sabato 17 dicembre 2022

L'INVENZIONE DI GESÙConclusione

 (Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro di Bernard Dubourg, «L'invention de Jésus. 1, L'Hébreu du Nouveau Testament». Per leggere il testo precedente, segui questo link)

Indice

Introduzione

  1. L'ebraico del Nuovo Testamento
  2. Pietra e figlio in Flavio
  3. L'enigma di un marchese
  4. Prestiti nel piatto (René Girard affronta i Vangeli)
  5. Alcune cifre
  6. Ricerca su Giovanni 1:1-2
  7. Effetti di Sapienza su Genesi 1:1
  8. Figlio dell'uomo: un calcolo

Glossario e riferimenti

Conclusione

Conclusione

È indifferente ai miei fratelli umani se parlo al mio cane in greco (della koiné o meno), in mongolo o in sioux. Il mio lettore converrà senza difficoltà che non mi è indifferente, per contro, di sapere in quale lingua mi parlano, diciamo, i Veda, il Shūjīng, il Corano o un narratore wolof. E qui: non mi è certo indifferente assicurarmi che gli autori dei testi fondatori del cristianesimo — Vangeli, Atti degli Apostoli,  Epistole, Apocalisse detta di Giovanni (senza contare tanti apocrifi...) — si esprimessero in ebraico. Quali che siano, siano state e possano essere le lamentele  molto efficaci finora — dei «grecisti», io affermo che si deve ormai abbandonare la tesi di una scrittura originariamente greca (o anche aramaica) di questi testi e constatare, senza il minimo dubbio permesso, la loro appartenenza globale alla letteratura giudaica-ebraica.

In tutto questo libro, mi sono dapprima impegnato a far rinvenire il Nuovo Testamento nella sua lingua originale. Mi sono impegnato contro i grecisti, contro gli esegeti della Chiesa (quelli dei primi secoli come quelli di oggi) e contro la Chiesa stessa. Di fronte a questo bel mondo e alla sua unanime cecità, mi sono accontentato di chiedere il rispetto del corpus neotestamentario — rispetto che esige ogni opera letteraria, quello di essere letta, giudicata e interpretata nella lingua che fu dall'inizio la sua. 

Si tratta per me di concludere; non è questione quindi di tornare indietro sulle mie dimostrazioni. Mi si permetta soltanto di ornarle con qualche conseguenza.

1. Gli scrittori neotestamentari primitivi erano giudei-ebrei (palestinesi) che utilizzavano una lingua ritenuta sacra da loro. Scrivendo in ebraico i testi che compongono il Nuovo Testamento, questi autori erano consapevoli, fin dall'inizio, di utilizzare un alfabeto divino. In ciò, non si distinguevano per nulla — più o meno — dai Sadducei, dai Farisei, dai Samaritani, dagli Zeloti, dagli Esseni e dagli Gnostici (samaritani-ebrei o giudei-ebrei).

2. Scrivendo il Nuovo Testamento in ebraico, questi autori non solo ritengono di utilizzare l'alfabeto divino: pensano di utilizzarlo sapientemente; sono convinti di produrre testi degni dell'alfabeto divino. Giudei-ebrei compositori di testi in ebraico, gli scrittori primitivi dei Vangeli (e del Nuovo Testamento nel suo insieme) erano quindi dei Saggi. Lungi dall'essere degli illetterati — come ce li dipingono tanti Padri della Chiesa e il triste Renan — questi scrittori appartenevano, nella gerarchia sottile, stretta e precisa del mondo ebraico-palestinese, alla categoria delle persone più istruite.

3. Gli scrittori primitivi del Nuovo Testamento non sono solo dei Saggi giudei-ebrei che producono testi ebraici: sono dei Saggi che, così facendo, affermano una continuità grafica (e quindi, secondo loro, teologico-scientifica) tra la loro produzione e la Torà. Utilizzando l'ebraico, questi autori sanno di utilizzare la stessa lingua di YHWH — la lingua della sacra-divina Torà. Utilizzando l'ebraico (e non l'aramaico), essi affermano quindi che i loro testi prolungano la sacralità del Pentateuco. Basti dire che i testi che compongono il Nuovo Testamento originale, semitico — Vangeli, Epistole, Atti, Apocalisse di Giovanni, così come vari apocrifi (Il Pastore di Erma, ecc.) — sono ritenuti fin dall'inizio dai loro scrittori come testi aventi forza di legge. 

4. L'ebraico — spero di averlo ben mostrato in tutto il libro — non è una lingua come le altre. Gli scrittori neotestamentari, scrivendo in ebraico, sanno di lavorare sulla lingua sacra-divina della Torà; ma sanno anche di lavorare su una lingua duplice, 

Il tema dell'ebraico doppia lingua è frequente nei Salmi e nei libri profetici: tema del «hanno orecchie e non intendono».

nel contempo essoterica ed esoterica. La lavorano quindi nel contempo in chiaro e nel quadro dei suoi modi operativi tradizionali (cabalistici, nel senso etimologico del termine): così facendo, si trovano in perfetto accordo con i Sadducei, i Farisei, ecc. E si trovano, consapevolmente, in perfetto disaccordo con le lingue diverse dall'ebraico — con tutte le lingue, reali o possibili, dei Gentili, le lingue che sono solo essoteriche, volgari, non sacre, non divine.

5. Usando l'ebraico, una lingua esoterica-esoterica, i nostri scrittori si rivolgevano solo ai giudei-ebrei, infatti solo questi ultimi erano capaci di afferrare i due poli dei testi in questione: il polo semplicemente narrativo e il polo cabalistico. Ora il polo cabalistico era considerato il più importante dagli scrittori neotestamentari primitivi: in caso contrario, avrebbero scritto i testi del corpus in greco o in aramaico (lingue volgari, lingue solo essoteriche — lingue indifferenti a YHWH).

6. Utilizzando l'ebraico, gli scrittori del Nuovo Testamento utilizzano una lingua nel contempo chiara e codificata, una lingua che, in quanto divina-sacra, è nel contempo comprensibile, in quanto tale, da tutti e comprensibile solamente dagli iniziati.

Il tema dell'iniziazione è costante nei Vangeli: tema del «parlo loro perché non comprendano» — e tema, inverso, della parabola (il MŜL, il racconto pittorico che eleva i non iniziati ad altezze che sono per loro, di per sé inaccessibili).

L'ebraico del Nuovo Testamento, come l'ebraico in generale, è nel contempo traducibile (in quanto lingua essoterica) e intraducibile (in quanto lingua codificata). Riversando il Nuovo Testamento nel dominio greco, gli antichi traduttori del corpus hanno tradito la metà — esoterica, cabalistica (la più importante!) — di questo corpus.

7. Il Nuovo Testamento, in quanto corpus cabalistico-ebraico, era originariamente destinato solo a lettori ebrei — non ai Gentili — e solo a lettori giudei-ebrei — non ad ebrei di lingua greca, aramaica, latina o altro. Il corpus non era quindi destinato ad essere tradotto.

In ciò si può dire che il Nuovo Testamento rassomiglia alla Bibbia; sia l'Antico che il Nuovo Testamento perdono, nella traduzione, tutto ciò che li giustifica: si sbarazzano dei loro modi — esoterici — di produzione.

Per esprimere la cosa più direttamente: il Nuovo Testamento primitivo non era destinato né all'Occidente in generale, né, in particolare, al Papa e ai suoi sostenitori (la cattolicità) o oppositori (i protestanti di ogni tipo): né a Roma, né a Wittenberg, né a Ginevra, né a Canterbury! Una volta tradotto in lingue non divine e non sacre, il Nuovo Testamento, come la  Bibbia prima di esso, è diventato un controsenso.

Ed è su questo controsenso che le Chiese si sono perfezionate.

8. Gli scrittori primitivi del Nuovo Testamento concordavano, in quanto giudei-ebrei eruditi, con l'insieme delle correnti giudaiche-ebraiche palestinesi esistenti al loro tempo. Come loro essi tenevano per acquisiti, indiscutibili, i seguenti punti:

 la sacralità e la divinità della Torà, parola divina che segna l'alleanza di YHWH con Mosè;

 la sacralità e la divinità della lingua ebraica, lingua nel contempo esoterica ed essoterica, lingua codificata e, pertanto, intraducibile;

 il carattere apparentemente limitato della Torà (parola divina indefinita ma contenuta nella lunghezza finita, limitata, del Pentateuco).

Su questi tre punti, non esiste, in partenza, alcuna differenza tra i giudei-ebrei di Palestina, qualunque siano peraltro le correnti (religiose o religioso-politiche) alle quali appartengono.

9. Ma questi stessi scrittori neotestamentari — e la corrente particolare da cui sono derivati — si trovarono immediatamente in flagrante conflitto con le altre correnti del giudaismo su due punti essenziali, punti che segnano la rottura tra il giudaismo cristiano 

Il giudaismo cristiano, lo sottolineo, e non il cosiddetto «giudeo-cristianesimo» dei nostri poveri esegeti grecisti... 

e il giudaismo ortodosso (sadduceo, fariseo, zelota, ecc.): 

 la maniera per oltrepassare la finitudine della Torà;

 la questione del tempio di Gerusalemme.

10. Sadducei, Farisei, Zeloti, Esseni, Samaritani e Gnostici ebrei (giudei o samaritani) concordano con i cristiani primitivi sul carattere sacro della Torà; la Torà, per tutti indistintamente, è il messaggio di YHWH.

Ma l'intesa tra di loro si rompe non appena si tratta per ciascun gruppo religioso di definire cosa ne è, concretamente, di quella sacralità.

Dalla sacralità della Torà, i Sadducei deducono il suo carattere di completezza; per loro, la Torà contiene la parola divina e la sua interpretazione; i Sadducei non risparmiano quindi spazio alla novità, anche se relativa, del midrash e della tradizione (orale o cosiddetta).

Pur affermando la sacralità della Torà con lo stesso vigore dei Sadducei, i Farisei ne constatano il carattere finito; parola infinita di YHWH, la Torà contiene solo un numero finito di lettere. Per compare questo vuoto — vuoto al quale i Sadducei sono (o vogliono) indifferenti — i Farisei ricorrono al midrash, vale a dire alla decodifica (al commentario che decodifica, che interpreta): Sì, il Pentateuco è limitato, ma quella finitezza è solo un'apparenza; Mosè, scrivendo la Torà (idea comune agli ebrei e ai Samaritani, e ai giudei cristiani-ebrei), ha scritto un testo codificato: sta a noi, mediante un lavoro indefinito di decodifica, cogliere la vera infinità del testo sacro sotto la sua apparente finitezza. Raccogliendo i dati della tradizione passata (i midrashim del passato, accumulati nei secoli) 

Quello che gli studiosi, decisamente fuorviati, chiamano la «Tradizione Orale» (dove sono andati a cercare quella «oralità»?).

e arricchendoli, minuto per minuto, con i dati del midrash in procinto di farsi, i Farisei intendono colmare l'abisso che vedono tra la Torà visibile (codificata e da decodificare, visibilmente finita) e la Torà reale (infinita).

Gli Zeloti, gli Esseni e i Samaritani — anche se con delle sfumature — si collocano, di fronte a questo problema, sul lato farisaico.

Gli scrittori primitivi del Nuovo Testamento condividono innanzitutto la visione farisaica: anche loro vedono il divario esistente tra la Torà visibile-finita e la Torà invisibile-infinita. Come i Farisei, essi pensano che questo divario possa essere tendenzialmente colmato: si deve, senza che questo scopo sia ovviamente ottenibile, decodificare il testo del Pentateuco; si deve cercare di colmare l'abisso finito/infinito per mezzo del midrash (decodificando, quindi, il testo sacro a colpi di calcoli gematrici, di notarici, e di permutazioni temuriche). Ciascun midrash produce, sul testo, del testo (delle nuove parole visibili, delle nuove lettere, dei nuovi versi): ciascun midrash lotta contro la finitezza del testo e cerca, sotto di essa, di raggiungere l'infinito. 

Ed ecco proprio è il significato originale della parola midrash: «ricerca» (ebraico DRŜ, «cercare»), e non «commentario».

11. Accordo, quindi, tra Farisei e cristiani ebrei primitivi sullo scopo del midrash (colmare il divario di cui ho parlato) e sui suoi metodi (le decodifiche cabalistiche).

Ma disaccordo totale sul risultato dell'operazione. Infatti, colmando il vuoto tra Torà visibile e Torà infinita, ecco che i giudei cristiani-ebrei-primitivi pretesero di «adempiere» il testo sacro (pretesa che non è mai stata quella dei Farisei) — molto meglio (e qui la rottura è assoluta): pretesero di adempierlo storicamente.

In questo, i cristiani primitivi-ebrei si ricongiungono agli Gnostici.

E qui sta in effetti lo scisma, in seno al giudaismo, tra il cristianesimo giudaico ebraico primitivo (non ancora tradotto in greco!) e le altre correnti palestinesi: i cristiani sono convinti che decodificando il testo sacro verso l'infinito (spingendolo verso l'infinito grazie al midrash e ai suoi metodi), essi producano personaggi reali, fatti reali, luoghi reali, eventi. Sono convinti che il midrash adempi il Pentateuco e la Bibbia ebraica nel suo insieme, e che questo adempimento sia storico.

Si vedano, nei Vangeli, tutti i versi — sono innumerevoli, non è vero? — che indicano esplicitamente che i protagonisti della narrazione (e non solo Gesù-Giosuè) fanno questo o quello in vista di adempiere la Scrittura.

12. Risultato dell'idea che gli scrittori primitivi del Nuovo Testamento si fecero del midrash e dei suoi poteri storici: la caducità della Torà stessa. A forza di credere, servendosi dei metodi cabalistici (tradizionali) del midrash, di decodificare la Torà e allo stesso tempo di adempierla storicamente e di darle occasione di incarnarsi nel reale, i primitivi cristiani, ebrei, sono venuti a pensare che l'adempimento del Pentateuco (e dei testi profetici, e dei Salmi, essi stessi midrashim del Pentateuco) valesse meglio del Pentateuco stesso: e si finì allora al tema giudeo-cristiano-ebraico  (e non greco!) della sostituzione della Torà e dell'alleanza che contiene (quella di Mosè) con la nuova alleanza, l'alleanza di Gesù-Giosué.

Essendo Giosuè (Gesù), subito dopo il Pentateuco in effetti, il successore di Mosè.

Ma va subito precisato che i cristiani primitivi hanno dapprima concepito il midrash come adempimento storico del testo sacro, e che la loro certezza della caducità della Torà di Mosè è venuta solo in seguito: infatti fu proprio per mezzo del midrash, vale a dire per mezzo della decodifica cabalistica della Torà, 

Della Torà poi dei Profeti, dei Salmi, ecc. Tutti i testi biblici che seguono il Pentateuco sono, in un modo o nell'altro, midrashim del Pentateuco — e sono considerati tali sia dai Farisei che dai cristiani giudei-ebrei primitivi. 

che essi hanno prodotto la figura di Gesù come Messia e visto in lui il Giosuè successore di Mosè, poi il Giosuè che rese storicamente caduchi, in effetti, la Torà e l'antica alleanza.

L'invenzione di Gesù si è fatta progressivamente, come testimonia il fatto che numerosi apocrifi cristiani antichi o lo ignorano (il caso del Vangelo di Pietro, del Pastore di Erma, ecc.) o lo confondono ancora con il Giosuè biblico (il caso dell'Epistola di Barnaba). 

13. Tutti i concetti presenti nel Nuovo Testamento sono giudaici-ebraici; nessuno di questi concetti è greco (ellenistico). Tutti sono o biblici o derivati, per midrash (cabalisticamente), dalla Bibbia.

Intendendo per «Bibbia» l'Antico Testamento, e intendendo per «Antico Testamento» la Bibbia ebraica come esisteva al tempo del cristianesimo nascente (e non la versione masoretica).

14. La rottura tra Sadducei, Farisei, ecc. e cristiani primitivi non verte solo sulla questione del midrash come adempimento storico, o meno, delle Scritture sacre. Verte anche sulla questione di Gerusalemme e del suo tempio.

Il Nuovo Testamento è originariamente ebraico, e vi si parla del tempio di Gerusalemme non come di un tempio distrutto ma come di un tempio ancora in piedi: 

In piedi e destinato a restarlo se l'escatologia non interferisce!

questi due fatti mostrano che nessun testo del corpus è posteriore all'anno 70 (data della presa di Gerusalemme da parte di Tito, data, anche, della distruzione del santuario).

La traduzione del Nuovo Testamento in greco è parzialmente anteriore e parzialmente posteriore all'anno 70. — E quando dico che nessun testo ebraico-primitivo del Nuovo Testamento è stato scritto dopo il 70, includo beninteso nella mia affermazione l'Apocalisse di Giovanni: infatti questo libro non descrive affatto le persecuzioni romane, ma produce chiare allusioni agli attacchi diretti dai Sadducei-giudei e dai Farisei-giudei palestinesi contro i cristiani-giudei palestinesi, e annuncia, non la rovina di Roma, ma quella di Gerusalemme, città che gli scrittori paragonano all'esecrata Babilonia. 
A questo proposito, conviene sottolineare, non senza sorridere, che i «sette monti» che servono da sito alla «donna» (Apocalisse 17:9) non sono i sette colli di Roma, ma proprio le sette montagne — detto altrimenti, la pienezza dei monti — sulle quali è costruita Gerusalemme! (cfr. a titolo di prova: il capitolo su Giona nel  Pirke de-Rabbi Eliezer: «Infatti è detto: Io sono disceso fino alle radici dei monti (Giona 2:6) — da cui noi apprendiamo che Gerusalemme si trova su sette montagne». I sette cosiddetti colli di Roma del nostro testo sono qui, infatti, il Monte Sion, il Monte Moria, il Monte Sacro (o la Montagna Sacra), il Monte della Mia Santa Bellezza, il Monte della Casa del Signore, il Monte del Signore Sabaoth, e l'Alta Montagna delle Montagne: tutti termini presenti nella Bibbia e non in Tito Livio!

I Farisei, come i Sadducei, ritengono il tempio il riferimento geografico sacro della loro religione.

I Samaritani hanno lo stesso riferimento assoluto, ma lo collocano sul monte Gerizim.

I cristiani primitivi, giudei-ebrei, accettano dapprima di mantenere giudaicamente valido quel riferimento (da cui, nei Vangeli o negli Atti, la presenza di vari personaggi del racconto nel tempio e la menzione del loro rispetto per il culto che vi si tiene); ma finirono per abbandonarlo quando si resero conto che la loro maniera di intendere e di vivere il giudaismo sarebbe stato perseguitato per sempre dal clan sacerdotale (da cui, nel Nuovo Testamento, l'odio per il tempio e per Gerusalemme).

Nel loro progressivo rifiuto del tempio e di Gerusalemme, i cristiani primitivi rassomigliano agli Esseni. Ma l'odio cristiano per il santuario e per la città finì per superare quello degli Esseni: divenne definitivo.

E questo rifiuto cristiano fu dapprima un rifiuto ebraico: fu in quanto giudei-ebrei che i cristiani primitivi arrivarono a sostituire il santuario vituperato con il corpo del Messia e la città vituperata con la Gerusalemme celeste. Fu in quanto, secondo loro, buoni giudei e buoni ebrei che i cristiani affermarono la necessità di questa sostituzione. Sostituzione che culminò, sempre in ebraico, nell'Apocalisse di Giovanni e nella sua visione della Gerusalemme celeste (la città, infine, di YHWH — la città infine liberata, non dai giudei-ebrei, ma dai Farisei e dai Sadducei).

Gli Esseni non odiano Gerusalemme e il suo santuario: odiano il potere che se ne è impadronito. I cristiani-giudei ebrei spinsero invece l'odio verso questo potere fino all'attesa escatologica della distruzione della città e del suo santuario. — Ora (e questo è il colpo di fortuna del cristianesimo) il 70 è arrivato e l'attesa si è storicamente realizzata: il 70 ha visto adempiersi la profezia cristiana-ebraica!

Quando qualche anno fa mi sono accinto a interrogarmi sulla lingua originale del Nuovo Testamento, ero lontano dal dubitare delle estreme conseguenze di quella interrogazione. Credevo di dovermi accontentare di criticare il punto di vista grecista... Ma, come ci si è appena reso conto, la rimessa in discussione della lingua primitiva del corpus porta a più di un furtivo cambio di dizionario. Porta a un riesame totale dei modi di produzione dei testi fondatori del cristianesimo e, grazie a questo riesame, al problema dell'invenzione di Gesù.

Da questo riesame e dalla sua portata lascio ora al mio lettore il compito, a sua volta, di trarre le giuste conseguenze che vorrà.

Via di Cap du Bosc, 1981-1986

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