domenica 9 luglio 2023

Da Paulus a Drews e da Renan a Couchoud

(segue da qui)


 PARTE PRIMA


L'IDENTIFICAZIONE DEL MAESTRO


CAPO PRIMO

IL PROBLEMA CRISTOLOGICO


I. — IL MISTERO DI GESÙ

§ 1) Da Paulus a Drews e da Renan a Couchoud. Infinite sono le biografie che noi possediamo sul fondatore del Cristianesimo; malgrado ciò peccheremmo di presunzione, se affermassimo di conoscere qualche cosa sulla vita e sulle gesta del personaggio. Troppo presto la leggenda si è impadronita dell'Uomo. E poiché le leggende — create sempre dagli entusiasti — spogliano i propri eroi dell'elemento umano, delineando figure trascendenti di Dèi o di Semidèi, era naturale che anche nel caso del Messia-Gesù si generasse lo stesso fenomeno. Nessuna meraviglia quindi se, dopo mille e ottocento anni dall'evento, allorquando — sopravvenuta col razionalismo la libertà di pensiero — la critica volle ricercare e distinguere, nel racconto evangelico, l'elemento storico originario dall'elemento fantastico sovrapposto, poco o nulla trovandovi di storico, concluse ripudiando il racconto evangelico quale fonte di Storia.

Precursore della Cristologia Critica deve ritenersi Heineccius (Johan Gottlieb Heinecke — 1681-1741), il quale per primo riconobbe che la cronologia tradizionale del Gesù era «falsa e suppositizia», e per primo intraprese un apposito studio, nel tentativo di rettificarla. Difatti in un opuscolo da lui dettato («De genuina nativitatis Christi aera» in Opusculorum variorum Sylloge, Venezia 1748, pp. 1-50), così egli scrive fra l'altro: «Le cause per le quali è rimasta a noi tanto oscura la vera data di nascita del Cristo sono molte». Heineccius però, malgrado un'acutezza d'ingegno non comune, e malgrado il suo senso giuridico, che suppliva in parte al mancato senso storico, non riuscì a risolvere il problema cronologico del Cristo. Tuttavia gli va riconosciuto il merito di averlo affrontato e delineato. Giacché i successori di lui, del tutto dimentichi che la cronologia è la spina dorsale della storia, e che pertanto nessuna ricostruzione storica può tentarsi, senza il previo accertamento della cronologia, non pensarono nemmeno di sfiorare il problema, finché conclusero, sui dati «falsi e suppositizi» della tradizione, negando la storicità del Gesù. Qui però, allo scopo di ragguagliare il lettore circa lo stato attuale della cristologia critica, sarà opportuna una breve sintesi.

Come è noto, padre del razionalismo è stato Emanuele Kant (1724-1804). E proprio sotto l'influsso di Kant, il teologo Paulus (Enrico Eberard Gottlob, 1761-1851) intraprese per primo in Germania la critica delle fonti evangeliche, pubblicando, nel 1800, la prima delle sue opere, «Commento ai Vangeli», che dovevano provocare scalpore (Evangelien Kommentare — Jena 1800-1801). A quest'opera altre ne seguirono negli anni successivi, fino a che, nel 1828, venne dal Paulus pubblicata l'opera maggiore: «La vita di Gesù» (Das Leben Jesu — V. Bibliografia in fine al volume).

Con tali sue opere, Paulus intendeva sceverare, nella tradizione evangelica, le notizie che la ragione poteva accettare, dalle notizie che la ragione doveva respingere. E ciò costituiva un'affermazione di principio importantissima, nel campo della libera ricerca. Giacché si osava finalmente discutere e criticare una materia, la quale, per la pretesa sua natura dogmatica, non era stata mai prima suscettibile di discussione, e tanto meno di critica.

Dopo Paulus — che impersona la «vecchia scuola» della critica teologica di Germania — sorse Ferdinando Christian Baur (1792-1860), fondatore della «Nuova scuola», meglio conosciuta quale «Scuola di Tubinga». Il Baur (e non esso i suoi continuatori), proseguì gli studi del Paulus. Ma nel frattempo il mondo del pensiero era passato sotto l'egida di Hegel (1790-1831). Per questo la Scuola di Tubinga, influenzata dallo storicismo di Hegel, imprese a svolgere i suoi studi di esegesi neotestamentaria, non più per sceverare nella tradizione il razionale dall'irrazionale; bensì per distinguere ciò che doveva considerarsi storico, da ciò che storico non poteva considerarsi. Gli apporti della Scuola di Tubinga furono pertanto più sensibili. Giacché con la separazione dell'elemento storico, che nella tradizione evangelica doveva accettarsi, dall'elemento fantastico, che dalla tradizione invece doveva scartarsi, si veniva raccogliendo un gruppo di fatti, storicamente autentici, sui quali sarebbe stata possibile in prosieguo una costruzione completa. E proprio un tentativo di costruzione completa doveva ritenersi l'opera di Davide Strauss: «La vita di Gesù svolta criticamente» (Tubinga 1835).

Successivamente l'epicentro degli studi cristologici passò dalla Germania alla Francia, con Ernesto Renan (1823-1892). Questi infatti nel 1860 pubblicò l'opera che tra tutte ebbe il più grande successo di pubblico: «La vita di Gesù». Con essa Renan adattava allo spirito latino le risultanze della critica tedesca (che in Strauss aveva mostrato aspetti duri ed angolosi), presentando un Gesù-uomo, che, se veniva spogliato della divinità, usufruiva tuttavia di attributi superumani, nella cui enunciazione la natura poetica di Renan aveva avuto la parte maggiore. Dopo Renan, gli studi cristologici si fecero in Francia ancora più fruttuosi, e, con Alfredo Loisy, il mondo ebbe finalmente una esegesi completa del Nuovo Testamento, apprendendo, a conclusione, che i Vangeli non potevano essere considerati fondi di storia. E fino a questo punto la critica cristologica aveva fatto opera costruttiva.

Infatti, per poter restaurare un edificio vecchio, quando le esigenze di tempi nuovi lo rivelino antiquato, occorre rimuovere anzitutto le sovrastrutture, che gente profana ad ogni arte muratoria vi abbia apportato intorno, mettendo a nudo, oltre ai vecchi pilastri, le fondamenta solide, allo scopo di riprendere poi su di quelle la costruzione. Nell'edificio cristiano, i lavori del Paulus, del Baur, del Loisy, erano stati lavori costruttivi, in quanto proprio demolendo le parti instabili, comincia l'architetto le costruzioni nuove. E fino a Loisy la critica aveva demolito le parti instabili del Nuovo Testamento, lasciando in piedi, per la riconosciutane storicità, le principali lettere di Paolo.

Senonché, non era possibile ammettere che l'intero edificio cristiano si fosse poggiato inizialmente soltanto sulle lettere di Paolo. Era intuitivo che anche la predicazione di un altro uomo — precisamente del Gesù — stava alla base della costruzione stessa, anche se di tale predicazione non si erano trovati documenti sicuramente storici. Peraltro, il contenuto delle lettere di Paolo, riconosciute storiche, doveva pure avere un fondamento nella storia; e poiché quelle lettere parlavano di un Gesù morto crocefisso, occorreva trovare nella storia, e non più nella tradizione, il personaggio della cui storicità quelle lettere costituivano prova. Giacché era ben vero che i Vangeli non potevano considerarsi fonti di storia; tuttavia soltanto dalla storia poteva essere scaturito il presupposto, che dai Vangeli era stato poi elaborato ed alterato.

Terminato il lavoro di abbattimento delle parti caduche, occorreva quindi ricostruire l'edificio, ricercando altrimenti le ulteriori basi della vecchia costruzione. Senonché proprio allora sorsero i critici negatori, i quali, illudendosi forse di acquistare merito maggiore continuando a demolire, giunsero a conseguenze talmente assurde, da ripugnare al senso critico ed al senso storico. Difatti, mentre ancora Loisy in Francia lavorava al completamento della sua opera esegetica, in Germania Arturo Drews, falsando, invece di integrare, l'opera degli studiosi di Tubinga, si riallacciava a Davide Strauss, pubblicando a Jena (1909-1911) «Die Christusmythe» (Il mito di Cristo). E poiché Strauss aveva ricostruito una vita umana del Gesù, sfrondata di tutti gli episodi soprannaturali (che aveva affermato costituire dei «miti»), Drews volle ampliare la teoria mitica di Strauss, applicandola al Cristo medesimo. Quest'ultimo pertanto veniva da lui presentato come privo di personalità storica, e quale mera personificazione di un «mito». Il Cristo, in altri termini, per Arturo Drews non era mai vissuto.

Appare intuitivo che a questo punto la critica cristologica, dopo aver esordito costruttivamente in grazia del razionalismo, usciva totalmente dal razionale, confondendosi col fantastico e coll'irreale. Per altro, le assurde argomentazioni di Drews rivelavano soltanto lo studioso unilaterale, privo non solo di senso storico e di senso critico; ma privo soprattutto di quella cultura panoramica, senza della quale non è possibile inoltrarsi in studi di tanta vastità. Ed era naturale che la pubblicazione di lui sollevasse le aspre censure degli studiosi più ferrati, principali tra cui Loisy in Francia e Harnack in Germania. Malgrado ciò, appena attutite le polemiche sollevate dalla pubblicazione di Drews, un altro critico negatore, L. P. Couchoud, pubblicava in Francia il «Mistero di Gesù».

Con quest'opera, Couchoud — argomentatore più sottile che non Drews — partendo dalle conclusioni di Loisy, sosteneva che, essendo la persona del Gesù comprovata soltanto dai Vangeli (perché nessuno degli storici dell'epoca ne aveva parlato), e non potendo i Vangeli considerarsi fonti di storia, doveva la persona del Gesù essere esclusa dalla storia. Pertanto le conclusioni di Couchoud erano identiche a quelle già enunciate da Drews. E poiché, contemporaneamente, un terzo critico negatore, Wilhelm Bousset, pubblicava in Germania «Kyrios Christòs» (Cristo Signore — Gottinga 1913), con cui argomentava che la religione cristiana era stata soltanto una creazione della mistica ellenistica, in base ad un preesistente culto di Cristo Signore, il disorientamento nel mondo degli studiosi si venne aggravando, quantunque molti intuissero che un cumulo di deviazioni aveva falsato le conclusioni degli ultimi critici. Ed era naturale che, quale reazione a tanto disorientamento, riprendessero a moltiplicarsi le opere di adulazione dell'idea tradizionale.

Giacché in concreto era semplicemente assurdo pensare che la persona tramandata ai posteri con gli attributi di Gesù e di Cristo non fosse mai vissuta: troppi, e troppo eloquenti, erano gli elementi superstiti che quella vita certificavano. E poiché non possiamo ammettere, nell'epoca dell'atomo e della radio-attività, che in tanto argomento il mondo continui a brancolare nel buio, reputiamo indispensabile uno studio rigidamente storico della questione, che liberi il mondo da ogni dannosa incertezza, e gli permetta di lavorare più tranquillo per un migliore domani.

Ed infatti, il problema cristologico è soprattutto problema storico. Nessuno storico però fino ad oggi aveva potuto affrontarlo. Giacché, necessitando la Storia di una completa libertà di ricerca, e non essendo questa consentita da una religione imperante, non si era neppur pensato di trasferire al campo della immanenza storica un'indagine, ch'era rimasta nella trascendenza teologica. Tutto questo, se spiega, non giustifica le conclusioni negative della critica più recente; ma solo impone allo studioso di tornare alle origini, per seguire — nel ricostruito ambiente dell'epoca — il lento formarsi del movimento cristiano, previa ricerca, nelle fonti profane, di un sicuro orientamento. Soprattutto nècessita sottrarre alla teologia un'indagine che appartiene alla storia, imponendosi inoltre una suprema obbiettività, allo scopo di non incorrere — come Drews, Couchoud, o Bousset — negli errori contrari a quelli nei quali erano incorsi i cristologi adulatori.

Giunto però a questo punto, lo storico deve rilevare che il problema della materialità, e quindi della storicità del Salvatore Cristiano, non era nato con Drews, con Couchoud o con Bousset; ma era stato creato, nei primi secoli del Cristianesimo, dagli stessi apologeti cristiani. Ed appunto all'apologetica cristiana occorrerà risalire, per rintracciare le prime alterazioni degli episodi, riguardanti la persona storica del Gesù, invece che negare addirittura questa persona. Giacché i primi apologeti cristiani, volendo sfuggire al contradditorio, sollecitato dai dotti gentili, relativamente alla vita umana del «Maestro», ed essendo stati essi ormai conquistati dal fenomeno del «divismo», avevano finito a poco a poco con l'escludere, dalla figura di quello, la natura immanente di uomo, per insistere soltanto sulla trascendente natura divina (monofisismo). Né avrebbe vinto in Roma la sua battaglia la «dottrina della salvezza» predicata da Paolo, se nei primi secoli non avesse negato la natura umana del Gesù (per opporre, al Salvatore terreno, adulato dai cesariani nella persona dell'Imperatore, un Salvatore celeste), e se, contemporaneamente, il misticismo ed il neo-platonismo ellenici non le avessero spianato il terreno. Perché se Plutarco di Cheronea (a. 28-125) sentenziava «non esservi modo per le anime degli uomini, immerse nei corpi e nelle passioni, di partecipare al divino»; se Plotino (205-270) ammetteva di dovere «arrossire perché possedeva un corpo»; era naturale che, contro la religione asservitrice degli Augusti, la quale all'uomo di pensiero non poteva non ripugnare, più facilmente potesse affermarsi in Roma una religio, il cui fondatore potesse «non arrossire» per aver posseduto un corpo. 


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