ricordo di Gesù, non sarebbe riuscito che a provocare la sorpresa. Come si vede, l'esposizione delle mani e del costato, sprovvista di altri indizi, sarebbe stata incapace di provare la presenza di Gesù; unita ad altri indizi sarebbe stata inutile. Non è quindi per dimostrare la realtà di questa presenza che interviene qui. La sua ragion d'essere è altrove. Ha un'altra missione da compiere. Occorre scoprire quale è questa missione.

Un corpo spirituale, secondo la fisica antica, è un corpo etereo. Un corpo etereo ha la fluidità dell'aria e dell'acqua. Un colpo di lancia sferrato nell'aria non vi produce alcuna ferita. Ficca un chiodo nell'acqua poi ritiralo. È appena uscito che l'acqua si richiude e della presenza del chiodo nell'acqua non resta alcuna traccia. Il corpo del Cristo, se fosse stato spirituale, vale a dire etereo, sarebbe stato impunemente perforato dai chiodi e dalla lancia del soldato romano; immediatamente rimossi la lancia e i chiodi esso sarebbe ritornato alla sua forma originale. Ma le cose non sono affatto andate così. Le mani del Cristo hanno mantenuto il segno dei chiodi che vi erano stati conficcati; il suo costato ha mantenuto lo squarcio che il colpo di lancia vi aveva prodotto. Quei due fatti sono abbastanza certi, poiché sono stati constatati dai discepoli a cui il Cristo si è mostrato dopo la sua uscita dalla tomba. Dunque il corpo di Cristo era carnale come il nostro. Aggiungiamo che le precauzioni prese da Tommaso ci conducono alla stessa conclusione. Esse neppure sono destinate a garantire la presenza del Cristo, che è sufficientemente attestata dai tratti del suo volto, dal timbro della sua voce, da tutta la sua persona. Ciò che finiscono di dimostrare è la natura materiale e carnale del corpo di Cristo.

La difesa suppone l'attacco. Se la materialità del corpo del Cristo fosse stata universalmente accettata, nessuno si sarebbe sognato di difenderla, di fare un'apologia in suo favore. È soltanto perché i marcioniti si erano accinti a mettere Gesù nella categoria degli esseri spirituali, che i loro avversari si levarono per combatterli. Questa osservazione ci fa conoscere l'origine e la data dell'esibizione fatta dal Cristo davanti ai suoi discepoli e delle meticolose precauzioni di Tommaso. Questi due brani hanno per scopo di screditare il Cristo spirituale della scuola marcionita. Il loro autore è l'editore cattolico del 170 circa.

Cosa ricava esattamente l'editore cattolico qui? È lui che ha composto interamente il racconto delle due apparizioni ai discepoli? Proprio al contrario, il suo ruolo si è limitato ad inserire in un racconto anteriore quel che è riferito alle mani e al costato trafitti? Scopriamolo.

I versi 20b e 25 ci mostrano i discepoli felici di aver visto il Signore. Ciò che motiva la loro gioia non è il favore che è stato concesso loro di vedere le mani e il costato, è l'apparizione del Salvatore. Essi dicono a Tommaso: «Noi abbiamo visto il Signore»; non gli dicono: «Abbiamo visto le sue mani e il suo costato trafitti». In 29, Gesù nota che Tommaso ha creduto perché ha visto. E dà a questa osservazione il senso di un rimprovero, poiché elogia coloro che, al contrario di Tommaso, hanno creduto senza vedere. In realtà Tommaso non ha soltanto voluto vedere prima di credere. Ha spinto più oltre la pretesa. Ha insistito per palpare. Di quest'ultima esigenza più riprovevole dell'altra, Gesù non ne fa menzione e si limita a dire: «Perché mi hai veduto, hai creduto». Le diverse parti del testo non corrispondono le une alle altre; e abbiamo potuto constatare due volte questa mancanza di connessione.

Ciò non è tutto. Gesù fece la sua prima apparizione ai discepoli «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli». E, otto giorni dopo, si mostrò di nuovo ai suoi discepoli, «a porte chiuse». Nessun corpo materiale può penetrare in una stanza le cui porte sono chiuse. Solo le sostanze spirituali, come l'aria o l'etere, sono comunque capaci di entrare. Gesù aveva evidentemente un corpo quando è venuto in mezzo ai suoi discepoli riuniti, poiché costoro lo videro e lui li rivolse la parola. Ma questo corpo, che penetrava in una stanza le cui porte erano chiuse, aveva la sottigliezza dell'aria e dell'etere; non aveva nulla in comune con il nostro corpo carnale.

Questa conclusione è logica; è inevitabile; e, ricavandola, non facciamo che conformarci alle intenzioni dell'autore che ha menzionato due volte le porte chiuse. Tuttavia essa è contraddetta dai testi che ci parlano delle mani e del costato trafitti. Per le ragioni che si è visto più sopra, le mani che mantengono la traccia dei chiodi, il costato la cui ferita resta aperta sono di natura carnale; il corpo al quale questi organi appartengono è un corpo in carne ed ossa come il nostro. Ed eccoci di fronte a due Cristi, di cui l'uno è spirituale mentre l'altro è carnale.

Due Cristi; dunque due redazioni. Ecco cos'è avvenuto. L'editore cattolico, colui che ha inventato le mani e il costato trafitti, non ha fabbricato da zero, come avremmo potuto crederlo a prima vista, le due apparizioni ai discepoli. Le ha trovate in circolazione. Si è limitato ad arricchire il testo dove erano riportate. Lo ha arricchito introducendo le mani e il costato trafitti che il Cristo mostra, che Tommaso vuole palpare, che palpa e che provano perentoriamente la natura carnale del corpo di Gesù. Nel testo primitivo, il Cristo spirituale veniva a salutare i suoi discepoli che erano felici di aver visto il Signore. Tommaso che era assente e a cui i suoi compagni dicevano: «Noi abbiamo visto il Signore», replicava : «Se non vedo, non crederò». Otto giorni dopo, il Cristo spirituale salutava di nuovo i suoi discepoli e, rivolgendosi a Tommaso, gli diceva: «Vedi, e non essere più incredulo ma credente». Alla vista del Signore, Tommaso gridava: «Mio Signore e mio Dio». Gesù aggiungeva: «Perché mi hai visto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno».

Il racconto primitivo era omogeneo. Tendeva a provare che il Cristo è spirituale, che è uscito dalla tomba nella quale gli ebrei lo avevano rinchiuso, che si è mostrato ai suoi discepoli, ma che il comune cristiano non deve manifestare la pretesa di vederlo e che si deve credere senza aver visto. I difetti di connessione che si rilevano nel testo attuale erano inevitabili, considerato l'impegno dell'editore cattolico.

Ci resta da esaminare la scena della pesca miracolosa descritta nel capitolo 21. Ripete lo spettacolo al quale ci ha fatto assistere la corsa di Pietro e del discepolo prediletto alla tomba. Anch'essa serve a due tesi opposte. Anche qui il cattolicesimo glorifica Pietro e si prende così la sua rivincita sul marcionismo che aveva glorificato il discepolo prediletto. Pietro riceve, per mezzo di una triplice investitura (15b-17), la missione di custodire il gregge del Cristo. Ma è il discepolo prediletto che gli insegna a riconoscere Gesù (7: «Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore»); e, un po' più oltre, Pietro è rimproverato a proposito dello stesso discepolo (22: «Che importa a te?»). Le famose parole: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle», con il dialogo che le conduce, sono state gettate al centro di una storia che passava immediatamente da 15a a 18:15a: 15a: Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: 18 «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi».

Queste ultime parole sono molto misteriose. Ma il vangelo si è preoccupato di spiegarcele lui stesso. Raccogliamo la spiegazione ufficiale che ci fornisce. È formulata in questi termini, 19: «Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio».

Così Pietro avrà una morte gloriosa. Gloriosa per Dio perché egli «glorificherà» Dio; gloriosa anche per sé stesso, poiché la gloria che procurerà a Dio si rifletterà necessariamente su di lui. E il Cristo che annuncia questo memorabile evento esalta Pietro.

Lo esalta. Perché allora lo sminuisce con le stesse parole con cui fa il suo elogio? Perché gli dice: «Sarai un eroe nonostante te stesso?». I complimenti perdono ogni valore, si trasformano addirittura in ironia quando vi si intrecciano delle osservazioni dispregiative. Ora è denigratorio dire a qualcuno: «Tu glorificherai Dio con il martirio, ma questo sarà contro la tua volontà». E poi, non dimentichiamo che siamo in presenza di una discussione fittizia, e che la finzione, quando si muove in campo dottrinale, non ha alcuna ragion d'essere se non prova una tesi. Che cosa vuole dunque provare questa profezia nella quale Pietro è simultaneamente lodato e ridicolizzato ? Impossibile vederlo; ma si vede abbastanza chiaramente che la frase, interpretata come lo interpreta il vangelo, è incoerente.

Ciò non è tutto. Si tratta ora di sapere chi è questo «altro», da cui Pietro deve essere condotto al martirio contro la sua volontà. Si vorrebbe che questo fosse una collettività, o l'Impero Romano o la sinagoga, o almeno un rappresentante qualificato di uno di quei poteri, un depositario dell'autorità. L'espressione vi si oppone. «Un altro» non può indicare una comunità, neppure un personaggio ufficiale, ma un individuo senza autorità. Il boia, benché sia investito di un mandato, risponderebbe abbastanza bene alla descrizione. Ma si recalcitra al pensiero che questo essere abietto sia avvistato dall'oracolo. Insomma, l'interpretazione della profezia così come la dà il vangelo non può rendere conto dell'espressione «un altro» se non attribuendole un significato ripugnante.

Ma lasciamo questo dettaglio e procediamo ad una visione d'insieme. Confrontiamo la profezia con la spiegazione che ne offre il vangelo, o, se si vuole, ciò che dice il Cristo con quel che, a credere al vangelo, egli vuole dire. Ciò che dice il Cristo si riduce a questo: «Quando eri giovane tu eri libero; un giorno non lo sarai più, ma un altro ti porterà là dove tu non vorrai andare». E, secondo il vangelo, egli vuole dire: «Tu riporterai la palma del martirio» (spesso si ipotizza perfino che la crocifissione di Pietro è annunciata). Ma chi non vede tra questa e quella interpretazione un'assoluta mancanza di adattamento? Se Cristo vuole annunciare un adattamento assoluto? Se il Cristo vuole annunciare il martirio di Pietro (o perfino la sua crocifissione), che bisogno ha di stabilire un contrasto tra la libertà di cui il suo discepolo godrà prima di tutto e la schiavitù che segnerà i suoi ultimi anni? Che non si dica che la profezia è presentata in una forma simbolica e che un simbolo è sempre circondato da una certa oscurità. Il simbolo deve avere qualche relazione con la cosa simboleggiata. Ora, tra la schiavitù e il martirio non vi è alcuna relazione.

La presunta spiegazione della profezia è, in realtà, una deformazione. Scartiamola temporaneamente e studiamo l'oracolo in sé stesso. Ci informa che Pietro ha finito per perdere la sua libertà ed è stato condotto da un altro contro la sua volontà. Conosciamo da Paolo (Galati 2:11) il luogo e la data di questo incidente. È ad Antiochia che è accaduto. Pietro mangiava con i pagani. Sopravvennero degli emissari di Giacomo e, a nome del loro padrone, gli ingiunsero di ritirarsi. Pietro obbedì; non mangiò più con i pagani. A partire da quel giorno, cessò di seguire Cristo che gli aveva detto (21:19): «Seguimi». Cessò di seguire la verità liberatrice (8,32): «La verità vi farà liberi». Fu schiavo, schiavo di Giacomo da cui si lasciò condurre là dove non voleva andare, dove non andava originariamente. È il Cristo marcionita che dice a Pietro: «Un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi». Egli sfrutta l'episodio di Antiochia — che conosceva, come noi lo conosciamo, unicamente da Paolo. Lo sfrutta a proprio vantaggio (sappiamo da Tertulliano, Adv. Marc. 5:3 che a Marcione piaceva giocare con quest'arma), ed ecco il risultato che ottiene: «Pietro era il primo dei Dodici (questo secondo Luca di cui i marcioniti ricevettero il vangelo). Egli ha dapprima seguito la via che io gli avevo tracciato, è stato fedele a «Seguimi». Poi, un giorno, si è lasciato condurre dal giudaizzante Giacomo. L'ha seguito a malincuore, contro la sua volontà, per debolezza; ma alla fine lo ha seguito. Ha trascinato in questa via perniciosa tutti i miei altri discepoli. Non ascoltateli, non ascoltate i vescovi che succedono loro (noi siamo a metà del secondo secolo). Uscite dal cristianesimo volgare che non è che una religione di giudaizzanti. Seguite il mio discepolo prediletto».

Ecco il significato di «Un altro ti cingerà». Questo oracolo non è che la constatazione malinconica di una defezione. Ritorniamo ora all'interpretazione ufficiale che ne dà il vangelo e vediamo di che cosa si tratta. È la risposta cattolica all'offensiva marcionita. O piuttosto, è la manovra erudita che completa la disfatta del nemico già vinto. Poiché il nemico ha già subito una disfatta. I suoi attacchi contro il cristianesimo volgare sono stati respinti perentoriamente dalla solenne investitura: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» che Pietro ha ricevuto, di cui i Dodici hanno beneficiato, che l'intero corpo episcopale ha ereditato. No, il Cristo non ha affatto sconfessato Pietro, non ha affatto sconfessato i Dodici di cui Pietro era il rappresentante. Ed è nella Chiesa dei vescovi successori degli apostoli che si conserva il suo pensiero, che si conserva la sua dottrina. — Ma lui non ha detto a Pietro: «Un altro ti cingerà»? Beh, proprio quella dichiarazione è un nuovo gioiello aggiunto alla corona di Pietro. Annuncia e proclama il suo martirio. Infatti «questo gli disse per indicare con quale morte Pietro avrebbe glorificato Dio». Con questa risposta l'interpolatore cattolico ha combattuto il nemico con l'arma che costui brandiva. È il trionfo più completo che si possa riportare su un avversario.

Sbarazzatasi delle aggiunte 15b-17 e 19a l'apparizione del lago di Tiberiade è di origine marcionita. Ed ecco il suo contenuto. I discepoli — almeno parecchi tra loro — hanno abbandonato Gerusalemme e sono tornati nella Galilea per riprendervi il loro antico mestiere. Un giorno, mentre erano intenti alla pesca, Gesù apparve loro. La piccola banda si avvicinò a lui seguendo Pietro. Ma è dal discepolo prediletto che Pietro fu informato. Infatti lui e i suoi compagni prendevano il Cristo per uno sconosciuto. Il discepolo prediletto fu il primo a riconoscere il Signore. Condivise la sua conoscenza con Pietro, che aveva fede. La conversazione fu bizzarra. I discepoli mantenevano il silenzio. Gesù li fece mangiare, ma non mangiò nulla. Dopo il pasto, mentre chiedeva a Pietro di seguirlo, predisse che questo capo dei Dodici avrebbe subito un'influenza straniera. Infine Pietro avendo desiderato conoscere la sorte riservata al discepolo prediletto, si attirò il seguente rimprovero: «Ciò non ti riguarda».

Ho detto che la scena della pesca miracolosa presa nella sua forma primitiva appartiene alla redazione marcionita. Perché quindi avviene quando il libro è finito? Perché è proprio alla porta del vangelo e si presenta giusto dopo che l'autore ha preso congedo dai suoi lettori (si veda 20:30). Bisogna ammettere e tutti ammettono che la scena della pesca miracolosa è un'appendice. Un'appendice il cui contenuto rivela lo scopo. Questo supplemento è destinato a provare che la vera religione del Cristo non va cercata alla scuola di Pietro ma alla scuola del discepolo prediletto: leggiamo che, per appartenere a Gesù, è necessario staccarsi dal corpo episcopale e andare a Marcione. È stato aggiunto quando il bisogno si è fatto sentire, e il bisogno si è fatto sentire quando i problemi con l'episcopato hanno cominciato a prendere una svolta netta. Questo non sarebbe potuto accadere prima del 144 circa. Marcione e i suoi partigiani si vedevano denunciati dai vescovi come degli uomini pericolosi. Allora il Cristo marcionita che aveva fatto ai suoi antichi compagni degli addii definitivi, che aveva lasciato la terra senza intenzione di ritorno, modificò il suo programma. Discese di nuovo dal cielo per difendere il suo discepolo prediletto, per pronunciare le parole necessarie, le parole che le circostanze esigevano imperiosamente, per annunciare la futura defezione di Pietro, la defezione dei Dodici di cui Pietro era il rappresentante, la defezione del corpo episcopale erede dei Dodici. L'apparizione del lago di Tiberiade e la conclusione che termina il capitolo 20 non si accordano benissimo; ma la differenza delle date e delle situazioni giustifica il disaccordo.

Nessun commento: