GESÙ
DIO DELLA PASQUA
DI
JEAN PAIN
IL MISTERO CRISTIANO
I
L'ESSENZA DEL CRISTIANESIMO
Il problema dell'esistenza di Gesù, così come lo prospetta l'esegesi moderna, consiste essenzialmente in una critica dei testi. Che ci si applichi a dimostrare che la vita umana raccontata dai Vangeli si leghi a una tradizione precedente alle apocalissi, che si chieda a Paolo, il più antico testimone, se lui concepisse il suo dio come un essere celeste oppure come un ebreo contemporaneo della sua generazione, le prove addotte da una parte e dall'altra, per quanto contraddittorie siano, non fuoriescono dall'ambito di un metodo comune: esse non procedono da principi irriducibili, da vedute particolari sulla natura e sull'evoluzione del cristianesimo. Ci si dichiara partigiano o avversario della storicità, a seconda che si ritengono, ad esempio, un'interpolazione cristiana oppure un testo autentico quella profezia di Isaia che mostra il Diletto «appeso al legno», a seconda che si traduca il versetto 17 del Salmo 22 con quella frase: «Trafissero le mie mani e i miei piedi» oppure con questa: «Afferrarono le mie mani e i miei piedi». Spesso, come per il termine Nazaret, la differenza risiede in un'interpretazione di natura filologica.
Come fa P.-W. Schmiedel a provare l'esistenza del profeta galileo? Cerca forse di dimostrare che una evoluzione normale, senza soluzione di continuità, leghi il dramma del Calvario alla fede di Paolo, l'agape degli Apostoli al sacramento dell'eucarestia? Per nulla: il suo metodo consiste nello sviscerare parola per parola i Vangeli, alla ricerca dei passi che sembrano l'eco di eventi reali.
La certezza si può stabilire per mezzo dell'uso esclusivo del documento? Quest'ultimo appare come un elemento precario, che resta al di fuori dei fatti, di cui si accontenta di affermare o di negare l'esistenza, senza comprenderne il significato, senza cercare di penetrare nella realtà dello sviluppo morale. Non basta provare la storicità della figura di Gesù; bisogna anche stabilire che il cristianesimo potesse organizzarsi in culto della salvezza, con per punto di partenza una predicazione umana. Una religione, in effetti, si presenta come un sistema decomponibile nei suoi elementi costitutivi; una volta caratterizzati questi ultimi, dobbiamo riconoscere se essi si lasciano spiegare da un fondatore individuale oppure se questo postulato non ha affatto posto nella loro genesi.
Quante figure di Gesù sono state tratteggiate sin dalla istituzione della scienza delle religioni! Abbiamo quelle di Rousseau, di Lessing, di Baur, di Strauss, di Cabet, di Renan, di Emerson, di Reuss, di Ristchl e, più recentemente, quelle di Henri Barbusse e di Emil Ludwig. Il cristianesimo ha dato luogo a interpretazioni non meno diverse e contraddittorie. Gli uni, colpiti dal suo lato sociale, hanno creduto che recasse al mondo una dottrina della carità, un sistema di società basato sull'assistenza reciproca e sull'elemosina. Ernest Renan la descrisse come «l'organizzazione della devozione». [1] Alcuni stessi — che ci hanno lasciato dei discendenti —, spingendo quella visione all'estremo, vi vedevano la fonte da cui sarebbe emerso il socialismo. [2]
Altri pensatori, colpiti dalla lotta dei Dottori della Chiesa contro l'egoismo collettivo della Legge ebraica, hanno considerato il cristianesimo un tentativo di riforma dei costumi per via del sentimento, una religione degli scrupoli e del caso di coscienza:
Non è una semplice teoria, dice Friedrich Jodl, che si riscontra in testa al movimento del pensiero cristiano, ma un genio creatore della moralità. Se voi domandate a Gesù quale sia l'essenza e il contenuto della morale, egli vi dà una risposta nuova, tratta dalla sua sua propria e intima esperienza.
Secondo Auguste Comte, l'amore del cristiano per il suo dio è il simbolo dell'amore per l'Umanità. I materialisti, per cui le religioni non sono altro che un tessuto di errori, accettano senza discussione la tesi secondo la quale la morale moderna è un'innovazione del cristianesimo. Taine vede in esso
il grande paio d'ali, indispensabile per sollevare l'uomo al di sopra di sé stesso, al di sopra della sua vita grama e dei suoi orizzonti limitati... Ogni volta che queste ali vengono meno o le si spezzano, aggiunge, i costumi pubblici e privati si degradano, la crudeltà e la sensualità si diffondono, la società diventa uno scannatoio e un luogo malvagio.
Quella credenza è talmente radicata che gli esegeti che osano contestare alla religione un valore creatore di morale, hanno ben cura di fermarsi alla soglia del cristianesimo, per considerare solo le pratiche cultuali degli antichi o quelle dei selvaggi.
Alcuni filosofi infine, particolarmente legati alla metafisica, hanno pensato che il cristianesimo abbia soprattutto introdotto nella civiltà romana idee teologiche nuove: il monoteismo, l'onnipotenza divina, la Provvidenza, la comunione del principio divino con la creatura.
Queste diverse opinioni non hanno resistito alla critica moderna. Oggi conosciamo l'«essenza del cristianesimo», che Adolf Harnack ha cercato invano. Questa religione celava sì delle forze che la chiamavano a trionfare, ma esse erano esclusivamente di natura mistica. La sua costituzione primitiva appartiene al mistero.
Questo tipo di devozione, alla sua origine, era una reazione contro l'uso della religione per un fine esclusivamente collettivo, un tentativo di ritorno a un pensiero mistico puro.
Le aspirazioni fondamentali del misticismo, all'inizio della nostra era, sono oggi abbastanza ben note. Venute dalle solitudini dell'Egitto e dell'Asia Minore, dove folle di monaci e di anacoreti trovavano nell'allontanamento dagli uomini il contatto con la divinità, avevano conquistato la civiltà ellenica, che non soddisfacevano più i suoi dèi nazionali, protettori troppo distanti. I culti greci e romani, come il giudaismo, erano diventati ciò che Emile Durkheim credeva essere il fondamento stesso del fenomeno religioso: l'espressione della volontà sociale, un riflesso simbolico dell'organizzazione politica e morale. Tra i padroni del mondo, i poteri pubblici avevano addomesticato di buon'ora la religione e prosciugato così la fonte viva della fede, diventata serva della città: gli esseri soprannaturali non si manifestavano pressoché agli uomini se non sotto forma di apparizioni. Al contrario, le regioni desolate del Vicino Oriente erano inclini alla fioritura di questo stato emotivo particolare, dove il credente si immagina di comunicare tramite il cuore con la sua divinità. L'unità notevole che caratterizzava le credenze nuove, malgrado la varietà dei loro temi e le loro origini diverse, e i movimenti appassionati che esse suscitavano, provano che non si trattava solo di una rassomiglianza indebita, dovuta allo spirito di imitazione, ma di una autentica rivoluzione nella concezione della fede.
Che i credenti adorino l'egiziano Osiride, i greci Dioniso, Orfeo o Demetra, il siriano Adone, il fenicio Melkart, il frigio Attis, i babilonesi Tammuz e Marduc o il persiano Mitra, è una stessa aspirazione che sostiene la disparità delle mitologie e si traduce con riti analoghi: La divinità, figura maestosa che travolge il fedele con la sua potenza, si abbassa ormai fino alla creatura, a cui fa pieno dono di sé; essa penetra fin nel suo cuore, diventa uomo per meglio farsi comprendere; partecipando alla sua natura, si identifica con essa.
Quando i rapporti di produzione e di scambio crescono in portata e in complessità, l'individuo si sente perduto nel mezzo di un corpo sociale anonimo e immenso, di cui non è più che un ingranaggio infimo. Il progresso dei mezzi tecnici e della proprietà sviluppa classi di proprietari e di lavoratori; alcune classi si fanno conquistatori e parassiti. La società cessa sempre più di rispondere pienamente ai bisogni fisici e morali dell'insieme dei suoi membri; tende a diventare per la maggior parte di loro una estranea. Questo fenomeno è soprattutto particolare per i grandi imperi; quelli dell'Asia Minore, dell'Egitto e soprattutto l'Impero Romano. Il disadattamento dell'uomo dal suo ambiente naturale sviluppa la sua personalità e lo porta a riflettere sul suo proprio destino. Allora nasce in lui il desiderio di sopravvivere in un mondo ideale, dove il sovrano sarebbe un dio giusto e buono. Le comunità di mistici riconoscono confusamente ciò che vi è nella fede religiosa di sfogo spontaneo della coscienza, di impulso verso un ideale in cui le anime, liberate dai legami terreni, dalla rete delle leggi e dei costumi, trovano nell'unione intima con una divinità il conforto e la speranza di una vita beata.
Così, contrariamente alle altre religioni, essenzialmente nazionalistiche, i misteri, rompendo con le divisioni politiche e geografiche, tendevano a conquistare tutti i popoli della terra, senza distinzione di patrie. [3]
Gli dei che servirono da oggetto di adorazione erano scelti di preferenza tra gli spiriti di natura selvaggia, che infestavano le foreste o i campi e presiedevano al rinnovamento della vegetazione. Essi davano luogo a costumi, ancora barbari e del tutto intrisi di magia, per portare abbondanza degli armenti e la prosperità dei raccolti. Dioniso, ad esempio, il dio di cui conosciamo meglio l'origine primitiva, non si distingueva tra satiri e sileni, spiriti fugaci dei boschi. Cibele appare come una dea delle montagne di Frigia e rappresenta la vita degli alberi, i cui frutti servivano da nutrimento. Iside e Demetra erano dee del grano.
Come avrebbero potuto queste divinità rustiche dare nascita a religioni universali che, rovinando il formalismo ufficiale, dovevano rinnovare la coscienza mistica? Innanzitutto perché erano più vicine all'individuo rispetto agli dèi della città. Questi spiriti familiari vivevano la vita degli armenti o dei campi, che assicurano all'uomo ciò di cui ha un bisogno immediato. Non avevano forse in origine altri sacerdoti oltre ai capifamiglia. I fedeli svolgevano una parte attiva nella celebrazione del loro culto: dopo un banchetto sacro, attratti dalla voce urlante di Dioniso, si abbandonavano, urlando e agitando la fiaccola, a corse notturne e scarmigliate sulla montagna. Ne risultava uno stato di esaltazione sconosciuto ai culti imbastarditi dalle regole convenzionali.
Un simile misticismo ebbe presto altre esigenze oltre a quella di recare l’abbondanza dei raccolti. Questi dèi si vedevano già attribuire molti influssi, al di fuori della loro stessa funzione: essi fecondavano le donne sterili, guarivano i malati, vegliavano sul navigante. Incaricati di regolare il corso della vita agricola, estesero a poco a poco il loro potere regolatore alle cose dell'anima. Gli antichi credevano che la vita intera provenisse dalla terra, la creatrice universale. L'uomo stesso ne è uscito e vi ritorna. Le divinità ctonie, il cui spirito rimaneva sepolto sotto il suolo, in inverno e faceva levare le spighe, apparivano come i grandi dispensatori. Ad esse era spettato naturalmente il ruolo di salvatori.
Le religioni della città concepivano il mondo dell'oltretomba come un luogo lugubre, coltivato a pioppi e salici neri, dove i morti conducevano una vita larvale. Tutt'altra è la condizione degli iniziati, che conoscevano le parole d'ordine per pervenire fino alla dimora dei beati. Dopo aver errato nell'oscurità, senza prestare attenzione alle apparizioni fantastiche, senza voltarsi, per paura di essere afferrati dalle Erinni e precipitati nel pantano, essi subivano un giudizio, si purificavano, bevevano l'acqua del Lete, per far scomparire per sempre ogni ricordo della vita terrena, che potesse lasciar loro dei rimpianti, poi si slanciavano, nudi, sulle vette, verso la luce. Là ricevevano vesti nuove e, riuniti nel coro degli eletti, che formavano il corteo del dio, assistevano a spettacoli meravigliosi:
«Li accolgono luoghi e prati incontaminati, dove sono voci e danze e solenni canti sacri e visioni santificanti. In questi luoghi l’uomo ormai giunto alla perfezione e iniziato al mistero, libero e sciolto da ogni legame terreno, se ne va in giro con la corona sul capo, rapito in estasi, e si accompagna a uomini beati e senza macchia». [4]
«Riguardo alle bellezze più elevate», dice Plotino, [5] «che la sensazione non può percepire è che solo l'anima vede e giudica senza gli organi sensoriali... vedano, soli a solo, nel suo isolamento e nella sua semplicità e purezza, l'essere da cui tutte le cose dipendono e a cui guardano e per cui sono, vivono e pensano: egli è infatti causa della vita, dell'intelligenza, dell'essere».
La salvezza era resa possibile dalla morte o dalla scomparsa del dio e dal suo ritorno alla vita. Incarnazione della vegetazione, egli passava in effetti per le stesse fasi di essa: cessava di essere in inverno, per mostrarsi di nuovo in primavera. Ciò era sia una morte e una resurrezione, sia un rapimento e una liberazione, sia una lacerazione e una reviviscenza, sia una dipartita e un'apoteosi. Core non muore, ma Ade la porta negli inferi e Demetra, partita al suo inseguimento, la riporta sulla superficie della terra. Osiride non ritorna nella terra dei vivi, dopo che Iside ha ricomposto i frammenti sparsi del suo corpo, ma diventa il sovrano dell'impero dei morti. Zagreo è ucciso e divorato dai Titani, ma attorno al suo cuore, raccolto da Pallade, si sviluppa una vita nuova. Attis, dopo la sua evirazione, fu portato solennemente, sotto forma di immagine attaccata a un pino, in una cripta di Cibele, raffigurante il suo sepolcro; alcune donne piangevano presso il suo cadavere, poi le Hilaria celebravano il dio restituito alla sua amante. Mitra, dopo numerose sofferenze e il sacrificio di un toro, mette un termine alla sua missione terrena con un pasto offerto ai compagni delle sue fatiche, prima che la quadriga del Sole lo porti al di sopra dell'Oceano, verso le sfere celesti dove regnerà.
Malgrado le loro forme diverse, tutte queste mitologie svolgevano lo stesso ruolo: richiamavano il fedele a una vita immortale, mediante l'esempio del dio, che a sua volta aveva saputo vincere la sofferenza e la morte.
Un autore cristiano, Giulio Firmico Materno, [6] rappresenta i misti piangenti, in preda all'incertezza della loro sorte, quando di colpo un sacerdote, facendo loro un'unzione sulla gola, mormora queste parole:
«Coraggio misti, il dio è salvo; anche per voi c'è salvezza dalle fatiche».
In origine, i membri del clan cercavano, per mezzo di atti di magia positiva, di aiutare la natura a risvegliarsi. Quando la dipartita e il ritorno del dio divennero una garanzia di sopravvivenza, la riproduzione simbolica delle prove fu interpretata come uno sforzo dei fedeli di conformarsi al destino del Salvatore. Nel mistero di Iside, il defunto è imbalsamato e vestito come Osiride, egli è un Osiride:
«Quant’è vero che Osiride vive, anch'egli vivrà: quanto è vero che Osiride non è morto, anch'egli non morrà; quant’è vero che Osiride non è annientato, anch'egli non sarà annientato».
Ad Eleusi gli iniziati erano creduti morire e ricevere la sepoltura. Si spogliavano delle loro vesti e si immergevano nel fango, prima di percepire la luce, che raffigurava la dimora degli eletti. Nel mistero di Cibele essi erano salutati col titolo di Attis, poi condotti solennemente al letto della dea.
Il beneficio della salvezza si otteneva per mezzo di un cibo sacro. Gli adepti di Mitra commemoravano l'ultimo pasto offerto dal dio ai suoi compagni. Ai piccoli misteri di Eleusi bisognava pronunciare quella formula:
«Mi sono cibato dal timpano, ho bevuto dal cembalo, sono divenuto un miste».
Ai grandi misteri si diceva:
«Ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho prelevato dalla cista e dopo aver compiuto (ciò che occorreva), ho deposto nel kalathos, poi dal kalathos alla cista».
Nel culto di Dioniso-Zagreo, il dio era concepito sotto forma dell'animale di cui i misti mangiavano la carne cruda: facevano a pezzi il cervo Dioniso o il toro Zagreo. Ci sono quindi tutte le ragioni per pensare che si trattasse di una teofagia, nello scopo di appropriarsi della forza divina.
I misteri si rivolgevano alle persone di ogni condizione e di ogni patria, capaci di fare gli sforzi necessari alla loro salvezza. Ma i riti di iniziazione, considerati tremendi, se cadessero in mani indegne, dovevano restare rigorosamente nascosti. Un simile obbligo era legato all’origine economica di queste religioni:
Esistevano segreti del mestiere: la casta degli Asclepiadi, a cui la città aveva riconosciuto il potere di esercitare la medicina, teneva gelosamente lontane dai laici le conoscenze della sua arte. Allo stesso modo, la poesia e la filosofia, riservate alla classe dei patrizi, si esprimevano volentieri in parole oscure o difficili. Per una ragione simile i misteri, antichi culti agrari, proprietà di clan o di tribù, costituivano alla loro origine privilegi di casta, di cui non bisognava far beneficiare gli estranei, senza garanzia. Anche quando la virtù liberatrice del dio locale gli valse una fama che lo obbligasse a rendersi accessibile a tutti gli uomini, egli restò, come ad Eleusi, nel patrimonio di una famiglia sacerdotale, che ne traeva gloria e profitto.
Il carattere segreto, che sembrava appartenere alla natura stessa del mistero, era in realtà solo la sopravvivenza di un'organizzazione arcaica. Esso si trovava abbastanza attenuato negli ultimi secoli. sicché allusioni sempre più frequenti e precise hanno reso possibile la ricostruzione dei principali riti.
Non sempre i culti indipendenti dalla città dovevano essere ben visti dalle autorità pubbliche, quando queste non riuscivano a imporre loro un controllo. Inoltre essi furono talvolta oggetto di una diffidenza ostile o persino di persecuzioni. Quando Sabazio, il Dioniso tracio, si introdusse in Attica nel V° secolo, attirò il ridicolo dei poeti comici e il disprezzo pubblico. Il culto di Cibele a Roma subiva una sorveglianza continua, gli altari di Iside furono rovesciati e i misteri di Bacco cacciati dall'Italia. [7]
Ma tale è la natura della religione che, malgrado i suoi tentativi di evasione dalla vita del mondo, rimane legata alle condizioni economiche e politiche che ne hanno determinato la fioritura. Grazie al principio di autorità, che costituisce la sua base, essa offre un ottimo mezzo di conservazione sociale. L’individuo può isolarsi solo nella società. I misteri, che erano una fuga dell'animo umano verso il misticismo puro, finirono a loro volta per essere messi al servizio degli Stati. Il culto di Demetra, ad Eleusi, fu il primo ad essere nazionalizzato: benché accessibile a tutti gli uomini che non fossero affatto barbari, occorreva, per parteciparvi, essere ateniesi di nascita o almeno di adozione. Mitra divenne il dio dei militari. Anche il mistero feroce di Cibele, che aveva inquietato le autorità romane, fu reso pubblico dall'imperatore Claudio. Dell'antico misticismo non restò che un vago universalismo e una promessa di vita beata.
Ritroveremo nel cristianesimo tutti i caratteri che abbiamo appena definito?
Ad un primo esame si può scoprire in esso, ad una misura estrema, la natura fondamentale dei misteri: come loro, esso si sviluppa indipendentemente dalle patrie. Fin dall'epoca di Paolo esso si oppose in modo feroce al giudaismo, si liberò dalla casta sacerdotale dei Dodici [8] e oltrepassò i confini della Palestina. L'idea messianica che conserva, trasponendo la sua promessa in un mondo celeste, rivela che anch'esso è nato da aspirazioni popolari verso un sovrano giusto e buono, in reazione alla costrizione sociale. I primi cristiani si rifiutavano di pagare il tributo all'imperatore, di prestare giuramento in suo nome, di seguirlo sui campi di battaglia. La famosa frase: «Rendete a Cesare ciò che appartiene a Cesare», che un'esegesi facile e opportuna interpreta come la sottomissione del fedele alle leggi del suo paese, testimonia al contrario la sua perfetta indifferenza a loro riguardo. Gesù lancia, per così dire, alla testa del sovrano la moneta coniata con la sua effigie.
Poi, come i misteri, il cristianesimo, arrivato a uno stato perfetto, si integrò all'impero romano, sotto il regno di Costantino.
L’obbligo del segreto è esistito presso i primi cristiani?
«Noi predichiamo», diceva Paolo, [9] «una sapienza tra i perfetti, sapienza non di questo secolo, né dei principi di questo secolo, che sono stati annientati;
ma una sapienza di Dio misteriosa, sapienza nascosta, che Dio ha decretato prima dei secoli per la nostra gloria,
e che nessuno dei principi di questo mondo ha conosciuto».
Una sapienza insegnata ai perfetti (teleioi) sembra ben indicare una dottrina misteriosa riservata agli iniziati. La parola teleioi si trova, infatti, impiegata in questo senso dagli ermetici e dagli Eleusini. [10] Pitagora divideva i suoi discepoli in teleioi e in nèpioi, i perfetti e i bambini. Paolo [11] contrappone a sua volta queste due parole.
I teologi cattolici hanno fatto osservare che la religione di Paolo era accessibile a tutti gli uomini e non a pochi settari. Il termine mistero si riferirebbe a una conoscenza acquisita, al di fuori dei canali naturali, mediante la rivelazione, ma ampiamente divulgata.
Le religioni misteriche non erano neppure appannaggio di piccoli gruppi di privilegiati, scelti dal capriccio divino: esse si aprivano anche a tutti gli uomini di buona volontà, conformemente alle parole del Vangelo:
«Chi ha orecchi per intendere, intenda». [12]
La segretezza si adattava perfettamente al più ampio universalismo. Non era meno imposta, perché la conoscenza, concepita come una forza formidabile, poteva diventare la fonte dei più grandi mali. Matteo esprime esattamente la stessa idea:
«Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le pestino con le zampe e rivolti contro di voi non vi sbranino». [13]
Sarebbe difficile contestare che vi fosse un insegnamento segreto all'origine del cristianesimo.
«A voi è dato», disse Gesù ai suoi discepoli, «di conoscere i misteri del regno di Dio; ma agli altri se ne parla in parabole, affinché vedendo non vedano, e udendo non comprendano». [14]
«Tu hai ciò che può essere divulgato del nostro mistero, ciò che non è interdetto alle orecchie della maggior parte degli uomini», dice Gregorio di Nazianzo: [15] «il resto lo apprenderai quando sarai all'interno, quando sarà la Trinità stessa a fartene grazia: tu lo dovrai tenere nascosto dentro di te, come fosse trattenuto da un sigillo».
«Il sigillo», dice Clemente Alessandrino, [16] «è il segno per cui si crede in colui che è il vero dio».
Ciò che si doveva tenere nascosto nei misteri non era affatto la dottrina della salvezza, ma i riti essenziali, vale a dire la conoscenza dei mezzi mediante i quali si otteneva l'immortalità beata. Parallelamente i primi cristiani diffondevano senza restrizione l'insegnamento mitologico, ma la messa rimase un sacrificio segreto, come indica il suo nome stesso, missa, che significa congedo. Infatti, subito dopo l'omelia, il diacono congedava diverse categorie di fedeli, catecumeni, competenti e penitenti, che non dovevano assistere alla celebrazione dei santi misteri, riservati ai comunicanti, soli iniziati perfetti. Poi, nel momento in cui si deponevano sull'altare i pani e i calici destinati al pasto divino, i ministri vigilavano alle porte, affinché nessun profano varcasse la soglia del recinto sacro. [17]
Però, a poco a poco, l'obbligo della segretezza diverrà di importanza secondaria; essa scomparirà del tutto quando il cristianesimo, sotto l'influsso della speculazione teologica, che lo avvicinerà alla ragione, accessibile a tutti, perderà il suo carattere apocalittico.
La cerimonia di iniziazione, caratteristica dei misteri, si riscontra anche nel cristianesimo primitivo. Il battesimo del neonato era sconosciuto: questo sacramento era amministrato solo una volta all'anno, alla vigilia di Pasqua. Quaranta giorni prima di quella festa si redigeva la lista dei competenti, che si preparavano durante tutto il tempo che si chiamerà più tardi la quaresima. L'aspirante al titolo di cristiano subiva una lunga serie di prove: gli esorcismi, l'imposizione della croce sulla fronte, la deposizione di sale in bocca. Il sacerdote gli soffiava sul viso, gli toccava le labbra e le orecchie con la saliva, gli faceva sul petto e sulla schiena un'unzione di olio. Il giorno del terzo esorcismo si consegnavano al candidato le preghiere fondamentali, come il Credo e la Preghiera domenicale. Infine, proprio come ad Eleusi, verso la fine dell'iniziazione, i misti si spogliavano delle vesti, i cristiani, uomini e donne, ma separati secondo il sesso, entravano completamente nudi nella piscina. [18]
L'iniziato ai misteri era assimilato al dio stesso. Similmente il battesimo univa il cristiano a Cristo crocifisso:
«Ora», dice Paolo, [19] «io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me...»
«Siamo sepolti con lui nella sua morte, mediante il battesimo, affinché, come Cristo è resuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova».
Il confronto dell'iniziazione cristiana con quella dei misteri sembrava talmente naturale che gli stessi dottori della Chiesa non disdegnavano di ricorrervi, nella speranza di avvicinare alla loro fede gli adepti dei culti concorrenti:
«O misteri veramente santi!...» dice Clemente di Alessandria. [20] «Io divento santo per l’iniziazione, il Signore fa da ierofante e segna col sigillo l’iniziato mentre lo illumina, e affida al Padre colui che ha creduto perché sia custodito in eterno. Questi sono i baccanali dei miei misteri. Se vuoi, anche tu fatti iniziare, e danzerai con gli angeli intorno al Dio che non ha avuto nascita e non avrà morte, il solo che veramente è Dio, mentre il Logos di Dio si unirà ai nostri inni».
Negli Stromati, [21] lo stesso dottore spiega che il metodo tramite il quale il cristiano si avvicina a Dio ricorda, in ciascuno dei suoi dettagli, i riti dell'iniziazione. [22]
Infine, come nei misteri, il cristianesimo annuncia una buona notizia: l'immortalità delle anime, resa possibile dalla crocifissione di un dio e dalla sua resurrezione, e resa efficace per mezzo di un rito di comunione teofagica.
In presenza di queste analogie, qualunque storico non prevenuto, desideroso di cogliere la sequenza dei fatti, piuttosto di perseguire l’idea fissa di integrare a una teologia un’avventura umana, sarebbe portato a concludere che, se il cristianesimo si attiene alla natura il mistero, esso deve la sua origine, come tutti gli altri misteri, a riti rurali molto primitivi, evoluti dalla magia all'idealismo, dopo secoli di evoluzione. Ma se ci rapportiamo alla critica moderna, unico tra i suoi congeneri, Gesù non sarebbe stato affatto un dio della vegetazione, che i fedeli si sforzavano in primavera di riportare alla vita, ma piuttosto un personaggio reale, preso accidentalmente per il messia dai suoi propri discepoli, e trasformato a poco a poco, al seguito di fortunate coincidenze, in divinità redentrice. Gli esegeti riconoscono che diversi dei salvifici hanno preceduto Gesù, che il cristianesimo stesso è una religione di salvezza, tra molte altre, che presenta numerose rassomiglianze con i suoi concorrenti; ma questo sarebbe un fenomeno di osmosi, un sincretismo, dicono. L'idea che la fede in Gesù abbia subìto, nel corso di uno sviluppo interno, le stesse vicissitudini delle religioni di Attis, di Osiride o di Mitra, che queste costituissero un primo abbozzo, una manifestazione approssimativa di una tendenza che doveva trovare la sua forma perfetta, per lo stato morale dei tempi, nel mito della passione, a loro non passa neppure per la mente. Per loro i riti ellenici si sono semplicemente depositati su una leggenda storica, trasformando una predicazione messianica in mistero. Il profeta nazionale Gesù, dopo un incontro fortuito con i Salvatori del mondo greco-romano, si sarebbe fatto naturalizzare da loro.
Il cristianesimo sarebbe dunque un fiore senza radici. Tutte le difficoltà interpretative provengono da questo postulato. Vedremo gli storici alle prese con ostacoli insormontabili e costretti alle ipotesi più rischiose o addirittura più barocche, per risolvere quell'anomalia. Come ha potuto sorgere, in piena civiltà, un nuovo dio misterico, senza seguire l'evoluzione naturale degli esseri della sua specie? Questo è il grande enigma dell’esegesi contemporanea.
NOTE
[1] Renan, Les Apôtres, pag. 376, Parigi, Michel Lévy frères, 1866.
[2] Etienne Cabet: Le Vrai christiansime suivant Jésus-Christ, Parigi, presso l'ufficio del Populaire, 1846.
[3] Alfred Loisy: Les Mystères païens et le mystère chrétien, pag. 12, Parigi, Emile Nourry, 1919.
[4] Plutarco, secondo Stobeo, 6° frammento (Farnell, 356, n. 218 h.).
[5] Enneadi: 1:6, 4; 1:6, 7.
[6] De Errore profanarum religionum 22:1, Edidit Konrat Ziegler, Lipsiae in aedibus B. G. Teubneri, 1908, pag. 57 (capitolo 18, secondo il Pantheon letterario).
[7] J.-P. Waltzing: Etude historique sur les corporations professionnelles chez les Romains, volume 1, pag. 43, Bruxelles: F. Hayez, 1895.
[8] C. Toussaint: La Gnose paulinienne, in Congrès d'histoire du christianisme. Jubilé Alfred Loisy, volume 2, pag. 3. Parigi: alle edizioni Rieder, 1928.
[9] 1° ai Corinzi 2:6-8. Si veda pure agli Efesini 3:2-5; ai Colossesi 1:25-26; agli Ebrei 5:11-14.
[10] Richard Reitzenstein, Die Hellenistischen Mysterienreligionen: ihren Grundgedanken und Wirkungen, pag. 163, Lipsia e Berlino: B. G. Teubner, 1910.
[11] C. Toussaint, La Gnose paulinienne, op. cit., pag. 30.
[12] Luca 8:8.
[13] Matteo 7:6.
[14] Luca 8:10.
[15] Orazione 40:45, Patrologia greca, volume 36, pag. 425.
[16] Stromati 5:11.
[17] L. Duchesne, Origines du culte chrétien, pag. 57-60 e 205, Parigi, Albert Fontemoing, 5° edizione, 1909.
[18] L. Duchesne: Ibidem, pag. 299-321.
[19] Ai Galati 2:20; ai Romani 6:4; ai Colossesi 2:12.
[20] Protrettico 12.
[21] Stromati 5:11. Si veda Victor Magnien: Les Mystères d'Eleusis, leurs origines, le rituel de leurs initiations, pag. 155-159, Parigi, Payot, 1929.
[22] Grado superiore di iniziazione ai misteri di Eleusi.
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