(segue da qui)
Giovanni il Battista è un uomo che, a giudicare dalle ‘Antichità Giudaiche’ (18:5) di Flavio Giuseppe, fu messo a morte ai tempi di Erode Antipa; se lo stesso si possa dire del Gesù nazoreo ed evangelico, è cosa di cui si può a ragione dubitare, e l’unica certezza qui è che nel vangelo di Gesù è presupposto quello giovanneo. “Abbiamo come testimoni i Profeti”, scrive nel 177 Atenagora nella sua apologia per i cristiani (c. 7). Testimoni di natura problematica! Fozio, ancora nel 9° secolo, sa dire che nessun giudeo (nel 1° secolo) ha fatto menzione di Gesù, ed è abbastanza evidente che il Gesù evangelico è stato concepito fin dall’inizio con “Mosè e i Profeti” dinanzi agli occhi. Secondo 2 Corinzi 4:4, conviene riflettere, il Vangelo è una predicazione dell’“immagine” di Dio, così come Diogene di Sinope aveva chiamato in generale gli “uomini buoni” immagini divine (D.L. 6:51), così come ad Alessandria la Sapienza era chiamata in sé stessa “immagine della bontà di Dio” (Sapienza 7:26), e secondo Plutarco anche il figlio divino Horus era detto (pre-)immagine del mondo concepibile (De Iside et Osiride 354). E ora, con Sapienza 2:12–20 davanti agli occhi, l’immagine evangelica della sapienza e bontà del Padre – che in 1 Corinzi 1:24 è detta la sapienza stessa di Dio –, fu proclamata subito dopo il Filone alessandrino, ignaro di tutto, da Marco e da Paolo come contemporanei più giovani di ‘dodici testimoni’ provenienti dalla terra giudaica, che avevano toccato e visto? “Che cosa dice ancora Mosè di Gesù figlio di Nave, che era profeta, dopo che egli gli ebbe imposto il nome, solo perché tutto il popolo ascoltasse che il Padre rivela ogni cosa intorno al Figlio suo Gesù?” Così lo scrittore alessandrino della Lettera di Barnaba (12:8), e la domanda storica che qui bisogna porre è se il Gesù predetto nel Mosaismo e già rivelato – il Figlio Giosuè rivelato dal Padre – sia mai esistito da qualche parte al di fuori dello spirito altrui, o se sia esistito in altro modo che come spirito altrui, in primo luogo degli Alessandrini che allegorizzavano e, allegorizzando, storicizzavano. Che “il Crocifisso” fosse già presso Mosè e Aronne e avesse parlato con loro dalla colonna di nube, poteva sembrare a un giudeo palestinese un pensiero scandaloso; ma in realtà i cristiani gesuani del 2° secolo credevano in quello che dei gesuani giudaici del 1° secolo ad Alessandria avevano predisposto e preparato; la sapienza degli Alessandrini fu la prima a mostrare il Regno di Dio (Sapienza 10:10) attraverso un velo evangelico (Ebrei 10:20), attraverso la figura di un Giosuè pensato come divinamente saggio e buono, del quale a Roma, ancora poco prima della rottura con gli gnostici, si distingueva il Giosuè mosaico come “il signore Gesù secondo la carne” (1 Clemente 32:2). In Filone (Legum Allegoriae 1:19 e altrove) la Sapienza è detta Logos o Ragione divina; è la Ragione o Sapienza ad aver compiuto in realtà le antiche meraviglie, e quella sapienza divina è la stessa potenza di Dio (Leg. All. 2:21) e l’immagine di Dio (De Monarchia 2:5), la quale fu detta venuta nella carne per la salvezza e la liberazione di molti (Matteo 1:21; 18:11; 20:28; 26:28; 1 Corinzi 1:24; 2 Corinzi 4:4; Colossesi 1:15; Ebrei 1:3; 10:20). “La Legge non è altro che Ragione divina”, dice Filone al § 23 del suo scritto sulla migrazione di Abramo. “La Legge è stata dunque il nostro pedagogo fino a Cristo” (Galati 3:24) – e “nella predicazione di Pietro si trova che il Salvatore è chiamato Legge e Ragione”. Così dice almeno Clemente di Alessandria alla fine del primo libro dei suoi Stromati, ricordando anche che, secondo quanto afferma Giustino, il nome Gesù era stato un nome proprio di Dio stesso. Un nome colmo di promessa di compimento per gli eletti. “Tu non ti impegni”, dice al § 113 del suo dialogo con il giudeo Trifone, “sul perché il nome di Auses, figlio di Navè, datogli dal padre, è stato di punto in bianco cambiato in quello di Gesù! .... E così come fu lui, e non Mosè, a far entrare il popolo nella terra santa e sempre lui la divise a sorte tra coloro che erano entrati assieme a lui, anche Gesù Cristo invertirà la diaspora del popolo e distribuirà a ciascuno la buona terra, ma non più allo stesso modo”. Clemente Alessandrino vive nella stessa convinzione: “Un profeta come me, disse Mosè, il Signore vi farà sorgere tra i vostri fratelli, cioè Gesù figlio di Nave, volendo significare Gesù figlio di Dio. Perché il nome di Gesù, predetto nella legge, era una figura del Signore” (Ped. 1:7). Anche Tertulliano riferisce nella sua opera contro Marcione (3:16): “Quando Auses, figlio di Nun, fu destinato come successore di Mosè, gli venne mutato il nome che aveva prima e cominciò a chiamarsi Gesù. Noi sosteniamo, per prima cosa, che questa fu la figura di ciò che sarebbe dovuto accadere”. Origene scrive: “Quando sarete giunti al mistero della fonte battesimale… entrerete nella terra della promessa, nella quale, dopo Mosè, Gesù vi introduce, e questi vi diventa guida nel nuovo cammino” (Hom. 11:37). “Poiché Dio ha inviato Gesù a compiere la circoncisione, nello stesso tempo, di tutti i degni e degli indegni; non Gesù figlio di Nave, poiché costui non aveva circonciso il popolo con la vera e perfetta circoncisione, ma Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore” (11:54). Eusebio, per citare ancora uno scrittore posteriore, afferma nella sua ‘Storia ecclesiastica’ (1:3, 4) che Gesù il figlio di Nave “portava l’immagine” del nostro Salvatore; in altre parole, che il nome successivo, che egli aveva portato, era stato un presagio del Gesù evangelico. Così non deve stupire che le dignità che Filone giudeo alessandrino, nella sua vita di Mosè (2:23), aveva enumerato come uffici del capo del giudaismo, fossero poi riferite dal più antico scrittore di una storia della Chiesa (1:3, 8) come uffici di Cristo. Come ‘evangelico’, Giosuè è il Salvatore evangelico, niente di più e niente di meno che il ‘vero’ successore di Mosè.

Nessun commento:
Posta un commento