giovedì 26 dicembre 2024

GESÙ DIO DELLA PASQUA — Come gli esegeti storicisti «costruiscono» il cristianesimo?

(segue da qui)

II.

COME GLI ESEGETI STORICISTI «COSTRUISCONO» IL CRISTIANESIMO?


Il più antico tentativo per risolvere l'enigma delle origini cristiane risale ai Vangeli stessi. Essi assegnano a quella religione, come punto di partenza, un evento storico: ministero di un profeta galileo, che si proclama il Messia, predica la penitenza nell'attesa del Giudizio, opera guarigioni e prodigi, muore sulla croce da ribelle, infine appare risorto ai suoi discepoli.

La critica moderna ha adottato la spiegazione delle Scritture. Bisogna proprio riconoscere che ciò si accorda con l'universalità delle testimonianze. La polemica tra i primi cristiani e i loro avversari presenta quella particolarità curiosa: ebrei ed elleni hanno accusato la leggenda evangelica di immoralità, ne hanno rilevato le contraddizioni e le incongruenze, si sono sforzati di spiegare i miracoli mediante i mezzi naturali, mai hanno messo in dubbio l'esistenza di Gesù:

Quella sola negazione ben fondata, osserva Charles Guignebert, [1] conteneva un'argomentazione radicale e tale che l'avversario non aveva altra scelta se non quella di tacere. Ma che gli ebrei non l'abbiano mai impiegata il Talmud ce lo prova e, con esso, il Dialogo di Giustino con il Giudeo Trifone e il trattato di Celso contro i cristiani.

Senza dubbio non sussistono più per supportare il nostro giudizio che i documenti del II° secolo; ma i polemisti avrebbero trascurato una tale arma se i loro anziani se ne fossero serviti? Su quel periodo precedente i Vangeli ci forniscono persino qualche dettaglio:

Ci sono, dice Maurice Goguel, [2] in vari resoconti di apparizioni, tratti che mettono in risalto la realtà del corpo di Gesù risorto; [3] mai alcun evangelista ha provato il bisogno di affermare alla stessa maniera la realtà del corpo di Gesù durante il suo ministero. Ciò significa quindi che non hanno avuto a che fare con gli avversari che lo contestassero. L'importanza di questo fatto è considerevole perché è all'indomani della sua nascita che il cristianesimo si è scontrato con l'opposizione ebraica.

La leggenda di Gesù si distingue per un'altra caratteristica, altrettanto disturbante. Mentre le religioni, sempre gelose delle loro origini, hanno tendenza, per accrescerne il prestigio, a farle risalire alle età più antiche, a confonderle perfino con la nascita del mondo, il cristianesimo solo, — e questa non è una delle minime cause del suo successo, — fa vivere il suo dio in mezzo ad  avvenimenti storici e in un'epoca che i primi credenti hanno potuto conoscere! [4] Come una divinità puramente favolosa avrebbe un bel giorno abbandonato la maestà del Trono, per mostrarsi a Gerusalemme nella condizione più umile? Se gli Israeliti, che rifuggivano dall'usare smodatamente la mitologia, alla maniera greca, e avevano di Dio una idea tale da non osare né pronunciare il suo nome né rappresentare la sua immagine, arrivarono a pensare che lo avevano maltrattato, disprezzato e torturato, non occorreva forse che un'avventura, di una realtà imperativa, facesse da contesto a una credenza così lontana dalle tendenze naturali di un popolo? 

Infine, quando noi abbiamo eliminato dai Vangeli tutti i tratti, numerosi senza dubbio, che si spiegano mediante una trasposizione dell'Antico Testamento, rimangono in fondo al crogiuolo elementi irriducibili alla mitologia, sopravvivenza di una tradizione chiaramente relativa ad un vita umana. Questi «residui», quella polvere sparpagliata che resiste ai solventi della critica forniscono, secondo Schmiedel, la materia per solidi «pilastri», capaci di supportare l'edificio maestoso della tesi storica. Con i Vangeli svuotati di tutto il loro contenuto e ridotti a un massimo deludente di leggerezza, si conta di sferrare ai miticisti dei colpi così abilmente assestati che costoro forse vacilleranno.

Perché quindi Gesù si prende la briga di dire che non si deve chiamarlo buono, perché nessuno è buono tranne Dio? [5] Che una parola ingiuriosa contro il Figlio possa essere rimessa? [6] Che non conosce il giorno e l'ora del Giudizio? [7] Che non potesse prendersi la responsabilità di concedere ai suoi discepoli un posto alla sua destra e uno alla sua sinistra nel Regno futuro? [8] Perché quella obbedienza a suo padre e tutte queste debolezze sconvenienti? Egli si mostra incapace di fare un miracolo a Nazaret, dove non c'è fede nella sua missione; [9] ha fratelli e sorelle, semplici mortali che, invece di gloriarsi di lui, non esitano ad accusarlo di follia; [10] la sua passione soprattutto appare come una volgare esecuzione giudiziaria, che egli subisce con amarezza e rancore, gridando, con il salmista: «Mio Dio! perché mi hai abbandonato?» Tali tratti si spiegano se i ricordi di fatti reali li imponessero ai narratori; essi non dovrebbero trovare posto nella messa in posa di un dramma misterico o di pratiche rituali.

Non solo gli Evangelisti non si limitano a parlare in maniera intempestiva di un eroe inguaribilmente uomo, ma non lo collegano neppure a un culto. Gesù appare come un ispirato che predica il regno del Padre celeste e per nulla il proprio, che pratica la devozione giudaica invece di cercare di fondare una religione nuova. Degli scrittori ansiosi di comporre una leggenda divina ad uso di una setta potevano così mancare di esporre ai fedeli l'essenziale di una dogmatica?

Si conclude che la tradizione orale, che ha servito da tema, ha attraversato una fase antica in cui Gesù si trovava spogliato di caratteri soprannaturali. Si riconosce persino l'esistenza di due tendenze contraddittorie nei Vangeli: la tradizione storica, realtà ingombrante, con la quale gli scrittori dovevano fare i conti, ma che accoglievano loro malgrado, per poi tradirla, desiderosi soprattutto di orientare gli animi verso la concezione di un essere trascendente. Il fondatore del cristianesimo non si rivelerebbe all'analisi come una divinità a poco a poco umanizzata, ma bensì al contrario come un uomo che la leggenda ha divinizzato.

Se è così, per quale miracolo della fede un semplice profeta doveva un giorno mutarsi in dio misterico, morente e risorgente per assicurare alle anime l'immortalità beata? La tesi della storicità, che appare così verosimile a un primo esame, riesce a gettare un ponte sull’abisso che separa queste due concezioni?

Charles Guignebert si è proposto di risolvere le difficoltà inerenti all'ipotesi di un cristianesimo derivato da un'agitazione ebraica senza importanza, ma le cui ripercussioni, per una combinazione di circostanze singolari, sarebbero state universali.

Egli deve riconoscere anzitutto che Gesù non aveva alcuna possibilità di provocare l'entusiasmo e nemmeno di suscitare un movimento di qualche portata nell'ambiente palestinese:

Al popolo, dice, [11] non parlava affatto il linguaggio che esso si aspettava: egli predicava il ritorno a sé stessi, l'amore del prossimo, l'umiltà del cuore, la fiducia filiale in Dio, a gente che sperava un appello alle armi e l'annuncio dell'ultimo combattimento prima della vittoria eterna. Non diceva loro: «Insorgete! Il Messia di Jahvé è tra voi», ma piuttosto: «Preparatevi, mediante il pentimento, a fare buona figura al Giudizio che si appresta». Egli non domandava loro di agire, ma solo di aspettare in una certa posizione morale e religiosa, che cambiava l'attesa in una disciplina...

I suoi connazionali palestinesi [12] non credettero alla missione che si attribuiva e non si conformarono ai suggerimenti morali che recava loro; essi lo guardavano passare, durante il tempo, peraltro brevissimo, in cui circolò in mezzo a loro, con curiosità o indifferenza, ma senza seguirlo. Forse – e tutt’al più – egli sedusse qualche centinaio di Galilei ingenui.

Ecco certamente una situazione infelice e paradossale per il fondatore di una religione mondiale, e quando un po' più oltre lo storico sostiene che la concezione religiosa di Gesù, troppo affine alle maniere di pensare ebraiche, non aveva a sua volta alcuna possibilità di sedurre il mondo romano, noi resteremo perplessi sulle possibilità di esistenza storica di questo personaggio.

Sembra, infatti, che un predicatore, le cui parole non trovavano eco né nel cuore dei suoi connazionali né nella coscienza del secolo, non dovesse persistere a correre per i villaggi, in preda a un sogno solitario.

Charles Guignebert ammette che il cristianesimo non avrebbe logicamente dovuto esistere:

Cosa poteva restare di Gesù, dice, [13] a parte alcune massime morali, sicuramente proficue, ma meno originali di quanto si suol dire, e a parte il ricordo commovente delle sue virtù, del suo carisma personale? La logica risponde: niente. Eppure il seguito degli eventi parve dare torto alla logica.

Così l'ipotesi di un Gesù inconsistente alla base di una grande religione non spaventa gli storici, inclini a vedere nella sequenza delle azioni umane solo una serie di fatti alla mercé delle congiunture del momento. Rassegnati a non spiegare affatto il cristianesimo mediante uno sviluppo normale delle credenze, essi lo fanno sorgere da una serie di circostanze accidentali, di importanza paragonabile al naso di Cleopatra, che bastò anch'esso a cambiare il destino di Roma.

Ecco, alla luce di quel metodo. come si stabilì il legame che legò la coscienza universale a un movimento derivato dalla Palestina.

Gesù, incompreso dai suoi connazionali, perché la sua predicazione pacifica si opponeva troppo al loro ardore combattivo, non ha potuto lui stesso esercitare un'azione qualunque per la propagazione di una nuova fede. Arrestato, sin dalla sua esistenza terrena, nel cammino che deve condurlo alla conquista del mondo, egli cade per la prima volta.

La sua storia sarebbe a sua volta rimasta nell'oblìo, se gli Apostoli non avessero tentato di raccogliere la fiaccola, sfuggita dalle mani del profeta.

Quali mezzi impiegarono per attirare di nuovo l’attenzione pubblica? Forse una predicazione ardente, basata sui concetti mistici più appropriati alle aspirazioni delle folle ? In alcun modo. Due fatti distinti bastarono a preparare a Gesù un'eternità di trionfo: una visione e un sillogismo.

Secondo ogni apparenza, il fatto essenziale, il motore che innescò il meccanismo del movimento cristiano, è un'allucinazione di Pietro, seguita presto da allucinazioni collettive, dove Gesù, il suppliziato del giorno prima, appare vivo ed esorta i suoi discepoli a proseguire la sua opera. [14]

Questo fenomeno si appella al ragionamento seguente:

Gesù vive. Ma perché viva, occorre che non sia più morto, e, se non è più morto, per gli ebrei di questi tempi, nessuna esitazione è possibile, è perché è risorto.

Perché Dio avrebbe tratto Gesù dal soggiorno dei morti se non fosse perché gli aveva riservato un ruolo primordiale in una  grande opera prossima? [15]

È così che il profeta che aveva predicato la penitenza nell'attesa del Regno fu assimilato al Messia stesso. A cosa contribuiscono i gloriosi destini? Se Pietro non avesse avuto una visione e se non avesse avuto l'arguzia di ricavarne un sillogismo puntuale e tortuoso, allora sarebbe finito il grande movimento mistico della nostra civiltà occidentale:

Se quella fede degli Apostoli nella resurrezione del loro Maestro non si fosse prodotta, non ci sarebbe stato il cristianesimo. [16]

Alcuni esegeti però, tra cui Alfred Loisy e Klausner, si discostano da quella tesi. Essi ritengono che la visione di un uomo risorto avrebbe portato all'idea del Messia solo se questa idea si trovasse già alla base dell'attività degli Apostoli. Se Gesù non si fosse dato affatto questo titolo già da vivo, tutto il suo insegnamento avrebbe dovuto distogliere da un'opinione, già refrattaria alle coscienze ebraiche, abituate a concepire il re d'Israele come un messaggero glorioso.

Se Gesù, dice Alfred Loisy, [17] non è stato condannato a morte come re dei Giudei, vale a dire come Messia, per sua stessa ammissione, tanto vale sostenere che non sia mai esistito... È la fede prima della resurrezione che ha fatto la fede della resurrezione.

Gli Apostoli hanno visto Gesù; essi hanno concluso oppure sono stati confermati nella loro idea che fosse lui il Messia. Dotati di questo bagaglio dogmatico, non restava loro che sedurre il mondo.

La morte del Maestro aveva disperso questi neofiti, troppo codardi per mantenere la loro fede davanti al popolo. Erano rientrati precipitosamente in Galilea per riprendervi le loro occupazioni domestiche, condizione ovviamente molto sfavorevole ad un raggruppamento. Ma, ossessionati da allucinazioni, invece di accontentarsi di seminare la notizia nella loro provincia, si rimisero immediatamente in viaggio per Gerusalemme! Pur maledicendo quella città che Gesù paragonò a un fico secco, da cui non c'era nulla da aspettarsi, sapendo per esperienza quanto quest'ambiente manifestasse loro ostilità, questi bifolchi, incapaci di un proselitismo da conquistatori, ruppero con le leggi di una psicologia elementare, per recarsi a guadagnare alle loro idee, prima delle città in cui potevano trovare affinità, un mondo quasi altrettanto estraneo a loro quanto Antiochia o Roma! Grazie a questo strano itinerario, eccoli, come per un meccanismo precostituito e fatale, avviati all'incontro della comunità ellenistica.

Ma queste anime semplici si rivelavano incapaci perfino di sedurre i loro propri connazionali, tanto ripugnava alla coscienza ebraica la concezione di un Messia ignominiosamente crocifisso:

Si deve credere, dice Charles Guignebert, [18] che possedessero un insolito potere di illusione, perché, a priori, tutto lasciava supporre che avrebbero ottenuto un successo ancora minore del loro Maestro e che la sorte finale li attendesse... I Dodici ricevettero a Gerusalemme l'accoglienza che chiunque altro oltre a loro poteva precedere: guadagnarono qualche decina di sostenitori, come fa la setta più piccola. Questo successo si ritrovò di così fragile portata che sembrò ovvio, agli occhi dei meno prevenuti, che l'eresia cristiana non avrebbe superato la generazione che l'aveva vista nascere, che presto i fedeli di Gesù Nazareno si sarebbero persi nell'oblìo, come quelli del Battista, o quelli di tanti altri nabi….

Essi dispiegavano clandestinamente la loro propaganda, di casa in casa, all'insaputa delle autorità e senza guadagnare sostenitori, quando, all'improvviso, un incidente fortuito ravviva il focolaio pronto a estinguersi. Pietro guarisce un malato nel nome di Gesù! Un'emozione intensa si impadronisce della città santa. Questo Gesù, già dimenticato, ritorna alla luce e un'intera comunità aspira a credere in lui. Il paralitico, sollevandosi, alla voce dell'Apostolo, fece sollevare una moltitudine, che fondò la chiesa di Gerusalemme.

Quella chiesa si rivelerà un ambiente entusiasta? Per un paradosso ingannevole, una crudele ironia della sorte, gli storici si vedono nell'obbligo di riconoscere che la Chiesa di Gerusalemme non ha svolto il ruolo che si aveva il diritto di aspettare da lei: essa ha servito solo da trampolino di lancio, dove il cristianesimo si è appena posato prima di prendere il suo slancio.

La Chiesa primitiva, dice Eugène de Faye, [19] non ha alcuna idea dell'indipendenza della religione nascente. Essa non immagina che il cristianesimo debba staccarsi dal giudaismo, bastare a sé stessa. Il passato l'ha ripresa. L'ombra del Tempio ha soffocato la novità del vangelo. Ai santi di Gerusalemme sembra obbligatorio praticare la circoncisione, i riti, la devozione ebraica. L'unica cosa che li distingue dagli Israeliti pii è che essi credono che Gesù di Nazaret sia il Messia. Non sono già altro che una setta messianista che più tardi darà vita a questi Ebioniti, di cui Eusebio parla con tanto disprezzo, e che la Chiesa classificherà presto tra gli eretici. Ciò che è ancora più significativo è che la Chiesa di Gerusalemme si disinteressa totalmente della missione tra gli incirconcisi. L’evangelizzazione del mondo pagano le è indifferente. È chiaro che alla data in cui Paolo scrive, la chiesa primitiva è diventata singolarmente ristretta; essa ha perso ogni senso del futuro; essa si trasforma in una setta devota e orgogliosa... Essa è custode dell'arca santa dei ricordi più sacri. Ma quanto è estranea allo spirito di Gesù di Nazaret!

Però uno dei fedeli sarebbe sfuggito all’influenza del giudaismo ufficiale. Le folle della Palestina aspiravano a rinnovare la tradizione dei profeti, rompendo con il formalismo della Legge. Stefano si fa, in nome di Cristo, il paladino di quell'idea: la sua personalità supera ben presto i suoi gretti correligionari, e si accinge a predicare una dottrina diametralmente opposta alla mentalità della sua stessa setta, senza tuttavia che quest'ultima gli manifesti la minima inimicizia!

«Gente di collo duro e incirconcisa di cuore e d'orecchi, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi!» [20]

Egli vede nel giudaismo un'alterazione criminale della pietà, che non reclama affatto altari:

«Ma l'Altissimo non abita in templi fatti da mani d'uomo, come dice il profeta: Il cielo è il mio trono e la terra lo sgabello dei miei piedi!» [21]

Strana predicazione! Pietro conferisce a Stefano il diaconato; entrambi camminano mano nella mano, eppure una discordanza assoluta li separa; in mezzo agli Apostoli e a Giacomo Stefano fa proprio una figura anacronistica.

Tre o quattro anni dopo la morte di Gesù, gli ebrei lapidano il diacono. Presa dalla paura, la Chiesa apostolica si immerge ancora più profondamente nel legalismo; ma i compagni del suppliziato, scampati al massacro, si disperdono nelle città di Giudea, di Samaria e di Siria, dove fondano, su un ideale più ampio, comunità ellenistiche.

La tendenza collettiva mummificata nella città santa, la propagazione del cristianesimo risulterebbe dunque da sforzi individuali, scaturiti da un tronco morto! Degli sradicati, già incompresi dai loro connazionali e senza affinità con la civiltà romana, avrebbero soggiogato le folle straniere!

Quanto agli Apostoli, essi dimorarono a Gerusalemme una dozzina di anni; [22] ma questi alfieri di un credo nuovo — loro che si assumono la responsabilità primaria di aver sconvolto il mondo con la grave affermazione delle loro visioni soprannaturali —, dopo una professione di fede così compromettente per la tranquillità dei secoli, ritornavano con noncuranza al culto dei loro padri! Paolo si lamenta amaramente di quella defezione. Nell'epistola ai Galati racconta di come rimproverò Pietro che, al suo arrivo ad Antiochia, manifestava il capriccio di non mangiare affatto con i greci. Anche Giacomo, lo stesso fratello di Gesù, che doveva diventare il capo della Chiesa, non sembra più consapevole del suo ruolo. Invece di seguire l'esempio così vicino, che gli prescriveva l'adesione ad una religione d'amore, indifferente allo spirito di famiglia, si atteneva alle osservanze più formalistiche: il suo corpo disprezzava l'acqua, le sue guance non conoscevano affatto il rasoio e le sue ginocchia, a forza di strofinare le lastre sante, erano diventate callose come quelle di un cammello. Singolari propagatori per una religione chiamata a gloriosi destini: il focolaio di una vita prodigiosa si ritrovò spenta tra i discepoli immediati!

Perché un movimento si estenda, gli occorre una culla geografica, da cui la sua attività si irradia. Le anime in lotta si sentono confortate al pensiero che esiste da qualche parte un luogo di predilezione dove le loro idee trionfano. In ore difficili, i cristiani si riportavano con l'immaginazione alla Città, da dove credevano originaria la loro religione: l'autore giudaizzante degli Atti prova una ammirazione beata per la chiesa di Gerusalemme. Più tardi il ricordo rimase così vivo che, quando la terra santa fu preda degli infedeli, si trovarono eserciti ad attraversare l'Europa, al fine di andare a riprendere la tomba del Cristo. La defezione della chiesa di Gerusalemme ci priva di un anello essenziale: gli Apostoli, tanto incoerenti quanto il loro Maestro, non ottennero in suo favore lettere credenziali per la sua introduzione nella città santa. Gesù cade per la seconda volta.

Però, in assenza dei Gerosolimitani, troppo sottomessi alla tradizione, gli storicisti non dubitano che gli ebrei sparsi nel bacino del Mediterraneo fossero conquistati spontaneamente. La grandiosa speranza messianica, l'annuncio della parusia, della venuta imminente del Regno, portatore di giustizia, felicità e pace, non offriva forse tutti i caratteri di un tema capace, prima della sua integrazione in un culto di salvezza, di provocare da sé stesso un incanto profondo e duraturo?

Il Dio d'Israele tendeva le mani verso i popoli che consumavano la carne di maiale e bevevano il succo della carne. Stava per edificare, per coloro che avrebbero creduto in lui, nuovi cieli e una terra nuova, dove il lupo e l'agnello avrebbero pascolato assieme, dove gli uomini avrebbero contato nella gioia giorni tanto numerosi quanto quelli degli alberi, avrebbero visto la materia lavorata con le loro mani invecchiare davanti a loro e non avrebbero piantato più una vigna per il godimento dei padroni. [23]

Il mondo ellenico non si trovava del tutto preparato a vivere questo sogno? L'impero romano impose una civiltà superba, ma dove l'elemento morale non si proporzionava affatto al potere fisico. Le guerre continue e il loro susseguirsi di mali: massacri, schiavitù, spoliazioni, carestie, creavano uno stato di insicurezza e di angoscia, che faceva aspirare al regno di un Salvatore. Seneca propose all'adorazione delle folle il Giusto, il cui volto somiglia alla divinità. [24] Alcuni addirittura vedevano nella persona dell'imperatore il liberatore atteso e gli elevavano templi. Virgilio profetizzò un'età dell'oro, fiorita nella calma della vita campestre, e salutò la nascita di un figlio divino. [25] L'annuncio di Gesù, unto Messia da Jahvé, non arrivava al momento giusto per creare una fede?

Dal canto loro, gli ebrei della Diaspora potevano, grazie all'influsso dei culti misterici, accogliere la credenza in un Messia crocifisso. Per soddisfare le loro aspirazioni all’immortalità, occorreva loro giustamente un Salvatore che morisse e risorgesse. Non vi era nella morte violenta di Gesù un’opportunità inaspettata per adottarne uno? Troppo sottomssi alla loro religione per adorare dèi stranieri, insufficientemente liberati dalla loro barbarie primitiva, tentavano da molto tempo adattamenti del tema sincretistico: in Frigia, ad esempio, assimilavano Attis a Jahvé, attribuendogli il titolo di hypsistos, l'Altissimo; e Dioniso, chiamato anche Sabazio, fu identificato con Sabaoth, Dio degli eserciti. [26] Ma occorreva una trasformazione più radicale per riuscire in modo decisivo.

I testi sacri annunciavano la venuta di un Messia nazionale, che si sarebbe trasformato, con un po' di buona volontà, in dio che promette immortalità, che discende sulla terra per vivervi umilmente, morire e risorgere. Zaccaria non rappresentava il Re d'Israele che entrava a Gerusalemme in tutta semplicità? Allo stesso modo Isaia parlava di un uomo di dolori, sottoposto alla tortura, sepolto con i malvagi, poi trionfante d'improvviso sui suoi nemici? Sfortunatamente l'evento non si verificava, condizione indispensabile alle cerimonie commemorative, senza le quali l'entusiasmo viene a mancare. Di colpo si sparse la notizia che un profeta, che si pretendeva il re dei Giudei, è stato crocifisso a Gerusalemme e che i suoi discepoli lo hanno visto risorto. L'idea che questi potesse essere il dio atteso e già vivente nei cuori si impadronì delle immaginazioni. Tra i più ardenti le visioni confermarono il desiderio. Non si diceva il Messia? Non predicava il regno della giustizia, la beatitudine eterna? Ciò era abbastanza per gli animi esaltati. La lontananza della Palestina  impedì alla contraddizione e alla verità storica di manifestarsi. Il cristianesimo era fondato.

Così, del tutto naturalmente, si trovò che un giorno il «Re dei Giudei» fu considerato come il Redentore degli uomini. Invece di essere morto per non aver potuto stabilire l'impero d'Israele sulla terra, egli era morto, alla maniera di un dio misterico, per promettere l'immortalità delle anime! Si trovò che il pasto offerto da Gesù ai suoi discepoli, la vigilia della sua morte, quando il Maestro, presentendo la sua fine imminente, annunciò tristemente che non avrebbe più bevuto il frutto della vite, fu mutato in sacramento di comunione nella carne e nel sangue del dio, analogo a quello di Dioniso!

Una simile evoluzione presenta un carattere normale? In questo passaggio delicato tra due civiltà eterogenee, un Gesù uomo, come lo concepiscono gli storicisti, non doveva cadere per la terza volta?


NOTE

[1] Le Problème de Jésus, pag. 148, Parigi, E. Flammarion, 1914.

[2] Jésus de Nazareth mythe ou histoire? pag. 85, Parigi, Payot, 1925.

[3] Luca 24:39-42; Giovanni 20:25-29.

[4] Charles Guignebert, Le Problème de Jésus, pag. 149.

[5] Marco 10:18.

[6] Matteo 12:32.

[7] Marco 13:32.

[8] Marco 10:40.

[9] Marco 6:5.

[10] Marco 3:21.

[11] Le Christianisme antique, pag. 57, Parigi, E. Flammarion (Bibliot. di filos. scientif.), 1922.

[12] Ibidem, pag. 56-57.

[13] Ibidem, pag. 62-63.

[14] Ibidem, pag. 63-64.

[15] Ibidem, pag. 64-65.

[16] Ibidem, pag. 66.

[17] Jésus et la tradition évangélique, pag. 75, Parigi, Emile Nourry, 1910.

[18] Le Christianisme antique, pag. 68-69.

[19] Etudes sur les origines des Eglises de l'âge apostolique, pag. 135-137, Parigi, E. Leroux, 1909. 

[20] Atti 7:51.

[21] Ibidem 7:48-49.

[22] Eusebio di Cesarea, Historiae ecclesiasticae, libro 5, capitolo 18, n° 14. Clemente di Alessandria, Stromati, 6.

[23] Isaia 65:1-2, 17-25.

[24] Epistola a Lucilio 41, 115.

[25] 4° ecloga.

[26] Frantz Cumont, Les religions orientales dans le paganisme romain, pag. 79, Parigi, E. Leroux, Annales du musée Guimet, volume 24, 1906. Charles Guignebert: Le Christianisme antique, pag. 78-79.

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