LA PASQUA EBRAICA
I
ALLA RICERCA
DI UN CULTO PRECRISTIANO
Gli esegeti che rifiutano al cristianesimo un fondatore individuale si assumono una pesante responsabilità: se quella religione non è l'opera di un uomo, bisogna scoprirne un altro principio generativo. A tal fine, i sostenitori della tesi mitica si accingono, da mezzo secolo, a ricercare le tracce di un culto di Gesù, anteriore alla nostra era. Ma invece di adoperarsi per ricostruire l'evoluzione normale delle origini, in modo da cogliere le cause che hanno dato nascita a un nuovo mistero, essi si limitano il più delle volte a estorcere confessioni da testi in apparenza innocenti, grazie ad artifici interpretativi eroici. Dissertano, ad esempio, sul significato della parola nazareno, [1] per dimostrare che indica una setta precristiana, oppure sull'espressione degli Atti «le cose che concernono Gesù», [2] che potrebbe ben riferirsi ad una teologia già costituita al tempo della presunta esistenza del profeta.
Se alcuni passi del Nuovo Testamento servono da testimonianze a favore di un pre-cristianesimo, questi documenti non ricostruiscono il movimento di idee che portò alla leggenda di Gesù e al suo culto; non permettono di riconoscere perché né come la setta primitiva arrivò a svilupparsi accanto alla religione ufficiale, quale cammino essa ha percorso negli strati oscuri del pensiero mistico, prima di crescere in rami perenni sul tronco del vecchio giudaismo decaduto.
John M. Robertson [3] ed Edouard Dujardin [4] intravedono proprio in fondo a tutto questo un dramma misterico, rappresentato nelle riunioni di una comunità dall'iniziazione segreta, sopravvivenza di un rito preistorico di sacrificio umano: un attore, assimilato al dio, interpretava il ruolo della vittima. Unto dalla folla re e sommo sacerdote, rivestito di un manto di porpora, lo si conduceva solennemente su un alto luogo, accompagnato da danze sacre. Lì, sotto gli scherni e le percosse, egli era spogliato delle sue insegne, fustigato, poi i fedeli facevano finta di crocifiggerlo. Ma da dove proveniva quella credenza? Da quale fonte ha attinto la sua vita e il rinnovamento della sua energia? Perché i sacrifici umani, aboliti sin da Abramo, sarebbero sopravvissuti sotto la forma di un simulacro di immolazione? Perché la leggenda si sarebbe cristallizzata attorno ad un antico dio solare? Quale rito avrebbe sostenuto quella leggenda? Alcuni miticisti, utilizzando senza moderazione il metodo comparativo, invocano successivamente l'influenza delle religioni più diverse: paragonano Gesù a Giasone, a Osiride, a Horus, ad Agni; lo rappresentano come un dio pesce, un dio agnello, un dio sole, un dio del fuoco; e tutte queste leggende, tutti questi riti diversi sfilano, nel corso delle loro opere, in un circolo fantastico, senza che perveniamo a cogliere un processo interno di evoluzione. Infine, critica ancora più grave, nell'incapacità di ricostruirne l'origine lontana, unendosi inaspettatamente ai loro avversari storicisti, essi costruiscono il cristianesimo, proprio come loro, ma con meno logica, mediante materiali attinti, nel I° secolo, dai culti di Attis, di Osiride, di Dioniso e di Mitra! Frammenti di credenze, di origine ebraica, persiana, egiziana, greca e romana, si sarebbero di colpo riuniti in un'unica ispirazione, senza che un pensiero direttivo definito abbia presidiato a quella sintesi. Che degli storici, che affermano l'esistenza di un mistero di Gesù dall'antichità più remota, sono obbligati a ricorrere a Paolo per dotarlo di caratteri specifici, ecco una crudele ironia della sorte.
Invece di analizzare le Scritture, alla ricerca dei passi suscettibili di interpretarsi come rivelazioni di una setta precristiana, prenderemo come guida per la nostra ricerca un postulato di portata più generale: se il cristianesimo presenta numerosi caratteri che lo assimilano ai misteri, esso ha seguito probabilmente un processo di evoluzione analogo a quello di queste religioni, che sono passate per fasi tipiche, oggi abbastanza ben conosciute.
Innanzitutto affondano tutte le loro radici in un lontano passato; così dobbiamo accettare come probabile la tesi che fa risalire alla preistoria il culto generatore del mito di Gesù.
Alcuni storici attribuiscono ai misteri un'origine totemica. Salomon Reinach [5] pretende che l'eroe Orfeo fosse il totem della Volpe tra i Traci; F.-B. Jevons [6] e Andrew Lang [7] interpretano i riti misterici per analogia con certe pratiche in vigore tra le popolazioni australiane.
Al termine di quella fase, piuttosto ipotetica, troviamo un terreno più solido. Quando la vita sociale, fino ad allora nomade, passa al regime agrario, l'eroe si trasforma in un dio del sole o della vegetazione e i riti hanno per scopo di facilitare la venuta della primavera e la prosperità delle messi. [8]
Poi il culto abbandona il suo carattere naturista: l'organizzazione politica lo monopolizza, per la protezione della città. Tutti i Salvatori dei misteri antichi, che però si elevavano per natura al di sopra delle patrie, occupavano anche un posto nei pantheon nazionali. [9] Anche i riti praticati nelle sette di iniziati non differivano essenzialmente dai riti ufficiali; ma una fede nuova dava loro un significato particolare: invece di assicurare la salvezza del popolo, assicurarono oramai la salvezza individuale. Riconosceremo nel cristianesimo tutte queste fasi evolutive? Gesù sarebbe stato volta per volta, forse all'origine il totem di un clan d'Israele, poi un dio solare, un eroe ebreo e infine il salvatore delle anime?
La liturgia giudaica comporta un sacrificio, abbastanza simile ai riti di comunione dei misteri, e che storici e teologi paragonano volentieri al sacrificio del Cristo: nel plenilunio della primavera, ogni famiglia donava da immolare al Tempio un agnello senza macchia, maschio e dell'anno, poi lo mangiava solennemente in casa, nella notte dello stesso giorno, per commemorare la liberazione di Israele dal giogo egiziano. Questa era la festa della Pasqua.
La Chiesa ritiene che un animale mite e fragile prefigurasse armoniosamente, nel disegno della Provvidenza, l'immolazione di Gesù, che salvò gli uomini dalla morte e donò loro la vera terra promessa:
«La prescrizione di far arrostire l'agnello tutt'intero», disse Giustino, [10] «era un simbolo della sofferenza della croce che il Cristo doveva sopportare. L'agnello, quando è arrostito, è disposto in maniera da raffigurare la croce: uno degli spiedi eretti lo trapassa dagli arti inferiori fino alla testa, l'altro attraverso il dorso...»
Nel Medioevo, l'adorazione dell'agnello mistico aveva acquisito un tale sviluppo che non si rappresentava neppure più l'immagine della croce, tanto che nel VII° secolo, per protestare contro un'autentica idolatria, un concilio di Costantinopoli dovette intervenire.
Nel corso della messa, il prete ripete ancora oggi quella formula: Agnus Dei qui tollis peccata mundi, Agnello di Dio che cancella i peccati del mondo. E nel prefazio pasquale: Hic est verus Agnus, qui abstulit peccata mundi, Ecco il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Nelle funzioni prima e durante la Quaresima egli recita una parafrasi di Isaia: [11] «Manda, o Signore, l'Agnello che deve divenire il Dominatore della terra».
Ma la Chiesa pretende di vedere in quell'assimilazione solo un simbolo felice e commovente. Se mai il naturalismo venisse a scoprire che la religione cristiana deve la sua origine a uno sviluppo esoterico della Pasqua, l'autorità ecclesiastica sarebbe capace di bandire dai suoi templi, come ha già fatto una volta, l'immagine, falsamente innocente, dell'agnello disteso al piedi della croce.
La posizione degli esegeti storicisti, che consiste spesso nel seguire la tradizione sacra, anche a costo di espungerne il soprannaturale, naturalmente non differisce affatto neanche qui da quella dei teologi. Alfred Loisy ritiene che l'ultimo pasto di Gesù fu considerato dagli evangelisti come una festa pasquale solo per ragioni di elevato simbolismo. [12] Secondo Maurice Goguel, [13] i più antichi documenti attestano che ci troviamo in presenza di un sincretismo tardivo.
«Il nostro agnello pasquale», dice in effetti Paolo, [14] «è stato immolato, è Cristo».
Se l'accostamento fosse stato comune, rimarca il critico, vale a dire se costituisse il nucleo della tradizione, l'apostolo non avrebbe provato il bisogno di precisare, per l'intelligenza dei suoi lettori, che voleva parlare di Gesù. Quando egli accosta il sacrificio della croce a un rito ebraico, non è alla Pasqua che pensa, ma alla festa dell'Espiazione. [15] D'altra parte, l'analisi dei Vangeli sinottici rivelerebbe che, malgrado i racconti pur sempre espliciti, la tradizione più primitiva non faceva della cena un pasto pasquale. Anche gli scritti che menzionano i pasti fraterni dei primi cristiani, come gli Atti degli Apostoli e la Didaché, non fanno alcuna allusione alla festa ebraica.
Ma come spiegare, nell'ipotesi storicista, quell'accostamento, in uso fin dall'epoca di Paolo, tra il supplizio di Gesù e quello dell'agnello pasquale?
Federico Spitta [16] immagina che, Gesù crocifisso poche ore prima della celebrazione della cena pasquale, i suoi discepoli non avessero partecipato a quella festività. Ma la legge insegnava [17] che in caso di impedimento il rito poteva essere rinviato al mese successivo. Gli Apostoli, asserviti alla fede tradizionale, dovettero conformarsi a quella regola, mangiando l'agnello il 14 di Iyar. Si comprende così il loro ritorno inaspettato a Gerusalemme, dove il sacrificio ebbe luogo. Ma Gesù apparve loro proprio a quell'epoca, e principalmente in occasione dei pasti comuni. In quella circostanza solenne di una grande festa giudaica, così intimamente legata alla memoria del dramma, il Maestro doveva prendere, in qualche modo, nelle preoccupazioni, il posto dell'agnello pasquale. Essendo Gesù morto proprio il 14 nisan, quella coincidenza avrebbe imposto l'assimilazione del suo sacrificio a quello dell'agnello, immolato anch'esso quel giorno. Inoltre, i cristiani pensavano che le sofferenze del calvario rinnovassero tra loro e Dio il patto di alleanza concluso con i loro padri all'uscita dall'Egitto, e commemorato ogni anno con un pasto solenne. Gesù si presenterebbe quindi naturalmente come una vittima pasquale.
I sostenitori della tesi mitica ammettono l'influenza del rito ebraico nella formazione della liturgia e della leggenda cristiana. Arthur Drews [18] riconosce che il cristianesimo guadagnò un'ampiezza e una profondità insospettate quando fuse l'idea del dio che immola suo figlio, per salvare le anime, con quella dell'agnello sacrificale; ma quell'operazione, risalente solo al periodo evangelico, si ridurrebbe a influenze di dettagli, come la data della morte di Gesù e la leggenda secondo la quale i soldati romani si sarebbero guardati dal rompergli le ossa.
È certo che i primi cristiani ignorassero l'esistenza di un filiazione reale tra la loro fede e la Pasqua; ma l'oblìo delle origini non è forse la regola nella storia delle religioni, al punto che i Romani continuavano a recitare formule arcaiche, di cui avevano perduto il significato? Se un'analisi metodica rivela che la natura della Pasqua la portò ad evolversi verso un culto misterico e la leggenda di un dio morente e risorgente, se questo rito possedeva tutti gli elementi necessari per dar vita ad una grande religione, se ciò spiega ed è solo a spiegare l'apparizione del cristianesimo, non sarà più permesso dubitare che il simbolismo da cui i padri della Chiesa sono stati colpiti non ricopra una relazione più profonda.
NOTE
[1] John M. Robertson, Christianity and Mythology, pag. 311-318, Londra, Watts and Co, 1910.
[2] B. W. Smith, Der Vorchristliche Jesus, pag. 53, 2° edizione, 1906, Iena, Diederichs, 1911.
Charles Guignebert, Le Problème de Jésus, pag. 90 e 96-100, Parigi, Ernest Flammarion, 1914.
Arthur Drews, Le Mythe de Jésus, traduzione di Robert Stahl, pag. 61-65, Parigi, Payot, 1926.
Maurice Goguel, Jésus de Nazareth mythe ou histoire?, pag. 55-56, Parigi, Payot, 1925.
Edouard Dujardin, Le Dieu Jésus, pag. 211, Parigi, Albert Messein, 1927.
Atti degli Apostoli 24:5.
B.-W. Smith, ibidem, pag. 1-8.
Charles Guignebert, ibidem, pag. 100-102.
Arthur Drews, ibidem, pag. 65-66.
Maurice Goguel, ibidem, pag. 67-72.
[3] Pagan Christs, Studies in comparative hierology, pag. 11, Londra, Watts and Co, 1911.
[4] Le Dieu Jésus, pag. 216 e seguenti.
[5] Cultes, mythes et religions, volume 2, La Mort d'Orphée, pag. 111, Parigi, Ernest Leroux, 1906.
[6] An Introduction to the history of religion, Londra, Methuen and Co, 1896.
[7] Mythes, cultes et religions, traduzione di Léon Marillier, pag. 261, Parigi, Félix Alcan, 1896.
[8] Charles Guignebert, Le Christianisme antique, pag. 90-91, Parigi, Ernest Flammarion (Bibliothèque de philosophie scientifique), 1922.
[9] Alfred Loisy, Les Mystères païens et le mystère chrétien, pag. 12 e 16, Parigi, Emile Nourry, 1919.
[10] Dialogo con Trifone 40:3. Traduzione di Georges Archambault, volume 1, pag. 81, Parigi, Alphonse Picard et fils, 1909.
[11] 16:1.
[12] Les Mystères païens et le mystère chrétien, pag. 219, Parigi, Emile Nourry, 1919.
[13] Jésus de Nazareth mythe ou histoire? pag. 222-224.
[14] 1° ai Corinzi 5:7.
[15] Ai Romani 3:24.
[16] Die Urchristlichen Traditionen über Ursprung und Sinn des Abendmahls, Zur Geschichte und Literatur des Urchristentums, I, pag. 291, Gottinga, 1893.
[17] Numeri 9:10-11.
[18] Le Mythe de Jésus, pag. 81, traduzione di Robert Stahl, Parigi, Payot, 1926.
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