mercoledì 14 dicembre 2022

L'INVENZIONE DI GESÙEffetti di Sapienza su Genesi 1:1

 


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Effetti di Sapienza su Genesi 1:1

Il mio lettore è al presente un esperto di gematrie: sa come funzionano, nel Nuovo Testamento, i codici della Cabala ebraica. Ma forse non sa come funzionano questi stessi codici nella letteratura ebraica non cristiana.

È quindi tentato di credere che la Cabala cristiana sia una cabala particolare.

Per disilluderlo, io vado, con l'aiuto di un esempio carico di conseguenze, a mostrargli cosa ne è della Cabala ebraica in generale. Gli mostrerò, di conseguenza, che i testi ebraici del Nuovo Testamento primitivo sono testi ebraici come gli altri: testi che rassomigliano assolutamente, in quanto testi, a tutti i testi ebraici del giudaismo antico.

Il Nuovo Testamento apparirà così sotto la sua vera luce: quella di un corpus giudeo-ebraico prodotto da giudei ebrei (palestinesi) sulla base, non di una visione oculare di non si sa quali eventi storici, ma delle procedure giudeo-ebraiche della Cabala giudeo-ebraica. 



Tra gli innumerevoli commentari ebraici, espliciti o clandestini, sul primo verso della Genesi, ce n'è uno, per quanto fecondo e ricorrente, che non ha mai trovato fin qui, per quanto ne so, la sua giusta spiegazione.


«Al principio»

Nel Targum samaritano, vale a dire nella traduzione aramaica della Bibbia ebraica in uso tra i Samaritani (solo il Pentateuco), al posto di BRʼŜYṬ c'è BQMʼWTʼ — stesso significato in entrambi i casi, «al principio».

B, in ebraico come in aramaico, è la preposizione «in» (il suo geroglifico originale rappresenta una casa), significato locale e strumentale: «in», ma anche «con», «tramite», «grazie a». La preposizione B si fissa graficamente all'inizio del suo regime, e quest'ultimo non prende mai l'articolo: RʼŜYṬ, «principio»BRʼŜYṬ, «al principio» (resa volgare abituale).

Nel Targum detto di Onkelos (o di Aquila?), al posto di BRʼŜYṬ, nello stesso punto, c'è BQDMYN — «in principio».

Nella versione greca detta dei Settanta, come in quelle di Simmaco e di Teodozione, al posto di BRʼŜYṬ c'è en arkhē — «al principio».

Questo en arkhē è quello stesso che si ritrova, come duplicato del suo ebraico originale, in testa al prologo del Secondo Giovanni.

Nella versione latina di Girolamo, detta Vulgata, al posto di BRʼŜYṬ c'è in principio  «al principio».

E così succede, semanticamente, con le versioni siriache, copte, ecc.: dappertutto i traduttori (in lingua volgare, vernacolare) leggono la prima parola della Genesi ebraica, BRʼŜYṬ, come se significasse (volgarmente) «al principio».

Quella unanimità non implica affatto peraltro che il testo sia così ben tradotto e compreso: cfr. a questo proposito, anche solo le reticenze (grammaticali, ma non solo) di Rashi (nato a Troyes nel 1040) nella sua esegesi sul Pentateuco. Ma passo oltre.

 

«Al principio» secondo Jonathan

Per contro — e là è il mio problema — nel Targum palestinese di Jonathan (ben Uzziel, in greco Teodozione?), 

Questo Targum è ritenuto palestinese, e ritenuto di Jonathan.

al posto di BRʼŜYṬ, in testa alla Torà, c'è... BḤKMTʼ — vale a dire «con la sapienza», «per mezzo della sapienza» (letteralmente «nella sapienza», «in sapienza»).

E, contro tutti gli altri traduttori, Jonathan, che eppure non era né imprudente (nei confronti dei suoi committenti) né un negligente (di fronte al testo originale tenuto da lui per sacro-divino), legge Genesi 1:1 nella maniera incredibile che segue:

«Con (la) Sapienza il Nome creò e completò il Cielo e la Terra».

«Il Nome», HŜM (H essendo l'articolo), è qui, come tradizionalmente nella letteratura ebraica, un sostituto reverenziale di YHWH, una maniera di evitare il tetragramma impronunciabile: questo indica, tra l'altro, che Jonathan vedeva già in ʼLHYM, «Elohìm», di Genesi 1:1, un sostituto reverenziale di YHWH (che, sotto ʼLHYM, leggeva YHWH) — vi ritorneremo. 

Il termine aramaico ḤKMTʼ usato qui da Jonathan è l'equivalente immediato dell'ebraico ḤKMH, stesso senso, «la sapienza».

Per «sapienza» si intende qui, in ebraico, il sapere, il fare e il saper fare, inseparabilmente. 

Solo contro tutti, nel primo secolo E.C. (?), Jonathan legge ḤKMH al posto di RʼŜYṬ. Jonathan, in un libro considerato da lui come sacro, divino (ne Il Libro), si permette di sostituirvi una parola con un'altra: e questo non sorprende seriamente nessuno! Lo si constata, lo si nota: non si giustifica né si spiega quell'incredibile audacia del targumista, audacia che va contro tutto ciò che si sa d'altronde sulla riverenza estrema degli antichi eruditi ebrei (e samaritani) nei confronti della Torà, audacia che contraddice — per giunta — tutte le altre traduzioni ricevute e diffuse.


Jonathan traduttore-traditore?

La mia prima domanda è dunque violenta: Jonathan, traduttore-su-comando della Torà, non ha sostituito «principio» con «sapienza» alla leggera; non ha potuto farlo — credersi autorizzato a farlo, rischiarvi — se non per ragioni imperative: quali ragioni? Quali sono le buone ragioni di una tale traduzione semantica? E poi: perché il traduttore ha fatto questa traduzione proprio in questo punto, nella prima parola del primo verso del Libro?

A quella domanda, non ho trovato da nessuna parte il minimo accenno di una risposta accettabile. Gli studiosi si accontentano in generale di dire che Jonathan, traducendo così, si sia collocato nella grande «corrente sapienziale» — corrente di cui, si ripete subito, il miglior monumento è il Libro di Gesù Ben Sira (o «Libro della Sapienza», o «Ecclesiastico»)...

Quella risposta non regge; è troppo timida: perché allora si deve suggerire che gli altri targumisti e la Settanta ignorano la corrente sapienziale? E poi: spiegare la sostituzione di Jonathan per riferimento a questa corrente è dimenticare di giustificare l'esistenza stessa di questa corrente: è omettere di dire perché, al di fuori della Torà (ma su di essa, da essa), la Sapienza riveste, nei testi della Bibbia ebraica, un'importanza cardinale. Questo è non spiegare nulla.  

Bisogna dunque ritornare a questo: perché, un giorno, un certo Jonathan, traduttore su commissione, si è permesso di leggere «sapienza» al posto di «principio»

E si deve, a questo problema, fornire una soluzione che va molto al di là delle nozioni di «corrente», di «influenza», e altre. Una risposta basata sull'inevitabile.


La «corrente sapienziale»?

Noto, per dare più forza a queste interrogazioni, che la sostituzione che espone il Targum di Jonathan non risale per nulla a lui, che non si è per nulla estinta con lui. Jonathan non è certo il primo ad aver letto, presumibilmente in modo surrettizio, ḤKMH, «sapienza», in Genesi 1:1. Nella Bibbia ebraica, al di fuori del Pentateuco, si nota più volte che la Sapienza ha presieduto alla creazione del mondo; così vedete Proverbi 3:19: «YHWH ha fondato la terra in sapienza (BḤKMH)»; o Salmi 104:24: «Quanto sono grandi le tue opere, Tutto hai fatto con sapienza (BḤKMH, ecc. Si potrebbero accumulare gli esempi: la corrente sapienziale, di cui ci abbeverano gli esegeti, risulta infatti da una lettura del primo verso del Libro tale, fuori di semantica, che esso contiene ḤKMH — mentre, semanticamente, graficamente, ḤKMH, «sapienza», ne è assente. Si deve riportare Jonathan alla corrente sapienziale; si deve riportare sia Jonathan che la corrente sapienziale alla domanda che ho posto poc'anzi: dove e come ḤKMH, «sapienza», occorre in Genesi 1:1, quando non vi figura? 

La posterità di quella lettura del versetto è enorme: cfr. la Sophia gnostica; cfr. i vari midrashim; cfr. lo Zohar.


Il dibattito su Genesi 1:1

Vengo a qualcos'altro. Nel racconto della Genesi, nel verso 1 come altrove, non si parla mai della Sapienza. ḤKMH, l'unica parola ebraica avente questo significato, fa, se non mi inganno, la sua prima entrata nella Bibbia ebraica solo in... Esodo 28:3! Nel racconto della Creazione, non si fa mai menzione, graficamente, semanticamente, della Sapienza.

Eppure, per non parlare di Proverbi, di Salmi, di Geremia (per esempio 10:12, la Sapienza come fondamento del mondo), ecc., cosa si legge nei testi gnostici, testi appartenenti nel loro insieme ad un lavoro esegetico sulla Bibbia, ed in particolare sulla Genesi?

Io sono infine felice di apprezzare in Michel Tardieu, Le Codex de Berlin, Parigi, Cerf, 1984, quella frase (pag. 37): «Coloro che l'eresiologia chiamò “gnostici” erano innanzitutto ed essenzialmente coloro che dicevano di saper leggere le Scritture, conoscendone il significato nascosto e autentico» Tutti i saggi sugli gnostici, anche i più recenti, tendono a far credere che i sistemi settari (?) descritti da Ireneo e dai suoi seguaci, dai codici di Nag-Hammadi e altri, siano costruzioni autonome prodotte dall'immaginazione (quando non si tratta di fantasia gratuita, di cretinate — o di aberrazioni sessuali! ): in realtà, tutti questi sistemi si fbasano e si strutturano su letture plurali di un solo e stesso corpus, quello della Torà: gli gnostici sono, da parte a parte, degli esegeti del Libro. Non sono né vogliono essere creatori originali. E le loro querele provengono proprio (come quella che oppone ebrei e samaritani) dal fatto che si riferiscono tutti a un solo e stesso punto fermo: la Bibbia, la Torà (vedete, nella stessa prospettiva, e con i aggiustamenti che si impongono a suo proposito, l'idea evangelica di «adempimento» delle Scritture). 

Purtroppo, nella sua traduzione e nella sua spiegazione dei testi compresi nel Codice di Berlino, Michel Tardieu non mantiene le promesse della bella frase che ho appena citato: non mostra per nulla in cosa tutti questi testi siano esegesi (midrashim) della Torà; non dà le ragioni della presenza della Sophia («sapienza») in questi testi, né le ragioni della sua posizione nell'opera della Creazione; non smonta i metodi cabalistici (per mezzo di gematria, di notarica, ecc.) Egli non smonta i metodi cabalistici (attraverso la gematria, la notarica, ecc.) abbondantemente utilizzati qui, come altrove, dagli gnostici e applicati da loro alla Bibbia (alla Torà). 

Vi si scopre, fondamentalmente, il dibattito seguente:

Dibattito che, beninteso, io semplifico e riassumo fino al limite del sopportabile.

La creazione descritta nei primi capitoli della Genesi fu, in sé, buona o malvagia?

Domanda che si riformula subito nella seguente: la Sapienza fu invitata, al momento di quella Creazione, al servizio di un dio buono o a quello di un dio malvagio?

Quella domanda implica, nel suo enunciato stesso che la Sapienza è presente al momento della Creazione; implica una lettura di Genesi 1:1 tale che ḤKMH, «sapienza», vi figura. 

A quella doppia domanda, a queste due domande che sono solo una, i libri dei profeti biblici rispondono chiaramente e prevalentemente che la Creazione fu nel contempo buona, sapiente e divina; così Geremia sottolinea che Dio «ha formato la terra con la sua potenza, 

La parola (ebraica) utilizzata qui è KḤ, «forza»; se Geremia la impiega qui è perché ha per gematria 28 (20 per K, + 8 per ) e 28 è il numero di lettere di Genesi 1:1.

ha fissato il mondo con la sua sapienza, ha disteso i cieli con la sua intelligenza» (51:15).

Sempre a quella duplice domanda, la maggior parte degli gnostici rispondono, al contrario, che la creazione inaugurata da Genesi 1:1, fu malvagia, illegittima, illogica e soltanto demiurgica; è un dio che ha creato il mondo, ma questo dio è in fondo solo un essere goffo e malevolo — un essere disdicevole e crudele.


Unanimità degli avversari

Ma, dal punto di vista che mi interessa qui, queste due tesi contraddittorie si ricongiungono almeno su un tema: quello della sapienza. Nell'annoso dibattito sulla Creazione buona o cattiva, tutti, ottimisti e pessimisti, si accordano nel considerare ĤKMH (in greco sarà Sophia, in aramaico traslitterato sarà Achamoth, ecc.): tutti, cosiddetti Gnostici e Profeti ortodossi, concordano nel leggere ḤKMH, «Sapienza», nel Libro della Genesi, dove non si riscontra graficamente e semanticamente.

Così si vedono nella Bibbia ebraica numerosi versi dei profeti e dei salmisti lodare la sapienza della Creazione e del Creatore; così si vedono, parallelamente e non contraddittoriamente, gli Gnostici descrivere le catastrofi che subisce Sapienza-Sophia-Ashamoth, catastrofi che rimandano tutte a quella che scatena Genesi 1,1: in principio il dio bestiale e malvagio creò il cielo e la terra, e la Sapienza, presente in quell'occasione, non ebbe in seguito che da mordersi le dita — e noi con essa.

Ritorno, quindi, alla mia domanda iniziale: Jonathan o no, Gnostici o no, profeti o no, perché ci si permette di leggere ḤKMH in Genesi 1:1?


L'ebraico lingua della cifra

Per risolvere questo problema, si deve lasciare la semantica (e la grafia) e darsi ad altri tipi di calcolo; si deve ricorrere alla cifratura e alle codifiche.

Essendo l'alfabeto ebraico composto da 22 lettere che sono anche dei numeri, è facile, aritmeticamente, fuor di semantica, far corrispondere tra loro parole o gruppi di parole, da una parte, e valori numerici dall'altra. Se si definisce, come vuole la tradizione, «gematria» la somma aritmetica delle lettere-numeri di una parola, si dirà di questa parola che ha per valore gematrico (o, più semplicemente, per gematria), diciamo, 567, 304, 70, o 43, ecc.

Tutto questo essendo noto dai miei capitoli precedenti, non insisto.

Il calcolo gematrico è costante nell'insieme della Bibbia ebraica; è costante nella letteratura ebraica peri-biblica e post-biblica; non è solo costante nella Cabala — nel senso che si dà abitualmente e limitatamente a quest'etichetta.

Ma non basta constatare che l'alfabeto ebraico è anche un codice cifrato; ancora bisogna intendersi sulla natura di questo codice e di quella combinatoria.

Senza che possa insistere, diciamo che il codice alfabetico cifrato dei rabbini (dei Farisei), come si offre esplicitamente (essotericamente) alla scoperta per esempio nel Talmud e nel Midrash Rabbah, si presenta così:

Mi si comprenda bene: non dico che questo codice è stato inventato dai farisei; sto dicendo che è stato raccolto da loro e divulgato (d'altronde piuttosto poveramente) nella loro letteratura. — In realtà, questo codice gematrico funziona nella Bibbia stessa, ed è anche costante tra i Samaritani: è quindi antichissimo. Ed è costante nel Nuovo Testamento (sotto il suo greco) e nei testi gnostici (sotto il loro greco, sotto il loro copto, ecc.). Non esiste dunque alcuna differenza, da questo punto di vista, tra — alla rinfusa — il giudaismo (tutte le sette combinate), lo gnosticismo, il samaritanesimo e il cristianesimo neotestamentario: tutti e quattro si riferiscono allo stesso Libro (la Bibbia, la Torà); tutti e quattro vi si riferiscono tramite midrash (tenendolo per codificato).

lettere

valori gematrici

ʼ (alef) 

1

B (bet) 

2

G (gimel) 

3

D (daled) 

4

H (hei) 

5

W (vav) 

6

Z (zayn) 

7

(chet)

8

T (tet)  

9

Y (iod)  

10

K (kaf)  

20 (500 in finale)

L (lamed) 

30

M (mem) 

40 (600 in finale)

N (nun) 

50 (700 in finale)

S (samech) 

60

(ayin) 

70

P (pei) 

80(800 in finale)

(tzadi) 

90 (900 in finale)

Q (quf) 

100

R (resh) 

200

Ŝ (shin)  

300

(taf) 

400

La tabella di cui sopra, seppure confermata dai Talmud, dal Midrash Rabbah, ecc., ma anche dall'insieme delle costruzioni narrative (e altre) della Bibbia ebraica, non è sufficiente. Perché c'è un altro codice, più naturale, più immediato, e di cui gli studiosi non tengono prevalentemente mai conto, quello che assegna ad ogni lettera dell'alfabeto ebraico il valore (cardinale) del suo rango (ordinale). — In concorrenza e complementarietà con ciò che d'ora in poi chiamerò «gematria classica» (gC — tabella di sopra), 

«Gematria classica» ma soprattutto, come leggo dappertutto, «gematria rabbinica»: infatti i Farisei non sono in alcun modo gli inventori di questo sistema cifrato.

occorre prendere in conto la «gematria per ranghi» (gR).

Questi due tipi di gematrie, gC e gR, presenti e operanti in tutta la letteratura ebraica (biblica o no, ulteriormente tradotta  o no, giudaica o samaritana, gnostica o no), sono altrettanto produttivi, nel suo ebraico d'origine, da un capo all'altro del Nuovo Testamento — cfr., su questo argomento, i miei due capitoli precedenti, ma più avanti introdurrò alcuni esempi di cifrari neotestamentari tra i più impressionanti... e, in effetti, tra i più produttivi. 

Non bisogna quindi, né qui né altrove nella letteratura ebraica (o di origine ebraica) accontentarsi della tabella di cui sopra; importa, tutt'al contrario, costringersi a prendere in considerazione i due tipi di codici:

In un film yiddish, Dibbuk (Polonia, 1939), uno dei personaggi grida «Emeth, Emeth, 36, 36»; 36 è infatti la gR di ʼMṬ, «verità»

lettere

gR

gC

ʼ  

1

1

B

2

2

G

3

3

D

4

4

H

5

5

W

6

6

Z

7

7

8

8

T

9

9

Y

10

10

11

20 (o 500)

L 

12

30

13

40 (o 600)

14

50 (o 700)

15

60

ᶜ 

16

70

P

17

80 (o 800)

18

90 (o 900)

19

100

R

20

200

Ŝ 

21

300

22

400

Senza dissertare sulle differenze, ma anche sulle analogie, tra i due codici così definiti (gR e gC), 

Le analogie sono evidenti: la somma delle cifre costitutive della gR di una lettera è sempre uguale alla somma delle cifre costitutive della sua gC, e viceversa. Di conseguenza, e più in generale, la somma delle cifre costitutive della gR di una parola (o di un gruppo di parole) è sempre uguale alla somma delle cifre della sua gC, e viceversa. Per esempio, la parola ʼWR, «luce», ha per gR: 1 + 6 + 20 = 27; ha per gC: 1 + 6 + 200 = 207; somma delle cifre della sua gR: 2 + 7 = 9; somma delle cifre della sua gC: 2 + 0 + 7 = 9. 

Altro esempio, il termine MŜYḤ, «messia», ha per gR: 13 + 21 + 10 + 8 = 52; somma di queste cifre: 5 + 2 = 7; ha per gC: 40 + 300 + 10+ 8 = 358; somma di queste cifre: 3 + 5 + 8 = 16, poi 1 + 6 = 7
Il movimento è dunque diretto tra le due gematrie (gC e gR), a condizione, beninteso, che non vi si faccia intervenire la considerazione delle lettere finali: ma una tale considerazione è tardiva nella letteratura ebraica, le lettere finali esistendo solo nell'ebraico samaritano. Notate, d'altra parte, che gR e gC di una parola sono strettamente identiche quando nessuna delle lettere di questa parola supera il 10° rango nell'alfabeto: così YHWH, o YḤYD, o HYH, o ʼHBH, ecc. 
Notate infine — anche se l'enunciato di quella legge è un po' complicato — che la gR del pleroma di una parola è sempre composto da cifre la cui somma è uguale alla somma delle cifre della gC di questo pleroma; per verificarlo, riprendiamo l'esempio della parola MŜYḤ: questa parola è composta dalle lettere M, Ŝ, Y e , detto altrimenti, espandendole, dalle lettere MYM, ŜYN, YWD e ḤYṬ; il pleroma di MŜYḤ è dunque: MYM + ŜYN + YWD + ḤYṬ
La gR di questo pleroma è: 13 + 10 + 13 + 21 + 10 + 14 + 10 + 6 + 4 + 8 + 10 + 22 = 141; somma di queste cifre: 1 + 4 + 1 = 6
La gC di questo stesso pleroma è: 40 + 10 + 40 + 300 + 10 + 50 + 10 + 6 + 4 + 8 + 10 + 400 = 888; somma di queste cifre: 8 + 8 + 8 = 24, poi 2 + 4 = 6. 
Tutte queste leggi gematriche, e molte altre, sono messe all'opera nei testi gnostici (mentre nessuno le studia seriamente) e nel Nuovo Testamento (dove nessuno ne sospetta l'esistenza e l'esecuzione).

eccoci in grado di rendere giustizia all'audacia intempestiva di Jonathan e, al di là di essa, alla presenza effettiva di ḤKMH, «Sapienza», nel primo verso della Genesi — e, facendo questo, di spiegare sia l'origine della corrente sapienziale che le tribolazioni gnostiche di Sophia/Ashamoth.


2701, 37 e 73

Lo ho stabilito nel capitolo precedente, il valore gematrico (gC) di Genesi 1:1, è di 2701

Vi sarebbe un sacco da dire su questo numero.

Cfr., anche là, il mio capitolo precedente.

Per ora, mi accontento di metterlo in fattori; e constato subito che 2701 è divisibile, oltre che per sé stesso e per 1, solo per 37 e 73.

Essendo 37 e 73 numeri primi, la fattorizzazione di 2701 si ferma con e su di essi — aritmetica elementare. 

Calcolo ora la gematria per ranghi (gR) e la gematria classica (gC) di ḤKMH«Sapienza-Sophia-Achamoth»:

 gR di ḤKMH = 8 + 11 + 13 + 5 = 37 

 gC di ḤKMH = 8 + 20 + 40 + 5 = 73.

E io dico — senza alcun gergo incomprensibile sulla corrente sapienziale che ha influenzato Jonathan (e derivata, a sua volta, da chissà dove) — che 2701, valore numerico di Genesi 1:1, si riduce fattorialmente a 37, gR di ḤKMH, «Sapienza», e a 73, sua gC.


Jonathan aritmetico

Jonathan legge «sapienza» in Genesi 1:1, non semanticamente (la grafia ḤKMH non vi figura), ma aritmeticamente (dal momento che «sapienza» si presenta alla confluenza dei due primi fattori primi, quindi unici, della sua codifica esoterica).

Infatti, mi si comprenda bene: non esiste in ebraico, per quanto ne so, nessun'altra parola diversa da ḤKMH che possieda per gematrie concorrenti sia 37 che 73.

 (Qui: ...nessun'altra parola, se non GLYL, «la Galilea»! Tutta la testualità del messia-figlio galileo sarebbe dunque derivata, anch'essa, tramite lavoro matematico, dal primo verso della Genesi?) 

E poi constatate quanto sono nulle le teorie che riferiscono la corrente sapienziale biblica alle influenze ellenistiche: l'equazione 2701 = 37 × 73, derivata da un lavoro ebraico sull'ebraico di Genesi 1:1, è ellenistica? È greca?  Ed è fondata sulla lettura di pensatori greci?

73 è la gematria classica di ḤKMH. Sono passato da 2701, gC del verso, 

E gC, anche, dall'inizio del prologo di Giovanni — prologo che contiene così, in ebraico e implicitamente, sia la sapienza (senza la minima briciola di influenza ellenistica) che la Galilea

Vedete d'altronde, in questo prologo, e sempre sotto il suo greco di traduzione, l'incidenza di Genesi 1:1 e del suo 73. Per esempio: 

 versi 3-4: «che era in lui», ebraico MH HYH BW, gC=73

 verso 4: «la vita», ebraico HYYM, gC = 73; da cui l'equivalenza, mantenendo il volgare delle nostre traduzioni, tra «era in lui» e «la vita», equivalenza affermata dal testo (e poi: quella equivalenza funziona anche in aritmetica per ranghi, 13 + 5 + 5 + 5 + 10 + 5 + 2 + 6 = 46, per «era in lui»/MH HYH BW, e 5 + 8 + 10 + 10 + 13 = 46, per «vita»/HḤYYM — ecco di che gratificare i grecisti! — E poi, ancora: l'espressione «in lui era la vita» del greco, in ebraico MH HYH BW HYH HḤYYM, ha per gR del suo pleroma — detto altrimenti delle sue lettere esplicitate —, MYM per M, + HH per H, + HH per H, ecc., 298; ora 298 è la gR, anche, di Genesi 1:1 — sì, tutto questo tra parentesi!) 

a 73, gC di «Sapienza»

Posso ora operare il tragitto inverso.

E non dimentichiamo di sottolineare che 37 è il retrogrado di 73, suo anagramma aritmetico.

Così, la prima calcolatrice tascabile che arriva mi indica che la somma dei primi 73 numeri (interi positivi) è uguale a... 2701.

Questo calcolo — questo calcolo di questo tipo di somma — non è solo comune (e produttivo) nella letteratura bollata come «ebraica»; esso figura anche nel Nuovo Testamento: Così, il 666 di Apocalisse 13:18 («il numero della bestia»), è uguale alla somma dei primi 36 numeri interi; il 153 di Giovanni 21:11, alla somma dei primi 17 numeri; il 276 di Atti 27:37, alla somma dei primi 23 numeri (ora 23 è la gR di KL, «tutto-tutti-tutte», termine presente, sotto il greco, in questo verso)... E poi: al momento della moltiplicazione dei pani (se conviene accettare questa etichetta), ebraico LḤM, gC 78, si raccolgono 12 ceste (traduzione abituale): ora la somma dei primi 12 numeri interi è 78 
Da una parte, lascio alla riflessione del lettore il valore, aritmetico o no, della tesi di una redazione greca (o aramaica) della base dei Vangeli e dei testi congiunti; e d'altra parte io passo oltre, perché qui mi interessa solo la sapienza.

 

Il senso e la cifra

2701 = 37 × 73. Ho menzionato, più sopra, Salmi 104:24: si deve ora prendere questo passo alla lettera; non «quanto sono grandi le tue opere», come leggo in tante versioni francesi, ma «quante sono molteplici le tue opere (RBW, perché, in quella interiezione, si tratta sia della sapienza («tutte le opere tu hai fatto in sapienza») che di una moltiplicazione (37 × 73 = 2701 — questo è il senso del verbo RBH): lo scrittore del salmo vi dice esplicitamente che la Sapienza abita in Genesi 1:1, e che vi abita per mezzo della moltiplicazione. Ora questo scrittore precede di parecchi secoli Jonathan e il suo targum.

Da qui la mia rivalutazione dell'audacia del targumista. Cambiando, come ha fatto, BRʼŜYṬ, «al principio» (traduzione volgare), con BḤKMH, «in sapienza»

E trasferendo questo cambiamento nella sua versione aramaica. 

Jonathan non ha affatto schernito il carattere sacro — intoccabile — del testo che lui riteneva (ovviamente) divino: ha solo optato per l'aritmetica e lasciato da parte la semantica.

Oppure, se si vuole essere più precisi: egli ha abbandonato una semantica, quella di «principio»/RʼŜYṬ, per raggiungere un'altra, quella di «sapienza»/ḤKMH, per mezzo di un calcolo aritmetico. 

Questo processo, semantica/aritmetica/semantica, è comune nella letteratura ebraica (ebraica o samaritana), nella letteratura gnostica (ebraica o samaritana), nella letteratura cristiana primitiva (neotestamentario o no), e nelle traduzioni (giudaiche o  samaritane) della Bibbia: targum, Septuaginta, ecc. 

E in ciò, lungi dall'innovare, ha solo portato in piena luce e volgarizzato (aramaizzando) un'esegesi che gli scrittori ebrei, sia giudei che samaritani, avevano costituito ben prima di lui: Jonathan e il suo Targum, come la corrente cosiddetta «sapienziale», come le ricerche e teorie gnostiche concernenti Sapienza-Sophia-Ashamoth, si basano su una lettura comune — esoterica e aritmetica — di Genesi 1:1.

Lettura che non ha, lo ripeto contro ciò che si vede affermato dappertutto, alcun debito nei confronti dei pensatori greci e dell'ellenismo in generale. 


Giochi sulla cifra e sul senso

Ma questa non è una conclusione; o piuttosto, quella conclusione sull'inizio del Targum di Jonathan produce, a sua volta, conseguenze che non sono senza interesse.

Se, infatti, in Genesi 1:1, perché 2701 = Sapienza moltiplicata per sé stessa, scrivo ḤKMH al posto di RʼŜYṬ, mi imbatto subito in un problema inatteso.

Quale è infatti il doppio valore gematrico (gC e gR) di RʼŜYT ?

Riferendomi alla tabella data più sopra, mi è facile dirlo:

 gC: 200 + 1 + 300 + 10 + 400 = 911;

 gR: 20 + 1 + 21 + 10 + 22 = 74.

La gematria classica (gC) di RʼŜYT (911) essendo fin troppo forte per ḤKMH e i suoi valori 37 e 73, solo è da considerare qui la sua gR: 74.

Ma 74 non è 73.

Da qui il problema che si sono posti gli scrittori: da un lato, bisogna aritmeticamente che io legga ḤKMH al posto di RŜYṬ: ed è così che Jonathan, nel suo targum, scrive «in sapienza» e non «in principio». Ma, d'altro lato, al di fuori del calcolo globale di Genesi 1:1 (2701) e dei suoi fattori primi (37 e 73), non posso far sì che 74 (gR di RʼŜYṬ) condiscenda ad eguagliare 73 (gC di ḤKMH).

Non occorre, qui, che il mio lettore si irriti del passaggio da un codice gematrico all'altro. Questo andirivieni è ricorrente nella letteratura ebraica (e non solo nella Cabala nel senso stretto del termine!): vi si viaggia tra le equivalenze di un alfabeto cifrato all'altro con un virtuosismo che non ha, è il caso di dirlo, nessun equivalente in altre culture (la greca in particolare). E questo movimento di transcodifica si ritrova, come per caso, sotto il greco, nell'ebraico originale del Nuovo Testamento; è persino su di esso — e non sulla Storia! e non sull'oralità! — che si basano le strutture concettuali più importanti del corpus. E nessuno lo sa, nessuno lo vede — nessuno lo dice! 

Così, per esempio, 52 non è solo il valore di BHMH, la «bestia» dell'Apocalisse, fornendogli, per moltiplicazione e addizione delle sue figure costitutive, il numero delle sue corna e il numero delle sue teste (QRN, «corno», concetto, sempre in ebraico, della forza molteplice; RʼŜ, «testa», concetto, sempre in ebraico, della somma, del censimento e della enumerazione). 

52 è anche, indistintamente attraverso tutto il Nuovo Testamento, l'equivalente (tra gli altri!) di: 

— BN, «il figlio» (gC); 
— MŜY, «il messia-cristo-unto» e, per anagramma, «Dio vivente/risorto» (gR), da cui l'elaborazione di una teoria sul figlio-messia e sul messia-figlio (e di una teoria sul figlio risorto — per anagramma! ); 
 HŜWR, «il bue» (gR), e HMWR, «l'asino» (gR), da cui, sullo sfondo di un riferimento ad Isaia, negli apocrifi, la presenza di questi due animali emblematici al momento della nascita del figlio-cristo; 
 NPŜ, «l'anima» (gR), senza commentario; 
— ʼŜRY, «beato colui — o coloro — che» (gR), senza commentario; 
 HPRY, «il frutto» (gR) — ricordiamoci del «frutto del grembo»
 NŞR, «radice» (gR), da cui, in Romani 15:12, il riferimento alla «radice di Iesse» di Isaia 11:10 — e NR, «radice», suona evidentemente come «nazareno», quale che sia il vero significato di questo appellativo (N. B. I cristiani primitivi erano chiamati «Nazoreni»); 
 YWḤNN, «Giovanni» (gR), letteralmente «Dio fa grazia», da cui i parallelismi tra Gesù e Giovanni, da cui le domande che gli scrittori mettono in bocca ai loro interlocutori a proposito della loro identità reciproca (e della loro rispettiva equivalenza, o meno, con MŜY, «messia»); 
 HTWBL, «il battista» (gC), letteralmente «il battezzatore» (cfr., per esempio, Marco 1:4) — cosicché Giovanni Battista riunisce in sé, aritmeticamente, due equivalenze a 52, una in gR, «Giovanni», l'altra in gC, «il battista»
 ŜLWM, «la pace» (gR), senza commentario — tanto sarebbe ricco —, e il suo anagramma MWŜL, «colui che regna/colui che parla in parabole», termine che figura nella citazione di Michea 5:l, data in Matteo 2:6 e applicata da lui a Gesù; 
 ʼLYHW, «Elia» (gC), da cui, in Marco 8:27, la questione di sapere se il «figlio» (52) o il «messia» (52) sia «Giovanni» (52) o Elia (52); 
 YŜᶜH, «la salvezza» (gR), o HYŜᶜ, «il salvatore» (gR), termini della stessa radice di «Gesù-Giosuè», letteralmente «Dio salva»... 

... Tutto ciò sotto il greco, fuori dal greco, nell'ebraico primitivo del corpus. (E non nell'aramaico, dove tali calcoli non hanno corso!) 

A quella lista impressionante, e affinché il lettore ne misuri il valore esoterico e anti-storico, conviene aggiungere questo: i genitori del «figlio-messia» si chiamano «Maria» e «Giuseppe», in ebraico MRYM e YWSP. Ora MRYM vale 56 e YWSP 48, entrambi in gR: la media di questi due numeri è 52 (cfr. lista sopra), gC di BN, «figlio» e gR di MŜYḤ, «messia-cristo». Questo mostra il processo antistorico, esoterico, di una tale generazione! 

E questo non è tutto: all'inizio del Vangelo di Luca, Giuseppe è sostituito presso Maria da Gabriele: quella sostituzione, fuori dalla Storia ma nella lingua (l'ebraica, non la greca, e non l'aramaica), ha, anch'essa, un fondamento numerico: YWSP, «Giuseppe», e GBRYʼL, «Gabriele/Dio forte», valgono entrambi 48 (gR)! 

Ho indicato più sopra che BN («figlio») = MŜYḤ («messia-cristo») = 52. Quella gematria è equivalente al pleroma di YHWH, detto altrimenti allo sviluppo delle lettere del Nome divino-sacro: 

YHWH = YWD (lettera Y, «iod») + HH (lettera H, «hei») + WW (lettera W, «vav») + HH (lettera H, «hei»); ora YWD + HH + WW + HH = 52. 

Per contro, 52, gematria del «figlio» e del «messia-cristo», non è — e questo è capitale — equivalente a nessuna delle grafie di «Gesù-Giosuè»: né a YHWŜWᶜ, né a YHWŜᶜ, né a YŜWᶜ (né alla grafia talmudica YŜW) — in qualunque modo lo si scriva in ebraico, «Gesù» non perviene mai a identificarsi gematricamente (in gR come in gC) con BN e con MŜYḤ. Da cui l'esitazione sull'accoglienza da riservare o meno a questo nome, esitazione che si esprime sia nel Nuovo Testamento (cfr., per esempio, in vari punti delle epistole paoline, l'appello a credere che il «cristo-messia» è «Gesù» e viceversa) che nei primi libri cristiani. «Gesù» non è menzionato nel Pastore di Erma, libro a lungo rimasto canonico, né in diverse altre opere degli inizi del cristianesimo — e, nell'Epistola di Barnaba, pur canonico durante un certo tempo poiché figura nel Codex Sinaiticus, si è ancora identificato «Gesù» a Giosuè, il successore di Mosè). 

Questo problema, che forse sorprenderà il mio lettore, non è affatto il prodotto di una fantasia da parte mia. Ecco qui:


La forza dell'esoterismo

Il termine RʼŜYṬ è utilizzato in tutta la Bibbia una cinquantina di volte; dappertutto è scritto RʼŜYṬ — dappertutto, salvo una sola volta, in Deuteronomio 11:12: in questo punto, e solo in quel punto, esso adotta la forma RŜYṬ (senza alef dopo la R). Bisogna notare che RʼŜYṬ è, in ebraico, dalla radice RʼŜ, che quella radice comporta tre lettere (tre consonanti), e che cancellare o alterare una qualsiasi di queste tre lettere equivale ad attentare alla natura e al funzionamento stessi della radice (RʼŜ, «la testa»). Cancellare o alterare in RʼŜYṬ la R, la ʼ o la Ŝ, è quindi in sé morfologicamente impossibile. Salvo una volta, in Deuteronomio 11:12, nessuno scrittore biblico si è cimentato in un simile attentato.

Lascio ora la Bibbia ebraica e mi rivolgo ai Manoscritti del Mar Morto.

Manoscritti quasi contemporanei dei Vangeli (?). 

Qui tutto si capovolge. Nonostante quello che ho appena detto, nonostante la ripugnanza morfologica ad ogni alterazione di RʼŜYṬ a livello della sua radice (RʼŜ), si constata  in questi manoscritti la presenza di entrambe le grafie: la «normale», RʼŜYṬ, e la «errata», RŜYṬ. E, per di più, l'ortografia errata è molto più frequente della normale.

Grafia «normale»: 4 occorrenze; grafia «errata»: 7 occorrenze. Nessun paragone con la proporzione esibita nella Bibbia. 

Ora, se si ricorda la gC di ḤKMH, «sapienza», 73, si constata che essa è uguale alla grafia errata e non alla normale: perché perdendo il suo alef, RʼŜYṬ perde gematricamente 1 e passa, di colpo, dal valore 74 al valore 73.

Per sostituire, nel suo targum, RʼŜYṬ, «principio», con ḤKMH, «sapienza», era necessario che Jonathan obbedisse a ragioni imperative: ne ho dimostrato la natura aritmetica ed esoterica. Per optare così spesso (e prevalentemente) per una grafia errata di questa stessa RʼŜYṬ (la grafia RŜYṬ), bisognava che pure gli scrittori originali dei Manoscritti del Mar Morto obbedissero a buone ragioni. Propongo di vedere, tra queste ragioni, questa qui: che hanno adattato graficamente RʼŜYṬ, tramite soppressione del suo alef (ʼ), al valore 73 di ḤKMH: RŜYṬ valendo 73 (gR), lo hanno scritto così almeno 7 volte. Fuor di semantica, e fuori dai vincoli della morfologia, hanno forzato RʼŜYṬ ad eguagliare ḤKMH, e viceversa.

Senza dimenticare, peraltro, che i primi 73 interi hanno per somma 2701, gC di Genesi 1:1.


La traduzione come esegesi implicita

Ma poi — ed è qui che la traduzione e l'esegesi si confondono, ed è qui che si coglie cos'è un targum — l'audacia di Jonathan prende ancora un'altra svolta. La sua versione («Per mezzo della sapienza il Nome creò...») rivela in filigrana molto di più di quanto ci lasci indovinare la semantica del suo aramaico: ci precisa quale fosse il suo approccio, ma ci indica anche e soprattutto la posizione che adottò nel dibattito sulla Creazione buona o cattiva — perché Jonathan, per dirla in breve, è il contemporaneo delle controversie di cui si vede la violenza nei Manoscritti di Qumran, nei sistemi gnostici e nella letteratura cristiana (o cosiddetta cristiana) nascente. Jonathan, qui, volgarizza in aramaico la posizione che prende e che è incaricato (dalla scuola di Hillel?) di prendere in mezzo a questo straordinario concerto di tesi divergenti, tesi aventi tutte, senza eccezione, in comune il riferimento al testo biblico.

Cosa fece Jonathan?


Le manovre di Jonathan

Innanzitutto, egli sostituisce l'originale RʼŜYṬ con ḤKMTʼ (controparte aramaica dell'ebraico ḤKMH) a causa dell'equazione 2701 = 37 X 73.

Così facendo, costretto a leggere sotto RʼŜYṬ la parola ḤKMH, egli si imbatte nel problema della differenza tra 74 e 73.

Per risolvere questo problema, affronta la grafia RʼŜYṬ e, come fanno i redattori di Qumran, legge RŜYṬ (= 73, gR).

Genesi 1:1 possiede 28 lettere; sostituendo RʼŜYṬ con RŜYṬ all'inizio del verso, Jonathan lo riduce a contenere non più di 27 lettere.

Ho detto più sopra che Jonathan scrive HŜM («il nome») al posto dell'originale ʼLHYM («Elohìm»): «...il Nome creò...» Quella traduzione-sostituzione, anche lì, non è senza peso. Indica che egli considerava già ʼLHYM, nell'ebraico originale del verso, un sinonimo reverenziale di YHWH:

Nello stesso modo in cui, nel Nuovo Testamento, «padre» o «cielo» sono sinonimi reverenziali di YHWH.

egli leggeva quindi YHWH al posto di ʼLHYM in Genesi 1:1. Così facendo, riduceva ancora una volta la lunghezza del verso di una lettera:

Da RʼŜYṬ a RŜYṬ, perdita di una lettera; da ʼLHYM a YHWH, perdita di una lettera.

sotto le 28 lettere originali del verso, Jonathan ne leggeva dunque 26.

Ora 26 è precisamente il valore gematico (gC o gR, indifferentemente) di YHWH, il nome divino-sacro impronunciabile. 

Ed ecco giustamente la portata della piccola frase aramaica di Jonathan («per mezzo della sapienza il nome creò...»): significa in lingua volgare (o meglio: anche se è in lingua volgare, in aramaico) che la Creazione non è l'opera di un dio inferiore, il demiurgo gnostico: sotto l'ebraico di Genesi 1:1, Jonathan legge — e fa leggere — l'azione di YHWH e la sapienza di YHWH. Vi legge e vi fa leggere la Sapienza dell'azione divina. Con la sua esegesi-traduzione del Libro, con l'esegesi virtuosa che suppone e contiene la sua traduzione, egli intende rovinare, sulla stessa base cifrata, aritmetica, codificata, tutti i sistemi catastrofici degli Gnostici. Alcuni calcoli, alcune sostituzioni, tutti e tutte della stessa natura delle procedure dei suoi avversari (ebrei come lui, o samaritani — e scrutatori, come lui, del Libro), gli bastano, fin dalla prima parola che scrive, a prendere congedo da loro.

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