martedì 13 dicembre 2022

L'INVENZIONE DI GESÙRicerca su Giovanni 1:1-2

 


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Ricerca su Giovanni 1:1-2

«In principio era il Verbo...» — chi non conosce il Prologo di Giovanni?

Eppure si tratta del testo evangelico più massacrato dai grecisti e dalle Chiese. Il testo che tutti noi, cristiani come non cristiani, riteniamo il più significativo del cristianesimo primitivo si trova, per colpa dei grecisti e delle Chiese, ridotto alla triste condizione di un controsenso.

Ampiezza e portata del controsenso? considerevole (è il caso di dirlo) come al solito. Retrovertendo l'inizio del Prologo e facendogli reintegrare il suo originale ebraico, mostro come la questione della prima lingua del Nuovo Testamento sia, in fondo, poco linguistica: essa tocca, di fatto, la storia stessa degli inizi del cristianesimo.

Quando dico che il Nuovo Testamento deve essere sottoposto ad una retroversione (dal greco verso il suo ebraico nativo), non dico solo che bisogna fargli subire un cambiamento di lessico: dico che bisogna finalmente considerarlo un monumento della letteratura ebraico-palestinese, un monumento del giudaismo. E quella affermazione è sufficiente, in effetti, a rimettere in discussione tutta la nostra conoscenza degli inizi del cristianesimo.

Domande che si pongono adesso: 

1. Come il giudaismo è venuto a produrre il Nuovo Testamento e i concetti che contiene? 2. Perché il giudaismo ha in seguito eliminato dal suo seno i concetti cristiani che aveva esso stesso prodotti? 



Il Prologo del Secondo Giovanni, contrariamente a ciò che credono, ripetono e fanno credere, è un capolavoro della letteratura ebraica. Le quattro asserzioni sulle quali si apre 

Asserzioni generalmente e poveramente tradotte, nei limiti permessi dalla lettura del loro greco, nella maniera seguente: «In principio era il verbo — e il verbo era presso dio — e dio era il verbo — egli era in principio presso dio»

Quella traduzione è, lo si vedrà, un errore antico ormai canonico.

non hanno nulla a che vedere con il pensiero greco; non contengono la minima parte di ellenismo o di grecità.

Per l'«opinione» (il dogma) contraria, si vedano gli articoli Giovanni o logos nel primo dizionario teologico che capita.

Il «principio», il «verbo» e il «dio» di cui si parla qui non sono affatto quelli di Platone, di Aristotele, degli Stoici, di Filone o di Plotino: essi non devono nulla a Eraclito o ai Misteri e ai loro sincretismi; non sono che il risultato, nel contempo letterale e, tutto sommato, derisorio, di una trasposizione in lingua indoeuropea di un originale originariamente ebraico.

 

Il prologo al Prologo

di Giovanni di fronte all'assurdo 

In greco, 

E così in francese, poiché solo il greco del Prologo ci resta e il francese, l'inglese, il tedesco e, prima di loro, il latino, e le impalcature dogmatiche-trionfanti delle Chiese, sono modellano e si basano qui sul greco.

nessuna di queste proposizioni ha senso, e nessuna di esse si ricollega adeguatamente con le altre tre; 

Allora, lo ripeto, è su di loro — e sulle loro stupidaggini — che i Padri della Chiesa hanno tessuto secoli e secoli di teologia. 

Il giudaismo ha avuto la buona sorte di ritenere ebraica la sua Torà (anche se, come lo credono a giusto titolo i Samaritani, ne ha modificato la grafia); e l'Islam non ha mai creduto cinese o corso il suo Corano: il cristianesimo, invece, si è illuso per secoli sulla lingua dei suoi testi fondatori: questo è enorme; ed è così.

ciascuna di esse è, di per sé e con le altre, un non senso.

Si giudichi:

Detto altrimenti: si giudichi sulla base di documenti a quali problematiche comiche conduce il greco dell'inizio del Prologo di Giovanni. 

— «in principio era il verbo»: così quindi, una volta trascorso il principio, il verbo non fu più?

 «il verbo era presso dio»: così quindi, verbo e dio, in principio, erano distinti e collocati (spazialmente?) l'uno accanto all'altro? e quella distinzione e questa collocazione reciproca cesserebbe di aver corso una volta finito il tempo del principio?

 «dio era il verbo»: dio aveva quindi il verbo presso di sé mentre era lui stesso il verbo, e viceversa? e tutto questo valeva solo al tempo del principio? in seguito (il seguito di che? il seguito del principio di che?) dio non fu più il verbo, e viceversa? e il verbo non fu più allora presso dio? 

 «egli era in principio presso dio»: perché quella ripresa? A che pro quella ridondanza? 

I trattati di teologia e i cumuli di commentari e di omelie sul Secondo Giovanni non vi possono nulla: il prologo del suo Prologo, in greco, si basa su due imposture — impostura spaziale: essere questo e, nello stesso tempo, avere questo presso di sé, da una parte; impostura temporale dall'altra: definire dio in una maniera in un'epoca (ma cos'è un'epoca per dio?) lasciando immediatamente intendere che in un'altra epoca quella definizione non ha più corso.

Non si vada a credere che il mio sminuimento del testo, perché è primario, sia gratuito: bisogna leggere, già, il Commentario a Giovanni di Origene (o quello che ci hanno lasciato i copisti della Chiesa) per rendersi conto che i grandi nomi della teologia cristiana si rovellano da subito (il commentario di Origene risale alla prima metà del III° secolo) con questo tipo di questioni.


Si deve retrovertere

Si chiama retroversione l'acrobazia che consiste nel restaurare un testo secondo, derivato, tradotto, nel suo stato originale e nell'economia della lingua della sua scrittura primitiva. Quella acrobazia, nel caso di quasi tutto il Nuovo Testamento e, qui, delle prime parole del Prologo di Giovanni, è la sola via di accesso al testo, al significato e alla serietà del testo. 

Giudicare e pretendere di leggere un testo misurandone e leggendone solo la traduzione è una pretesa che sa di pagliacciata — e che conduce, lo si è appena visto, a delle pagliacciate (spazialità di Dio, la temporalità di Dio...); leggere le quattro asserzioni introduttive di Giovanni nel greco e senza altro ricorso che al greco conduce a nonsensi, a cose infantili.

Retrovertere non è dunque leggere: praticare una retroversione delle quattro proposizioni iniziali di Giovanni consiste di fatto, sotto il greco, nel ritrovare le parole ed espressioni originali, parole ed espressioni che non sono greche ma propriamente ebraiche.

Ingenuamente: retrovertere un testo tradotto equivale a rispettare il testo. Quale specialista di Lao Tzu si accontenterebbe di versioni francesi, tedesche o inglesi del Tao Te Ching ? Ma con il Nuovo Testamento, come ho detto, tutto è permesso... 


Prima proposizione del Prologo

Di conseguenza, all'inizio del Prologo, non si deve certo leggere il «in principio era il verbo» delle versioni francesi, 

Rivendicare il «al principio era la parola» di Jean Grosjean non salva in nulla dal naufragio (cfr. Nouveau Testament, Parigi, La Pléiade-Gallimard, 1971, pag. 271); più oltre, lo stesso traduttore usa la stessa civetteria sostituendo «presso» con «in»: l'assurdità del passo non si ritrova sanata.

il «in principio erat verbum» della versione latina di Girolamo, né il en arkhē ēn o logos di tutti i manoscritti greci; 

Non leggere: questo è l'imperativo cardinale di ogni retroversione; non leggere il testo già tradotto, ma penetrarlo — addentrarsi sotto di esso.

per retroversione immediata, si deve ripristinare il passo primitivo e fargli riprendere il suo ebraico d'origine.

E si deve procedere così, passo dopo passo, per le parabole, per le visioni dell'Apocalisse, per le costruzioni paoline, per le narrazioni evangeliche, ecc. — parabole, visioni, costruzioni, e narrazioni che, nel greco e nelle versioni derivate dal greco, hanno perso la quasi-totalità del loro senso (e la totalità dei loro modi di espressione): in francese, la Bibbia ebraica non è altro che una raccolta di aneddoti; in francese, come in greco, il Nuovo Testamento non è altro che una ridicola pelle di zigrino.

Al posto del greco en arkhē, «in principio», bisogna subito riscrivere con l'evangelista primitivo BRʼŜYṬ; al posto di ēn, «era», ripristinare la forma verbale HYH; e al posto di o logos, «il verbo», restaurare HDBR.

Quella retroversione è conforme all'ordine delle parole greche; non aggiunge né sottrae alcun termine; è immediata e si colloca, retroattivamente, in linea con le pratiche di traduzione ebraiche (Septuaginta, Aquila, ecc.). 

Il Prologo di Giovanni aveva dunque originariamente per prologo la frase:

BRʼŜYṬ HYH HDBR,

frase che non è mai stata scritta qui (ma tradotta) in greco; frase che non ha, di per sé, nulla a che vedere con il pensiero e la filosofia greca; frase che non è stata originariamente scritta ad uso di lettori non ebrei; e soprattutto (se posso dirlo): frase che non significa affatto «in principio era il verbo».


Seconda proposizione

Seconda asserzione del Secondo Giovanni: in greco kai o logos ēn pros ton theon, in francese il nostro «e il verbo era presso dio». Per retroverterla, conviene fare una digressione sui sistemi di cifrature ebraici.

Nella Septuaginta, logos è l'equivalente greco quasi automatico dell'ebraico DBR.

Nessun bisogno di dire che gli scrittori ebrei dei libri della Torà o di Geremia se ne infischiavano degli sviluppi del logos nella filosofia greca. Lo stesso vale per lo scrittore (o gli scrittori) del Secondo Giovanni

E quella equivalenza, lo sottolineo, non è marginale, ma massiccia: essa copre quasi tutte le occorrenze di logos e di DBR in connessione in quella versione — è una equivalenza quasi totale.

Cfr. Hatch-Redpath, Concordance to the LXX, edizione del 1975, pag. 881-887.

Essendo ciascuna lettera in ebraico nel contempo un segno alfabetico e una cifra (o un numero), si chiama gematria di una parola o di un gruppo di parole la somma delle lettere-numeri di questa parola o di questo gruppo di parole.

Dato che sotto il logos greco è DBR che va letto qui, il calcolo gematrico deve ben vertere su DBR.

Ora la D di DBR («verbo») valendo gematricamente 4, la sua B valendo 2 e la sua R valendo 200, la gematria di DBR è di 4 + 2 + 200 = 206.

Non esiste in ebraico nessuna lettera corrispondente al valore zero. Posso quindi, come me lo permette il lavoro gematrico, ridurre lo 0 di 206 e far passare questo numero al valore 26. Tramite riduzione dello 0, la parola DBR ha per gematria il numero 26.

Se si calcola la gematria di DBR (equivalente, qui, a logos/«verbo», e al suo originale) non più secondo il valore classico delle sue lettere costitutive ma secondo il loro rango nell'alfabeto, si ottiene ancora la somma 26. D è in effetti la lettera dell'alfabeto ebraico, B la , ed R la 20°; somma dei ranghi: 4 + 2 + 20 = 26. (Il calcolo gematrico per ranghi di lettere nell'alfabeto ebraico è fondamentale nel Nuovo Testamento — primitivo — così come nella Gnosi, e nessuno lo vede!) 

 

Terza proposizione

La terza asserzione di Giovanni verte sull'equivalenza tra «verbo» e «dio» (ossia, «e dio era il verbo»): quella equivalenza, inefficace e infondata nel greco, irricevibile in greco, poggia in ebraico su un'identità gematrica, identità inscritta nel cuore della lingua sacra (ritenuta tale dagli scrittori-evangelisti). «Dio» è in effetti, in ebraico, YHWH (comunemente «Jahvé»); la gematria di YHWH è: 10 per Y, + 5 per H, + 6 per W, + 5 per H, ossia in totale 26.

La gematria di YHWH è sempre di 26, che sia classica o per ranghi, poiché nessuna delle sue lettere supera il 10° rango.

In ebraico, l'equivalenza tra la parola e dio si basa sull'equivalenza gematrica, aritmetica, esistente tra DBR e YHWH — in entrambi i casi, 26.

Calcolando la gematria di DBR secondo i ranghi delle sue lettere nell'alfabeto ebraico, si ottiene, l'ho detto, il valore 26. Quella gematria per ranghi illustra e fonda anche la clausola di Giovanni «in principio era il verbo», o almeno il suo originale. DBR è «il verbo» (o, almeno, ciò che si traduce così); ora la sua D iniziale era un daleth e può leggersi-scrivere DLṬ, la sua B mediale è un BYṬ (beith) e la sua R finale è un RYŜ (reish). Detto altrimenti, per via di sviluppo (di pleroma), DBR = DLṬ + BYṬ + RYŜ; il secondo membro di quella equazione è chiamato in Cabala «il pleroma della parola DBR»; i ranghi delle 9 lettere costitutive di questo pleroma sono, nell'ordine e rispettivamente: il  per D, il 12° per L, il 22° per , poi il per B, il 10° per Y, il 22° per , poi il 20° per R, il 10° per Y e infine il 21° per Ŝ. Sommando tutti questi ranghi si ottiene il numero 123 — gematria del pleroma di DBR/logos/«verbo» —, numero formato, nell'ordine, dalle prime tre cifre della lingua sacra; le prime tre lettere-cifre, le lettere-cifre del «principio». Inutile insistere sul fatto che la lingua greca, da sé, non reca alcuna traccia di queste proprietà ebraiche del «verbo»

In greco, l'equivalenza tra «dio» e «verbo» è un'affermazione gratuita e, per giunta, incomprensibile; nella lingua sacra,

Vale a dire: nell'ebraico che lo scrittore del Secondo Giovanni, come ogni sapiente ebreo o samaritano del suo tempo, riteneva la lingua divina (infatti per un tale sapiente, «l'ebraico» = LŜWN HQDŜ = «lingua sacra»). 

quella equivalenza si basa su un semplice fatto aritmetico: il numero 26.

E vedete, in ebraico, le conseguenze di quella equivalenza: DBR + YHWH (detto altrimenti: «il verbo di Dio») = 26 + 26 = 52; ora 52 è il valore di BN, «il figlio».


Ritorno alla seconda proposizione

E grazie a questa digressione, adesso è facile capire la seconda asserzione dell'evangelista. Al posto di «e il verbo era presso dio», va ripristinata la versione primitiva 

E ponendo W per «e» (greco kai), H per «il» (greco o), DBR per «verbo» (greco logos), HYH per «era» (greco ēn), L per «presso» (greco pros + accusativo), e YHWH per «il dio» (greco ton theon). 

e leggere:

WHDBR HYH LYHWH,

proposizione che ora significa, sintatticamente e conservando gli errori semantici del greco e del vocabolario francese delle nostre traduzioni attuali, «e il verbo era per dio» — l'espressione «essere per» volendo dire qui «essere l'equivalente diretto di». L'equivalenza tra DBR («verbo») e YHWH (il nome divino-sacro) essendo totale nella lingua ebraica tenuto conto del loro valore aritmetico comune 26, è normale che si possa sostituire a volontà un termine con l'altro, che si possa impiegare l'uno «per» l'altro — 

L'asserzione di Giovanni significa dunque che questa sostituzione reciproca DBR/YHWH è permessa al lettore della Bibbia; quella asserzione ha dunque, prima di tutto, un valore e una portata retroattiva; ogni volta che nella Bibbia mi imbatto in DBR, afferma qui Giovanni, mi è lecito leggere YHWH, e viceversa.

sostituzione e impiego che il greco avrebbe ben difficoltà a giustificare, a trovare, o anche solo a intuire.

E notate come, con quella retroversione, ci si sbarazza finalmente del «presso» e degli «in» nei nostri messali tascabili! Le buffonate spaziali che ho denunciato sopra svaniscono: non esistevano nell'ebraico.

Mi è quindi facile adesso ripristinare-retrovertere le prime tre proposizioni di Giovanni nel loro semitico d'origine:

BRʼŜYṬ HYH HDBR

WHDBR HYH LYHWH

WYHWH HYH HDBR.


Quarta proposizione

Quanta alla quarta, e senza cercare per il momento di afferrare il significato primitivo del testo primitivo, è possibile restaurarla così:

Sostituendo outos («egli», «lui») con HWʼ; ēn («era») con HYH; en («in») con B; arkhē («principio») con RʼŜYṬ (senza articolo, come in greco, ovviamente); pros («presso», «con») con L; e, infine, ton theon («il dio») con YHWH

(Per fornire al lettore una buona ed esatta misura della scienza — o della menzogna — dei nostri esegeti-traduttori-grecisti, devo fargli segnalare che i termini e i giri sintattici ebraici incontrati qui si apprendono alla prima settimana). 

HWʼ HYH BRʼŜYṬ LYHWH.


Senso originale delle quattro proposizioni

dell'inizio del Prologo di Giovanni

Nessuna di queste quattro frasi o proposizioni si accorda con le traduzioni tradizionali nella chiesa e comuni tra gli studiosi; tutte queste frasi comportano, nella loro lingua d'origine, l'ebraico, vertiginose implicazioni esoteriche di cui il greco non reca più alcuna traccia.

Ho già espulso, poc'anzi, la buffonata spaziale («presso», «con»); è il momento di altre espulsioni conseguenti: 

Qual è, almeno, il senso volgare di queste quattro affermazioni? E subito: in cosa questo senso, fin dall'inizio, contraddice le versioni comuni?

BRʼŜYṬ è, come in Genesi 1:1, «al principio», «all'inizio», ma è anche: «in prima offerta», «in testa e in conto»

RʼŜYṬ è della stessa radice di RʼŜ, letteralmente «la testa»; ora NŜʼ (ʼṬ) RʼŜ significa in ebraico «recensire uno per uno», «enumerare» (letteralmente «portare, sollevare, la testa»).

e «in prima scelta». Leggere, qui, con gli esegeti e i traduttori grecisti, «al principio», dando a quella espressione un senso (unicamente) temporale, è una povertà e un errore.

HYH 

Forma verbale che figura, lo ricordo, nelle 4 asserzioni dell'inizio del Prologo.

non è «era», ma «è + era + sarà-in-adempimento». In ebraico, infatti, i verbi non non si coniugano secondo la linea indoeuropea del passato, del presente e del futuro, ma secondo la distinzione tra stato verbale imperfetto e stato verbale perfetto.

In greco, come in tutte le lingue indoeuropee, i verbi si coniugano al passato, al presente e al futuro; i verbi greci dei Vangeli, delle Epistole, degli Atti e dell'Apocalisse si coniugano quindi in questa maniera: ma questo non era affatto il caso nel corpus ebraico primitivo. Di conseguenza, tutti gli pseudo-commentari sugli effetti della temporalità nel Nuovo Testamento sono da rivedere: essi non valgono nulla; il tempo degli ebrei non è quello dei Greci. 

L'introduzione di una nozione o dimensione temporale all'inizio del Prologo di Giovanni è un nonsenso: tutti gli «era» della versione francese e di altre sono barbarismi.

Barbarismi che ricalcano il barbarismo greco, ēn, «era». — E da questi barbarismi si attinge la teologia, da secoli, a piene mani.

L'originale HYH del testo segnava l'adempimento del verbo «essere», e non il suo passato.

HDBR (H essendo l'articolo) non è solo «il verbo», «la parola»

Inoltre, DBR è maschile. 

ma anche «il fatto», «l'evento»

Vedete DBR nel primo dizionario che arriva: «1. parola, termine, promessa, ordine, comando, oracolo, consiglio, sentenza, notizia, ciò che si dice di qualcosa; 2. cosa, qualcosa, evento, fatto, azione; 3. causa, motivo; 4. disputa, litigio». Eccoci più che lontani dalle connotazioni del logos greco (e dalla sua traiettoria nella cultura e nella letteratura greche). 

con DBR, non vi è dunque nessuna distinzione da introdurre tra la parola e l'evento divino, tra l'essere-in-fatto e l'essere-in-parola.

Non dimenticare che in ebraico le lettere sono anche cose: così la lettera B (beith) si legge BYṬ, e BYṬ è «la casa»; la lettera M si legge MYM, e MYM è «l'acqua», ecc. Questo legame inestricabile tra la parola e la cosa, inscritto in DBR, abita già, da parte a parte, l'alfabeto ebraico: abita l'ebraico fin dal suo alfabeto. Questo legame non esiste, di per sé, nelle lingue indoeuropee. 

YHWH non è solo volgarmente «dio» o «Jahvé/Geova»; YHWH è in realtà il verbo essere, HYH, in tutti i suoi stati e in tutte le sue forme, un «è + era + sarà» esplosivamente ridotto al suo nucleo più condensato e comprendente le sue dimensioni alla volta compiute e incompiute.

Il Nuovo Testamento, i cui scrittori ignoravano Eraclito e compagnia, ma non, come Filone, le risorse della lingua sacra, contiene menzioni esplicite dello sviluppo del nome divino YHWH, menzioni che non hanno di sicuro alcun fondamento nel greco (o in aramaico): cfr. Apocalisse 1:4,8, 4:8, 11:17, 16:5. 

In sintesi, nella prima e quarta asserzione, «al principio» è una povertà e un falso significato, e «presso di» (anche potenziato con un «con») è un nonsenso; nelle quattro asserzioni, «era» è un abbaglio, e «verbo» è una miseria; quanto a «dio» per YHWH, è un puro e semplice tradimento che lascia credere che esistesse, nella mente degli scrittori evangelici, una differenza tra il loro Dio e il Dio giudeo-ebraico (e samaritano).

Differenza sulla quale hanno ricamato e ricamano ancora tutti gli esegeti (vedete i loro traffici sul «giudeo-cristianesimo»...), differenza che cancella l'origine giudeo-ebraica del cristianesimo primitivo (non tradotto) e dei suoi testi (non tradotti). Ora  il famoso «padre» degli evangelisti-convertiti-in-greco è — era originariamente — YHWH.

Tutte le notazioni temporali-spaziali che implicano le versioni correnti dell'inizio del prologo di Giovanni svaniscono non appena si ricorre al testo primitivo; esse non vi esistevano; — sono tutte creazioni della traduzione letterale greca e delle versioni ulteriormente stabilite a partire da quella traduzione. In breve, l'ebraico di Giovanni 1:1-2 non conteneva, originariamente e per un lettore giudeo-ebraico (il suo lettore inteso, ad esclusione, originariamente, di ogni altro), né abbaglio, né errore, né nonsenso — né impostura.


Cosa significava il testo ebraico primitivo?

Questo non vuol dire che le quattro proposizioni del Secondo Giovanni primitivo siano facili da tradurre al presente in francese. Il più vicino possibile alle sue parole, il testo voleva dire:

In testa-prima scelta-conto-offerta è-era-sarà-in-adempimento il verbo-fatto,

E il verbo-fatto è-era-sarà-in-adempimento per è-era-sarà-in-adempimento-e-in-inadempimento,

Ed è-era-sarà-in-adempimento-e-in-inadempimento è-era-sarà-in-adempimento il verbo-fatto,

Egli è-era-sarà-in-adempimento in testa-prima scelta-conto-offerta per è-era-sarà-in-adempimento-e-in-inadempimento.

Questa resa letterale 

Resa che dice solo quello che dice l'ebraico; resa che non vi aggiunge nulla (e che è persino incompleta). 

dà, per la sua stessa mostruosità, un'idea del divario che separa il semitico dall'indoeuropeo; mostra anche, per assurdo, l'assurdità delle versioni correnti dei versi 1 e 2 del Secondo Giovanni (capitolo 1); mostra infine ciò che volevo dire poc'anzi affermando e constatando la destinazione primitiva del testo primitivo: scritto in ebraico per degli ebrei, nell'economia della lingua ebraica, la loro, mai — lo si vede bene al presente — questo passo era stato inizialmente destinato ai Gentili.

Forse mostra anche, di sfuggita, il perché dell'unanimità dei grecisti: costoro, in fondo, preferiscono attenersi alla nullità dei Vangeli greci perché la loro retroversione in ebraico sarebbe culturalmente intrasmissibile al loro gregge. (E questo è anche il motivo per cui questi stessi esegeti tirano sempre i Vangeli verso la letteratura orale — non vogliono né del testo ebraico, né del testo erudito: come se le connessioni gematriche dell'ebraico si potessero sviluppare e padroneggiare oralmente!). 


Giovanni 1:1-2 = Genesi 1:1

Ma ciò che questa resa rozza, illeggibile al di fuori del suo originale, non mostra, e a cui sto arrivando, è la costruzione e la legittimità esoterica del testo.

Quando io dico che Giovanni 1:1-2, è illeggibile in greco e in francese (in indoeuropeo), dico allo stesso tempo che per un lettore ebraico il testo è immediatamente afferrabile: infatti per lui HYH è HYH (il perfetto del verbo «essere» all'attivo, in 3° persona), e non il mio innominabile è-era-sarà-in-adempimento. I traduttori (in greco) del testo originale (ebraico) hanno scelto la via più corta, quella della traduzione letterale parola per parola, misero osso sul quale si sono in seguito accaniti gli esegeti e le Chiese. 

Genesi 1:1: «al principio»; Secondo Giovanni 1:1: «al principio». Saltando su questo accostamento, i nostri esegeti, come ciechi che improvvisamente vedono, notano che esiste una «relazione» (sic) tra i due passi; 

Per una volta, non si fa appello ad Eraclito e agli Stoici! 

segnalano, e fanno segnalare, dicono, in Giovanni 1:1, una «allusione» (re-sic) a Genesi 1:1.

Vedete Feuillet, Le Prologue du Quatrième Evangile, Parigi, 1968, pag. 31: «Nella prima proposizione: In principio era il Logos, l'espressione «al principio» fa riferimento a Giovanni 1:1». Si vedrà, più oltre, cosa ne è di questo riferimento. (E gustate il testo sul quale lavora questo esegeta esaustivo; non vi mancano né «principio», né «logos» greco, né «era»...) Lo stesso suono di campana in Boismard, Synopse des Quatre Evangiles, volume 3, Parigi, 1977, pag. 74, colonna 2: «I commentatori ammettono che, in Giovanni 1, l'espressione “Al principio” fa riferimento a quella di Giovanni 1:1». Neppure lì non ci viene detto nulla di questo «riferimento».

Quella «allusione» è solo un'altra povertà. Ancora una volta, se ne giudichi.

La gematria 

Nessun bisogno di dire che i già citati Feuillet e Boismard, esperti-dei-Vangeli, non utililzzano mai il termine «gematria» — i loro Vangeli per loro sono scritti in greco. 

del primo verso della Bibbia ebraica (della Torà) si calcola nel modo seguente (su un percorso di 28 lettere):

parole

Traduzione volgare

Gematrie

BRʼŜYṬ  

«in principio» 

913

BRʼ 

«creò»

203

ʼLHYM 

«Dio»

86

ʼṬ-HŜMYM  

«il cielo»

796

WʼṬ-HʼRṢ  

«e la terra»

703

 

 

___________

totale: 2701

    

 La gematria dell'inizio del prologo di Giovanni si calcola similmente:

parole

miserabili equivalenti-residui  

nelle versioni correnti 

Gematrie

BRʼŜYṬ 

«al principio»

913

HYH 

«era»

20

HDBR  

«il verbo»

211

WHDBR  

«e il verbo»

217

HYH  

«era»

20

LYHWH  

«presso dio»

56

WYHWH  

«e dio»

32

HYH 

«era»

20

HDBR  

«il verbo»

211

HWʼ

«egli»

12

HYH  

«era»

20

BRʼŜYṬ  

«al principio»

913

LYHWH  

«presso dio»

56

 

 

_______

totale: 2.701

L'equivalenza tra i due testi 

Equivalenza il cui calcolo verte su diverse decine di lettere (28 nel primo caso, 55 nel secondo — in tutto 83 segni grafici numerici); equivalenza che non è quindi per nulla un effetto del caso o una coincidenza. 

Non è nemmeno per caso che la somma aritmetica delle iniziali di tutte le parole di questo inizio del prologo di Giovanni valga 111; 111 è (oltre alla gematria di ʼLP, l'aleph che figura in testa all'alfabeto ebraico) la somma dei ranghi delle finali di tutte le parole di Genesi 1:1: 

— iniziali dell'inizio del prologo di Giovanni: B + H + H + W + H + L + W + H + H + H + B + L = 2 + 5 + 5 + 6 + 5 + 30 + 6 + 5 + 5 + 5 + 5 + 2 + 30 = 111

— gematria (classica) di ʼLP: 1 + 30 + 80 = 111

— finali di Genesi 1:1: Ṭ + ʼ + M + Ṭ + M + Ṭ + Ş = 22 + 1 + 13 + 22 + 13 + 22 + 18 = 111 (gematria per ranghi). 

non ha nulla a che vedere con una «allusione» o un «riferimento». Ed essa è un esempio — un esempio tra tanti altri — dei meccanismi aritmetici di cui sono disseminati i testi del Nuovo Testamento.

Cfr. a questo proposito, il capitolo precedente. Si potrebbero sicuramente moltiplicare gli esempi che io do; così, nello scriverlo, ho dimenticato di includere il famoso passo di Apocalisse 17:14: «e l'agnello li vincerà, perché è signore dei signori e re dei re». In ebraico, non in greco, e in aramaico, «agnello di Dio» (ŜH HʼLHYM), «vittoria» (HYŜWᶜH, parola dalla stessa radice di «Gesù» e contenente, nell'ordine, le sue lettere) e «signore dei signori + re dei re» (ʼDWN ʼDNYM + MLK MLKYM), hanno la stessa gematria: 396. Applauso ai grecisti! 

Quella equivalenza non è una «allusione»; infatti, nella lingua sacra, vale a dire nell'alfabeto ebraico di lettere-numeri, le identità aritmetiche sono identità altrettanto importanti ed efficaci delle identità semantiche (i sinonimi): in ebraico, «il libro», SPR, è della stessa radice di «il numero», MSPR (nessuna cesura tra scrivere-leggere e cifra-numero), e ʼWṬ vi significa, inseparabilmente e nel contempo, «la lettera», «il segno» e «il miracolo». Dimenticare ciò equivale a non capire nulla della forza, della natura e dell'efficacia dei testi fondatori del cristianesimo: equivale a deridere la loro genesi.

A questo proposito, conviene segnalare che in questi testi non è solo fatto uso di calcoli gematrici. La notarica (lavoro sugli acrostici) vi ha pure il suo posto, sotto il greco, nell'ebraico di origine, per quanto il greco permetta di ricostruirlo. Così l'espressione ben nota «chi ha orecchie intenda», senza sapore né odore significativi nel greco, si retroverte in: MY («che») ŜʼZNYM (letteralmente «che ascolta») LW («per lui») YŜMᶜ («che intenda-comprenda-ascolti-obbedisca + egli sarà/è inteso-compreso-ascoltato-obbedito»), producendo subito, dalle iniziali delle sue prime tre parole, nell'ordine ovviamente, il termine MŜL, «parabola-potenza»: nessuna più traccia di quella notarica nel greco, e per buona ragione!

Inoltre, l'equivalenza gematrica tra Giovanni 1:1-2 e Genesi 1:1, per il calcolo che suppone da parte degli evangelisti-autori, contraddice senza possibilità di ricorso la tesi ripetuta all'infinito dei vangeli-come-raccolte-di-cronache-sulla-vita-dovute-a-discepoli-analfabeti à la Renan, Bultmann, e altri. Di fronte a questi calcoli codificati, la tesi dei logia, delle parole proferite (della tradizione orale), non regge.

Al lettore, anche se ha fretta, consiglio vivamente di prendere nota dello stato attuale di quella tesi nella Sinossi di Boismard già citata; cfr. in particolare, volume 2, «Introduzione», pag. 15-59. Vi scoprirà, senza dubbio sconcertato, le olimpiadi alle quali si abbandonano, ancora oggi, i grecisti; per contro, non vi sentirà parlare di gematrie, di notarici, né di testo ebraico primitivo: di sicuro, non vi troverà il 2701 di poc'anzi. In compenso, vi si assisterà al dispiegarsi di una «soluzione nuova» (pag. 9, sotto) del problema sinottico: una soluzione nuova al problema di un corpus sul quale e a proposito del quale si sbaglia lingua! A pag. 7 di questo stesso volume 2, si legge: «Questo volume si rivolge innanzitutto agli specialisti degli studi evangelici»; niente di meno: eccomi rassicurato — sbagliarsi lingua a proposito dei Vangeli e rivolgersi agli specialisti, è la stessa cosa; il miracolo esiste, l'ho incontrato.


Altre cifre incluse in Giovanni 1:1-2

Ma l'inizio del Secondo Giovanni non si definisce solo come identico (gematricamente) a Genesi 1:1. Contiene altri tipi di calcoli; eccone alcuni.

La prima proposizione era quindi, originariamente :

BRʼŜYṬ HYH HDBR.

Quella frase comporta 13 lettere. 13 è immediatamente la gematria di ʼḤD, «uno»,  qualificativo poco secondario nella letteratura e nella cultura ebraica («Dio è uno»).

Le quattro asserzioni dell'inizio di Giovanni contano 13 parole in tutto. Questo 13 segna la loro unità e la presenza, in loro, del divino. — 13 è anche la gematria di ʼHBH, «l'amore»; che Dio sia uno, o che Dio sia amore, è in ebraico — non in greco! — la stessa cosa. (Il tema dell'«amore» è marginale nel Nuovo Testamento?)

La seconda proposizione era, invece:

WHDBR HYH LYHWH.

Quella frase contiene lo stesso numero di lettere della prima: 13. Forma così con essa 26 segni grafici: ora, l'abbiamo visto, 26 è direttamente la gematria di YHWH, il nome sacro-divino.

Detto altrimenti, nell'ebraico BRʼŜYṬ HYH HDBR WHDBR HYH LYHWH, si deve (si doveva originariamente) leggere l'affermazione immediata dell'unità e dell'unicità divine, e l'enunciato della parola YHWH.

La terza proposizione era originariamente:

WYHWH HYH HDBR.

Quella frase contiene 12 lettere, gematria immediata di HWʼ, letteralmente «egli», uno dei sostituti comuni di «Dio» (e la parola stessa con la quale inizia la quarta proposizione).

Le tre frasi sono quindi, nell'ordine e rispettivamente, equivalenti a ʼḤD, YHWH e HWʼ: i tre termini combinati significano «Dio è uno» (almeno nella traduzione volgare), tesi cardinale presso gli ebrei e presso i samaritani. 

Stessa constatazione se si considera solo il calcolo gematrico per gradi: 13 lettere per la prima proposizione, ora 13 è la gematria per ranghi di ʼL, «Dio»; 13 lettere per la seconda, la gematria di ʼḤD, «uno»; 12 lettere per la terza, gematria di HWʼ, «lui» — la nuova proposizione ottenuta, ʼL ʼḤD HWʼ, significa «Dio è uno».

E non è finita.

Le quattro affermazioni di Giovanni contano 55 lettere in tutto, 55 segni grafici. 55 è la gematria per ranghi di ʼDNY YHWH (ossia: 1 + 4 + 14 + 10 + 10 + 5 + 6 + 5 = 55), espressione biblica che indica «il Signore Dio» (resa volgare). — E, sempre in gematria per ranghi, 55 è il valore di BN («figlio») + YHWH («Dio») + ʼḤD («unico»); l'inizio del prologo di Giovanni, in ebraico, recava così originariamente l'affermazione significativa del «figlio unico di Dio» (traduzione, ancora una volta, volgare).

Genesi 1:1, lo stesso, contiene 28 lettere: ora i Profeti biblici insistono sulla «forza» che presiedette all'opera della creazione; KḤ, «la forza», parola che utilizzano in quella occasione, è di valore 28

Inoltre, questo: 28 (numero delle lettere di Genesi 1:1) è composto dalle cifre 2 e 8; la loro somma è 10. 55 (numero delle lettere ebraiche dell'inizio del prologo di Giovanni) è composto dalle cifre 5 e 5; la loro somma è, parallelamente, 10. — Inoltre, la somma dei primi 10 numeri interi è eguale a 55. E (= 10) è la lettera iniziale di YHWH

A questo si può ancora aggiungere (e, insisto, tra tante altre osservazioni possibili): la differenza tra il numero di lettere dell'inizio del prologo di Giovanni primitivo e il numero di lettere di Genesi 1:1 è di 55 — 28 = 27. Ora 27 è la gematria per ranghi di ʼWR, «la luce», parola presente nel prologo (versi 4, 5, 7, 8 e 9). 

Continuo.

In ebraico W significa «e»; è quindi, in priorità, il segno dell'addizione. Da questo fatto, al posto di leggere il testo primitivo:

BRʼŜYṬ HYH HDBR

WHDBR HYH LYHWH

WYHWH HYH HDBR,

posso molto facilmente leggere (e scrivere):

BRʼŜYṬ HYH HDBR

+ HDBR HYH LYHWH

+ YHWH HYH HDBR.

Quella addizione mostra ora tre serie di, rispettivamente e nell'ordine, 13, 12 e 11 lettere. Posso quindi sostituire ogni serie, sempre nell'ordine e rispettivamente, con la 13°, la 12° e l'11° lettera dell'alfabeto, ossia M, L e K. Ora MLK significa, in ebraico, «il re».

Così quindi, in greco e in ebraico, l'inizio del prologo di Giovanni non dice solo il nome divino, l'affermazione dell'unicità e dell'unità di Dio e di suo Figlio: ne dice (ne diceva originariamente) anche la regalità.

BN, «il figlio», è gematricamente equivalente a uno dei pleromi (o sviluppi) del nome divino. Infatti: 

BN= 2 + 50 = 52

YHWH = YWD (iod) + HH (hei) + WW (vav) + HH (hei) = 10 + 6 + 4 + 5 + 5 + 6 + 6 + 5 + 5 = 52. 

Da qui frasi universalmente massacrate dall'esegesi (perché inefficaci in greco) come quella di Matteo 11:27: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio» «Padre» essendo messo lì per YHWH, e «Figlio» per BN, (Di frasi come questa si sono fatti slogan familiari!)

 

2701 e 91

Ho calcolato sopra il valore gematrico del passo, lo stesso di Genesi 1:1: 2701. Questo numero è composto da 4 cifre, 

4 cifre la cui somma è 10, la stessa di quella dei due 5 del numero di lettere dell'inizio del Prologo di Giovanni, e la stessa di quella del 2 e dell'8 che compongono il numero di lettere di Genesi 1:1.

tra le quali posso subito eliminare lo zero (per le ragioni egualmente chiarite più sopra): da 2701, passo così a 271. Come mi ha abituato, non la lettura dei commentari della Chiesa sui Vangeli, ma quella dei testi gnostici e cabalistici, posso ora passare da 271 a 91, sommando le prime due cifre di 271 e trasferendole alle sole decine.

Alla stessa maniera, partendo da 2701, poi da 271, posso arrivare, per la somma di 7 e di 1, al numero 28, — 28, il numero di lettere di Genesi 1:1 (la cui gematria è appunto 2701).

Questo numero, 91, lungi dall'essere ispirato da un capriccio, percorre attraverso tutto il Prologo di Giovanni (1:1-18). Infatti: 

91 è la gematria di NʼM, «la parola o l'oracolo (divini)». 91 è la gematria di ʼMN (radice che dà «amen», traslitterazione che figura 135 volte nel corpus), termine che figurava all'origine, in ebraico, nel verso 7 (stupidamente tradotto con «perché tutti credessero in lui»), nel verso 9 (ri-stupidamente tradotto con «la luce vera»), 

Mentre l'originale, immediatamente percepibile sotto il greco, era un maschile: HʼWR HNʼMN (seconda parola, radice ʼMN), e significava «la luce-felicità permanente-assicurata» — e costituiva l'equivalente gematrico di MŜYḤ, «il messia-cristo-unto/Dio-risorto-vivente»

Prove: 

HʼWR HNʼMN = 5 + 1 + 6 + 200 + 5 + 50 + 1 + 40 + 50 = 358

MŜYḤ = 40 + 300 + 10 + 8 = 358

MŜYḤ = (per anagramma) ŜM («Dio-Nome») + ĤY (dalla radice ḤYH, «vivere-rivivere»«vivente/risorto»). 

Povero greco...

nel verso 12 (ignorantemente tradotto con «a coloro che credono nel suo nome»), 

Mentre l'idea era qui (come sempre con ʼMN e i suoi derivati) quella di fedeltà, di non-tradimento — e non quella di fede.

e nei versi 14 e 16 (dove si dovrebbe leggere «fedeltà», «permanenza», altrettanto bene come «verità»).

91 è anche la gematria di MʼN, «rifiutare»

Notate di passaggio gli anagrammi; la potenza dell'ebraico risiede anche nei suoi anagrammi: qui ʼMN, MʼN e NʼM. E ce ne sono così decine nel Nuovo Testamento, che non si trovano nell'indoeuropeo, e che nessuno studia, nessuno vede — dove sono i ricercatori? 

ʼMN, MʼN e NʼM — gematria classica comune: 91; ma comune gematria per ranghi: 28 (28! il numero di lettere di Genesi 1:1); e 28 è anche la gematria di HKL, «il tutto», primo termine che figura appena dopo l'inizio del prologo di Giovanni (greco panta, verso 3). 

Gematria per ranghi di HKL: 5 + 11 + 12 = 28. Ma qual è la sua gematria classica? 

HKL = 5 + 20 + 30 = 55. 55! il numero di lettere del nostro inizio del prologo. 

HKL, «il tutto», fa così, per il gioco della sua doppia gematria (28 e 55), la congiunzione tra Genesi 1:1 e l'inizio del prologo evangelico. 

termine che figura in filigrana o esplicitamente nel verso 11 («non lo hanno ricevuto» — resa, ancora una volta, molto comica).

91 è infine la gematria di HʼLHYM, nome divino («l'Elohìm»), e di ʼDNY YHWH, altro nome divino 

E notate, anche lì, la doppia gematria di ʼDNY YHWH

 gematria classica: 1 + 4 + 50 + 10 + 10 + 5 + 6 + 5 = 91 (numero ottenuto a partire dal 2701 di Genesi 1:1 e dall'inizio del prologo); 

 gematria per ranghi: 1 + 4 + 14 + 10 + 10 + 5 + 6 + 5 = 55 (numero delle lettere di questo stesso prologo).

(«Signore Dio» o «il Signore», come si legge nelle nostre Bibbie) — entrambi massicciamente presenti nella letteratura ebraica in generale, e nella Bibbia in particolare — e nel Nuovo Testamento, sotto il suo greco.

Ma 91 figura anche nell'espressione, inefficace in greco come in francese, «piena di grazia e di verità» (verso 14, la clausola originale è RB ḤSD WʼMṬ).

In quella espressione, RB non vuol dire «pieno»; ḤSD vuol dire «grazia» solo in senso estremo; e ʼMṬ (dalla radice ʼMN già incontrata) significa «fedeltà-permanenza-assicurazione-solidità». Ma si è a tanto così, tra i grecisti?

L'ordine delle lettere di quella espressione figura nell'alfabeto ebraico nella maniera seguente: 

lettere

ranghi

R

20°

B

 

S

15°

D

W

ʼ

M

13°

22°

 

__________

totale: 91

Nessun altro commento.

Ma 91 è anche la gematria di MLʼK, «l'inviato-angelo-messaggero», termine che figura in filigrana o esplicitamente nel verso 6 del prologo («c'era un uomo inviato da Dio»).

91 è la gematria classica di MLʼK, ossia: 40 + 30 + 1 + 20 = 91. Ma la sua gematria per ranghi è: 13 + 12 + 1 + 1 = 37. Vedremo, nel capitolo seguente, le ramificazioni di questo numero 37

E non è ancora finita.

Il triste «principio» delle nostre traduzioni per tutti era in realtà, in ebraico, RʼŜYṬ. La gematria per ranghi di lettere di questa parola è:

lettere

ranghi

R

20°

ʼ

Ŝ 

21°

Y

10°

22°

 

__________

totale: 74


Questo 74 è immediatamente la gematria di ʼD, «testimone-testimonianza», termine che figura esplicitamente nel verso 7 («egli venne come testimone per rendere testimonianza»).


Conclusione?

...E così funzionava originariamente il Prologo di Giovanni, nella sua lingua primaria, l'ebraico, lingua ritenuta sacra dallo scrittore — lingua (spero di aver dimostrato) che elaborata qui in profondità nella sua economia e nella sua scienza proprie.

Ci sarebbero certo altre osservazioni da fare su questo prologo. Come passare sotto silenzio il verso 14: «gloria come figlio unico»? Alcuna relazione in greco tra la gloria e l'unico, mentre in ebraico entrambi i due termini valgono 32

KBWD («gloria-ricchezza-anima» — radice KBD, «essere pesante») = 20 + 2 + 6 + 4 = 32;

YḤYD («unico-figlio unico») = 10 + 8 + 10 + 4 = 32. 

Si capisce perché la gloria è detta qui come l'unico, ma lo si capisce in ebraico, e non in greco né in francese — ancora un gergo incomprensibile sul quale, sbagliando lingua, si sono affannati da secoli i commentatori e i catechisti! Logico in ebraico, questo testo non è stato scritto per i Gentili.

Mi riassumo: la retroversione delle quattro asserzioni sulle quali si apre il Prologo di Giovanni elimina le inezie implicate dalla lettura del loro greco — inezie che danno luogo a problemi temporali e spaziali senza interesse; solo quella retroversione permette di capire il testo — il testo e la sua produzione e la sua portata. Essa sola permette di rendergli giustizia mostrando ciò che aveva originariamente di coerente.  Permette di misurare l'abisso che separa questo testo primitivo dal suo utilizzo da parte delle Chiese: questo divario è quello che va dritto dalla scienza sacra (il famoso ḤKMH dei saggi ebraici — ebrei e samaritani, come pure sia esseni che sadducei, nonché farisei) all'abbaglio più manifesto.

Una volta retrovertito, l'inizio del Prologo di Giovanni dimentica ciò che non ha mai preso in conto (gli Stoici, Platone, Filone, e compagnia...) e ritorna senza la minima reticenza al suo luogo primitivo: la letteratura giudeo-ebraica, l'economia e le particolarità della scienza e della lingua sacre.

Così si vede, contro le esegesi universalmente ammesse, 

Si veda, a questo proposito, il primo dizionario teologico che arriva, alle voci «Giovanni», «logos», «Prologo di Giovanni», «principio», «verbo», ecc.

cos'è retrovertere un passo del Nuovo Testamento: è almeno, sotto il greco stupido, dare la sua chance al testo stesso e al suo scrittore primitivo, e, con ciò, condannare al ridicolo l'atteggiamento ancestrale che consiste invece, ancora oggi, nel canonizzare l'uno pur storpiando l'altro.


(Testo pubblicato in L'Infini, Parigi, Denoël, 1985).

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