mercoledì 1 gennaio 2025

GESÙ DIO DELLA PASQUA — La Pasqua preistorica

(segue da qui)

 II

LA PASQUA PREISTORICA


Quale era dunque, nell'economia della religione ebraica, questa festa di Pasqua, che un simbolismo strano si ostina, da millenni, a collegare all'opera di Gesù?

L'Esodo riporta la leggenda della sua fondazione: [1]

Jahvé aveva ordinato agli ebrei, tenuti prigionieri in Egitto, di andare a celebrare nel deserto una festa solenne. Mosè e Aronne domandarono per il loro popolo un congedo di qualche giorno. Il Faraone rispose con scherno che una simile richiesta provava che i suoi sottoposti avessero tempo libero e inflisse loro un aggravio di fatiche.

Allora Jahvé, il dio che infesta i cespugli, ebbe pietà di una tale miseria: egli apparve a Mosè nel suo rifugio e promise di farlo uscire dall'Egitto con il suo popolo e di condurlo nel paese dei Cananei, dove scorrono il latte e il miele. Poi la sua mano incominciò a pesare sul paese: le acque del Nilo divennero sangue; le rane invasero le case; le zanzare nacquero dalla polvere; gli insetti coprirono la terra; i cavalli, gli asini, i cammelli perirono in massa; Mosè e Aronne sparsero verso il cielo delle ceneri che produssero sugli uomini e sulle bestie delle ulceri germoglianti in pustole; la grandine, i tuoni e il fuoco tormentarono l'erba, il lino, l'orzo e spezzarono gli alberi dei campi; le locuste brucarono tutto ciò che era sfuggito alla grandine; e per tre giorni le tenebre si stesero sull'Egitto. Dopo ogni piaga, Mosè, come se fosse lui stesso un dio, diceva al Faraone: «Lascia andare il mio popolo, affinché mi serva». Ma il Faraone indurì il suo cuore.

Una decima piaga, ancora più terribile, doveva aver ragione sulla sua testardaggine:

Jahvé disse a Mosè e ad Aronne:

«Questo mese sarà per voi il primo dei mesi...

Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: Il decimo giorno di questo mese, ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa... senza difetto, maschio, dell'anno... Potrete prendere un agnello o un capretto. 

Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità d'Israele, riunita, lo sacrificherà tra i due vespri... [2]

Poi si prenda del sangue d'agnello e lo si metta sui due stipiti e sull'architrave della porta delle case dove lo si mangerà. 

Se ne mangi la carne in quella notte; la si mangi arrostita al fuoco, con pane azzimo e con erbe amare. 

Non mangiatelo poco cotto o lessato nell'acqua, ma sia arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le interiora. 

Non lasciatene avanzo alcuno fino alla mattina. Quello che sarà rimasto fino alla mattina, bruciatelo con il fuoco. 

Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è il passaggio di Jahvé.

Quella notte io passerò per il paese d'Egitto, colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, tanto degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli dèi d'Egitto. Io sono Jahvé. 

Il sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; quando io vedrò il sangue, passerò oltre, e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d'Egitto.

Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione, e lo celebrerete come una festa solenne a Jahvé, di età in età...

Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case; perché, chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo, sarà tolto via da Israele... 

Quando sarete entrati nel paese che Jahvé vi darà, come ha promesso, osservate questo rito.

Quando i vostri figli vi diranno: «Che significa per voi questo rito?» risponderete: Questo è il sacrificio di passaggio in onore di Jahvé, il quale passò oltre le case dei figli d'Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case.

Poi i figli d'Israele andarono e fecero così; fecero come Jahvé aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne...

A mezzanotte, Jahvé colpì tutti i primogeniti nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che sedeva sul suo trono al primogenito del carcerato che era in prigione, e tutti i primogeniti del bestiame». [3]

E il Faraone, convinto questa volta della potenza del dio d’Israele, disse a Mosè e ad Aronne: «Levatevi ed uscite di mezzo al mio popolo».  

La versione delle Scritture attribuisce quindi un'origine nazionale al rito della Pasqua: questo servirebbe da preludio all'uscita dall'Egitto e al passaggio del Mar Rosso.

Sembra però che il sacrificio dell'agnello abbia simboleggiato un episodio della storia di Israele soltanto in una fase tardiva dell'evoluzione. L'esegesi rivela, infatti, tracce probabili della sua esistenza, prima dell'esodo.

È così che Mosè e Aronne vengono a chiedere un congedo al Faraone, al fine di andare a celebrare una festa solenne:

«Il Dio degli Ebrei si è presentato a noi; lasciaci andare per tre giornate di cammino nel deserto, per offrire sacrifici a Jahvé, affinché egli non ci colpisca con la peste o con la spada». [4]

Questi eventi si verificavano all'epoca in cui si raccoglieva la paglia nei campi. [5] Una festa solenne, celebrata in primavera, come la Pasqua, e la cui inosservanza attirerebbe lo sterminio degli ebrei, rassomiglia molto al terribile passaggio di Jahvé che porta il lutto alle famiglie che non hanno affatto sacrificato l'agnello. E, quando dopo la quarta piaga, il Faraone permette a Mosè di celebrare la festa, ma nel territorio d'Egitto, questi risponde:

«Non si può fare questo, poiché faremmo a Jahvé, nostro dio, sacrifici che sono un abominio per gli Egiziani. Ecco, facendo sotto i loro occhi dei sacrifici che sono un abominio per gli Egiziani non ci lapideranno?» [6]

Si tratta proprio, come nella Pasqua, del compimento di un rito che preserva da una calamità gli eletti di Dio, precipitando gli altri nella desolazione. L'episodio dell'uscita dall'Egitto si trova in qualche modo dominato dalla questione di una grande festa primaverile da celebrare, al punto che J. Wellhausen ha potuto dire che il mito nazionale, lungi dall'essere esso stesso una spiegazione, è stato al contrario immaginato unicamente per dare una ragion d'essere al costume annuale del sacrificio dell'agnello.

Ma la natura stessa del rito permette di affermare, meglio dei testi, che l'interpretazione dell'Esodo ne rivela l'autentica origine. L’obbligo di macchiare di sangue le porte si apparenta ad un costume molto diffuso. Presso i beduini, a Karak, quando una famiglia si insedia, si sgozza una capra sul tetto, in maniera da far colare il sangue sulla porta. A Djafar si riveste la porta di burro tinto di rosso con dell'henné. [7]

Un testo babilonese, raccolto da François Martin [8] riporta una pratica analoga. Il re, desiderando offrire un sacrificio al dio Shamash per espiare i suoi peccati, disse al mago:

(Ci sono alcune lacune nel testo). 

Che siano estirpate le mie malvagità e... 

che io sia puro, davanti a Shamash, che io via... 

Quando tu avrai fatto ciò, il re nell'acqua si laverà. 

Rivestirà un abito, una pura abluzione delle mani... 

Il mago andrà alla porta... un agnello... 

alla porta del palazzo egli sacrificherà, con il sangue di quest'agnello egli...

gli... e gli stipiti destro e sinistro della porta del palazzo...

... Quando queste offerte saranno preparate 

Egli attenderà il levar del sole...

Il racconto dell'Esodo appare quindi chiaramente come la trasposizione di un rito di magia domestica. Se la Pasqua avesse presentato fin dall'origine un carattere nazionale, essa non sarebbe consistita in un atto curioso e arcaico, e né si sarebbe più svolta all'interno di abitazioni private: le autorità ecclesiastiche potevano facilmente immaginare una cerimonia dal significato meno dubbio e dalla forma collettiva più appropriata alla grandezza dell'evento. Più tardi si priverà ai padri di famiglia il diritto di sgozzare essi stessi gli agnelli, ma il pasto della comunione familiare era così inerente all'istituzione che esso perdurò sempre.

I pasti religiosi abbondano nelle famiglie primitive e sempre con lo scopo di contrarre o di rinnovare un patto di alleanza. [9] Il cibo, infatti, crea tra gli esseri un legame sostanziale. Per riconciliarsi con Labano, Giacobbe invita i fratelli di suo suocero a venire a mangiare il pane con lui; [10] è, in qualche sorta, uno scambio di sé stessi che si compie tramite quest'atto. Così un rito di comunione era del tutto idoneo a trasporsi, per estensione, in una festa che celebrasse la solidarietà della nazione di Israele col suo dio.

La festa della Pasqua comporta tre elementi, di cui si tratta di determinare l'origine: innanzitutto il passaggio da un periodo critico a uno stato di prosperità, simboleggiato dal mito dell'esodo dall'Egitto; poi l'idea che questo cambiamento si effettua mediante un pasto di comunione tra i membri della famiglia, infine il legame del tutto inaspettato di quella festa all'apertura dell'anno religioso degli ebrei, vale a dire all'inizio del raccolto.

I ritmi della vita sociale, che apportano cambiamenti successivi nella vita degli uomini, come in quella della natura: matrimonio, paternità, successione delle stagioni, hanno determinato, nell'ignoranza primitiva della nozione di legge, la credenza che il passaggio da una fase all'altra necessiti, da parte degli individui, l'aiuto di sforzi positivi. Si tratta, per mezzo di riti appositi, di eliminare completamente lo stato colpito da vecchiezza, passibile di lasciare, morendo, germi di corruzione, poi di favorire la venuta dell'essere nuovo, che dà luogo, come le gesta umane, ad una sorta di parto doloroso. [11]

Il nome stesso della Pasqua, pesah, che significa fase o passaggio, rivela che questo rito presiedeva ad un cambiamento di situazione. [12] Si è voluto far derivare pesah dall'assiro pashakhu, placare, [13] gli antichi cristiani, come Tertulliano, spingevano addirittura la loro ingenuità fino a paragonarlo ad una parola greca, paskheîn, souffrire, pe insistere sul sacrificio espiatorio dell'agnello; ma il mito dell’uscita dall’Egitto ruota tutt'intero attorno all’idea di passaggio, come se non avesse altra ragion d'essere se non quella di fornirgli una giustificazione. La parola pesah non è venuta naturalmente alla mente dei narratori, è stata loro imposta, come quelle filastrocche che si presentano ai canzonieri e che essi si sforzano di far arrivare più o meno felicemente al termine dei versi. Essa domina il racconto al punto che si trova impiegata prima di ogni spiegazione:

«Voi mangerete l'agnello in fretta: è il passaggio di Jahvé;

Infatti quella notte io passerò per il paese d'Egitto...» [14]

Nel loro zelo nel cercare l'interpretazione di un termine tradizionale oscuro, i narratori arrivano persino a immaginarne due molto diverse! Essi parlano dapprima del passaggio sopra le case di un essere sterminatore, da cui bisogna proteggersi:

«Jahvé... non permetterà al Distruttore di entrare nelle vostre case». [15]

Inoltre gli ebrei devono tenersi nell'attitudine del viaggiatore pronto a partire: i fianchi cinti, il bastone da pastore in mano, i calzari ai piedi. È l'attraversamento del Mar Rosso, l'abbandono di una terra di schiavitù, che equivalse alla notte e alla morte, per una vita libera nel deserto, dove la manna cadrà dal cielo. Più tardi si assocerà così alla Pasqua l'attraversamento del Giordano, vale a dire il passaggio dal deserto a una regione dove scorrono naturalmente il latte e il miele.

Queste leggende nascondono a malapena il significato del rito primitivo: si celebrava ovviamente il ritorno a un periodo di rinnovamento e di abbondanza, la morte dell'inverno e l'apertura del raccolto.

La Pasqua aveva luogo, infatti, nel mese in cui le spighe maturano; essa si trovava talmente legata all'apparizione della primavera che la sua data era posticipata, quando il sole non si mostrasse abbastanza clemente da permettere, nel giorno preciso, l'offerta delle primizie. Prima del compimento di quella cerimonia, non si doveva mangiare né pane né spighe di grano, fresche o arrostite, provenienti dal raccolto nuovo, e nemmeno mettere la falce nei raccolti. Sarebbe stato un sacrilegio anticipare l'ora in cui si opera il rito. Inoltre si sceglieva l'orzo, per l'offerta, perché quel cereale maturava prima.

La vigilia della festa, si ricercava con cura, alla luce di una lampada, in tutti gli angoli della casa, i vecchi frammenti di pane, contenenti il ​​lievito dell'anno terminante, e li si bruciava, per evitare ogni contatto col nuovo raccolto; [16] poi per sette giorni la famiglia mangiava pani azzimi. 

Alcuni miticisti, in particolare J.-M. Robertson [17] e Arthur Drews [18] hanno sottolineato che in epoca biblica, nel momento in cui si celebrava la Pasqua, il sole lasciava la metà inferiore dello zodiaco, per ritornare alla terra attraverso la costellazione dell'Ariete che, se ci si riporta all'usanza dei Persiani, riportata nello Zend Avesta, era allora chiamata costellazione dell'Agnello. [19] Siccome gli Antichi davano al sole i nomi delle varie costellazioni che attraversava, [20] l'agnello doveva diventare naturalmente il suo simbolo. Si immolava questo animale nel momento in cui il sole tramontava sotto l'orizzonte e il pasto terminava all'alba. Il sacrificio aveva così per scopo  quello di aiutare la rinascita dell'astro.

L'altro passo, di cui parla l'Esodo, quello del Distruttore al di sopra delle case, è stato immaginato per spiegare la colorazione della porta con un mazzo di issopo intinto nel sangue dell'agnello.

Théodore Reinach [21] osserva che prima dell'instaurazione dello Jahvismo, i demoni familiari, o Elohim, risiedevano sulle soglie delle case: esseri ingordi più che ostili, il sangue versato costituiva la loro parte del cibo sacro e impediva loro, saziandoli, di venire a importunare gli umani. In quell'ipotesi due banchetti si celebravano fianco a fianco: quello degli esseri soprannaturali all'esterno e quello dei vivi sotto il tetto domestico. Ma numerose osservazioni ci mostreranno che la divinità pasquale non mangiava così distante; essa era ritenuta presente, sia sotto le specie dell'agnello, sia come un invitato mistico, alla tavola familiare stessa.

In quanto principio di vita, il sangue cela, secondo la mentalità primitiva, un'efficacia di talismano: esso allontana gli spiriti maligni che pullulano nella natura; così lo si dà da bere ai malati e agli anziani, oppure lo si spalma sugli animali della mandria, per preservarli dal contagio. Esso può costituire anche una barriera insormontabile. Quando i selvaggi vogliono mettersi al riparo da un pericolo, si fanno un taglio al braccio e tracciano col loro sangue una circonferenza attorno alla loro capanna. A Pechino, nel momento del nuovo anno, i cinesi barricano le porte con armadi e pezzi di carta rossa. [22] Nel rito pasquale la posa del sangue sullo stipite della porta indica proprio che si tratta di difendere l'accesso alla casa da influssi funesti dall'esterno. L'interpretazione mitologica dell'Esodo ha conservato questo significato: durante la fuga degli ebrei l'Angelo di Jahvé sbarra il cammino agli Egiziani.

Era una credenza diffusa nel mondo antico che in un certo periodo dell'anno, in particolare all'inizio della primavera, nel momento in cui il sole stava per sorgere nuovamente, gli inferi si trovassero aperti, offrendo passaggio ai demoni, che venivano a esercitare la loro furia. Ritroviamo una sopravvivenza di questa tradizione nelle Anthesteria e nei Lupercali. Durante l'ora critica della Pasqua bisognava astenersi dall'uscire di casa: la proibizione doveva addirittura estendersi più tardi a tutta la città di Gerusalemme, da cui non si aveva il diritto, in linea di principio, di allontanarsi a più di duemila cubiti, poco meno di un chilometro. In queste condizioni, sarebbe stato impossibile a Simone di Cirene di ritornare dai campi in questo giorno, come riportano gli evangelisti. [23]

Primitivamente il rito di protezione appariva efficace in virtù della sua propria potenza, ex opere operato; ma presto, la paura di malefici da temere suscitò l'immagine di un essere personale, uno Sterminatore, che gettasse la desolazione nelle case. Da allora in poi non era più necessario deviare i suoi colpi per mezzo di pratiche magiche: si poteva trattare con lui, al fine di conciliarsi i suoi favori. Il sangue sulla porta divenne una sorta di offerta, il segno attraverso il quale egli riconosceva i suoi. Amico degli ebrei d'ora in poi, egli avrebbe colpito i loro nemici, che si opponevano alla cerimonia del passaggio; le forze perniciose da evitare furono il Faraone e l'esercito egiziano. Dalla colorazione del sangue sulla porta era nata l'idea di alleanza, da cui sarebbe derivata la speranza messianica e il mito di una divinità di salvezza.

I sacrificatori ricavavano due parti dell'agnello: il sangue serviva a sbarrare la strada agli spiriti e il corpo, cotto al forno, costituiva un cibo sacro. L'operazione della mietitura sembrava una cosa pericolosa, perché occorreva portare la falce nella messe, vale a dire in una zona dove pullulano i germi vitali; [24] così sembrava necessario ai membri della famiglia trovarsi in quel momento in una situazione di resistenza e di santità, che permettesse di dedicarsi impunemente a quell'opera. Il consumo dell'agnello rivestiva i partecipanti di un carattere sacro. La carne non doveva essere bollita, ma arrostita, per purificarla dal suo grasso, retaggio senza dubbio di un'epoca più remota quando la si divorava cruda, come il cammello dei Saraceni, di cui parla san Nilo, [25] o l'agnello che i marocchini attuali mangiano vivo nel periodo di Pasqua. Si mangiava in fretta, prima che le sue virtù vivificanti fossero esaurite. Il pane senza lievito e le erbe amare, simboli dei cereali e della vegetazione naturale, consumati con l'agnello, identificavano forse quest'ultimo con la forza fecondatrice della natura.

La terza fase della festa, l'offerta delle primizie, comprendeva i riti che favorivano la rinascita della primavera.

Il culto, nato in mezzo a tribù pastorali, e destinato innanzitutto ad assicurare la moltiplicazione degli armenti, subì una profonda trasformazione, dopo l'invenzione dell'agricoltura, per la sua assimilazione ad una festa del raccolto: gli Azzimi.

Al mattino che seguiva il pasto pasquale, i delegati del sinedrio uscivano da Gerusalemme con una cesta e una falce, attraversavano il Cedron e si fermavano in un campo d'orzo. La sera tagliavano un covone che avrebbero deposto al Tempio. L'indomani, il sacerdote agitavadavanti all'altare quella manciata di spighe nuove, perché fosse impregnata del potere divino; poi si passava sul fuoco un po' di grano e lo si vagliava in una parte del cortile esposta al vento, evidentemente per disperderne i germi vitali, in maniera che andassero a fecondare la natura; nello stesso tempo si offriva l'olocausto di un agnello di un anno, con due decimi di efa di farina impastata nell'olio; se ne bruciava una parte, mentre i leviti consumavano il resto. Prima di quell'offerta non si mangiava né pane, né grano arrostito né spighe. Per sette giorni, dopo l'olocausto del mattino, si offrivano in olocausto due giovenchi, un montone e sette agnelli dell'anno, poi un capro espiatorio e libagioni di vino. Il sangue riversava nel Cedron i suoi principi vitali. Ogni sacrificio si accompagnava ad oblazioni di fiori di farina, le cui ceneri diffondevano nell'aria il loro potere vitale. [26]

La difformità tra il primo atto della Pasqua, in cui i membri della famiglia mangiano un agnello arrosto, in ricordo dell'uscita dall'Egitto, e le cerimonie dei giorni successivi, che si riportano chiaramente ad una festa agraria, analoga a quelle di Demetra e di Cerere, ha fatto credere alla stragrande maggioranza degli esegeti che si tratti di due feste distinte, una strettamente ebraica e l'altra cananea, artificiosamente associate da una coincidenza di date. Si adduce [27] che l'offerta delle primizie possa convenire solo ad un popolo agricolo, mentre la cerimonia pasquale esisteva al momento dell'uscita dall'Egitto, in un'epoca di vita nomade. 

Se la festa ebraica avesse per origine reale la commemorazione di un evento storico, normalmente non avrebbe dovuto sfociare in una festa primaverile — e ciò è una prova in più che essa avesse primitivamente una ragion d'essere del tutto diversa —; ma se essa costituiva essenzialmente un rito pastorale, non vi è soluzione di continuità, nella mentalità primitiva, tra il gregge e la messe: [28] entrambi sono frutti naturali: si rinnovano nello stesso periodo; la crescita delle piante è legata a quella degli animali, che si nutrono di erba e di foraggio. Quando gli ebrei si stabilirono nella terra di Canaan, dove abbandonarono la vita nomade per coltivare la terra, essi provarono il bisogno di assicurare, all'inizio della primavera, non più solo l'abbondanza degli agnelli e degli animali del gregge, ma anche la prosperità delle case; ed è così che il costume si trasformò a poco a poco in festa agraria. L'agnello immolato ebbe oramai per scopo di aiutare il sole, morto nelle sofferenze dell'inverno, a rinascere, dispensatore di una vita nuova. La presenza, nella Pasqua nazionale, di cerimonie campestri, che si suppongono aggiunte artificialmente, è al contrario ciò che sussiste dell'antico rito di moltiplicazione.


NOTE

[1] Esodo 6-13.

George Beer, Die Mischna (Pesachim), pag. 9 e seguenti, Giessen, Alfred Tôpelmann, 1912.

[2] Vale a dire tra il momento in cui il giorno comincia a diminuire e l'oscurità totale.

[3] Esodo 12:1-29.

[4] Esodo 5:3. Si veda pure 3:18; 10:9.

[5] Esodo 5:12.

[6] Esodo 8:26.

[7] Théodore Reinach, La Fête de Pâques, pag. 48, Parigi, E. Leroux (Bibliothèque de vulgarisation du Musée Guimet, volume 18), 1906.

[8] Textes religieux assyriens et babyloniens. Prima serie, pag. 257 e 265, Parigi, Letouzey et Ané, 1903.

[9] J.-M. Lahy, Du clan primitif au couple moderne, pag. 88, 97, 110, 135 e 141, Parigi, aux éditions Radot, 1927.

[10] Genesi 31:54.

[11] Arnold Van Gennep, Les Rites de passage, pag. 4, Parigi, Emile Nourry, 1909. (L'autore ha l'intuizione, a pag. 56, nota 3, che l'idea di morte e di resurrezione di Gesù è stata fornita dal rito della Pasqua giudaica).

[12] Georg Beer, Die Mischna (Pesachim), pag. 12-13.

[13] Heinrich Zimmern, Beitrâge zur Kenntnis der babylonischen Religion, pag. 92, nota 9, Lipsia, J.-C. Hinrichs, 1901. 

[14] Esodo 12:11-12.

[15] Esodo 12:23.

[16] Le Talmud de Jérusalem, traduzione di Moïse Schwab, trattato Pesahim, 1-3, volume 5, pag. 1-8, Parigi, Maisonneuve et Cie, 1882.

[17] Pagan Christs, Studies in comparative hierology, pag. 142, Londra, Watts and Co, 1911.

[18] Le Mythe de Jésus, traduzione di Robert Stahl, pag. 46, nota 4 e pag. 70.

[19] Charles-François Dupuis, Origine de tous les cultes ou Religion universelle. Des Signes du zodiaque: premier signe. Nuova edizione, volume 6, pag. 266, Parigi, libreria storica di Emile Babeuf, 1822.

Ernest Havet, Le Christianisme et ses origines, volume 4, Le Nouveau Testament, pag. 333, Parigi, Michel Lévy frères (C. Lévy), 1884.

[20] Dupuis, Origine de tous les cultes, ibidem, volume 5, pag. 121. 

[21] La Fête de Pâques, pag. 49-52.

[22] Arnold Van Gennep, Les Rites de passage, pag. 255.

[23] Marco 15:21. Luca 23:26.

[24] René Dussaud, Les Origines cananéennes du sacrifice israélite, pag. 212, Parigi, Ernest Leroux, 1921.

[25] William Robertson Smith, Lectures on the religion of the Semites, pag. 281, Edimburgo, Adam et Charles Black, 1889.

[26] Levitico 23:10-14; Numeri 28:16-24; Ezechiele 45:21-24.

René Dussaud, Les Origines cannanéennes du sacrifice israélite, pag. 207-208.

H. Lesêtre, articolo Pâque, nel Dictionnaire de la Bible, di F. Vigouroux, volume 4, colonna 2101, Parigi, Letouzey et Ané, 1908.

[27] Théodore Reinach, La fête de Pâques, pag. 41.

[28] James George Frazer, Adonis, Etude de religions orientales comparées, traduzione di Lady Frazer, pag. 3, Parigi, Paul Geuthner (Annales du Musée Guimet, volume 29), 1921.

Alfred Loisy, Les Mystères païens et le mystère chrétien, pag. 38, Parigi, Emile Nourry, 1919. 

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