VI
MIRACOLO DELLA PROVVIDENZA
OPPURE MISTERO DI SALVEZZA
Perché quella ostinazione nel considerare Gesù come un uomo divinizzato dalla leggenda, se questo postulato obbliga in seguito a degli sforzi eroici per riparare, nella catena degli eventi, la breccia così lievemente aperta? Ciò perché la tesi storicista si offre da sé alla mente, come una conclusione pigra: essa consiste nell'adottare puramente e semplicemente la pseudo-spiegazione dei Vangeli e degli Atti, espurgata solo di un soprannaturale inelegante, che dispiace alla coscienza razionalista: omaggio che rende alla teologia la scienza indipendente, il cui ruolo dovrebbe essere piuttosto quello di liberarci dalle scappatoie della critica mistica. La morte di Gesù alle porte di Gerusalemme, la visione di Pietro sul lago di Tiberiade, il ritorno dei discepoli nella città santa, la guarigione di un paralitico, la predicazione di Stefano e il suo supplizio, tutta la costruzione degli esegeti liberali, appartiene alla Storia sacra, messa alla portata dello spirito moderno.
A che pro, diceva Nietzsche, [1] a proposito di Renan, tutto questo sfoggio di libero pensiero, di modernità, di ironia, di ondulatoria flessibilità, se si è restato, nel profondo di sé, nel cuore, cristiano, cattolico e perfino prete!
Quella concessione fatta alle Scritture permette almeno una spiegazione del cristianesimo più razionale? Affatto. Se gli storicisti sopprimono il miracolo di Dio, essi si trovano costretti a rimpiazzarlo con un miracolo ancora più ingombrante e incomprensibile: il miracolo della coincidenza. Ci vuole molto per sostenere la loro tesi. Coincidenze miracolose che la concezione, refrattaria agli ebrei, di un messia umano crocifisso si sia imposta nondimeno alla loro fede. che una predicazione nata morta e incoerente abbia preso improvvisamente uno slancio prodigioso e abbia dato luogo a una dogmatica erudita, che una semplice speranza nel ritorno del Cristo fosse dotata di un rito di manducazione del dio, che comunità anarchiche, senza carattere sacerdotale, abbiano fondato una religione, che un messianismo estraneo ai Romani sia stato adottato da loro. [2]
Se si dovesse scegliere tra le due tesi: quella liberale o quella teologica, non ci sarebbe da esitare: il miracolo voluto dalla sapienza provvidenziale si presenta come più probabile di quello di una fortuna cieca, così stranamente giudiziosa nella circostanza. Il rabbino farisaico Gamaliele si mostrava più informato degli storicisti quando, domandandosi se il movimento cristiano provenisse dalla volontà divina o da un fondatore umano, rifiutava a quest'ultima ipotesi il diritto al successo. Ricordando il fallimento di Teuda e quello di Giuda il Galileo, che a loro volta si erano proclamati messia, concluse filosoficamente:
«Se questo disegno è un'opera degli uomini, esso si distruggerà da sé». [3]
E infatti, se la storia delle origini cristiane rassomiglia al racconto degli evemeristi, bisogna ristabilire l'azione della Provvidenza in questo sviluppo prodigioso. Eusebio, sant'Agostino, Ssan Tommaso d'Aquino, Pascal, Bossuet, Frayssinous, Lacordaire, Monsabré avevano ragione, partendo dall'ipotesi tradizionale, nel concludere per l'impossibilità della sua interpretazione per vie naturali.
«Quando considero la loro potenza e le loro opere», grida Eusebio di Cesarea, [4] parlando degli Apostoli, «quante migliaia di anime hanno accolto la loro parola..., quante chiese che raggruppano miriadi di fedeli sono state fondate da uomini così ignoranti e rustici, ...io sono indotto a ricercarne la causa e a riconoscere che potevano intraprendere una tale impresa solo per un potere divino».
«Se si crede che non ci sono stati miracoli», dice sant'Agostino, [5] «quest'unico grande miracolo mi basta, che il mondo si sia convertito senza miracolo».
Dopo il fallimento della tesi storicista liberale, saremo dunque ridotti ad adottare l'interpretazione teologica? Certamente no. Il miracolo provvidenziale non spiega la genesi dell'effervescenza cristiana meglio della coincidenza miracolosa degli esegeti razionalisti.
Supponiamo che tutti i miracoli descritti dal Nuovo Testamento abbiano avuto luogo realmente, gli eventi si sarebbero svolti del tutto diversamente da quanto riporta la tradizione. Se Gesù avesse guarito istantaneamente i malati, resuscitato un morto, camminato sul mare, trasformato l'acqua in vino a una nozze numerosa, saziato più volte con pochi pani e pochi pesci una moltitudine che andava a diffonderne la notizia, se, al momento del suo supplizio, le tenebre avevano coperto il mondo in pieno mezzogiorno, la terra tremato, mentre i morti, levatisi fuori dalle loro tombe, avessero percorso le strade, il semplice confronto con i taumaturghi comuni, che scatenano l'entusiasmo con del sentito dire, ci obbliga a concludere che un operatore di miracoli autentico non poteva mancare di sconvolgere tutta la Palestina. Ai nostri giorni, se questi eventi si verificassero, si troverebbero forse dei laici che non crederebbero ai loro occhi e immaginerebbero spiegazioni naturali; ma nel I° secolo tutti quanti, anche i Romani, domandavano solo di credere al miracolo.
Ma i libri ispirati riportano che, malgrado tali segni, non solo gli ebrei non credettero affatto in Gesù, ma lo maltrattarono e lo sbeffeggiarono. La scena di derisione rivela lo scarso credito che i testimoni di prodigi così grandiosi accordavano al loro autore e il successo mediocre di una predicazione, per quanto magnificamente illustrata. Se Gesù fosse stato il taumaturgo che ci viene raccontato, il suo passaggio sulla terra avrebbe dovuto dare nascita a due movimenti potenti: l’uno che avrebbe fatto di lui un demone pericoloso, che si deve prendere cura di non contrariare, l’altro il Liberatore inviato da Jahvé.
In realtà, egli passò così inosservato che gli storici profani che hanno descritto quell'epoca non hanno parlato di lui né delle sue azioni meravigliose. Il fattosi spiega nella tesi degli esegeti indipendenti, che fanno di questo personaggio un uomo insignificante e oscuro, vittima di una cospirazione locale di devoti, ma nella tesi del miracolo, un tale silenzio sembra di un'inverosimiglianza inaudita.
Infine, per quanto grandi siano stati i miracoli, per quanto potente si fosse rivelata la personalità del messaggero divino, questi elementi erano impotenti a creare da sé un sistema di dogmi e di riti nuovi. I miracoli sovraeccitano l’immaginazione, ma non riformano affatto il cuore. Una potente personalità scatena l'entusiasmo, ma l'entusiasmo si estingue presto se non risponde ad una tendenza sociale in via di formazione.
Ma cosa pensare della propagazione della nuova fede, come la descrivono i teologi! La predicazione cristiana risuonò nell'universo come un colpo di tuono, ribaltando la morale e le credenze, fondando riti sconosciuti, nel mezzo di popolazioni per nulla preparate a una simile rivoluzione, e conoscendo solo per sentito dire i miracoli del lontano taumaturgo. Se, come pretendono i cattolici, [6] il cristianesimo appare, nel corso della storia, come un fenomeno eccezionale, senza nulla in comune con i misteri: se gli dèi greci della salvezza, morenti e risorgenti, si sviluppano solo nel IV° secolo, e per imitazione servile di Gesù, se i riti pagani non rassomigliano per nulla a quelli del Cristo, se l'omofagia di Dioniso e i pasti sacri degli adepti di Mitra non sono affatto una comunione con il dio, analoga all'eucarestia, se i culti, perché comportano pratiche immorali, non possono pretendere alla stessa natura della religione rivelata, se il cristianesimo rompe con ogni precedente e sfugge ad ogni legge, esso doveva restare incomprensibile agli Elleni, la cui psicologia e i bisogni sociali erano retti dalla tradizione. In simili condizioni di particolarismo, tutto porta a credere che, passati i miracoli e scomparsa quella potente personalità, l'onda sollevata dall'apparizione della brillante meteora si sarebbe placata.
Anche alcuni teologi ammettono che l'evento cristiano è stato preparato da filosofi che, nel mezzo della grossolanità del paganesimo, avevano conservato frammenti della rivelazione primitiva. Ma una vaga intuizione, manifestandosi solo con alcuni principi morali ignorati dalle masse, non rende conto di un insieme di miti e di sacramenti, che restano, in quell'ipotesi, un autentico fenomeno di generazione spontanea.
Si dovrebbe quindi immaginare, oltre ai prodigi e alla personalità del dio, l'intervento costante, per secoli, di un deus ex machina: una specie straordinaria di grazia che si impone sulle anime e sulle istituzioni, per trasformarle.
Così, se considerassimo l’interpretazione dell’esegesi liberale oppure quella della teologia, Gesù non ha affatto posto nella storia. In nessun momento incontriamo, nella catena dei fatti, una fessura dove potessimo introdurre questo personaggio, senza rompere l'armonia delle cause. Egli resta un peso morto. inadatto a qualsiasi uso.
Le difficoltà sollevate dall'ipotesi tradizionale di un fondatore individuale ci inducono a pensare che il movimento cristiano ha dovuto svilupparsi in senso opposto a quello che presenta la tradizione: che derivato da un rito misterico, esso abbia portato ad una leggenda evemerizzata. Quel metodo di inversione dei dati, che ha fatto la fortuna dell’astronomia, sarà fruttuoso in materia di esegesi?
Gli storici concordano nel riconoscere che il mito che serve da fondamento al cristianesimo e spiega il suo trionfo consiste nella vita edificante di un dio disceso, per amore degli uomini, sulla terra dove morì, poi risorto gloriosamente, per la remissione dei peccati e la garanzia della vita eterna. Se è proprio lì la fonte della potenza morale di quella religione, come supporre che questo principio non esistesse affatto dapprima, che si sia dovuto andarlo ad attingere da religioni lontane? Perché non cercare, al contrario, di coniugare in una comune origine la fede viva con gli eventi concreti che sono serviti da materia e da veicolo a quella fede?
Il cristianesimo si presenta come un mistero, perché esso lo è sempre stato, perché esso ha sviluppato l'elemento misterico incluso nel giudaismo.
NOTE
[1] Il Crepuscolo degli idoli. Considerazioni inattuali, 3.
[2] Edouard Dujardin segnala altre sei «coincidenze» di natura strana, ne Le Dieu Jésus, pag. 203-207, 211, 212-214, Parigi, Albert Messein, 1927.
[3] Atti 5:36-38.
[4] Teofania 5:49.
[5] Città di Dio 22:5. Si veda Jean Rivière, La Propagation du christianisme dans les trois premiers siècles, pag. 7-18, Parigi, Bloud, 1907.
E. Jacquier e J. Boucharny, La Résurrection de Jésus-Christ: les Miracles évangéliques, pag. 154-155; 158-159, Parigi, J. Gabalda, 1911.
[6] Eugène Jacquier, articolo Les Mystères païens et saint Paul, nel Dictionnaire apologétique de la foi catholique, diretto da A. d'Alès, Parigi, G. Beauchesne, volume 3, 1916.
E. Mangenot, articolo Saint Paul et les mystères païens, nella Revue pratique d'apologétique, volume 16, 1913, pag. 176-190, 241-257, 339-355, Parigi, Gabriel Beauchesne.
E. Mangenot, articolo La Doctrine de saint Paul et les mystères païens, nella Revue du Clergé français, 1913 (seconda parte), Parigi, Letouzey et Ané.
Marie-Joseph Lagrange, Le Sens du christianisme, Parigi, J. Galbalda, 1918.
E.-B. Allo, Le Scandale de Jésus, Parigi, Bernard Grasset, 1927.
Pinard de la Boullaye, Jésus et l'histoire, Conférences de Notre-Dame de Paris, Carême 1929, Parigi, Editions Spes.
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