domenica 28 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLA AGLI EBREI (Analisi dell'epistola)

 (segue da qui)

2. Analisi dell'epistola.

Muniti di queste informazioni riassuntive, entriamo ora in contatto con l'epistola stessa. 

Se si fa eccezione degli ultimi versi, essa si presenta sotto la forma di una dissertazione dogmatica con accompagnamento di esortazioni morali. Due oggetti costituiscono la sostanza dell'insegnamento dogmatico: il Cristo e l'opera compiuta dal Cristo. 

Il Cristo è considerato successivamente di per sé e durante il suo soggiorno sulla terra. Di per sé, il Cristo è il Figlio. È per mezzo di lui che Dio ha creato i mondi. È il riflesso della gloria di Dio, l'impronta della sua sostanza. Egli sostiene tutte le cose mediante una parola del suo potere (non ha che un ordine da dare). Assiso alla destra della Maestà nel più alto dei cieli, egli è di molto superiore agli angeli, al punto da avere diritto al titolo di dio (Salmo 44:7-8, citato in controsenso). Ma lui che, considerato in sé stesso, è così grande, è venuto sulla terra per portare soccorso, épilambanétaï, alla discendenza di Abramo (2:16). Per compiere quella missione ha dovuto rendersi simile in tutte le cose agli uomini (2:17, kata panta omoïôthénaï). Egli ha quindi partecipato in qualche modo (2:14) alla carne e al sangue, poiché gli uomini vi partecipano. Non si è vergognato nel chiamare gli uomini suoi fratelli. Ma, nello stesso tempo, è stato abbassato al di sotto degli angeli per un po' di tempo (2:9): «Per un po' di tempo»; infatti, a seguito di ciò che ha fatto per gli uomini, il Figlio, che era già grandissimo, ha ricevuto da Dio un supplemento di grandezza (2:10, téléiôsaï e 5:9). E ora è coronato di gloria e di onore (2:9).

Cosa ha fatto dunque il Cristo sulla terra? Egli è morto; e la morte che ha subìto è stata per noi il principio della salvezza. 

Egli è morto. Perché? La sua morte è stata reclamata dapprima dal suo sacerdozio; in seguito dalla nuova alleanza che è venuto a fondare. 

Dapprima dal suo sacerdozio. Il Cristo è stato sacerdote. Non si è arrogato lui stesso quella dignità. L'ha ricevuta da Dio che gli ha detto: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchisedec» (5:5-6). Il sacerdozio che quella parola gli ha conferito, lo eleva di molto sul sacerdozio levitico, poiché Abramo, antenato di Levi ha pagato la decima a Melchisedec; ma la legge del sacrificio che governa il sacerdozio levitico si estende nondimeno a lui. I detentori del sacerdozio levitico avevano la missione di presentare a Dio offerte e sacrifici per i peccati (5:1; 8:3). Il Cristo quindi ha dovuto offrire, anche lui, un sacrificio, non per i suoi peccati poiché non ne aveva, ma per i peccati del popolo (7:27; 9:26). E siccome l'immolazione degli animali che costituiva i sacrifici mosaici procurava soltanto una purificazione carnale (9:13), il Cristo ha dovuto immolare il suo corpo, secondo quanto è stato profetizzato nei salmi (10:5-10). 

Reclamata dal suo sacerdozio la morte del Cristo è stata reclamata anche dalla nuova alleanza che egli è venuto a fondare. Quella nuova alleanza annunciata da Dio stesso in Geremia (8:8-12) ha abrogato l'antica (8:13). Ma ha dovuto adattarsi alle sue condizioni. Ma è con il sangue che la prima alleanza fu inaugurata (9:18); quasi tutte le cose, secondo la legge, sono purificate con il sangue e, senza spargimento di sangue, non vi è perdono (9:22). Da qui per il Cristo la necessità di inaugurare la nuova alleanza mediante un sacrificio, ma mediante un sacrificio più eccellente (9:23) il quale, conformemente all'oracolo del salmo già citato (10:5-10), è consistito nell'immolazione del suo corpo.

A queste due ragioni essenziali della morte del Cristo si aggiungono le ragioni marginali seguenti. Il Cristo avendo adottato in qualche modo la condizione degli uomini a cui è venuto a portare soccorso, doveva sottomettersi alla legge della sofferenza che governa gli uomini (2:10). Per di più, lo spettacolo delle sofferenze del Cristo è un incoraggiamento per gli uomini che, alla scuola del loro maestro, apprendono a sopportare le avversità (12:3). Infine, il Cristo, che ora (2:9) è ricompensato a causa della sua morte, sapeva in anticipo che Dio lo avrebbe ricompensato se avesse acconsentito a morire, ed ha accettato la morte per ottenere la ricompensa promessa (12:2). [1]

Vediamo ora come la morte del Cristo ci ha procurato la salvezza. Innanzitutto, per il fatto stesso che è morto per noi, il Cristo ha subìto la pena che era dovuta ai nostri peccati. In questo senso ha preso su di sé i nostri peccati (9:28), li ha portati e lavati via. Nello stesso tempo li ha espiati (2:17, è sempre la pena di morte comminata per il peccato ad essere intesa). Avendoli espiati, li ha soppressi (9:26); ha prodotto la purificazione dei peccati (1:3). Ma il diavolo, che aveva il potere di far morire gli uomini, doveva questo potere al peccato (la pena di morte inflitta al peccato consisteva nel fatto che Dio si disinteressava del peccatore e l'abbandonava al diavolo che lo metteva a morte). Essendo spariti i peccati, i cristiani hanno cessato di essere sotto la schiavitù del diavolo, che ha perso l'impero della morte ed è stato colpito da decadimento (2:15, l'autore dice perfino che il diavolo è stato annientato). 

Affrancati dal giogo del diavolo i cristiani partecipano alla vocazione celeste (3:1). Il Cristo, quando il suo sacrificio è stato compiuto, è penetrato nel tabernacolo di cui il tabernacolo mosaico era solo l'immagine, è andato nei cieli (9:11, 24; 8:1, 2). Ora la via del santuario celeste è aperta (10:20). Spetta ai cristiani seguire il loro precursore (6:20), l'autore e la guida della loro salvezza (2:10). Laddove il Cristo è penetrato, penetreranno anche loro, se soltanto hanno la pienezza della fede, se sono muniti del battesimo e se hanno rinunciato al peccato (10:22, 23).

L'autentica patria dei cristiani non è quaggiù; essa è in cielo (13:14), in quella Gerusalemme celeste dove risiede il Dio vivente, dove risiedono le moltitudini angeliche, dove si sono già recate le anime dei giusti che hanno compiuto il loro pellegrinaggio e in particolare le anime dei cristiani della prima generazione (12:22-23). I cristiani che sono sulla terra non possiedono ancora il cielo. Essi si incamminano verso di esso (12:22), sperano in esso (11:1), lo aspettano. 

Oramai la loro attesa non sarà lunga, perché il giorno si avvicina (10:25). Noi siamo alla fine dei tempi (9:26), e colui che deve venire verrà in breve tempo, non tarderà (10:37). Ma i cristiani conservino la fede, perché senza la fede non potranno salvare la loro anima (10:35, 39). Non si lascino scoraggiare dalle prove del tempo presente; perché il Cristo che ha sofferto ha insegnato loro a soffrire; peraltro è per il nostro bene che Dio ci castiga (12:1-11). 

Si ricordino soprattutto che il cristiano rinnegato non ha alcun perdono da sperare (6:4-8; 10:26-31). Temano dunque l'apostasia, che li farebbe cadere dalle mani del Dio vivente e sarebbe per loro la causa di una sorte orribile. Non si accontentino d'altronde di conservare la fede. Si sforzino pure a fare il bene, a evitare il male (10:24; 12:12-17;13:1-6). Offrano a Dio un sacrificio di lode, vale a dire il frutto di labbra che confessino il suo nome (13:15), senza dimenticare che la beneficenza è anch'essa un sacrificio gradito a Dio (13:16). 

NOTE

[1] Io adotto qui il senso della Vulgata che è d'altronde quello del testo greco in 2:9.