martedì 1 dicembre 2020

«Il Quarto Vangelo» (Joseph Turmel) — 18) Il Vangelo di san Giovanni

 (segue da qui)

9. — Il Vangelo di san Giovanni.

Il quarto Vangelo è stato scritto in uno spirito marcionita; poi è stato completato in uno spirito cattolico. È, se si vuole, l'edizione cattolica di un libro marcionita. Il Cristo giovanneo è, al contempo, un Dio disceso direttamente dal cielo sotto un involucro etereo, e un semidio rivestito di un corpo carnale. Come il personaggio della favola antica, ha due volti. Tiene anche due linguaggi. Sminuisce ed esalta la legge mosaica così come i profeti. Respinge e insegna la resurrezione. Egli dichiara che Maria non è sua madre, che la carne non serve a nulla; questo non gli impedisce di affermare che non si avrà la vita eterna se non si crede alla sua carne. Annuncia la defezione di Pietro, e gli affida la sua Chiesa. E la tradizione ha dovuto fare degli sforzi inverosimili per armonizzare quelle frasi incoerenti.

La redazione marcionita si è fatta in due parti. Una prima bozza è apparsa intorno al 135, mentre l'altra contenente il capitolo 21 e la maggior parte del discorso della cena si colloca qualche anno più tardi. Giustino ha conosciuto quella redazione. Quanto alla redazione cattolica, essa non può essere anteriore al 170 circa o addirittura al 175 per due ragioni: primo, perché essa ha conosciuto e utilizzato Giustino; e secondo, perché la dottrina dello Spirito Santo, che è una delle sue caratteristiche, rivela un'influenza montanista.

Ora che siamo arrivati per via critica a svelare le origini del quarto Vangelo, domandiamo al libro se ha delle informazioni aggiuntive da fornirci. Ce ne procura due. Ci insegna, da una parte, che è l'opera dell'apostolo Giovanni e, d'altra parte, che è stato scritto dal discepolo prediletto. È il titolo che ci dà il primo riferimento; è nel testo, 21:24, che troviamo il secondo.

È ben evidente che né l'apostolo Giovanni né un discepolo prediletto contemporaneo di Gesù, hanno scritto un libro la cui prima edizione si colloca intorno al 135. Quindi non si deve discutere il valore di quelle informazioni, che non possono avere alcuno. La questione è unicamente sapere da quale fonte derivano.

Occupiamoci prima di tutto dell'attribuzione all'apostolo Giovanni. Si deve affermare senza esitazione che la redazione marcionita vi è completamente estranea. Da Marcione si insegnava che i Dodici, dopo il ritorno del Cristo al cielo, avevano alterato la dottrina del Maestro sotto la pressione delle loro preoccupazioni ebraiche. Si aggiungeva che Paolo, interpretato secondo i principi di Marcione, aveva corretto il loro errore e ristabilito la verità. Lo scrittore marcionita del quarto Vangelo avrebbe pensato di imprimere una macchia al suo libro, apponendovi un'etichetta apostolica diversa da quella di Paolo; e non poteva nemmeno trasformare Paolo in compagno di Gesù. Concludiamo che l'editore cattolico è il solo responsabile dell'attribuzione del nostro Vangelo all'apostolo Giovanni. Andrà subito cercato il motivo che ha ispirato questa finzione.

Non è lo scrittore marcionita che ha dato al quarto Vangelo il patrocinio dell'apostolo Giovanni. Ma non è lui che lo ha lanciato sotto il nome del discepolo prediletto? Prima di rispondere, soffermiamoci per un momento davanti a questo personaggio misterioso.

Appare una prima volta nel pasto d'addio dove riposa sul petto di Gesù (13,23). Lo ritroviamo al Calvario dove Gesù gli affida Maria (19,26); poi alla tomba dove arriva prima di Pietro (20,4); poi nella scena del lago di Tiberiade dove rivela a Pietro la presenza del Signore. In questi quattro punti (si suppongono qui le interpolazioni riconosciute e scartate, si veda pag. 80 e 93) la sua superiorità su Pietro è nettamente stabilita. È lui che riposa sul petto di Gesù; è a lui che Gesù affida la sua madre putativa; è lui che, per primo, comprende il mistero della tomba vuota; è lui che, per primo, riconosce Gesù. Egli occupa il primo posto nell'affetto del Maestro, il primo posto nell'ordine della fede. Pietro non viene che dopo di lui. Ora Pietro è qui un simbolo; egli rappresenta il corpo degli apostoli, il corpo episcopale. Il discepolo prediletto è al di sopra dei vescovi, al di sopra degli apostoli; è il cristiano perfetto, il cristiano che conosce il Cristo spirituale, che lo riconosce mentre Pietro — sul lago di Tiberiade — prende questo Cristo per uno straniero.

È lo scrittore marcionita che ha creato il discepolo prediletto. Stando così le cose, non si ha il diritto di concludere che è lui anche che, in 21:24, ci presenta questo personaggio fittizio come l'autore del Vangelo? Questa conclusione sarebbe plausibile, se non ci fosse un altro testo che io ho passato sotto silenzio, e che merita pertanto di attirare la nostra attenzione. Si tratta di 19:35. Là il discepolo prediletto interviene ancora, ma, questa volta, fa funzione di testimone. Egli attesta di aver visto il colpo di lancia inferto dal soldato romano. Certifica che questo colpo di lancia ha prodotto un'effusione di sangue e d'acqua. Proprio lui, l'amico intimo del Cristo spirituale, tradisce il suo Maestro e si mette al servizio del Cristo carnale. Lui, che deve la sua esistenza allo scrittore marcionita, eccolo cooptato dall'editore cattolico di cui difende la tesi.

Resta da vedere se questo caso è unico, oppure se, al contrario, l'editore cattolico che, in 19:35, ha obbligato il discepolo prediletto a lavorare per lui, non lo abbia messo altrove nella stessa situazione. Sottolineiamo la lode che, in 19:35, egli fa del suo agente. «La sua testimonianza è vera», ci dice. Insiste persino e aggiunge facendosi lui stesso garante: «E egli sa che dice il vero». (Costruzione bizzarra il cui solo significato possibile è: «Proprio io, che scrivo queste righe, so che il testimone che ha riferito queste cose dice il vero»). Ora, in 21:24, ci ritroviamo di fronte allo stesso spettacolo. Anche là il discepolo prediletto è implicato. Ci è presentato come l'autore del Vangelo. Poi la sua veracità ci è garantita dall'espressione seguente: «E noi sappiamo che la sua testimonianza è vera». In 21:24, come in 19:35, lo stesso espediente contorto è messo in azione perché il lettore abbia una fiducia assoluta nel discepolo prediletto. È la stessa macchina che ci è messa davanti agli occhi; concludiamo che dietro di essa c'è lo stesso macchinista. In 19:35, il discepolo prediletto lavora per conto dell'editore cattolico; in 21:24, non ha cambiato patrono. È ancora l'editore cattolico che lo fa servire ai suoi fini. È lui che ci assicura che il quarto Vangelo è l'opera del discepolo prediletto e che, avendo scritto il nome dell'apostolo Giovanni sul frontespizio di questo libro, ha identificato, tramite lo stesso, il discepolo prediletto con l'apostolo.

Quale motivo ha avuto di scegliere l'apostolo Giovanni per farne l'autore del quarto Vangelo? Questo ci riporta alle operazioni che richiesero il salvataggio di questo libro. Ho descritto più sopra (pag. 117) la prima di quelle operazioni. Mi resta di parlare della seconda.

Dal momento che Montano aveva preteso di essere il Paraclito, il Vangelo del Paraclito era rifiutato da tutta la parte del mondo cattolico che respingeva il movimento montanista. La trasformazione del Paraclito in Spirito di verità, pur portando qualche rimedio al male, non era in grado da sola di disarmare gli avversari, poiché lo Spirito rivendicava la paternità dei trasporti estatici in onore tra i montanisti. Vangelo del Paraclito o Vangelo dello Spirito, il libro caro ai montanisti si scontrava con una formidabile opposizione nel mondo cattolico. Per farla tacere, un potente patrocinio non era troppo. Ora, a quel tempo, l'Apocalisse godeva di un notevole prestigio in tutta l'Asia Minore; e l'Apocalisse passava per essere l'opera dell'apostolo Giovanni (Giustino, Dialogo 81:4). Il nome di Giovanni era quindi uno scudo utile. Forse i tratti del nemico si sarebbero dissolti contro di lui. In ogni caso, l'esperimento valeva la pena di essere fatto.

L'esperimento è riuscito. Protetto dall'Apocalisse di cui era considerato il fratello, il quarto Vangelo divenuto il vangelo di San Giovanni resistette agli attacchi che gli furono sferrati. Non aveva un secolo di esistenza che già i suoi nemici, gli alogi, erano svaniti. Ma qui, dove si tratta di spiegare la formazione di questo libro, non si deve descriverne la storia. Limitiamoci a dire che il quarto Vangelo, nato intorno al 135, ha atteso gli anni 170-175 per divenire, dopo essersi prima espanso, il Vangelo di san Giovanni.

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