martedì 1 dicembre 2020

«Il Quarto Vangelo» (Joseph Turmel) — 1) Il Cristo giovanneo rinnega Maria

 (segue da qui)

PARTE PRIMA

PRIMA REDAZIONE DEL QUARTO VANGELO

1. — Il Cristo giovanneo rinnega Maria.

Il Cristo giovanneo inaugura la sua vita pubblica assistendo alle nozze di Cana (2:1-12). Nel corso del pasto, Maria che, a sua volta, è presente, lo avverte che il vino manca. E Gesù risponde: «Che c'è fra me e te, donna?» Da sempre questa strana risposta ha turbato la fede dei credenti. Ci si domanda come un Dio incarnato abbia potuto parlare così a colei a cui doveva la sua natura umana. Diverse spiegazioni sono state proposte. Ma ci si è reso conto che quelle spiegazioni artificiali hanno portato tutti a confondere la domanda o a sostituirla. Tuttavia, la fede non poteva mancare di avere l'ultima parola. Qui, come altrove, ha trionfato sulla difficoltà. Ma non ha ottenuto il suo trionfo se non rifugiandosi nel mistero. Ci si è chiusi gli occhi; si ha rinunciato a comprendere. Si è detto che Dio aveva avuto le sue ragioni per parlare come ha fatto. E, quelle ragioni, le si ha adorate senza avere la pretesa di conoscerle.

I credenti non sono i soli che la risposta del Cristo ha sconcertato. I critici, anche loro, di fronte ad essa sono stati colpiti da uno stupore che non hanno potuto dissimulare. Senza dubbio non erano più alle prese con un Dio realmente fatto uomo; non avevano a che fare se non con una divinità fittizia. Ma era necessario per loro giustificare quella finzione. Dovevano spiegare come uno scrittore comincia a presentarci il Verbo incarnato, poi gli mette sulle labbra delle parole di rinnegamento contro sua madre. Non si sono affatto messi in cerca di nuove soluzioni: hanno adottato le spiegazioni ricevute dai credenti, spiegazioni di cui la principale consiste nel dire che, nel Cristo, la divinità è indipendente da Maria e che l'espressione: «Cosa c'è in comune tra me e te?» proclama questa indipendenza.

Così i critici non hanno trovato nulla di meglio rispetto ai credenti per rendere conto della risposta del Cristo giovanneo a Maria. Ma, mentre i credenti, messi in presenza di una soluzione che sanno insufficiente, rinunciano alla comprensione e si rifugiano nel mistero, i critici non hanno questa comoda risorsa. Loro non possono nascondersi dietro i consigli insondabili della Provvidenza; non hanno il diritto di chiudere gli occhi; sono tenuti ad averli sempre ben aperti e a denunciare senza pietà tutto ciò che non è che un escamotage. Rileggiamo il celebre testo. Vi constatiamo tre cose: il pensiero che vi è espresso, la svolta data a questo pensiero, l'assenza della parola «madre» al posto della quale si presenta la parola «donna». Il pensiero fondamentale è che il Cristo non è nulla per Maria, che Maria non è nulla per il Cristo. La piega interrogativa data alla frase è il procedimento al quale si ricorre quando si lancia una sfida; qui ha il senso di una provocazione; e, di conseguenza, al posto di attenuare il pensiero, lo accentua. Liberata dall'interrogazione che la circonda, la replica significa: «Io non ti devo niente», oppure «non vi è niente in comune tra noi». Con l'interrogazione il senso è: «Prova dunque, se tu lo puoi, che io ti devo qualcosa, che vi sia qualcosa in comune tra noi!» E, per completare la sfida, Maria è apostrofata col nome di donna che qui significa: «Ti si considera come mia madre, ma tu sai bene che tu non lo sei». Ho detto che questa parola completa la sfida. È essa, in effetti, che chiude la replica. Nel terminarla la motiva; e il senso della frase è questo: «Tu passi per essere mia madre, e il mio storico stesso ti dà questo nome per conformarsi all'opinione comune («la madre di Gesù era là»); ma, in realtà, tu non sei mia madre; io non ti devo niente».

Mi si dirà che mi spingo ad un'enormità. Rispondo che in materia teologica le sole idee esagerate sono quelle che non possono essere situate nella Storia. Cercherò più tardi se la mia interpretazione è sprovvista di attestazione durante il periodo delle origini cristiane. Per il momento io seguo il mio testo senza preoccuparmi di sapere dove esso mi porta. Io lo seguo, vale a dire che io marcio dietro di lui, e mi lascio dirigere da lui, e mi astengo dal dirigere me stesso al capriccio della mia fantasia. La replica: «Cosa c'è in comune?...» contiene una negazione formale, eclatante, della maternità divina di Maria. Devo concludere, a meno di indizi contrari, che questa negazione esprime il pensiero dell'autore.

Dove sono quelli indizi? Accade a volte agli oratori di venir traditi dall'ebbrezza delle parole, e di dire quello che non volevano dire. Ma noi abbiamo a che fare qui con un pezzo di stile studiato a lungo; noi siamo di fronte ad un'improvvisazione oratoria. Vediamo anche tutti i giorni le menti incolte e i vecchi esausti smarrirsi in un vocabolario di cui non hanno mai avuto o di cui hanno perduto la padronanza. Ma l'autore del quarto Vangelo sa rivestire le idee più elevate delle loro sfumature più delicate. Come credere, che volendo insegnare una dottrina, egli abbia insegnato un'altra del tutto diversa da quella che aveva in testa? Infatti è a questo risultato che si arriva non appena ci si diparte dalla lettera del testo. Il Cristo giovanneo, si dice, ci insegna a Cana che Maria non partecipa per nulla alla sua divinità così come al suo potere taumaturgico. Sia. Ma, per esprimere questa verità così semplice, egli si è servito di un gioco di parole che ha imbrogliato tutto; non ha saputo dire quel che voleva dire.

Altri ci assicurano che il rimprovero del Cristo si rivolge non a Maria, ma alla sinagoga, all'antica alleanza. Acconsento. Ma mi si concederà che l'autore è stato ben infelice nella scelta delle sue espressioni, e che il bifolco più grossolano sarebbe stato meno maldestro. E poi, se voleva porre sulle labbra del Cristo delle parole di condanna contro la sinagoga, non poteva farlo senza incaricare Maria di rappresentare in quel momento addirittura la sinagoga? La decenza più elementare non gli impedì di far entrare la madre del Cristo in questo odioso simbolismo? D'altra parte, nessun uomo è stato abbastanza pazzo da domandarsi se il Cristo dovesse la sua divinità o la sua virtù taumaturgica a Maria. Nessuno ha avuto bisogno di fissarsi su questo punto. E il Cristo giovanneo ha proclamato il più insipido dei truismi se, come pretendono i critici così come i credenti, ha dichiarato di non tenere da Maria la sua divinità e i suoi poteri soprannaturali. In poche parole, l'espressione «Cosa vi è in comune?...», come la si comprende comunemente, oltre ad offendere le leggi del linguaggio, contiene più di un'indecenza e di un'insopportabile banalità.

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