Il Dio di Coincidenza
Può qualcuno negare che
Una cosa dopo l'altra
In sequenza e logica
Mai vista prima
Non può essere che la
Interferenza di un Dio
Determinata a provare che
Ognuno che pretende
Di conoscere ora
Una cospirazione è
Demente?
(Kent Murphy)
Ciò che propongo ora non è un libro scritto da un miticista. Eppure si tratta di un libro che permette di ispirarsi alla sua immaginazione per leggere altrimenti la sua analisi. Il suo autore, Mario Turone, si dette un bel daffare per leggere fantomatiche “verità storiche” sulle origini del cristianesimo in alcune righe di Flavio Giuseppe. Ciò potrebbe aprirci paradossalmente orizzonti interessanti sulla confusione, fatta per ironia della sorte dallo stesso Turone, oltre che dalle autorità romane (si legga di seguito), tra i movimenti dovuti a figure storiche (ebrei messianisti, chiamati “chrestiani” o “christiani”, vale a dire messianici) e i movimenti dovuti a ciò che definirei la fede ottusa nella realtà delle figure immaginarie dei testi midrashici che sono i nostri Vangeli.
La gente, non solo i folli apologeti cattolici, crede di solito che le vittime di Nerone, o i giudei espulsi dall'imperatore Claudio “su istigazione di Cresto” siano tout court gli stessi cristiani, ossia gli adoratori di Gesù Cristo. Ebbene: si sbaglia di grosso. Come dice il prof Etienne Nodet:
“La difficoltà si risolve facilmente considerando l'origine del termine christiani, che non deve nulla a Gesù: coniato dai Romani, questo termine designava inizialmente gli ebrei messianici che fomentarono disordini in nome della venuta imminente del Christos, vale a dire del Messia. È ad Antiochia che i discepoli, trascinati in varie vicissitudini con Barnaba e soprattutto Paolo, hanno ricevuto quella qualifica, che dovette restare a lungo criminale”.
(Etienne Nodet, Baptême et résurrection. Le témoignage de Josèphe, pag. 236, mia enfasi)
Plinio il Giovane fu uno dei primi ad accorgersi dell'equivoco: i Christiani da lui interrogati in Bitinia non erano affatto i pericolosi Chrestiani. Perciò Plinio il Giovane si apprestò ad informare lo stesso imperatore Traiano della loro innocuità, il che ci rivela che perfino l'imperatore in persona era stato tratto in inganno, fino a solo un attimo prima della lettura del rapporto di Plinio, da questa incomprensione, che gli adoratori di Cristo “come un dio” fossero nient'altro che gli stessi Chrestiani che erano stati espulsi da Claudio per i disordini da loro provocati e, non stroncati, avessero perfino incendiato Roma sotto Nerone.
Quell'incomprensione fu così diffusa che indusse, e induce ancora oggi (ovviamente sappiamo benissimo chi: i folli apologeti cattolici) a credere che gli espulsi di Claudio e/o le vittime di Nerone fossero i primi martiri di Gesù Cristo. L'idea di una tale identificazione è tanto bislacca quanto degna di uscire da dementi apologeti privi di cervello, se non fosse che un tale grossolano errore fu commesso, insisto, dalle stesse autorità romane, come testimonia il brano di Tacito (se autentico) dove lo storico latino mostrò di confondere i cristiani suoi contemporanei con i famigerati Chrestiani, i famosi terroristi messianici sotto Claudio e Nerone.
In questa linea di argomentazione la “Quarta Filosofia”, il messianismo militante davidico, l'attività del movimento di liberazione ebraico del I° secolo nelle sue varie forme, e altri nomi con cui tale attività divenne nota, sarebbe stato visto erroneamente, dal “mondo civilizzato” di allora, come testimonia il Testimonium Taciteum (se genuino), come il naturale e ovvio precursore di chi fosse stato colto di recente ad adorare “Christo quasi deo”, “il Cristo come un dio”.
Turone, dicevo, è stato una delle “vittime” moderne di questa incomprensione originaria da parte romana, al pari di Tacito o di Plinio (prima che quest'ultimo si rendesse conto della differenza, ossia prima che interrogasse i Christiani arrestati in Bitinia) prima di lui. Ovviamente egli non è né il primo né sarà l'ultimo a cadere in questo malinteso, eppure gli va riconosciuto l'indubbio merito di portare il medesimo fraintendimento fino alle sue estreme logiche conseguenze: se i cristiani sono da lui confusi con i “Quarto-Filosofi”, ovvero con il messianismo militante anti-romano, allora va da sé che anche il fondatore dei cristiani dovrà essere — e sarà — confuso da lui con colui che Flavio Giuseppe definì il fondatore della “Quarta Filosofia”: Giuda il Galileo.
Perché questo errore di Turone è importante?
Ricorda che cosa ho detto qualche riga prima: gli stessi cristiani ortodossi finirono per credere, ad esempio, che Pietro e Paolo figurassero tra le vittime di Nerone a Roma. Ci sono studiosi che credono sinceramente che la testimonianza di Svetonio o di Tacito provi la realtà storica di persecuzioni anti-cristiane nel I° secolo E.C.
L'equivoco, dunque, si estese fino a confondere gli stessi cristiani, gli stessi adoratori di Gesù Cristo “come un dio”.
In altre parole, gli stessi cristiani del secondo e terzo secolo finirono per “constatare” (e in un contesto esplicitamente conquistato dall'ellenismo) la credenza nel carattere storico di ciò che era “annunziato e come tale realizzato” nei Vangeli: se esistettero “per davvero” cristiani espulsi sotto Claudio o perseguitati sotto Nerone, allora “davvero” ci furono i primi martiri cristiani, “davvero” esistette Gesù Cristo che camminò sulle strade polverose di Giudea al tempo di Pilato. Il mito, insomma, stava prendendo piede. E ci riuscì perfettamente.
Ma c'è di più: che cosa se l'equivoco in cui cadde Tacito ingannò lo stesso autore del Più Antico Vangelo, o quantomeno chi per primo postulò che Gesù soffrì “sotto Pilato” ?
Tacito ha ricavato quella notizia da qualche interrogatorio, mal compreso, dei cristiani, i quali gli avrebbero parlato di un certo Chrestos crocifisso dagli “Arconti di questo Età”, e che il magistrato romano avrebbe identificato mentalmente a qualche agitatore giudeo sconosciuto, che Pilato, sotto Tiberio, avrebbe inviato al patibolo.
Nelle parole di Couchoud:
“Dalla loro confessione di fede Tacito ha trattenuto e interpretato alla sua maniera solo la crocifissione di Chrestus.
Ponzio Pilato era il procuratore che aveva governato la Giudea per dieci anni, al tempo del profeta Giovanni il Battista. Si poteva leggere nelle Antichità di Giuseppe che egli era stato durissimo. Aveva crocifisso molti giudei. Egli fu reso responsabile dai magistrati romani del supplizio di Chrestus”.
(Paul-Louis Couchoud, Jésus: le Dieu fait homme, pag. 161, mia enfasi)
Tacito, insomma, ripeté chiaramente un'opinione diffusa nell'ambiente che fu il suo, quello degli alti funzionari dell'impero. E quell'opinione egli la comunicò al pubblico più vasto che lesse la sua opera storica. Egli si espresse in maniera tale da poter riportare quell'opinione fino al tempo dello stesso Nerone. Da cui fu lecito dedurre che quell'opinione era risultata dal processo stesso dei cristiani. Un'opinione, quella di Tacito, che era tipica di gente che non ebbe approfondito le loro investigazioni al di là del caso che fu loro presentato, ma che aveva spinto l'autore del Più Antico Vangelo, messo in presenza dell'errore commesso da Tacito, a riprenderla e a farla propria, menzionando per l'appunto Pilato come il nome dell'ἡγεμών che avrebbe ordinato, in questa storia di fantasia, la crocifissione di Gesù.
La cerchia ristretta di iniziati che fabbricarono il Più Antico Vangelo aveva creduto e credette ancora al Gesù crocifisso “nell'aria” dagli Arconti malvagi. Eppure si dissero: Ecco cosa faremo. C'è solo da introdurre a tavolino l'errore di Tacito, ossia quella concezione della morte di Cristo per ordine di Pilato, e tutti vi crederanno ben più facilmente che a quell'avventura celeste di una crocifissione senza data.
Il Più Antico Vangelo fu uno scritto presentato direttamente dai loro autori come l'espressione autentica della rivelazione portata al mondo da Gesù. E gli autori ebbero piena coscienza di essere i primi a presentarla in quella maniera, perché tutti i credenti fino a quel giorno l'avevano concepita diversamente, e loro stessi la concepirono al pari di questi altri, alla vecchia maniera, quando non conoscevano ancora il malinteso di Tacito. E senz'altra raccomandazione oltre la propria, credettero di poter presentare questo Più Antico Vangelo a tutte le comunità, le quali non avevano conosciuto nulla di simile, perché nessuno conosceva il Gesù storico.
Gli autori del Più Antico Vangelo cercarono di scrivere una narrativa terrena circa una divinità celeste. Parte del modo in cui costruirono questa narrativa consistette nell'attingere da figure storiche reali che pretendevano di essere o di emulare il messia Giosuè. Questo fa un sacco di senso, visto che spiega perché le predizioni apocalittiche non furono rimosse dalla narrativa, nonostante fossero state smentite dagli eventi: quelle predizioni dovettero invero la loro origine ad una o più figure storiche, ma quelle figure non recitarono affatto un ruolo all'origine del cristianesimo, ma al più solo un ruolo determinante per un numero limitato di episodi evangelici. Il cristianesimo si originò con un concetto di un Gesù soprannaturale e quel concetto fu più tardi mischiato con vaghe memorie di persone ed eventi reali.
Se non l'opera di Tacito (o il suo errore sopra ipotizzato), gli autori del Più Antico Vangelo conoscevano però le opere di Flavio Giuseppe. Essi presero uno o più personaggi da lì e ne fecero quel che vollero, ciò di cui ebbero bisogno.
Nessuno di loro fu emotivamente legato al Gesù storico, e non ci fu una catena di tradizioni in cui qualcuno fece la purificazione “politicamente corretta” di Giuda il Galileo, con buona pace di Turone. Gli autori del Più Antico Vangelo erano legati piuttosto alla loro creazione letteraria.
Esistette un ribelle giudeo che nessuno conobbe e che Flavio Giuseppe aveva descritto. E sulla base di quella descrizione, di quel singolo brano, fu creata la storia di Gesù di Nazaret sotto forma di Vangelo. Una ricostruzione del Testimonium Flavianum lo conferma. Il ribelle giudeo menzionato in questa ricostruzione non è lo stesso crocifisso di cui parla il Più Antico Vangelo. È solo il suo modello, uno dei tanti.
“E ci fu circa questo tempo un certo uomo, un sofista e agitatore. Fu infatti un ingannatore e un impostore. Fu un maestro di uomini che lo riverirono con piacere. Molti Giudei e anche molti Galilei egli portò a sé in un tumulto. Fu creduto un Re. Molti si levarono, pensando così che la tribù si sarebbe liberata dei Romani. E quando, su accusa dei primi tra noi, Pilato lo condannò a essere crocifisso, molti dei suoi seguaci, Galilei e Giudei, furono uccisi e così controllati per il momento. Il movimento ricominciò di nuovo con grande seguito quando si credette che fosse apparso loro vivo. Quelli che lo seguirono all'inizio non smisero di riverirlo, il loro capo nella sedizione. E questo gruppo non è finora scomparso”.
Questa proposta dell'ipotetico Testimonio Flaviano originale è in linea con il mio concetto. Parte di questo lo si vede nei Vangeli. Così come Gesù ben Anania e altre figure. Chi è Gesù detto Cristo? Nessuno di loro. Tutti loro. Filosofo cinico, profeta apocalittico, sedizioso antiromano... questo è un materiale di partenza per il Più Antico Vangelo. Uno dei tanti.
Giuseppe Ferri
MARIO TURONE
GESÙ E PAOLO
IDENTIFICATI NELLA STORIA PROFANA
PREFAZIONE
«... rimossa ogni menzogna,
«Tutta tua vision fa manifesta;
«E lascia pur grattar dov'è la rogna.
«Chè, se la voce tua sarà molesta
«Nel primo gusto, vital nutrimento
«Lascerà poi, quando sarà digesta» ...
(DANTE, Par., XVII, 127-132)
1. — Gli studi cristologici non può dirsi che in Italia abbiano avuto fortuna. Per contro, tanto in Germania quanto in Francia, la critica cristologica si è spinta molto avanti. Ed ultimo in Francia — dopo Renan, Loisy, o Couchoud — fu Charles Guignebert, il quale insegnando alla Sorbona Storia del Cristianesimo, prescrisse ed attuò un «principio», che dovrà essere tenuto presente da chiunque aspiri a conoscere la verità, sulle origini religiose in genere, e sulle origini cristiane in ispecie.
Giacchè Charles Guignebert, colle sue tre opere: «Le monde juif vers le temps de Jésus», «Jésus», e «Le Christ» (Collana «L'évolution de l'humanité») non solo apportò un contributo fattivo al perfezionamento degli studi cristologici; ma, quel che più conta, attuò un postulato, che egli stesso così aveva enunciato: «La storia cristiana è una stoia come tutte le altre; ed i fatti che la costituiscono sono fatti, che, come tutti gli altri, noi possiamo conoscere a mezzo di testi, accessibili sempre alla ricerca critica, affrancata da ogni vincolo confessionale, e nella serenità assoluta dell'indifferenza scientifica» (cfr. «Le Christ», Avant-propos).
Sostanzialmente è il principio del libero esame — essenziale alla ricerca della verità — che Guignebert ha ribadito, estendendone l'applicazione alla storia cristiana. Ma proprio in questa estensione consiste il suo merito maggiore. Giacché prima di lui nessuno aveva insegnato ufficialmente «che i fatti originanti il Cristianesimo fossero come tutti gli altri fatti». Tanto meno si era osato ammettere il «corollario», derivante da tale «principio», e cioè che anche gli uomini, i quali avevano dato vita a quei fatti — non escluso l'Uomo che al movimento aveva dato il nome — fossero eguali a tutti gli altri uomini...
Eppure, anche in Occidente l'Umanità ebbe a vivere fatti analoghi, subendo uomini analoghi. Giacché — a parte i molti «Comandanti», «Duci» o «Messia», i quali ebbero ad attuare anche in Occidente il culto della persona umana — sta di fatto che nella nuovissima «opinione» marxista, ad esempio, per troppi anni un uomo della Georgia fu temuto quale «vecchio e intollerante dio». Solo dopo la sua morte, e solo per breve tempo, si osò riconoscere in lui il despota, che aveva fatto morire tra i tormenti migliaia di uomini. Del resto, non conoscono forse gli studiosi di storia delle religioni che per minime deviazioni dai canoni, tutte le opinioni messianiche hanno fatto bruciare vivi sulle piazze, o sopprimere nascostamente, milioni di esseri umani?
L'intolleranza ed il settarismo hanno caratterizzato sempre le opinioni messianiche, le quali, anche nate a carattere politico, finiscono, se vittoriose, col trasformarsi in «religioni», o coll'assumerne il dogmatismo. E proprio tale intolleranza e tale dogmatismo hanno impedito ed impediscono la libera indagine, nello studio del fenomeno relativo. Dobbiamo essere grati pertanto al Guignebert, per avere osato affermare ufficialmente, in materia, un «principio» laico, che non avevano osato proclamare apertamente, pur avendolo attuato, Renan e Loisy.
2. — Ma come mai le opinioni messianiche, mentre invocano la tolleranza per sé quando siano minoranze, diventano poi intolleranti, appena divenute maggioranze ? Se lo studio comparato delle religioni fosse nel mondo coltivato di più e con maggior libertà, gli aspetti più ingrati nella vita dei popoli troverebbero spiegazione, e l'umanità avrebbe modo di distinguere meglio la sostanza dalla parvenza: la conoscenza cioè (episteme) dalla opinione (doxa). Ma sono pochi coloro i quali sanno estraniarsi dal «complesso di infallibilità» della propria forma mentale, e meno ancora sono quelli che osano affrontare, «nella serenità assoluta dell'indifferenza scientifica», i più alti problemi dello spirito. Tuttavia anche quei pochi apporterebbero luce sufficiente, se — dopo avere a lungo meditato ed accertato — non si trovassero di fronte a resistenze tenaci in sede di attuazione.
Giacché qualsiasi banale fiaba, disegno o commento che suoni adulazione incondizionata all'opinione dominante trova appoggi, approvazioni e protezioni, dando gloria e danari a chi la propaghi. Una verità invece, che costi fatiche e sacrifici, ma suoni discordanza dall'opinione dominante, non trova una via, non trova un mezzo per affermarsi, ed invano, molto spesso, il suo enunciatore sacrifica vita e benessere, nel tentativo di comunicarla alle genti. Per questo, apprestandoci noi, dopo anni di tentativi, alla pubblicazione di quest'opera, abbiamo creduto necessario ricordare il principio, coraggiosamente enunciato da Guignebert.
3. — Senonché Charles Guignebert enunciò un principio teorico, del che gli va reso onore. Nella sua esposizione pratica, e cioè nella ricostruzione storica del suo «Gesù», egli non ci diede lumi maggiori, di quanti non ce ne avessero dato i cristologi che l'avevano preceduto. Perché nessun vantaggio possono ormai apportare gli ulteriori approfondimenti degli studi cristologici, se tali approfondimenti non conducano alla identificazione piena, nelle fonti profane, del personaggio eponimo del Cristianesimo; in quanto solo così il «mistero» potrà dirsi finalmente risolto. Ma proprio a questa identificazione noi siamo pervenuti, seguendo il principio del libero esame. Abbiamo completato, infatti, dopo una vita spesa in ricerche, il lavoro iniziato da Paulus in Germania, e condotto avanti in Francia da Renan, da Loisy e dallo stesso Guignebert.
Dobbiamo però ricordare che quando, inizialmente, noi identificammo nella storia profana il «Messia» evangelico, scoprimmo che un'impronta esclusivamente laica, e prettamente anti-sacerdotale, aveva caratterizzato il movimento originario. Ciò non poteva non disorientarci. Giacché il Cristianesimo, fin dall'origine, era stato conosciuto come un movimento esclusivamente religioso. Ulteriori studi pertanto, ed ulteriori ricerche erano necessarie, per mettere in chiaro il processo trasformativo, attraverso il quale il movimento, originariamente spregiatore della ricchezza, e caratterizzato da un «amore ardentissimo di libertà» (come precisano i testi), aveva dato poi luogo, nei primi secoli di ulteriore propaganda, ad una piramide sacerdotale immensa, accaparratrice di tutte le ricchezze e negatrice di tutte le libertà.
Anche questi studi noi abbiamo voluto portare a compimento, ricercando più profondamente nelle fonti, e utilizzando il lavoro dei molti critici che ci avevano preceduto. Abbiamo potuto così aggiungere — alla prima parte dell'opera, trattante «L'identificazione del Maestro», e riflettente la fase originale del movimento messianico di Giudea — una seconda parte, avente per argomento «Identificazione dei discepoli e formazione della dottrina», e riflettente la derivata fase greco-romana, trasformatrice del movimento stesso.
Appunto durante questa seconda fase, il Messianismo di Giudea, trasferito con una parte dei suoi aderenti giudei nell'Oriente greco, venne quivi ad assumere lentamente forme greche e denominazione greca, chiamandosi pertanto Cristianesimo, e trasformando in religioso e sacerdotale il suo carattere, originariamente laico. E poiché in questa fase trasformativa la predicazione di Paolo ebbe parte preminente, abbiamo creduto di sintetizzare meglio il contenuto di tutta l'opera dandole per titolo: «Gesù e Paolo identificati nella storia profana».
4. — Come mai abbiamo potuto identificare nella storia profana il personaggio eponimo del Cristianesimo? Come mai abbiamo potuto dare un NOME al «Messia» per antonomasia (Cristo), distinguendolo dai tanti Messia d'Israele? La leggenda del Cristo è analoga a tutte le leggende messianiche d'Israele, così come è analoga alle altre leggende religiose dell'Oriente lontano, principale tra cui la leggenda del Buddha. Da Mosè, primo Messia d'Israele, a Bar-Kokhebhah, ultimo Messia, non ci fu epoca, in Israele, nella quale uno o più Messia non si fossero proclamati tali. Ciò stante, come mai abbiamo potuto noi identificare il Messia della leggenda evangelica in un personaggio determinato, conosciuto alla storia? Allo stesso modo nel lontano Oriente, essendo stati pressoché innumeri i Monaci Vaganti, che in ogni tempo affermarono di aver conseguito l'illuminazione, come sarebbe possibile identificare in un personaggio singolo l'Illuminato per antonomasia, e cioè il Buddha?
Va notato però che l'India non possedeva una storia profana all'epoca del Buddha. Nell'India teocratica il tempo trascorreva monotono come l'eternità; ed allo stesso modo che un secolo era simile al secolo successivo, anche un Buddha era simile al Buddha che lo seguiva. Non sarà possibile quindi allo storico limitare nel tempo e nello spazio la vita di Gotamo-buddha, come non sarà possibile distinguere, nella vastissima leggenda del Buddha, gli episodi che possono riferirsi all'uno, degli episodi che debbono riferirsi all'altro dei tanti «illuminati». Non sarà quindi neppure possibile accertare storicamente la verità, che sta alle origini del fenomeno buddhista.
In Israele, invece, all'epoca del «Messia» eponimo, il tempo non era più indeterminato. Giacché da quando l'ellenismo prima, ed il romanesimo poi, avevano vivificato quell'angolo d'Oriente, anche le vicende umane avevano assunto colà un volto ed una precisazione storica, uscendo dalla monotonia teocratica. Soprattutto c'era stato in Israele uno storico, Giuseppe Flavio, che si era educato alla scuola dei grandi elleni, e che aveva esposto con minuta ampiezza gli avvenimenti del periodo nel quale il Messia eponimo era vissuto. E grazie principalmente a Giuseppe Flavio è stato possibile all'autore — dopo raffronti, eliminazioni, sintesi ed analisi — accertare storicamente la verità, che sta alle origini del fenomeno cristiano, rettificando nel contempo ed eliminando, al lume della storia profana, le alterazioni e sovrapposizioni della leggenda religiosa.
5. — Qualche chiarimento vogliamo adesso fornire al lettore, relativamente alle fonti, dalle quali abbiamo ricavato il nostro lavoro, ed alla bibliografia della quale ci siamo serviti. E diciamo anzitutto che le fonti principali vanno ricercate negli storici antichi (in tutti gli storici antichi), e nei testi superstiti di tutte le religioni. Soprattutto Giuseppe Flavio fra gli scrittori acristiani, ed Eusebio di Cesarea tra gli scrittori apologetici, ci hanno fornito il materiale più idoneo, oltre ai testi biblici. Ma poiché quest'opera è frutto anche di analisi e di sintesi, di induzioni e di deduzioni, seguite a studi e ricerche nelle fonti più disparate, noi abbiamo presentato, in fine al volume, un elenco di opere, che — insieme colle altre, citate nel testo o nelle note — potranno essere consultate dallo studioso, per meglio approfondire i singoli argomenti.
Al proposito avvertiamo che la nostra bibliografia non comprende tutte le opere esistenti sull'argomento «Origini del Cristianesimo»; ma comprende solo un gruppo di opere, che più davvicino riguardano il carattere specifico del nostro lavoro. Chi volesse invece avere una bibliografia completa, non avrà che da prendere i primi sei volumi della sezione «Origines du Christianisme et Moyen Age», contenuti nella collana «L'évolution de l'humanité» (ed. Albin Michel, Parigi), tra cui sono i tre del Guignebert più sopra citati. Ciascuno di tali sei volumi possiede una bibliografia ricchissima, tale da appagare qualsiasi esigenza. Ed anche per questo abbiamo ritenuto superfluo ritenere nel nostro testo quel che già esisteva altrove. Per contro, avendo noi seguito un metodo del tutto diverso dagli scrittori che ci hanno preceduto, ben sarebbe stata necessaria una bibliografia specifica. Ed appunto a queste esigenze abbiamo cercato di rispondere colla nostra bibliografia, anche se una buona parte delle opere elencate da noi sono contenute nelle bibliografie dei sei volumi sopra citati.
Per quanto poi si riferisce ai richiami ed alle citazioni contenute nel nostro testo, avvertiamo che di regola i riferimenti a Giuseppe Flavio li abbiamo fatti, richiamando la traduzione italiana dell'Angiolini, ed il testo della «Collana antichi storici greci volgarizzati». Dove invece abbiamo voluto richiamare il testo greco, o la traduzione latina, abbiamo tenuto presente l'edizione di Parigi, Firmin Didot 1929. Per quanto poi si attiene al testo biblico, normalmente abbiamo tenuto presente la versione di Diodati, perché molto divulgata anche tra i cattolici; quando invece abbiamo voluto richiamare la versione cattolica, lo abbiamo espressamente detto, citando l'edizione di Firenze 1942, curata dal Ricciotti. Ed anche qua, quando abbiamo dovuto citare il testo greco o latino abbiamo tenuto presente l'edizione di Parigi (Firmin Didot 1878) per quanto al Vecchio Testamento, e le edizioni di Torino (S.E.I.) per quanto al Nuovo Testamento.
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