martedì 1 dicembre 2020

«Il Quarto Vangelo» (Joseph Turmel) — 12) Il Verbo e la Luce

 (segue da qui)

3. — Il Verbo e la Luce.

Il preambolo del quarto Vangelo è composto con l'aiuto dei due simboli del Verbo e della Luce. Il Verbo occupa il primo piano. Il Verbo, leggiamo, era al principio. Egli era presso Dio, egli era Dio. Tutte le cose sono state fatte da lui e nulla di quello che è stato fatto è stato fatto senza di lui. Un po' più oltre, 10b, apprendiamo di nuovo che il mondo è stato creato da lui. Infine, in 14, ci viene detto che il Verbo si è fatto carne. La Luce fa il suo ingresso nel verso 4 e porta con sé le sue credenziali: «La Luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno ricevuta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni... Egli non era la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce. La Luce vera... veniva nel mondo. Era nel mondo».

Il Verbo e la Luce riempiono il preambolo. Esaminiamo ora il Vangelo. Cammin facendo incontriamo qua e là la luce. In 3:19, leggiamo: «La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie». Gesù stesso dichiara a più riprese che egli è la luce del mondo. Lo dice a Gerusalemme davanti ai Giudei riuniti (8:12); lo dice ai suoi discepoli nel momento in cui si appresta ad aprire gli occhi del nato cieco (9:5). E la stessa asserzione cade più volte dalle sue labbra in un'altra circostanza (12:35, 36, 46; si veda ancora 11:9, così come la prima epistola giovannea che ci dice, 1:5, che Dio è luce). Insomma la luce di cui il preambolo racconta lo splendore, ci prepara a quella stessa che, nel corpo del Vangelo, brilla ai nostri occhi. E, poiché il ruolo di un preambolo è di essere un introduttore, la luce è al suo posto nel preambolo del quarto Vangelo.

Veniamo ora al Verbo. Non si mostra a noi che nelle prime righe del quarto Vangelo; infatti, passate le prime righe, scompare senza lasciare traccia. Quella scomparsa è impressionante. Vedendo questo personaggio così fieramente accampato proprio sulla soglia dell'edificio giovanneo, si pensa di trovarsi di fronte al padrone della casa. Si entra. All'interno nessuno lo conosce, nessuno ha mai sentito parlare di lui. Come spiegare questo contrasto? Perché il Cristo giovanneo non si dà mai lui stesso il nome di Verbo? Perché non fa mai allusione alla sua opera creatrice? [1] E, poiché il Cristo giovanneo è una creazione artificiale, perché l'autore di questa finzione ha dimenticato così completamente di armonizzare il corpo del suo libro con il preambolo? Lui comincia annunciandoci in termini pomposi e magniloquenti che il Verbo era, fin dall'origine, presso Dio, che era Dio, che ha creato il mondo. Poi ci riporta le imprese del Cristo, i suoi discorsi. E, in quei racconti e in quei discorsi usciti dalla sua immaginazione, il Verbo creatore non occupa alcun posto!

Si cercherà di spiegare questa contraddizione col desiderio della verosimiglianza? Si dirà che l'autore, che ha promulgato la dottrina del Verbo creatore, si è tirato indietro dinanzi al pensiero di collocare questa teoria nella bocca di Gesù stesso? Come se il Cristo che ha insegnato la sua unità con il Padre e altre cose così impressionanti potesse provare il minimo imbarazzo nel rivendicare il titolo di Verbo creatore! La verità è che l'autore del quarto Vangelo ignora totalmente la distinzione tra il verosimile e l'inverosimile. Colui che ha fatto dire a Gesù: «Io sono la luce del mondo»; «Io e il Padre siamo uno»; ecc. poteva proprio altrettanto facilmente attribuirgli, non tenendo conto della plausibilità storica, parole di questo genere: «Io sono il Verbo di Dio»; «Io ho creato il mondo». E doveva lui stesso aggiungere questi fiori alla corona del Cristo, se solo i testi del preambolo che parlano del Verbo provenissero da lui. Ma precisamente il contrasto che noi constatiamo tra il corpo del vangelo e il Verbo del preambolo sembra proprio essere l'indicazione di due diverse redazioni.

Però prima di formulare una conclusione ferma, studiamo il preambolo stesso. Il Verbo e la Luce ne sono i due occupanti. Noi vediamo dapprima apparire il Verbo per mezzo di cui tutte le cose sono state fatte. Poi la Luce si sostituisce al Verbo, portando con sé Giovanni che, senza essere la Luce, rende testimonianza alla Luce. Cede subito del resto lei stessa il posto al Verbo che si impone di nuovo alla nostra attenzione; e finiamo per apprendere che il Verbo si è fatto carne. Strana dualità! Alternanza ancora più strana! Perché mai nella stessa lezione e quasi nella stessa frase ricorrere ai due simboli del Verbo e della Luce così diversi l'uno dall'altro! E, se si era tenuti ad utilizzarli tutti e due, perché ritornare al primo dopo averlo abbandonato?

Ma noi non siamo alla fine delle nostre sorprese. Ho detto che il Verbo, dopo essere stato espropriato dalla Luce, riappare sulla scena e ne espelle a sua volta la Luce. Quando e come si fa la transizione? Leggiamo i versi seguenti: «La luce vera che illumina ogni uomo veniva nel mondo. 10a Era nel mondo; 10b e il mondo fu fatto per mezzo di lui». Il verso 9 parla chiaramente della Luce che vi è indicata a chiare lettere; e la prima parte del verso 10 non contiene alcuna traccia di cambiamento. Ma la seconda parte di quello stesso verso 10 annuncia un pensiero che non ha alcun rapporto con la Luce. Vi si tratta dell'autore del mondo, e questo autore vi è indicato in termini identici a quelli che, in 3, sono applicati all'autore di tutte le cose. Ora, l'autore di tutte le cose, in 3, è il Verbo. L'autore del mondo di cui parla 10b è quindi il Verbo — su questo punto peraltro l'accordo è universale — ed è in 10b che la transizione dalla Luce al Verbo è compiuta. Va notato che questa transizione è compiuta a nostra insaputa. Lo indoviniamo, lo constatiamo. Ma non otteniamo questo risultato se non confrontando i testi e ricorrendo al ragionamento. Non siamo informati ufficialmente se non in 10b che il Verbo si sostituisce alla Luce la quale, in 4 e 5, si era sostituita — ma questa volta apertamente — al Verbo. La transizione è subdola. [2]

Questa transizione dissimulata che siamo riusciti a smascherare in 10b è unica nel suo genere, oppure, proprio al contrario, è seguita da una o più transizioni dello stesso genere? Il Verbo che, in 10b, espelle la Luce, custodisce il posto che ha conquistato oppure è proprio, a sua volta, espulso dalla Luce, destinato a cacciarla di nuovo? Tale è la domanda che dobbiamo risolvere? Il nostro testo attuale non permette alcuna esitazione. A credergli, il Verbo, una volta rientrato nel preambolo, non ne esce più ed è di lui che parla tutto il brano che va da 10b a 14, complessivamente. [3] Dunque è il Verbo che il mondo non ha conosciuto (10c), che è venuto in casa sua e che i suoi non hanno ricevuto affatto (11), ma che ha dato a tutti coloro che l'hanno ricevuto il potere di divenire figli di Dio (12). Non si oserà insorgere contro il testo se non ci incitasse lui stesso. Ma ci incita a farlo per la sua mancanza di coesione. Esso rimprovera al mondo di non aver conosciuto il Verbo, constata con dolore che il Verbo non è stato ricevuto dai suoi. Ora è soltanto nel verso 14 che menziona l'incarnazione del Verbo: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Fino ad allora, ovvero in 10b-13, il Verbo non era ancora incarnato e non aveva ancora abitato in mezzo a noi. In che modo il mondo avrebbe potuto conoscerlo in un tempo in cui nessuno lo aveva visto? E in che modo i «suoi» avrebbero potuto rifiutarsi di riceverlo dal momento che non era ancora venuto «in casa sua»? Tutto ciò è incoerente e noi abbiamo il diritto di cercare un'altra interpretazione.

Applichiamo i nostri versi alla Luce a partire da 9: «La Luce vera che illumina ogni uomo veniva nel mondo, 10a. Era nel mondo 10b e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui (ossia dal Verbo), 10c ma il mondo non la ha conosciuta (lei, ovvero la Luce). 11 È venuta in casa sua, e i suoi non la hanno ricevuta. 12a Ma a quanti però l'hanno ricevuta, ha dato il potere di diventare figli di Dio 12b a quelli che credono nel suo nome (ovvero al nome del Verbo) 13, i quali sono nati non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio. 14a E il Verbo si fece carne 14b e Lei (la Luce) venne ad abitare in mezzo a noi... noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella di un figlio unico proceduto dal suo Padre».

Dal momento che la Luce è venuta nel mondo, non si è sorpresi di apprendere in seguito che lei era nel mondo, e si comprende egualmente il rimprovero che è formulato contro il mondo perché non ha conosciuto la Luce. Il mondo avrebbe potuto conoscere la Luce poiché la Luce era nel mondo, e vi era poiché la sua venuta nel mondo ci è stata precedentemente segnalata. Tutto ciò ha senso: 10c si collega a 10a, che a sua volta si collega a 9. Comprendiamo senza difficoltà che se la Luce è venuta «in casa sua», «i suoi» sono stati colpevoli di non riceverla. Apprendiamo in seguito che quella colpa non è stata universale e che la Luce è stata ricevuta da un certo numero dei «suoi». Questi sono stati ricompensati con una nuova nascita, una nascita divina. Questi ancora —poiché sono gli stessi — hanno constatato che la Luce abitava in mezzo a loro (quelli dei «suoi» che rifiutavano di ricevere la Luce, non occorre dirlo, non hanno constatato nulla, e il privilegio di vedere la Luce è stato riservato a quelli dei «suoi» che l'hanno ricevuta). Essi hanno visto la sua gloria; hanno visto che la Luce è venuta nel mondo era, in relazione a Dio, ciò che è un figlio in relazione a suo padre.

Ancora una volta, tutto ciò ha senso. E come credere che una chiave che apre così bene la serratura non sia stata fatta per la serratura? Diciamo dunque, senza timore di ingannarci, che la Luce, soppiantata per un istante dal Verbo in 10b, riprende immediatamente il suo posto, e che la ritroviamo non solo in 11, 12 e 13 ma anche in 14b: «Lei venne ad abitare in mezzo a noi...».

Così la Luce non lascia definitivamente il preambolo a partire da 10b come si dice dappertutto. Da questo fatto derivano due conseguenze. Il primo, è che il nostro testo attuale, nei versi 10c, 11, 12a ha subito dei ritocchi. A credergli, nella forma che ha oggi, è il Verbo che il mondo non ha conosciuto (10c); è Il Verbo che è venuto in casa sua e che i suoi non hanno ricevuto; infine è il Verbo che ha trasformato in figli di Dio coloro che l'hanno ricevuto, e che ha procurato loro una nascita divina. In origine non era così. Allora la Luce sola era in causa, ed è passata di là la mano di un interpolatore che ha spogliato la Luce a beneficio del Verbo. [4] Allo stesso modo in 14b non è più la Luce che ci è presentata come se avesse abitato in mezzo a noi e come se avesse una gloria che i figli di Dio hanno contemplato. È il Verbo che oggi occupa il suo posto. Ma qui (io parlo di 14b) nessuna interpolazione è stata richiesta; la sostituzione è stata operata automaticamente con l'introduzione del Verbo in 14a (il francese richiede il cambiamento dal femminile al maschile; in greco non è così).

La seconda conseguenza ha riguardato il Verbo. Siamo ora fissati sul carattere delle sue apparizioni intermittenti. Egli interviene in 10b come l'autore del mondo tra due asserzioni che ci dicono che la Luce era nel mondo e che il mondo non la ha conosciuta. In 12b dove sono menzionati coloro che credono nel suo nome, egli taglia in due tronchi una frase nella quale è descritto il beneficio accordato dalla Luce a coloro che l'hanno ricevuta. In 14a il Verbo si incarna allorché la Luce ha già procurato a coloro che l'hanno ricevuta una nascita divina. Senza gli interventi maldestri del Verbo, il brano sulla Luce, che comincia al verso 4, si svilupperebbe regolarmente. Esso è tagliato a tre diverse riprese dal Verbo e, nei primi tre versi, è mascherato dallo stesso agente perturbatore. Sappiamo già che il Verbo, confinato nel preambolo del quarto Vangelo, era estraneo al Vangelo stesso. Abbiamo ora la prova che la sua presenza nel preambolo è dovuta ad un'operazione artificiale e violenta. Il Verbo non viene là che da intruso. Originariamente il preambolo era dedicato esclusivamente alla Luce. Come era scritto? Per dirlo, occorrerebbe sapere ciò che sono stati esattamente i ritocchi dell'interpolatore. Non lo sappiamo. Il tentativo di restituzione che segue non si presenta dunque che come un'approssimazione congetturale:

4. «Dio è la Vita e la Vita è la Luce degli uomini, 5. E la Luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno accolta, 6. Venne un uomo mandato da Dio; il suo nome era Giovanni. 7. Questi venne come testimone per rendere testimonianza alla Luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. 8. Egli non era la Luce, ma doveva render testimonianza alla luce. 9 La Luce vera che illumina ogni uomo veniva nel mondo. 10a Era nel mondo 10e e il mondo non l'ha accolta. 12a Ma a tutti coloro che l'hanno accolta, 12b ha dato il potere di diventare figli di Dio. 13 Essi sono nati non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio. 14b Lei ha abitato fra di noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella di un figlio unico proceduto dal suo padre. Egli (questo figlio) era pieno di grazia e di verità. 16 Noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza la grazia emanata dalla sua bontà. 17 Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità vengono per mezzo di Gesù Cristo».

Prima di andare più oltre, rileggiamo l'esordio della prima epistola giovannea:

1 Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, della parola della vita 2 poiché la vita è stata manifestata e noi l'abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata, 3 quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi.

Un passo di quella frase («che le nostre mani hanno toccato») è una chiara professione di fede nell'incarnazione del Cristo. Ma l'intera frase porta una tale difficoltà alle leggi della sintassi che solo l'ipotesi di un ritocco è capace di spiegarne la formazione. Il verso 1 è di origine posteriore. Ma è proprio esso che proclama l'incarnazione. Sbarazzatasi di questo pezzo falso, l'epistola ci parla della vita divina che si è manifestata, poi insegna che Dio è Luce: «Il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo è che Dio è luce e in lui non ci sono tenebre». Insomma, la prima epistola giovannea cominciava pressappoco come il quarto Vangelo. Poi la stessa mano che ha sfigurato l'inizio del vangelo ha anche alterato l'esordio dell'epistola collocandovi l'incarnazione. Solo che, in quest'ultimo caso, ha gettato la sua interpolazione senza prendersi la briga di adeguarla alla sintassi.

Ritorniamo ora al preambolo del Vangelo. Il Verbo che oggi la occupa in competizione con la Luce, non vi era originariamente. Vi è stato introdotto da una mano estranea alla prima stesura per compiervi una missione dogmatica. E si vede senza difficoltà di quale missione è stato incaricato. Esso è là per insegnare innanzitutto che il Cristo, prima di venire sulla terra, ha creato il mondo; per insegnare in seguito che questo creatore dell'universo, venendo in mezzo a noi, si è rivestito di un corpo carnale. Ora, al tempo in cui il Verbo fece il suo ingresso nel preambolo, la scuola di Marcione presentava all'adorazione dei fedeli un Cristo che era il Dio buono, venuto di persona sulla terra vestito di un corpo etereo per rovinare l'impero del Dio creatore. Il Verbo ha dunque ricevuto il mandato di combattere il Cristo spirituale della scuola di Marcione. Per dirla tutta il Verbo è di origine cattolica.

Sbarazziamocene e mettiamoci in presenza della Luce che, da sola, occupava la stesura originale. La Luce non ha dovuto creare il mondo; ha trovato il mondo in possesso dell'esistenza ricevuta dal Creatore. La sua preoccupazione era di illuminare il mondo. Così è venuta nel mondo; ma il mondo ha preferito mantenere le tenebre nelle quali era immerso. Il mondo non ha conosciuto la Luce; l'ha respinta.

Apprendiamo allora che la Luce è venuta «in casa sua» e che i «suoi» non l'hanno ricevuta. Cosa equivale a dire? I commentatori spiegano che «i suoi» sono gli ebrei che costituivano il popolo di Dio, il popolo eletto, e che la Luce, quando abitò nel mezzo del popolo ebraico, era «in casa sua». Quest'interpretazione si scontra con le affermazioni più formali del Cristo giovanneo che dice agli ebrei (8:44-47): «Voi avete per padre il Diavolo... Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; voi non le ascoltate, perché non siete da Dio». Questa invettiva alla quale tutti i pagani del mondo sono necessariamente associati, è perentoria. Gli uomini che hanno il Diavolo per padre e che non sono di Dio, non possono appartenere a Cristo, a colui che si è chiamato la luce del mondo. È necessario quindi cercare altrove quel «in casa sua» dove la Luce è venuta e dove ha incontrato «i suoi» che non l'hanno ricevuta.

Seguiamo la Luce nel suo viaggio. Lei è venuta nel mondo e il mondo non l'ha conosciuta. Ma, perfino così, Gesù ha potuto dire a suo Padre (17:6): «Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola». La Luce ha fondato la Chiesa, la società dei figli di Dio. La Chiesa è stata sulla terra il dominio della Luce. Nella Chiesa, la Luce è stata «in casa sua» e i figli della Chiesa sono stati «i suoi». Questo fino al giorno in cui Pietro si lasciò trascinare da Giacomo al giudaismo, [5] quando fu seguito nella sua defezione dai Dodici e dalla massa dei cristiani. A partire da quel giorno la Luce è venuta «in casa sua» e «i suoi» non l'hanno ricevuta. Tuttavia la defezione non è stata universale o, in ogni caso, non è stata che temporanea. Il discepolo prediletto ha lavorato e la sua fatica non è stata vana. Alcuni di loro hanno ricevuto la Luce. Questi sono stati generati alla vita divina. E questi figli di Dio hanno visto la Luce che, con la sua gloria, abitava tra loro. L'hanno vista che rassomigliava ad un Figlio. Questa luce gloriosa si chiamava Gesù Cristo che ha detto e ripetuto: «Io sono la Luce del mondo».

Abbiamo acquisito la prova che Il Verbo è stato introdotto nel preambolo per combattere il Cristo spirituale. Diciamo ora che questo Cristo spirituale al quale il Verbo è venuto a fare la guerra, è la Luce. La Luce è spirituale. La sua gloria anche. Ed è perché è spirituale che il mondo non l'ha conosciuta, che molti degli stessi suoi non l'hanno ricevuta. Se fosse entrata nel mondo circondata di una gloria materiale, il mondo stesso non avrebbe potuto ignorarla; a maggior ragione i suoi non avrebbero potuto né vederla, né riceverla. Ma Lei è di natura spirituale e, come tale, non è vista che attraverso gli occhi della fede. Per vederla occorre prima aderire a lei, riceverla per mezzo della fede. Solo quelli tra i suoi che avevano gli occhi della fede hanno visto la gloria della Luce. Gli altri non l'hanno vista e, non avendola vista, non l'hanno ricevuta. Lei è il Cristo spirituale contro il quale il cristianesimo volgare ha reagito imponendo il Verbo incarnato.

NOTE

[1] In 5:17, egli non ha in vista che l'attività taumaturgica di cui ha appena dato un esempio guarendo il paralitico e che dice emanare da suo Padre; è lo stesso pensiero di 9:4.

[2] Alcun indizio grammaticale lo segnala, poiché il pronome greco, di' autou, che indica l'autore del mondo, a tener conto solo della forma, potrebbe applicarsi altrettanto bene alla Luce come al Verbo.

[3] Il personaggio che, da 10b a 13 è alluso senza essere designato è messo al maschile; ora il termine greco che indica la luce è neutro mentre il termine che indica il Verbo è maschile.

[4] L'interpolazione si è del resto limitata ad aggiungere una lettera al pronome che originariamente era auto. Mentre si legge oggi auton.

[5] Si veda più oltre, pag. 91.

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