martedì 1 dicembre 2020

«Il Quarto Vangelo» (Joseph Turmel) — 13) La conversazione con Nicodemo

 (segue da qui)

4. — La conversazione con Nicodemo.

Nicodemo si rivolge a Gesù come ad un personaggio investito di una missione divina. Si presenta come un discepolo docile e pieno di buona volontà. Immediatamente e senza alcun preambolo, Gesù gli parla del regno di Dio e gli spiega che la condizione richiesta per entrare in questo regno è la nascita ricevuta dall'alto. Vedendo Nicodemo sconcertato da quella dichiarazione, Gesù precisa il suo pensiero. Dice che la nascita necessaria per entrare nel regno di Dio ha due fattori che sono l'acqua e lo spirito. Aggiunge che la nascita che ha la sua fonte nella carne, porta alla carne, ma che la nascita di cui la fonte è lo spirito porta allo spirito.

Certamente tali dichiarazioni non hanno mai potuto essere fatte. Ci trasportano nel dominio dell'irreale. E se dovessimo confutare gli apologeti che si ostinano ad attribuire al quarto Vangelo un valore storico, avremmo il diritto di opporre loro, accanto a diverse altre considerazioni, l'inizio della conversazione con Nicodemo. Ma non è questo il punto. È da più di un quarto di secolo che la critica indipendente ha messo a nudo la natura fittizia del quarto Vangelo. E qui si suppongono acquisiti i risultati della critica. Non dobbiamo dimostrare che le massime emanate dal Cristo sulla nascita dall'alto sono inventate da zero. Si tratta semplicemente di cercare ciò che significano. Questo problema non è insolubile.

Il «regno di Dio» è il cielo dove risiede il Dio buono, colui che, in 17:3, è chiamato «il solo vero Dio», per opposizione al Creatore che è il «Maligno», 1 Giovanni 3:12; 5:18-19. Questo cielo del «solo vero Dio» è situato al di sopra del cielo del «Maligno», il quale fa parte del mondo (1 Giovanni 4:4; 5:19). La nascita dall'alto è la grazia per mezzo della quale l'uomo diventa il figlio di Dio (1 Giovanni 3:1). Diventando il figlio di Dio, l'uomo passa dalla morte alla vita (5:24; 1 Giovanni 3:14), di modo che la nascita dall'alto è anche una resurrezione, una resurrezione spirituale di cui la resurrezione carnale immaginata dagli ebrei non è che una grossolana caricatura.

Uno dei fattori di nascita dall'alto, lo spirito, è «il seme di Dio» (1 Giovanni 3:9), ovvero una particella della sostanza divina che, come tutti gli spiriti, è fatta di un etere sottilissimo e purissimo. Questa particella si introduce nell'anima che acquisisce la conoscenza del vero Dio; da cui segue che la conoscenza è la fonte della vita, poiché è lei che permette al seme divino, allo spirito, di entrare nell'anima. [1] L'altro fattore della nascita dall'alto, l'acqua, è il battesimo di cui sappiamo da Tertulliano che i marcioniti facevano uso. [2]

Ciò che è nato dalla carne è carne, ciò che è nato dallo spirito è spirito. Il figlio di Dio che è nell'anima del cristiano è dunque spirituale, poiché è stato generato da una particella della sostanza divina. Questo figlio di Dio che, oggi, è nascosto, si manifesterà un giorno; e allora il figlio di Dio apparirà simile al Dio che lo ha generato (1 Giovanni 3:2).

Tutto ciò ha senso, tutto questo segue, e finora la dissertazione del Cristo è ben condotta. Ma, a partire dal verso 10, la scena cambia. A Nicodemo che, sempre più sconvolto, domanda come ciò si potesse fare, Cristo risponde con tono beffardo: «Tu sei il dottore d'Israele e non sai queste cose?» Sta facendo dello scherno. Scherno strano e al quale non eravamo preparati, perché egli aveva tenuto fino ad ora un linguaggio di grande elevazione. Scherno ingiusto. Tutti i dottori in Israele ignoravano completamente il mistero della nascita dall'alto. E come l'avrebbero conosciuto, dal momento che la nascita dall'alto era l'opera di un Dio la cui esistenza Cristo venne a rivelare per la prima volta agli uomini (1:18)?

Ma che dire del discorso seguente da cui non si vede né a chi si rivolge e neppure da chi proviene: «Noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo di ciò che abbiamo visto ma voi non ricevete la nostra testimonianza». Nicodemo ha domandato delle spiegazioni, ma non si rifiuta di credere; non è dunque lui che è intravisto qui. Del resto, un'intera comunità è coinvolta e accusata di incredulità. Solo che ci è impossibile dire quando e come si è fatta coinvolgere nella conversazione segreta che Nicodemo ha voluto avere, in piena notte, con Gesù. D'altra parte Gesù sembra essersi eclissato. In ogni caso, se è ancora lui che si ascolta, egli parla come interprete di un gruppo anonimo. Dichiara che lui e i suoi compagni sanno quello che dicono, hanno visto ciò di cui testimoniano. E l'eccessiva modestia di cui dà prova abbassandosi al rango dei semplici mortali sciocca piuttosto che edifica. Torna subito dopo sulla scena se l'aveva abbandonata, oppure, se aveva semplicemente assunto il ruolo di interprete, vi rinuncia e riprende a parlare per proprio conto. Il discorso che sentivamo udire appena prima era destinato ai non credenti. Ora il Cristo si stupisce che non lo si sia compreso quando ha parlato di cose terrene, e si chiede cosa si potrà comprendere quando egli parlerà di cose celesti. L'uditorio che, nel verso 11, era incredulo, non lo è più nel verso 12, dove è soltanto accusato di incomprensione. E quella improvvisa metamorfosi sembra proprio misteriosa. Dove sono andati i malvagi che si rifiutavano di credere? Da dove vengono questi nuovi uditori che non hanno compreso nulla delle cose terrene con cui il Cristo li ha intrattenuti? E poi, quali sono le cose terrene che lui ha insegnate e che non sono state comprese? Ad attenersi al contesto, quelle cose consistono nella dottrina della generazione dall'alto. Quando dunque una cosa sarà celeste se la generazione prodotta dal seme di Dio non lo è? Abbiamo il diritto di paragonare in tutta onestà il brano 10b-14 alle parole di un uomo che sta delirando; abbiamo il diritto di affermare, senza la minima esagerazione, che, da una parte e dall'altra, è la stessa disconnessione, la stessa incoerenza. E ci si domanda con stupore come uno scrittore altrimenti notevole avrebbe potuto lasciarsi perdere fino a questo punto.

Tuttavia, curiosamente, lo spettacolo penoso a cui abbiamo appena assistito scompare, non appena ci si limita a trattenere due frammenti del suddetto brano e si rimuove il resto. Allora la risposta di Cristo è questa: (11) «In verità, in verità ti dico, (13) Nessuno è salito in cielo se non colui che ne è disceso; (16) Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo figlio unico, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna». Questa risposta insegna a Nicodemo che Dio ha inviato suo Figlio per salvare il mondo; e gli chiede di credere nel Figlio e, di conseguenza, di affidarsi al Figlio sul modo in cui è prodotta la generazione divina nell'anima del cristiano. L'enorme disordine che separa la conversazione è dovuto a degli elementi ben definiti e nettamente circoscritti. Una volta rimossi questi elementi di disturbo, la conversazione comprende due parti. Una è dedicata alla nascita divina del cristiano. Nell'altra il Figlio di Dio ci è mostrato nell'atto di procurare la vita divina a coloro che hanno fede in lui. Quelle due parti si completano a vicenda e la conversazione che passa dall'una all'altra si svolge normalmente. Cosa si vuole di più per convenire che la conversazione con Nicodemo, per come si presenta oggi a noi, è stata vittima di una interpolazione che ne altera profondamente la fisionomia?

NOTE

[1] 17:3; la conoscenza è, in qualche modo, l'atto per il quale l'anima si apre come una finestra e dà così passaggio alla sostanza divina.

[2] Adv. Marc. 1:14: «[Il Dio di Marcione] non ha respinto l'acqua del Creatore con cui si lava le mani»; si veda anche 1:23 e 24. Non domandiamo loro come conciliavano il ruolo dello spirito con il ruolo dell'acqua. Essi non si imbarazzavano di questo problema che del resto era della stessa natura di quello col quale i Padri e, al loro seguito, gli scolastici, si trovarono alle prese.

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