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È tempo che si cominci a comprenderlo, anche se in questo campo non ci si può aspettare molta aperta approvazione da una competenza ufficiale ecclesiastica, per sua natura preoccupata prima di tutto di restare nel “possibile”: lo spirito che ha generato il Vangelo è lo spirito della visione alessandrina, della conoscenza o gnosi alessandrina, e il Iēsous che in esso insegna ed è insegnato è la ragione incarnata, che proviene dal giudaismo per superarlo e per elevarlo. Questa ragione incarnata si rifà più propriamente al segno egiziano della vita futura, alla croce “greca” (✙), che come Tau era già risultata un segno di salvezza presso Ezechiele (9:6), e ciò avviene affinché lo spirito gesuano ottenga il simbolo con cui potrà andare a conquistare il mondo. Nell’Apocalisse di Giovanni si parla più volte (12:1.3; 15:1) di segni nel cielo, “poiché il tempo è vicino” (1:3). “E allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’Uomo” (Matteo 24:30). “Il segno della Croce” leggiamo nel libro ‘sull’imitazione di Cristo’ (2:12). “Lo stendardo del Re” – così la Chiesa romana nella Domenica di Passione – “si manifesta; risplende il mistero della croce… [1] Si compie quanto nel canto fedele ci ha preannunciato Davide, quando insegnava ai popoli: Dio ha regnato dal legno!” (cfr. Giustino, Apologia 1:42). Si consideri, di passaggio, che anche quando nel Vangelo viene nominato questo “legno”, dietro il nome greco si cela il mistero della croce egiziana, poiché non si menziona che uno ‘stauròs’ o palo. “Comunemente” scrive però nel 1596 l’erudito cattolico Maldonato (Commentarium in quatuor evangelia I, p. 481), “si è sempre ritenuto che la Croce sia chiamata il segno del Figlio dell’uomo, e che alla venuta di Cristo appaia nel cielo o nell’aria come il suo stendardo”. E l’“apocrifo” Vangelo di Pietro, presso gli Egiziani, racconta: “Mentre ancora riferivano ciò che avevano visto, videro di nuovo tre uomini uscire dalla tomba, e i due sostenevano l’uno, e una croce li seguiva, e le teste dei due giungevano fino al cielo (cfr. Sapienza 18:16 ed Ebrei 7:26), ma la testa di colui che essi conducevano oltrepassava i cieli. E udirono una voce dal cielo che diceva: Avete predicato a colui che dormiva? E dalla croce si udì in risposta: Sì” (Ev. Petri 39-42). “Ucciso nella carne” scrive intorno al 125 il ‘Pietro’ romano, “reso vivo nello spirito, nel quale egli andò anche a predicare agli spiriti in prigione” (1 Pietro 3:19). “Infatti anche ai morti è stato annunciato il Vangelo” (1 Pietro 4:6; cfr. Sapienza 16:3; Giustino, Dialogo 72; Ireneo, Adv. Haer. 3:20,2; 4:22,1; 4:33,1:12; 5:31,1; Apocalisse 1:18; Matteo 27:52; 1 Corinzi 15:20; Matteo 27:53; Luca 16:22; Atti 2:27.31; Luca 23:43; Romani 10:7; Efesini 4:8-10; Ign. Ad Magn. 9:3; Erma, Sim. 9:16,4-5; Ireneo 4:27,2). “Ermes, il dio di Cillene, infatti, chiamava le anime all’esterno” (Omero, Odissea 24:1), ed “Ermes” o Thoth, sostenevano i Naasseni (Ippolito Romano, De Haeresibus 5:7), “è il Logos” o Ragione. “Chi dunque, se non un miscredente, potrà negare che Cristo sia stato negli inferi?” (Agostino, Epistola ad Evodium 99). Discesa agli inferi e Resurrezione (o Ascensione) appartengono insieme come una coppia di rappresentazioni proveniente dall’Egitto. “Si racconta” – scrive Sozomeno nella sua Storia ecclesiastica (5:17), che tratta degli anni 324-415 – “che quando ad Alessandria fu distrutto il tempio di Serapide, alcuni dei cosiddetti caratteri geroglifici incisi nelle pietre apparvero simili a un segno di croce, e che tale scrittura fu interpretata da esperti come Vita Futura”.
NOTE
[1] Anche nel racconto del martirio di Pietro, che ci è stato conservato in versione greca e che è appartenuto o appartiene ancora agli “Atti di Pietro”, una leggenda che sarà stata composta verso la fine del 2° secolo, la croce è chiamata un “mistero”.

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