(segue da qui)
Per ciò che riguarda i dati storici finora esposti, si può ritenere assodato questo triplice fatto: che già nel 1° secolo E.C. il Giosuè della leggenda mosaica fu discusso, in greco, ad Alessandria e altrove, in rapporto alla redenzione del giudaismo, come Gesù; che, secondo la sapienza giudaica di Alessandria, l’uomo che predicava Dio come suo Padre correva il rischio di essere tolto di mezzo da malvagi “servi del Signore”; che poi, nel 2° secolo E.C., come Figlio del Padre messo a morte in modo malvagio, ma che proprio attraverso la sua morte aveva portato una redenzione “spirituale” ed era apparso quale vero successore di Mosè, un Gesù realmente venuto fu annunciato come “evangelico”. L’alessandrino Filone, morto verso la metà del 1° secolo e che conosceva Pilato come uomo duro e ostinato, non parlò mai di un Giosuè galileo e nazoreo. E anche nel libro della morte e dell’assunzione di Mosè (12:6) si sa dire solo che Mosè era stato stabilito per pregare per i peccati del popolo e intercedere per esso, benché proprio lì il Giosuè mosaico venga nominato come successore nell’alleanza mosaica (10:15). Ma nella lettera agli (ellenistici) Ebrei si afferma che in quel Gesù mosaico non si è potuto trovare soddisfazione (Ebrei 4:8), e che nel “Figlio” (1:1), Giosuè, nel “Giosuè il Figlio di Dio” (4:14), è stato costituito il grande sommo sacerdote di una nuova alleanza (9:15), colui che è passato attraverso i cieli e che ci rende possibile avvicinarci con fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia in aiuto tempestivo (4:16). Non “Signore, Signore” (cfr. Salmi 8:2), ma “Padre” (Romani 8:15; Galati 4:6) è il motto della nuova comunità. “Uomini romani” — così si fa proclamare pubblicamente a Roma nelle Omelie Clementine di Pietro (1:7) — “Uomini romani, ascoltate! Il figlio di Dio è apparso in Giudea, annunciando la vita eterna a tutti coloro che lo vogliono, se ordinano la loro vita secondo la volontà del Padre che lo ha mandato”. Questa era un evangelion, una lieta notizia per molti oppressi e cercatori di quei giorni, sebbene non fosse precisamente ciò che, secondo i Salmi di Salomone, gli ebrei dell’ultima epoca precristiana, o secondo Flavio Giuseppe (Guerra Giudaica 6:5, 4), Svetonio (Vespasiano 4) e Tacito (Storie 5:13), gli ebrei palestinesi della prima epoca “cristiana” avevano atteso — ciò che, secondo il loro libro di preghiere, gli ebrei ancora attendono. Il figlio di Dio, che in Matteo 27:54 viene riconosciuto come tale da un centurione romano, e che nella predicazione evangelica (Matteo 8:20; 18:11; 20:28 e altrove) in modo mai spiegato a partire dalla lingua giudaica del paese viene anche chiamato “il figlio dell’Uomo”, cioè “il secondo Uomo” (1 Corinzi 15:47), e cioè “l’uomo dal cielo” (ibid.), che come eone, validità eterna (cfr. Ebrei 13:8) o idea, veniva inteso in senso gnostico o teosofico come proveniente dal “primo Uomo”, dal “Padre di tutti”, dalla “prima Luce” (Ireneo 1:30, 1), — questa “luce del mondo” (Giovanni 8:12) è apparsa dal cielo (Giovanni 3:13; 6:63) in questo mondo solo per precedere gli uomini sulla via della Croce (Matteo 10:38-39; 16:24-25; Marco 8:34; Luca 9:23; 14:27). Anche il Targum di Jonathan, in verità, interpreta Isaia 52:13–53 come se lì si parlasse dell’Unto di Dio. Ma il Christos dell’attesa popolare giudaica era pur sempre un re vendicatore; e allora, che cosa è mai l’evangelico Giosuè come Unto? Che cos’è il christòs Ieesoûs ? (cfr. Matteo 22:42). Esotericamente si risponde: “Il principe di questo mondo viene, e non ha nulla in lui” (Giovanni 14:30). I molti, tuttavia, ascoltano la lieta notizia: “Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto sopra un’asina!” (Matteo 21:5). [1] “È chiamato Cristo” — afferma Giustino Martire (Apologia 2:6) — “perché è stato unto e perché Dio ha ordinato ogni cosa per mezzo di lui; tale nome contiene anch'esso un significato sconosciuto”. In ciò sembra risuonare qualcosa di più di quanto non si possa immediatamente intendere: e l’“unzione” con Spirito santo, che è menzionata in Atti 10:38, l’“unzione” per evangelizzare i poveri, di cui si parla in Luca 4:18, sono altrettanti motivi per derivare il carattere “messianico” del Giosuè evangelico da un punto di partenza diverso da quello regale.
NOTE
[1] Loisy nota qui “Il carattere simbolico del racconto”: ‘Les évangiles synoptiques’ 2 (1908): 261.

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