III
PASQUA E MISTERO
La festa di Pasqua, così liberata dall'interpretazione nazionalista dell'Esodo, può classificarsi in una categoria di riti comuni, in maniera da permettere di coglierne più profondamente la sua portata generale e di ricostruire, per mezzo di analogie metodiche, i suoi elementi incompleti o mancanti?
Théodore Reinach [1] le attribuisce un'origine totemica; ma si limita a un'affermazione di principio: il clan di Rachele, la Pecora, doveva primitivamente mangiare il suo totem, secondo l'usanza australiana, per identificarsi con la sua sostanza e rafforzare tra i suoi membri i legami di solidarietà. Quando esso ebbe acquisito la supremazia politica, impose naturalmente i propri costumi alla totalità delle tribù.
La Pasqua presenta, infatti, alcuni caratteri di rassomiglianza con la cerimonia dell'Intichiuma, praticata dai clan totemici dell'Australia centrale e attualmente più conosciuta. [2] L'una e l'altra sono la grande festa dell'anno: hanno luogo nello stesso periodo, al momento in cui la natura si rianima dopo la siccità dell'inverno; esse sono celebrate dal gruppo domestico; comprendono entrambe pratiche di magia positiva e una effusione di sangue. Il capo del clan percuote le pietre sacre e disperde al vento le polveri fecondatrici, mentre i giovani si aprono le vene per accrescere l'efficacia del rito; in seguito ha luogo un pasto di comunione; le due cerimonie si concludono egualmente con cantici, al sorgere del sole. L'Intichiuma ha lo scopo di aiutare al rinnovamento della specie totemica e, fortificando così i rapporti di parentela tra gli uomini e l'Antenato, di assicurare la preservazione del clan. La Pasqua tendeva a portare l'abbondanza dei frutti naturali, allo stesso tempo in cui simboleggiava il patto di alleanza concluso con Jahvé per la salvezza e l'unità del suo popolo.
Ma se alcuni autori ritengono che la Pasqua come originaria dal totemismo. è soprattutto per ragioni filosofiche: quella forma di società sembra loro essenzialmente primitiva e, come tale, madre di ogni civiltà. In realtà, bisogna che la credenza in una filiazione tra il clan e una specie animale sia naturale per una coscienza rozza: il bambino non appartiene al suo totem per il solo fatto della sua nascita: questo legame si costituisce per mezzo di riti iniziatici complicati. L’idea di demoni ostili da cui bisogna proteggersi si rivela molto più elementare della fede totemica. In una fase più evoluta la comunità tratta con queste potenze, che ne diventeranno i difensori. L'alleanza tramite il sangue apparirà più tardi ancora. Non ritroviamo nella Pasqua l'idea di una parentela degli uomini con gli antenati soprannaturali, incarnati in una specie; la mitologia di questo rito rimane intermedia tra la nozione di demoni ostili e quella di un essere formidabile, ormai protettore degli ebrei, che passa sulle loro case senza toccarle. Tuttavia, la credenza in una filiazione mistica con il dio si svilupperà nella pasqua cristiana:
«Voi siete tutti figli di Dio», diceva Paolo. [3]
Nel corso del rito dell'Intichiuma il totem, che si può assimilare ad una sorta di divinità del clan o ad uno spirito, è solennemente mangiato dai presenti. La versione edulcorata dell'Esodo non rivela se l'agnello immolato partecipasse a sua volta a una natura divina, ma rappresentava certamente qualcosa di più di un mero sostituto della personalità dei sacrificanti:
Il sacrificio, osserva giudiziosamente Alfred Loisy, [4] era in qualche maniera un cibo divino, e comunicava all'uomo una sorta di forza divina. Infatti il legame non era tra il dio e i suoi clienti una cosa puramente morale; era, in fondo, una comunione di vita nello stesso sangue, un rapporto analogo a quello che esisteva tra i membri di uno stesso clan, dove l'unità morale del gruppo implicava o era ritenuta implicare l'unità fisica del sangue o della vita nei membri che lo componevano? La stessa virtù misteriosa che era nell'animale sacrificato, e che spettava al dio mediante l'immolazione, spettava anche all'uomo che partecipava alla stessa vittima.
L'efficacia della comunione sacrificale appare soprattutto nei riti antichi della Pasqua.
Non si trattava, infatti, dell'immolazione di un semplice animale domestico:
«Ciò che resta dell'agnello pasquale, dopo mezzanotte», dice il Talmud, [5] «rende impure le mani, al pari di una santità rifiutata».
Certe pratiche tendevano persino a personificare la vittima: così neppure una delle sue ossa doveva essere rotta. [6] Sono parole simili che il salmista pronuncia a proposito del Giusto, per esprimere che Jahvé lo prende sotto la sua protezione. [7] L'assimilazione dell'animale salvatore ad un eroe divino si presenterà come perfettamente naturale.
L'esistenza di un culto dell'Ariete presso gli ebrei sembra d'altra parte attestata da un'antica leggenda della Genesi: [8] Giacobbe, che doveva chiamarsi più tardi Israele, [9] domanda a suo zio la mano di Rachele, la femmina dell'Ariete; ma questi lo fa sposare di sorpresa l'altra sua figlia, Lea, la femmina del Toro selvaggio. Tuttavia, Giacobbe odiava Lea e amava Rachele, che riuscì a prendere come sua seconda moglie. Che le mogli di un tipo rappresentativo del popolo d'Israele portino entrambe nomi di animali, non vi si può minimamente vedervi il prodotto della coincidenza. Gli ebrei adoravano quindi due divinità, forse due antichi totem: il Toro e l'Ariete. Sappiamo, infatti, che un giovane toro, che l'Esodo chiama il Vitello d'Oro, gareggiò con il dio Jahvé dopo l'uscita dall'Egitto, e l'agnello pasquale a sua porta ha portato ombra a Jahvé, al punto da richiedere le grandi riforme del re Giosia. La gelosia di Lea e di Rachele simboleggia senza dubbio la lotta tra i due culti: un momento, Lea prevale, dà numerosi figli a Giacobbe, mentre Rachele rimane sterile; ma quest'ultima mette infine al mondo un figlio e a partire da questo momento l'influenza di sua sorella declina.
Analogie con altri riti del raccolto presso popoli diversi rafforzano la presunzione a favore della natura divina dell'agnello pasquale primitivo. Eugène Goblet d’Alviella [10] e James George Frazer [11] hanno segnalato una moltitudine di costumi, che permettono di concludere per la credenza universale, in Europa e anche in America, in uno spirito del grano, rappresentato spesso sotto una forma animale: lupo, cane, lepre, gallo, oca, gatto, capra, montone, mucca, bue, toro. Esso risiede nei campi di grano e muore con l'ultimo covone. In un banchetto solenne i mietitori mangiano la sua carne e bevono il suo sangue. Talvolta sostituiscono l'animale divino con pani e dolci modellati a sua immagine. In Guyenne, dopo il taglio delle ultime spighe di grano, essi portano un ariete nei campi, dove lo uccidono; la sua morte rappresenta quella dello spirito del grano. Nella regione di Grenoble, prima della fine del raccolto, si lascia andare attraverso il grano una capra adornata di fiori e nastri, poi una parte della sua carne è servita a un pasto, mentre l'altra, conservata fino al raccolto nuovo, lo renderà abbondante. In certe regioni della Russia Bianca, i contadini mangiano, il giorno di Pasqua, un agnello arrosto, le cui ossa sono gettate in mezzo al raccolto ancora in crescita per proteggerlo dalla grandine.
L'agnello pasquale era in origine uno spirito del grano? La sua assimilazione alla festa del raccolto e le numerose pratiche di fecondazione che seguivano alla festa, permettono almeno di affermare che esso svolgesse un ruolo analogo.
Benché le prove addotte non siano certe, gli dèi misterici rientravano forse anche in una natura simile a quella di questi spiriti animali. I Greci rappresentavano Dioniso sotto forma di capra, come i Satiri e altri spiriti degli alberi, a cui la fede popolare attribuisce il potere di attivare la crescita dei cereali. [12] Gli Egiziani chiamavano Iside la «signora del pane» o la «signora della birra». [13]
Diodoro, ammette Paul Foucart, [14] autore pur inaccessibile al metodo comparativo, ha riportato un uso di mietitori egiziani, risalente ai tempi più antichi, che esisteva ancora ai suoi tempi, e di cui sembra che egli stesso fosse testimone: «Al momento della mietitura, essi sollevano le prime spighe tagliate e, tenendosi presso il covone, si battono il petto invocando Iside». [15] …I colpi al petto sono una manifestazione inequivocabile di dolore e in particolare un segno di lutto. È quindi su un morto che si lamentano i mietitori e questo morto è raffigurato dalle prime spighe tagliate.
Se spogliamo i misteri antichi di tutta la loro complessità, per ridurli ai loro elementi primordiali, dobbiamo riconoscere che essi si componevano, come la festa di Pasqua e i banchetti dei mietitori, di un sistema di riti destinati ad assicurare il rinnovamento della vegetazione. Quelli di Eleusi, ad esempio, che furono a loro volta nazionalizzati, appaiono in origine come un culto familiare, eredità degli Eumolpidi, ai quali si aggiunsero i Cerici:
Non era la città, dice Paul Foucart, [16] che aveva affidato loro il compito di vegliare alla loro celebrazione, erano loro che avevano proprio voluto condividere con gli altri cittadini le tradizioni sacre.
Sulla testimonianza di Erodoto, [17] Paul Foucart [18] e Alfred Loisy [19] attribuiscono l'origine del culto di Demetra in Attica, prima dell'evoluzione eleusina, a un antico costume egiziano, conservato in parte nella festa delle Tesmoforie. Il secondo giorno, le donne restavano sedute per terra, in atteggiamento di dolore, senza dubbio aspettando il ritorno alla luce dell'astro morto durante l'inverno; secondo l'interpretazione mitica, in memoria del rapimento di Core. L'ultimo giorno recava la gioia. D'altra parte, costoro gettavano in un buco nel tempio maiali con emblemi di fertilità: figure in argilla di genitali femminili, serpenti e rami di pino; poi discendevano a cercare i resti delle vittime per bruciarli. Le ceneri mescolate ai semi procuravano un'abbondante raccolto.
La fretta, prescritta agli ebrei per il compimento del rito, si riscontra anche nei grandi misteri, nella corsa verso il mare dei misti, portando ciascuno un maiale. Il sangue di queste vittime non sbarrava propriamente la strada agli spiriti maligni, ma li attirava e impediva loro di impadronirsi dei neofiti. In seguito costoro non dovevano più uscire dalle loro dimore, prima della partenza per Eleusi. Ai Piccoli Misteri, il corteo effettuava il passaggio dell'Ilisso, ruscello sacro dove avevano luogo le purificazioni; ai grandi misteri, esso attraversava uno dei laghi Rheitoi, consacrato alla dea. Il corteo arrivava davanti al recinto sacro di Eleusi al tramonto del sole. Le iniziazioni avevano luogo la notte; prevedevano un pasto sacro in cui i misti consumavano un cibo solido e bevevano il ciceone, una miscela di acqua, farina ed erba selvatica.
Anche la Pasqua cela nella sua natura tutti gli elementi di un mistero. Dapprima il suo carattere domestico la portava a dar nascita ad una setta che perseguiva, come la famiglia, la salvezza particolare dei suoi membri. In questo ambiente intimo, al di fuori dal Tempio, dove i sacerdoti officiavano, l'individuo non si sentiva affatto sorpassato: egli prendeva una parte attiva nel compimento dei gesti consacrati e doveva ritenersi personalmente liberato dalla schiavitù dell'Egitto. [20] Per testimoniarlo, ciascuno degli invitati mangiava, quel giorno, appoggiato su un letto, secondo l'usanza dei maestri. [21] Sola tra tutti i grandi riti ebraici, quella festività, malgrado i tentativi di nazionalizzazione, restava quindi votata all'iniziativa privata. Praticata, nella sua parte essenziale, al riparo dal controllo levitico, essa rischiava molto di affrancarsi un giorni dall'ordine tradizionale, per evolvere in una direzione esoterica.
La sua organizzazione, anche nel periodo di asservimento a Jahvé, rivela un carattere iniziatico. I partecipanti al pasto sacro erano determinati in anticipo da leggi severe e formavano circoli chiusi tanto quanto quelli dei misteri ellenici. Il trattato del Pesahim del Talmud di Gerusalemme [22] ordina che dopo il consumo dell'agnello pasquale non si mangi più nulla, nemmeno il dolce,
«affinché», dice, «non si sia portati a lasciare una compagnia per mangiare di nuovo con un'altra».
Era inoltre necessario osservare prescrizioni minuziose in caso di contatto involontario: sia che gli agnelli di due compagnie si ritrovino mescolati e non si possa riconoscerli, sia che una compagnia perda il proprio agnello. [23]
Le scene di lamentazioni e di entusiasmo, che svilupparono la mitologia specifica dei misteri, si ritrovano nella Pasqua. Si è preteso che il pasto ebraico differiva dalla cena cristiana in quanto la prima, festa della liberazione dall'Egitto, era un giorno di gioia, mentre il memoriale della crocifissione si prestava solo al lutto. Sarebbe strano se un rito che, primitivamente, celebrava di volta in volta la morte della vegetazione, poi la sua resurrezione radiosa, non abbia affatto conservato questo carattere di alternanza. In realtà il pasto pasquale comportava anche una fase di tristezza: i convitati mangiavano erbe amare, cerfoglio macerato nell'aceto e insalata mista ad erbe, a simboleggiare il periodo di prigionia:
«Gli Egiziani», si recita ancora, [24] «ci trattarono male, ci oppressero e ci imposero una dura servitù...
Noi gridammo al Signore, Dio dei nostri padri: il Signore ascoltò le nostre voci, vide la nostra afflizione, la nostra angoscia e la nostra disperazione. Egli ci fece passare dalla schiavitù alla libertà, dall'afflizione alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce splendente, dalla schiavitù alla liberazione».
Questo tema si prestava mirabilmente alla rappresentazione di un dio che si dona in sacrificio, per rinascere gloriosamente. Assisteremo alla formazione della sua leggenda, nella fase nazionale del culto.
Infine, il rito comunitario, che si ritrova nella maggior parte delle feste di rinnovamento, dall'Intichiuma australiana, fino ai misteri e perfino ai banchetti dei mietitori, costituisce a sua volta l'atto fondamentale della festa di Pasqua.
Per una coincidenza curiosa, si è spesso accostata la comunione totemica all'eucarestia. Emile Durkheim [25] lascia intendere che entrambe le istituzioni partecipano ad una natura simile. I vincoli di solidarietà che uniscono i cristiani a Gesù presentano gli stessi caratteri di quelli dei membri di un clan nei confronti dell'Antenato mitico. I cristiani si considerano come fratelli, in seno ad una famiglia mistica. Gli uomini, nati dal soffio vitale di Dio, il padre comune, sono fatti a sua immagine e, per affermare quella parentela, Gesù ha dato ai suoi, dopo l'oblazione cruenta della passione, il mezzo per incorporare la propria sostanza spirituale. [26]
Ma siccome, con gli studiosi del suo tempo, Emile Durkheim pensava probabilmente che l'eucarestia risalisse al massimo al I° secolo della nostra era, non poteva che constatare la strana rassomiglianza con i culti primitivi, incapace di ritrovare la minima filiazione storica, sicché la sopravvivenza, privata di una genealogia continua, restava inspiegabile. Era un abisso di più secoli da colmare.
Lo stesso Theodore Reinach, che si è avvicinato così tanto alla scoperta, facendo derivare la Pasqua dalla comunione totemica, invece di immaginare un'evoluzione reale di quella istituzione, o di un'istituzione dello stesso ordine, fino all'eucarestia di Paolo, si limita a constatare che, grazie ad una bizzarria del caso, la festa ebraica, che era iniziata con un mistero teofagico, ha riscoperto, con la Pasqua cristiana, la sua natura ancestrale, perduta da millenni. [27] Imbevuto del pregiudizio della storicità di Gesù, che rompe la catena normale dei fatti, egli suppone che il pasto del clan, distorto dall'autorità gelosa di Jahvé, che lo trasformò in festa nazionale, sia risorto di colpo, con i suoi caratteri primari, in piena civiltà greco-romana, in una religione eppure senza legame, al di fuori di un vago simbolismo, con il rito di Mosè! L'autore si è trovato di fronte alla soluzione, senza riconoscerla.
Se la mitologia cristiana emerge dalla Pasqua e se questa deve la sua origine a un rito di magia domestica, le diverse fasi dell'evoluzione storica, che culmina nel sacramento in cui il Signore è mangiato e bevuto sotto specie alimentari, si sono svolte naturalmente, senza soluzione di continuità. Il pasto teofagico che, secondo la tesi storicista, sorse ex nihilo, nella comunità paolina, intorno all'anno 55, immerge profondamente le sue radici nel passato; la sua forma barbarica e arcaica, invece di essere il prodotto improbabile di un'epoca di cultura filosofica, risale alla preistoria.
Così la festività ebraica, che abbiamo indicato come l'origine possibile del mito di Gesù, a causa delle rassomiglianze simboliche e in virtù della legge sociologica dell'anteriorità dei riti rispetto alle leggende, si ritrova, per una strana coincidenza, a presentare all'analisi esattamente la stessa evoluzione dei culti di Dioniso, di Osiride, di Demetra e di Attis, da cui un'esegesi troppo superficiale pretende di far derivare il cristianesimo. La sua natura la chiamava a donare al mondo una grande religione delle anime.
NOTE
[1] La fête de Pâques, pag. 54-56, Parigi, Ernest Leroux, 1906.
[2] Emile Durkheim, Les Formes élémentaires de la vie religieuse. Le systèem totémique en Australie, Libro 3, capitolo 2, I, pag. 465-475, Parigi, Félix Alcan, 2° edizione, 1925.
Arnold Van Gennep, L'Etat actuel du problème totémique. Etude critique des théories sur les origines de la religion et de l'organisation sociale, Parigi, E. Leroux, 1920.
Marie Hollebecque (Lahy-Hollebecque), Les Formes primitives de la religion et de la magie, in Dieux et Religions, serie di conferenze, pag. 26-39, Parigi, F. Rieder, 1926.
[3] Galati 3:26.
[4] La Notion de sacrifice dans l'antiquité israélite, nella Revue d'histoire et de littérature religieuses, gennaio-febbraio 1910, pag. 16, Parigi, Emile Nourry.
[5] Le Talmud de Jérusalem, traduzione di Moïse Schwab, trattato del Pesahim, 10, 7, volume 5, pag. 153, Parigi, Maisonneuve et Cie, 1882.
[6] Esodo 12:46, Numeri 9:12.
[7] Salmo 34:20-21.
[8] Genesi 29-35.
[9] Genesi 32:28.
[10] Eleusinia, Parigi, Ernest Leroux, 1903.
Les Rites de la moisson et les commencements de l'agriculture, Parigi, stessa edizione, 1898.
[11] Il Ramo d'oro, traduzione di R. Stiébel e J. Toutain, volume 3, pag. 319-349, Parigi, Schleicher frères et Cie, 1911.
[12] James George Frazer, ibidem, volume 3, pag. 352-353.
[13] Paul Foucart, Les Mystères d'Eleusis, pag. 71, Parigi, A. Picard, 1914.
[14] Ibidem, pag. 440-441.
[15] Diodoro di Sicilia, 1:14.
[16] Ibidem, pag. 144.
[17] Erodoto, 2:171.
[18] Ibidem, pag. 63.
[19] Les Mystères païens et le Mystère chrétien, pag. 79, Parigi, Emile Nourry, 1919.
[20] Le Talmud de Jérusalem, traduzione di Moïse Schwab, trattato del Pesahim, 10, 4, volume 5, pag. 151, Parigi, Maisonneuve et Cie, 1882.
[21] Ibidem, 10:1, volume 5, pag. 148.
[22] Ibidem, 10:4, volume 5, pag. 151.
[23] Ibidem, 9:8-11, volume 5, pag. 145-147.
[24] Haggada, Récit de Pâques, Gerusalemme, stampato da J.-B. Frumkin, 1903, pag. 20-21 e 35.
[25] Les Formes élémentaires de la vie religieuse, pag. 484-485, 486, Parigi, Félix Alcan, 1925.
[26] J.-M. Lahy, Du Clan primitif au couple moderne, pag. 29-30, Parigi, Edizioni Radot, 1927.
[27] Théodore Reinach, La fête de Pâques, pag. 60.
Nessun commento:
Posta un commento