venerdì 12 marzo 2021

LA RESISTENZA ALLA TESI MITICAL'Argomento A Priori

 (segue da qui)

III. — L'ARGOMENTO A PRIORI

§ 1. Sua Moda e sua Nullità

Siamo lasciati così con il familiare argomento a priori, quando tutte le forme di ragionamento a posteriori per la difesa sono state trovate invalide. E l'argomento a priori, prima facie, in realtà è più plausibile dell'argomento manifestamente a posteriori del dottor Burkitt: «Maggiore è la finzione, più certa è la grandezza della Personalità così abbellita». L'apriorista comune non si inventa un paralogismo così esplicito. Lui sostiene semplicemente che un movimento così straordinario, un insegnamento così straordinario, deve iniziare da una Personalità unicamente potente; e che l'espansione di favole e di finzioni avviene nel modo consueto della ierografia antica. 

Inoltre, il presupposto non è limitato ai cristiani o ai teisti. È stato avanzato con veemenza da Sir J. G. Frazer, venti anni fa, con riferimento generale ad una discussione allora agli inizi. Dato che egli non ha replicato alla confutazione critica fatta allora,  e ha fornito più di recente una prefazione non antitetica alla traduzione inglese di Le Mystère de Jésus di Couchoud, che sostiene la tesi mitica, si potrebbe supporre che l'illustre antropologo ha riconosciuto che il suo disprezzo e il suo ragionamento sono stati parimenti frettolosi, e che i suoi stessi canoni mitologici erano contro di lui. Ancora, altri agnostici possono sostenere e sostengono la posizione generale che «ci deve essere stato» un Gesù storico, corrispondente in gran parte alla figura evangelica. Ma come possono sostenere la tesi?

È abbastanza ovvio che la posizione è dettata da una rivolta spontanea contro l'idea che un grande «fatto storico» come la Chiesa cristiana e il suo credo, con la cronologia dell'«era cristiana», possano essere sorti per una pura finzione e illusione. Quella conclusione sembra anche umiliante per lo spirito umano, troppo affetto dal senso istintivo di «realtà», per permettere la sua accettazione. Ma che cosa della novità storica implicata in un tale teorema? La datazione della Nascita di Cristo fa il paio con la datazione dell'inizio del mondo, e con la datazione altrettanto speculativa della fondazione di Roma. E non è tutto. Fino all'altro giorno, essa era il terreno comune di tutti i cristiani su cui si fondava la loro fede nel «fatto della Resurrezione».  Certamente lo è stato, per quasi ottocento anni. E quanti uomini istruiti credono ora nella Resurrezione?

Nell'abbandonarla, gli «storicisti» confessano che una vasta illusione può produrre un grande processo storico, una serie colossale di istituzioni. Per il resto, è solo l'eredità dell'arroganza cristiana che induce gli uomini a insistere che l'illusione non può essere stata la fonte principale della religione della loro civiltà quando danno per scontato, senza neppure restare a discutere il problema, che l'illusione era la fonte principale delle religioni millenarie dell'oriente, dell'Egitto, della Grecia e della Roma pagane, e del vasto marasma degli animismi dei selvaggi.

Nel diciottesimo secolo l'argomentazione che è ora invocata per stabilire la storicità di Gesù è stata avanzata con altrettanta sicurezza per stabilire la verità soprannaturale dell'intero schema della teologia cristiana che gli stessi storicisti hanno abbandonato. È stata avanzata così dal vecchio Young, con il pio assenso di Cowper:

«La caduta dell'uomo, la redenzione dell'uomo e la resurrezione dell'uomo, i tre articoli cardinali della nostra religione, sono tali che l'ingegno umano non avrebbe mai potuto inventarli, perciò devono essere divini». [1]

Un'epoca che ha accumulato una tradizione di antropologia sconosciuta a Young e a Cowper può rendersi conto che una tale argomentazione non equivale esattamente a nulla. Il suo uso successivo, allora, è più efficace?

La risposta generale a Sir J. G. Frazer è stata che la presunta necessità di una «potente Personalità» non convalida minimamente la particolare ipotesi fatta, visto che un certo numero di personalità potenti potrebbero essere state coinvolte nella creazione dei vangeli, proprio come profeti potenti proclamarono la realtà di Jahvè e consegnarono i suoi messaggi. Su questo punto, invero, abbiamo da un accesso oppositore della tesi mitica una dichiarazione che costituisce una profonda breccia nella tesi della Personalità, come avanzata di solito. È il defunto dottor Estlin Carpenter che scrive: [2] «Coloro che auspicano che la Chiesa deve tornare 'indietro a Gesù' non devono mai dimenticare che se non fosse per Paolo non ci sarebbe stata affatto (umanamente parlando) nessuna Chiesa».

Vale a dire, la Grande Personalità (acclamata come tale dal dottor Carpenter) non avrebbe potuto raggiungere, senza l'opera di Paolo, l'influenza storica che è in realtà il terreno principale su cui l'apriorista medio tiene per certa l'esistenza della suddetta Personalità. La collisione delle due difese è sicuramente fatale ad una delle due. A quale?

Un teologo forse più grande del dottor Carpenter, il rinomato F. C. Baur, avanzò in un'altra forma una tesi equivalente con le sue parole: «Quanto presto tutto ciò che di vero e di importante insegnato dal cristianesimo sarebbe stato relegato nella categoria dei detti a lungo sbiaditi dei nobili filantropi e dei saggi pensatori dell'antichità, se i suoi insegnamenti non fossero diventati parole di vita eterna nella bocca del suo Fondatore! In altre parole, i dogmi della Figliolanza Divina, del Sacrificio Divino, della Salvezza Eterna per Fede, sono le vere fondamenta e i fattori effettivi nel mantenimento della Chiesa: non l'inferita Personalità umana. Una Personalità, per quanto grande, non sarebbe bastata senza l'apparato del dogma. Se questo è vero, l'argomento «deve»  è già fatto a pezzi, se non svuotato.

Inverti la logica del ragionamento, e arriviamo di nuovo alle posizioni già indicate in merito alla indiscussa vitalità dei culti alla storicità dei cui «fondatori» nessuno ora ci crede. Se milioni di uomini potevano adorare durante migliaia di anni un Osiride, un Krishna, un Adone, in virtù di abitudine e di efficienti organizzazioni sacerdotali, quanta maggior ragione vi è per ricavare grandi personalità principali dietro quei nomi rispetto ai casi di Bel e di Brahma, di Jahvè e di Zeus?

Non c'è bisogno di un Fondatore per stabilire un'intensa convinzione della Divinità. Al tempo di Platone, se possiamo basarsi sul dialogo nelle 'Leggi', alcuni uomini erano capaci di un feroce risentimento per la negazione della divinità del Sole. La sua descrizione da parte di Anassagora come una grande massa incandescente più grande del Peloponneso destò in loro uno spirito di rappresaglia omicida. [3] Supporre che solo una vera personalità possa provocare la devozione di innumerevoli migliaia per intere epoche equivale ad annunciare una sostanziale ignoranza del contenuto della ierologia.


§ 2. Sua Analisi

L'argomentazione apriorista, come abbiamo visto, è già smentita dalla maggior parte di coloro che la usano per le dichiarazioni fatte dai loro alleati. Ognuno, al di fuori del recinto della cieca fede al cui interno gli uomini credono nell'Ascensione, riconosce il mito da qualche parte nei documenti. Gli studiosi che da soli si sono rovellati con quelle pagine hanno rinunciato alla Nascita Verginale, alla Resurrezione, ai miracoli, alla missione dei Settanta, al  processo davanti a Erode, a molti dei logia, e alla storicità del Quarto Vangelo in generale. Cheyne ha rinunciato al Tradimento di Giuda; e ha confessato privatamente di aver «temuto che la Crocifissione avrebbe dovuto essere abbandonata». [4] Loisy rinuncia al Processo Notturno, e confessa che se il processo di fronte a Pilato può essere efficacemente messo in discussione non vi è lasciata più alcuna base per un Gesù storico. E quanti studiosi seri possono convincersi che il processo di Pilato, come descritto, potesse davvero aver avuto luogo? E se tutto o la maggior parte di quelle cose siano mito, cosa è lasciato? 

Loisy, irritato dalle pressioni della tesi mitica, protesta che noi non possiamo spiegare l'«incendio», per così dire, del movimento cristista, senza un «fiammifero»; e dove, chiede, è il fiammifero, se non nella Personalità? Dov'era allora il «fiammifero» per il Mitraismo? O per lo Jahvismo? O per l'Osirismo? O per il culto di Dioniso? L'esperto studioso sembra aver riflettuto poco sulla ierologia in generale — un fatto in linea con la qualità intuizionista del suo metodo. La vera radice prossima del culto di Gesù, il sacramento segreto che si sviluppa nel dramma misterico, è la «lampada sempre accesa» nel caso del  movimento cristiano, proprio come i riti erano i fattori vitali negli altri casi.  Chiama la lampada un «fiammifero» e la sfida è raccolta. Si noti che un numero di altri movimenti possono essere visti fondersi con il movimento Cristista, [5] e i «fiammiferi» sono moltiplicati. 

Ma Loisy non è da solo, lui è con l'esercito principale di teologi, nel suo fallimento di vedere giustamente i lati economici e socio-politici delle religioni in generale. Non per dirlo profanamente, essi non hanno nessuna sociologia, anche se a volte sociologizzano sopra un dettaglio. Sarebbe difficile nominarne uno che abbia constatato quei tre fatti salienti:

1. Il giudaismo fu preservato dopo la caduta politica degli ebrei da un'organizzazione popolare internazionale, dai fattori cooperanti del sacerdozio del tempio, della sinagoga organizzata secondo il rituale, e dei Testi Sacri.

2. Il cristianesimo si modellò in origine, relativamente all'organizzazione, sulla sinagoga, aggiungendo anche il fattore dei Testi Sacri, e sviluppando un'organizzazione sulle linee della struttura imperiale, infine impiegando la conquista alla maniera dell'Islam quando si era identificato con lo Stato.

3. Il Mitraismo, che, come culto adottato dall'esercito romano dal tempo di Pompeo in poi, fu un perdurante rivale del cristianesimo per quattro secoli, anche senza Testi Sacri, scomparve non per mancanza di una Personalità ma a causa della mancanza di un adattamento organizzato alla vita generale quando l'esistenza dell'esercito romano volgeva al termine. Era una massoneria, affiancata da una ecclesia quasi-democratica che era organizzata dappertutto per penetrazione, e dappertutto ricavava entrate.

I culti sopravvivono nella misura in cui sono progettati per sopravvivere. Il Mitraismo non ha mai cercato di essere reso popolare da parte dei suoi adepti; invece essi accarezzavano un rituale segreto e misterico, adattato esplicitamente alla vita dell'esercito; e nell'Impero Romano il Mitraismo non fu mai qualcosa di diverso. [6] Il Cristismo significava dal principio un sostentamento per i suoi «profeti», con in più l'attrazione dell'influenza settaria. Vi erano altri culti del Salvatore che non erano mai destinati a propaganda o diffusione, sussistendo piuttosto nel loro modo limitato per il loro stesso esclusivismo. [7] Solo l'ebraismo e il Cristismo, in quell'epoca e in quel mondo, erano sistematici nel proselitismo internazionale, nell'organizzazione, nell'ufficializzazione, e nella estrazione regolare di introiti, sforzandosi di essere allo stesso tempo popolare e gerarchico; e la Chiesa cristiana derivò chiaramente il suo ideale d'azione e la sua pratica dal modello ebraico. I culti secolari dell'Egitto, sussistendo sulle loro vaste donazioni terriere come pure sul sistema economico delle offerte per le anime dei morti, sarebbero perdurati per sempre se non fosse per una pura e semplice disfatta militare; e fu infine per pura e semplice violenza che il clero cristiano distrusse o depredò i santuari del paganesimo. Era una «sopravvivenza del più adatto ad impiegare la forza». Generalizzare i processi socio-politici ed economici come l'azione di una Personalità sulle anime spontaneamente beneficiarie equivale a fabbricare un'allucinazione verbale. 

Quando parliamo dell'importanza essenziale del fattore economico in tutta la storia religiosa, i saccenti ci informano ad alta voce che il fattore economico non può «spiegare» i credi che sono finanziati. Di certo non può. La causalità e la persistenza del credo religioso sono oggetto di una vasta letteratura che il saccente potrebbe studiare proficuamente, ma non lo fa. Avrebbe potuto apprendere così che nessun credo sussiste come un sistema popolare senza una base economica organizzata; e che le religioni di Babilonia e dell'Egitto, disponendo di tali basi, sopravvissero per migliaia di anni più di quanto sia probabile che sopravviverà la religione cristiana. 

Si potrebbero leggere cento trattati sulle origini cristiane senza destare attenzione ai fatti che balzano agli occhi negli Atti e nelle Epistole. Nei primi, si dichiara che il Peccato contro lo Spirito Santo è l'appropriazione indebita nel trasferimento di denaro alla Chiesa, in confronto a cui il Rinnegamento di Pietro è visto come un peccatuccio. Nelle epistole troviamo un Paolo combattente — o, come pensano alcuni di noi, drammatizzato come un combattente da uno pseudepigrafo di una generazione successiva — per i salari dei lavoratori nella vigna. Il testo (1 Corinzi 9:14) che dichiara: «Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunciano il vangelo vivano del vangelo», tradisce chiaramente una mano successiva, che utilizzò un testo che era stato aggiunto al vangelo allo stesso scopo. 

Quelli erano il tipo di disposizioni necessarie per l'istituzione permanente di una Chiesa cristiana cosmopolita organizzata — quelli e gli sviluppi ulteriori dell'episcopato, dei Concili, dei primati, dei papati, che resero la Chiesa un valido strumento di organizzazione per imperatori e per sovrani, e così assicurò la persistenza del sistema attraverso l'abisso della decadenza. Dire che la Personalità ispirò l'organizzazione economica equivale a sfiorare il ridicolo. 


§ 3. La Tesi dell'“Impeccabilità”

Quando tali considerazioni di ierologia comparativa sono imposte (con difficoltà) alla riluttante attenzione dell'apriorista, la sua reazione consueta è protestare che il vangelo di Gesù sia sui generis, incomparabile, inavvicinabile, l'esponente di una nuova etica, il trasformatore di un mondo morente in un mondo rigenerato. La falsità essenziale dell'affermazione qui non ha bisogno di trattenerci in questo caso: noi siamo interessati al ragionamento. L'apriorista si esprime — in breve —, esattamente come fa un ardente buddista riguardo al «Buddha», la fede nel quale, come una Personalità reale, ha influenzato la vita di molti milioni più di quanti siano stati seriamente influenzati dall'amore di Cristo. [8] Per lo studioso scientifico di ierologia il Buddha non è una figura storica più di quanto lo sia Zoroastro, o Mosè o Gesù; sebbene in quel caso pure alcuni studiosi razionali affermano la «storicità». 

Ma il fatto eccezionale è che in tutti quei casi allo stesso modo la «Personalità» presentata è qualcosa di non umano, qualcosa concepito come soprannaturale, come straordinariamente grande, come inesprimibilmente buono, come originatore di ogni sorta di verità e di precetti che, nondimeno, sappiamo che non sono originati da nessun unico uomo; come a Jahvè e a «Mosè» si attribuisce un decalogo che nasce dalla legge preistorica e che incarna un codice reale.

Per raggiungere lo scopo della magnificazione, cioè, l'umanità è sistematicamente sottovalutata nella misura in cui la figura è esaltata. Il credito è tolto a moralisti senza nome, per essere accumulato su di esso. Moltissimi cristiani «istruiti» si sentono piuttosto sicuri che Gesù deve essere stato una figura estremamente «santa» perché si presume abbia prescritto, nel Discorso della Montagna, amore per i nemici — una cosa che all'uomo comune sembra «angelica». Gli studiosi cristiani possono dirgli che non c'è un elemento in quell'insieme di precetti che non fosse prima in circolazione, in forme ebraiche, molto tempo prima di «Gesù»; ma egli non legge i suoi studiosi, anche se considera la sua istruzione generale un mandato sufficiente per un rifiuto sprezzante della tesi mitica e per un'insolenza nei confronti dei suoi proponenti. 

Il fatto che tali polemisti, peccando loro stessi contro i canoni della rettitudine non meno che contro i canoni della cortesia, si trovino spesso convulsamente convinti della «impeccabilità» di Gesù, è particolarmente significativo. Quella dottrina, molto tempo fa resa popolare da Ullmann, è una delle pseudo-argomentazioni più frequentemente avanzate a sostegno dell'argomentazione a priori. Si ritiene [9] che il decano Inge pensa che essa sia l'ultima concezione su cui la Chiesa possa permettersi di lasciare la presa; e il professor Foakes-Jackson la impiega con la solita indifferenza professionale allo stesso modo delle difficoltà e delle risposte. Egli non sembra mai esserne consapevole. «Gesù come un uomo impeccabile», scrive, con  discutibile sintassi, «è un fenomeno non meno strano di uno su cui la morte non può avere nessun dominio...... L'impeccabilità del nostro Salvatore, dopo tutto, forse è una dimostrazione più completa della Sua natura Divina più di quanto possa esserlo qualsiasi miracolo». [10

Il professor Jackson ha dichiarato di aver fatto qualche meditazione sui problemi teologici; ma sembra averne fatto poca su questo. La tesi deve ovviamente prendere la forma: «Gesù come presentato nei vangeli è indiscutibilmente privo di peccato»; e, se ci deve essere davvero qualche argomento, il «peccato» deve essere definito nel senso ordinario «cristiano», come comprendente moti di ira, ingiustizia, deviazione dalla verità, eccetera. O, allora, tutto il normale uso verbale è categoricamente smentito, oppure ne consegue che la presunta azione di Gesù a Giuda, la sua descrizione degli avversari come «un nido di vipere»«figli del diavolo», la sua descrizione dei maestri precedenti come «ladri e briganti», il suo grave travisamento dell'insegnamento rabbinico in materia di «Corban», il suo votare a perdizione tutte le comunità che non ricevono ciecamente i suoi discepoli, la sua descrizione dei gentili come «cani», il suo cavillo sul tributo a Cesare — tutte le sue deviazioni dal codice di temperanza e di gentilezza e di scrupolosità del linguaggio che gli viene messo in bocca — sono rimossi dalla categoria di «peccati» perché affermava di essere il Figlio di Dio. [11]

È un circolo vizioso assoluto — a meno di non dover comprendere che le azioni specificate non sarebbero «peccati» da parte di un uomo comune. Finché ciò è asserito seriamente, l'argomento è ad una fine. È asserito sul serio?

A fronte di una tale trascuratezza del significato delle parole, da parte di un accademico e teologo moderato, è necessario sottolineare al lettore comune che la tattica degli uomini di chiesa in questa materia è una mera confutazione della forma di ragionamento che dichiarano di applicare. 

 Dire che il Gesù evangelico è una figura «unica» equivale a nascondere il problema con un termine ambiguo. A rigor di termini, ogni essere umano, e ugualmente ogni singolare personaggio fittizio, è unico. Il termine, anche per scopi comuni, è  applicabile alla regina Elisabetta, a  Maria regina di Scozia, alla regina Vittoria, a Giorgio III, tanto quanto a Socrate, a Platone, ad Alessandro o a Napoleone. Se vogliamo comprendere l'unicità come predicata a proposito di Gesù nei termini di un'impeccabilità rispetto a tutti gli altri uomini, la nostra negazione deve essere istantanea. Il Gesù evangelico non è più impeccabile, non è più unico, del Socrate storico, ed è meno impeccabile e meno unico del Buddha non-storico o del Licurgo non-storico, per non parlare dei molti esseri umani che non hanno mai fatto ricorso al linguaggio vituperoso messo in bocca al Gesù evangelico.

C'è motivo di pensare che il concetto di «impeccabilità» sorge ancora per molti cristiani, per quanto riguarda Gesù, nel rispetto del suo celibato. Non si deve supporre che quella concezione primitiva, tuttavia, appartenente com'è ad una morale barbarica, costituisca la posizione dei teologi che fanno l'asserzione del professor Foakes-Jackson. I buddisti sostengono che il celibato di Gesù, che non dovrebbe mai aver avuto sentimento sessuale, è come niente a confronto della rinuncia del Buddha.

La sintesi del dibattito, finora, deve essere che la dottrina della impeccabilità di Gesù non è solo una perversità morale in sé, ma una fonte feconda di perversione nella storia cristiana — parzialmente paragonabile a questo proposito alla santità del Pietro della Storia del Rinnegamento e della storia di Anania, e del Davide dell'Antico Testamento. Il fattore centrale è proprio il presupposto religioso che ciò che lo spirito religioso ritiene divino debba essere «giusto»; un presupposto che ha prodotto un sacco di ingiustizia deificata che costituisce così tanto della letteratura antica — indiana, persiana, babilonese, egiziana, ebraica, greca, romana, e cristiana. 

Si deve notare in tutta franchezza, ovviamente, che una convinzione della storicità e dell'importanza soprannaturale del Gesù evangelico è stata ed è tenuta da molti che non avanzano nessuna tesi di «impeccabilità», e invero riconoscono che questa tesi in effetti cancella quella della storicità, nella misura in cui presume, come afferma esplicitamente il professor Foakes-Jackson, un «miracolo». Renan, che ha fatto così tanto per stabilire il sentimento neo-unitariano sull'argomento, scioccò i suoi lettori più religiosi rappresentando realmente un Gesù che commise una «pia frode» in materia della taumaturgia in generale e nella resurrezione di Lazzaro in particolare; [12] proprio come il signor Middleton Murry, combinando le posizioni di De Quincey e del dottor Schweitzer, sostiene ciò che un critico descrive come una «congiura» tra Gesù e Giuda per attuare la Crocifissione. 

E Shelley, che è stato visibilmente influenzato da Rousseau, espone nel suo postumo 'Saggio sul Cristianesimo' un quadro luminoso di un filantropo filosofico e di animo nobile che nondimeno «fece quello che ha fatto ogni altro riformatore che ha prodotto qualche effetto considerevole sul mondo. Adattò le sue dottrine ai pregiudizi di coloro a cui si rivolse......Al pari di un abile oratore (si veda Cicerone, De Oratore), egli assicura i pregiudizi dei suoi ascoltatori, e li induce, con le sue dichiarazioni di simpatia per i loro sentimenti, ad entrare con uno spirito volenteroso nell'esposizione dei suoi stessi sentimenti......Questa condotta non sia considerata come un artificio indegno......Tutti i riformatori sono stati costretti a praticare questo travisamento dei loro veri sentimenti e delle loro vere opinioni». [13

Il «travisamento» così presunto e difeso da Shelley (che, come la moderna scuola biografica, era abbastanza sicuro di poter vedere gli elementi autentici tra gli elementi non autentici nei vangeli) consisteva nella dichiarazione di mantenere assolutamente la Legge tradizionale. Per ottenere un uditorio favorevole Gesù doveva professare una devota ortodossia. «Avendo prodotto questa disposizione d'animo favorevole, Gesù Cristo procede a qualificare, e infine ad abrogare, il sistema della legge ebraica». Mentre questo potrebbe aver soddisfatto Shelley come un aspetto nella natura di un riformatore ammirevole, difficilmente darà soddisfazione alla scuola biografica odierna, e non sarà iscritta dalla scuola ufficiale nella tesi di «impeccabilità». 

Alla fine Renan è stato guidato dalle proteste di simpatizzanti e altri lettori a modificare la sua “mitigata accusa” di frode benevola. Ma l'apriorista che, come Shelley, Renan e il signor Murry, si aggrappa al suo concetto di un Gesù reale, farà bene a chiedersi se su molti punti non subirà più disillusione dallo sforzo di spiegare dettagliatamente la documentazione evangelica in termini di una personalità senza macchia piuttosto che con l'accettazione di una tesi mitica che respinge allo stesso modo disprezzo e idolizzazione.

All'«impeccabilità», nella vecchia teologia, era associato il concetto di resistenza alla tentazione di un tipo soprannaturale. Ma anche questo produce meno che niente per la posizione biografica. Il metodo biografico si sta concentrando di recente in futilità come ad esempio il tentativo di stabilire l'ordine delle sensazioni «del Signore» nella Tentazione — che da più parti è ammessa essere immaginaria — e di  spiegare la storia della  ovviamente  non meno mitica Trasfigurazione enfatizzando l'«esperienza» di Pietro, che deve averla «immaginata». La tesi mitica spiega la storia della Tentazione come un'applicazione di un mito orientale reso ampiamente diffuso da pittogrammi scolpiti e dalla poesia, e raccontato anticamente a proposito di Giove, di Olimpo, di Dioniso, e di Apollo. [14] Gli storicisti preferiscono ancora attribuire l'invenzione al «Signore».

La storia della Trasfigurazione è stata spiegata [15] molto tempo fa come uno dei soliti trasferimenti evangelici di meraviglie veterotestamentarie al nuovo Messia — l'originale essendo Esodo 24:12-18, la cui stessa espressione «dopo sei giorni» è duplicata. Harnack ci assicura, nondimeno, che è «un pezzo autentico delle reminiscenze di Pietro», e quella stessa puerilità dell'osservazione, «È bello per noi essere qui», è «pure autentica e caratteristica». Quale è la puerilità peggiore? Pietro ha veramente sofferto più di quanto basta nelle mani degli interpolatori e dei commentatori dal primo all'ultimo. La tesi mitica lo tratta più gentilmente!


§ 4. Il Valore dell'“Impressione”

Quando consideriamo l'argomentazione del dottor Burkitt sotto il suo aspetto secondario, respingendo per il momento l'aspetto logico, e considerando solo la rivendicata «impressione» fatta dalla inferita Personalità, vi sorge la domanda, Quale era la natura e quale il calibro delle persone ritenute così impressionate, a tal fine? E la risposta sicuramente deve essere: menti fragili, caratteri puerili. Un evangelista mosso a volenterosa finzione dalla grandezza della sua «impressione» è uno strano portavoce della qualità dell'impatto. Di quale significato erano le impressioni che produssero la quantità dei Vangeli e degli Atti apocrifi? Quelli non raggiunsero il pubblico più vasto di tutti? 

Come accade, c'è un vasto consenso tra i difensori della fede per quanto riguarda la povertà del materiale umano da parte cristiana gentile. Il professor Foakes-Jackson è molto esplicito su quel punto: Non senza ragione Paolo definisce 'bambini' i Corinzi. In tutta onestà, senza dubbio lui avrebbe accettato egualmente la caratterizzazione dei «folli Galati» — che solevano essere associati, prima del 1914, all'elemento peccaminoso «Celtico» nell'antica Grecia cristiana. Il professore diventa anche momentaneamente sociologico sull'argomento. «Il provinciale degenerato sotto il dominio romano non aveva nessun incentivo [civico] alla virilità. Dovere civile e patriottismo, quasi le sole buone cose [!] che la sua religione ancestrale aveva inculcato, non erano più possibili sotto un forte governo paternalista......L'uomo libero era uno schiavo nel suo cuore». 

D'altra parte, ad avviso del professore, «il credente ebreo aveva molti vantaggi rispetto al suo fratello gentile». Quindi non era lui a sua volta «sotto un forte governo paternalista»? Il teorema non può reggere; e possiamo solo presumere che il professore vede nel fanatismo ebraico un elemento di «forza» passato al cristianesimo. Ma cosa fa della scomparsa della Galilea dagli orizzonti cristiani dopo i vangeli? E cosa diventa ora della tesi che gli elementi ellenistici fossero esplicitamente presenti da sempre nella chiesa di Gerusalemme? I greci erano là forse meno schiavi che in Grecia?

Faremmo meglio ad affrontare la questione per noi stessi, e a chiederci se la narrativa degli Atti indichi una comunità più eccezionale per la capacità mentale o per la veridicità rispetto ai destinatari greci delle lettere paoline. E la difficoltà di trovare le prove è insuperabile. C'è in effetti qualcosa di altamente anomalo nella tesi di un teologo ufficiale secondo cui, mentre i cristiani gentili «impressionati» da Paolo erano poveri elementi, i giudeocristiani impressionati dagli apostoli erano molto meglio. Infatti quale ombra di prove abbiamo noi delle alte qualità morali e mentali negli stessi presunti apostoli? Non sono raffigurati nei vangeli come per lo più ottusi, «materialisti», avidi di un posto elevato nella Nuova Gerusalemme; i migliori di loro, i tre scelti, che dormivano quando il loro Maestro disse loro di essere nella sua massima tribolazione? 

Una «impressione» che si afferma essere stata fatta su e da tali spiriti è veramente una singolare garanzia di qualifiche morali e intellettuali supernormali nell'«ignoto X» che si afferma averla necessariamente prodotta. Uno dei tanti dilemmi della scuola biografica è la dichiarazione delle testimonianze che Gesù fallì a Nazaret; guadagnò un grande seguito in Galilea, e poi lo perse del tutto; entrò a Gerusalemme in trionfo ed entro pochi giorni fu scartato per Barabba. Come mai l'impressione mutò così drasticamente? [16] Quella questione, così prontamente risolta dalla tesi mitica in termini di narrazioni deliberate appartenenti ad un periodo di conflitto tra Crististi ebrei e Crististi gentili, è irrisolvibile sulla tesi della «Personalità». 

E la somma dell'intera controversia è che gli impressionisti farebbero bene a controllare il loro intero processo dialettico sin dall'inizio, analizzare la loro psicosi, ed esaminare veramente la tesi mitica in dettaglio invece di fare affidamento sulla semplice polemica degli ignoranti campioni che li assicurano che essa è assurda, «esplosa», «una negazione di ogni verità storica», un'aberrazione, un parallelo alla tesi baconiana, e tutto il resto di ciò. Anche questo breve esame può servire a mostrare quale lato sta facendo l'aberrazione e come sta riducendo la propria argomentazione ad un'assurdità.


§ 5. Il Metodo della Sfrontatezza

Nel caso il resoconto precedente della polemica attuale contro la tesi mitica dovesse essere deprecato come esterno al dibattito serio, è opportuno notare come la questione sia stata gestita abbastanza di recente da un teologo popolare di un certo status accademico. È dopo l'elogio di Platone perché, «al punto in cui l'astratta razionalizzazione non sarebbe potuta andare oltre, egli ripiegò sul Mito», che Canon Streeter, nel suo lavoro intitolato 'Realtà', così discetta:

«Purtroppo per il nostro presente obiettivo la parola 'mito' è stata fatalmente compromessa dalle persone folli che parlano del 'mito di Cristo', con l'implicazione che Gesù o mai visse oppure che non sappiamo quasi nulla di Lui. Quelle persone non dovrebbero essere prese sul serio. Alcuni di loro, non avendo mai prestato uno studio reale sull'argomento (oppure mancando degli strumenti per farlo se avrebbero potuto), parlano di seconda mano o per una conoscenza superficiale; altri sono di quella categoria — sfortunatamente, non una categoria piccola — che alimentano un egoismo inconscio difendendo qualche paradosso geniale. Studiosi competenti, qui e in Germania, hanno avuto problemi a pubblicare le confutazioni dei loro argomenti; ma, al pari di quelli che sostengono che Shakespeare fosse Bacone, o che gli inglesi siano le Dodici Tribù, essi sono impermeabili alla confutazione». [17]

Chiunque voglia esaminare la parte precedente dell'opera citata, che fornisce un resoconto edificante della carriera intellettuale del reverendo Canon, e la parte successiva, che rivela il suo calibro filosofico, sarà in grado di realizzare la mentalità di questo apologeta cristiano, che, va notato, è profondamente imbevuto dell'importanza di amare il nostro prossimo come noi stessi. Aver interferito fatalmente con le operazioni del reverendo gentiluomo sulla parola «mito» sembrerebbe essere una specie di servizio pubblico da parte dei miticisti.

Lasciando che le sue qualità evangeliste portino il loro giusto frutto, dobbiamo innanzitutto notare che lui ha completamente fuorviato sé stesso in merito alla pubblicazione di «confutazioni» della tesi mitica da parte di studiosi competenti che, come egli protesta, non avrebbero dovuto farle. A parte il recente lavoro del professor Goguel, che è stato esaminato in precedenza, non c'è stato nessun tentativo di confutazione che non sia stato confutato tre volte rispetto alla sua ignoranza del tema, rispetto ai suoi errori, e rispetto ai suoi travisamenti. Il dottor Conybeare, il più importante avversario inglese, non aveva fatto nessuno studio adeguato né di antropologia né di mitologia, ritenendo come faceva che i totem fossero dèi; e ha fatto una serie di fatali errori concreti relativi alle narrative del Nuovo Testamento che hanno provato la sua scarsa familiarità in merito. Alle confutazioni del suo attacco non c'è stata nessuna risposta dalla scuola biografica. Alla confutazione da parte del dottor W. B. Smith, è sicuro dire, Canon Streeter è totalmente incompetente per replicare. 

L'allusione alla tesi baconiana è caratteristica del metodo dell'ignoranza. La tesi baconiana è stata ripetutamente confutata, mediante un argomento strettamente induttivo, e in più dalla dimostrazione che i suoi sostenitori non sono qualificati rispetto alla conoscenza della letteratura e del vocabolario elisabettiani. Ma sarebbe ancora sicuro dire che un baconiano relativamente sano di mente, che «sa il fatto suo», avrebbe potuto liquidare in un attimo le mere spacconate di avversari che, come Canon Streeter, sanno ancor meno di lui.

La cosa curiosa della situazione è che la procedura dialettica dei baconiani è esattamente quella degli aprioristi nella questione della storia evangelica. Entrambi procedono allo stesso modo sulla base di un presupposto. Come gli storicisti cristiani (e altri) ipotizzano che ci doveva essere stata una Personalità meravigliosa per spiegare l'«impressione» ricordata dagli evangelisti e la nascita della Chiesa cristiana, così i baconiani decidono che ci doveva essere stato un avvocato e uno studioso classico e un esperto filosofo dietro i Drammi, le Poesie e i Sonetti; e che questi non possono essere stati l'opera di un «semplice» uomo di teatro, che aveva solo una comune istruzione presso Stratford-on-Avon. [18] Neanche la scuola paga alcuna lealtà all'induzione. Ed entrambi sono propensi ad ignorare tutti gli argomenti contro di loro, e a compensare sé stessi per la debolezza della loro argomentazione deridendo i loro avversari. Canon Streeter ha proprio la maniera, la natura, e la preparazione baconiane. Della preparazione necessaria in antropologia, in mitologia e in ierologia, egli sembra essere più innocente di quanto non fosse il dottor Conybeare. 

I miticisti, allora, devono accontentarsi di non cercare la loro reputazione sulle labbra di Canon. Lui senza dubbio si avvale molto del conforto dei fedeli, anche se i seri studiosi della Chiesa non gli prestano il complimento di imitare il suo tono e la sua tattica. Si deve ricordare, d'altra parte, che un certo numero di letterati copiano esattamente il suo tono e il suo approccio. Alla recente pubblicazione del lavoro del defunto dottor Georg Brandes su 'La Saga di Gesù' in una traduzione americana, molti dei nostri  giornalisti letterati hanno liquidato la questione versando disprezzo su tutta questa teoria e citando il signor H. G. Wells e il dottor Eduard Meyer come autorità storiche la cui mera opinione ha superato ogni argomentazione. 

Coloro che hanno esaminato l'opera storica intitolata 'England', pubblicata dal dottor Eduard Meyer durante la guerra, possono dire quanto assai peso ora attribuisce, per i lettori istruiti, al suo giudizio storico — una questione da non elaborare ulteriormente per coloro che conoscono la sua triste esperienza personale. Dell'autorità del signor Wells è più difficile parlare. Molti lettori, si capisce, trovano nella sua ricostruzione della storia una specie di verità mai raggiunta prima. Eppure anche quella convinzione acquisita alquanto superficialmente, da parte di lettori che non hanno cercato di accertare in profondità i risultati di ogni altra ricerca, giustifica a malapena la conclusione che la semplice opinione del signor Wells superi quella della lunga serie di eminenti esperti olandesi, Pierson, Loman, Bolland e del professor Van den Bergh van Eysinga, e del professor W. B. Smith, del professor Arthur Drews, del dottor Couchoud, e del dottor Brandes, riguardo alla possibilità che il cristianesimo avrebbe potuto sorgere senza che vi fosse stato un personaggio reale corrispondente al Gesù evangelico — trascurando il vasto elemento mitico che perfino il signor Wells ha capito di trovare nei vangeli. 

E se i seguaci del signor Wells continuano a trattare il suo ipse dixit come decisivo in tale materia, si potrebbe perfino trovare necessario suggerire loro che la loro stessa dialettica sa più di incompetenza e di presunzione che di autorità. Essi stanno seduti sullo scranno del giudizio senza un titolo né accademico né sociologico. Il signor Alfred Noyes è un poeta affascinante, con un dono per la melodia che supera a volte quello di Swinburne; ma egli non è un pensatore, e la sua opinione a priori sulla tesi mitica non ha più valore di quello che si attribuirebbe alla sua opinione sulla Legge di Rent.

Ma non sembriamo suggerire che solo i laici ignoranti, o anche i meno scrupolosi dei difensori clericali della fede, ricorrono ai mezzi più economici di difesa. Diversi anni fa, il decano Inge ha fatto al presente scrittore l'onore immeritato di paragonarlo all'Abate Loisy, tra tutti gli uomini, in quanto appartenente alla categoria degli speculatori trascurabili. Questo perché il signor Loisy, nella via della sua ricerca scrupolosa, aveva abbandonato molti elementi nei vangeli in quanto non-storici. Più recentemente, lo stessa illustre pubblicista, di fronte alla nuova diffusione della tesi mitica per opera di Brandes, si è proposto lui stesso di liquidare l'intera faccenda rilevando che nessuno studioso di rango elevato l'aveva accettata. Loisy è certamente uno studioso di primissimo rango. E il decano lo aveva respinto come di nessun conto per il fatto che egli è andato oltre la maggior parte degli altri specialisti nel disintegrare il testo evangelico. Eppure lui era stato preceduto da esperti olandesi di rango accademico certamente più elevato (in quelle materie) di quello del decano Inge — esperti che erano andati per tutta l'ampiezza della tesi mitica. Il Decano potrebbe ragionevolmente aver respinto la tesi di qualsiasi uomo, indipendentemente dall'erudizione, per il motivo che fosse mal ragionata. Infatti la questione non è in definitiva una questione di erudizione ma di argomentazione, con tutti i dati degli studiosi posti sul tavolo. Ma in primo luogo egli ha trattato l'erudizione di Loisy come se non contasse nulla a sostegno delle sue opinioni; in secondo luogo egli tenta di risolvere la questione sostenendo che i migliori studiosi non seguono fino in fondo la tesi mitica. 

Sarebbe davvero vano aspettarsi da parte di eminenti e maturi studiosi clericali, sfidati dai risultati di altri studiosi, l'ammissione di aver passato tutta la loro vita sotto un'illusione. Ma non può sembrare un'esigenza stravagante pretendere che chierici inglesi di alta levatura e di reputazione liberale, che dichiarano di conformarsi ai criteri normali della rettitudine critica, dovrebbero smetterla di schernirli in questa materia particolare.

Già quando scriveva Schweitzer, senza accettazione della tesi mitica, la tesi «liberale biografica» del problema di Gesù è stata ridotta al collasso col suo fiducioso resoconto. Questo equivale a dire che il nucleo delle narrative evangeliche fu riconosciuto essere quello che la tesi mitica ha avanzato quanto alla figura centrale. Oggi non solo la tesi mitica è accettata e difesa di nuovo da un eminente professore olandese, ma il professor Bultmann di Marburg è andato così lontano nelle concessioni all'argomentazione dell'analisi testuale da non trovare lasciata per sua stessa ammissione nessuna «Personalità» riconoscibile. Se Loisy nel passato non era di nessun conto, con tutta la sua particolare erudizione, Bultmann non deve essere di nessun conto per il decano Inge oggi, dal momento che va più lontano di Loisy, pur trattenendo ancora un oscuro Gesù «storico». Su quale tipo di qualifica personale, allora, il decano Inge pretende di offrire i suoi giudizi? Possiede qualche principio più alto di quello di trovare, come giornalista, frasi di disprezzo per tutti coloro che mettono in pericolo lo status del credo ufficiale, di cui così tanti suoi colleghi dubitano la sua accettazione? 


§ 6. Conclusione

A volte si è tentati di affrontare il sofisma di Hegel, «La Religione è il Luogo della Verità», con l'esatto contrario: «La Religione è il Luogo dei Falsi Spiriti», così costantemente sono all'opera i sofismi al suo servizio. Ma questo sarebbe equivalente soltanto a rispondere alla retorica con la retorica. La vera sintesi è proprio che la religione è il Grande Cortile del Confuso Spirito dell'Uomo; e che laddove i più illuminati degli specialisti vedono già come la storia passata della loro materia non è che una vasta documentazione di un'illusione organizzata, essi sono ancora sordi e ciechi alla grande lezione dell'esperienza mentale umana, che la verità va trovata solo mediante sottomissione totale alla legge della scoperta.

Un poeta debitamente indifferente al fatto storico primario potrebbe fare un effetto usando la Leggenda di Gesù per mostrare come un eroe ucciso per aver proclamato una nuova verità divenne il Dio di una Chiesa la cui attività principale sin da allora è stata quella di uccidere tutte le nuove verità, vietando e bloccando a sua volta le scienze della medicina, della geografia, dell'astronomia, della geologia, della biologia, dell'antropologia, della mitologia, della ierologia, e della scienza stessa della cristologia. Ma naturalmente non è solo nella religione che l'Uomo, la Talpa, detesta ogni nuova luce fintanto che può espellerla. Il suo cosiddetto martirio è il ricordo della sua cecità: la sua convinzione animale quello che percepisce debba essere vero. Sono solo i suoi osservatori ribelli che lo salvano.

Le linee di ragionamento che sono state combattute nelle pagine precedenti esibiscono l'espressione comune di ogni errore — un'assunzione senza il dovuto controllo induttivo. Qui il presente processo dell'opinione su questioni religiose non è che una duplicazione tardiva del processo dell'opinione scientifica in generale. Per quanto riguarda l'astronomia, «Il difetto radicale di tutti i sistemi solari precedenti ai tempi di Keplero (1609 E.C.) fu la sottomissione passiva al dictum di Platone che esigeva un movimento circolare uniforme per i pianeti, e l'evoluzione conseguente dell'epiciclo, che era fatale ad ogni concezione di una teoria dinamica». [19] Solo con Keplero e con Newton l'induzione ha preso piede.

L'affermato esperto appena citato ha sottolineato che i Principia di Newton costituiscono «il più alto esempio di ragionamento induttivo mai prodotto». Un esperto non meno competente in campo teologico ha dichiarato in merito ai dibattiti sull'Apocalisse nel sedicesimo, nel diciassettesimo e nel diciottesimo secolo, che i «più folli e i più fantastici di tutti sono i commentari inglesi di questo periodo», [20] tra cui figurano i lavori di Napier di Merchiston e di Sir Isaac Newton (1593 e 1732). Quelli uomini illustri, tra i più grandi dei loro tempi in relazione al libero uso scientifico delle loro menti, operarono alla mercé dell'autorità in materia di religione, e in quel campo superarono in oscurantismo perfino i loro rivali professionisti. 

Se qualcosa potesse scuotere la fiducia, parimenti dei nostri studiosi teologi e dei nostri ignoranti letterati laici, nel loro tradizionalismo, quella documentazione dovrebbe essere sicuramente sufficiente. Lo spettacolo di potenti facoltà ridotte a puerilità grazie alla cieca aderenza ad una presupposizione, quando le stesse facoltà furono in grado di muovere le montagne allontanando dal tradizionalismo alla leale induzione, potrebbe sicuramente servire ad avvertire la massa di uomini inferiori della pena di ogni rifiuto a sottomettere il loro pensiero alla legge scientifica. Newton si erge alternativamente imponente e messo alla gogna come il più grande fisico e il più folle commentatore del suo tempo. Molti di noi sfuggono facilmente ad entrambe le forme di preavviso, al di là se abbiamo ragione o torto. Ma la massa della moderna ricerca accademica, per quanto riguarda il problema delle Origini cristiane, è sulla via giusta per essere accusata dai posteri di incapacità ad apprendere la lezione principale di ogni progresso scientifico.

Al di fuori delle scienze puramente matematiche, dove l'emozione è a prezzo ridotto, nulla sembra servire a preparare gli uomini a guardare in modo geniale a quel che afferma di essere una nuova verità, «e come tale dalle il benvenuto». Ora stiamo leggendo dell'opposizione selvaggia offerta a Lister e alla sua scoperta di metodi antisettici in chirurgia. Ciò non era che una generazione fa; oggi il metodo è alta ortodossia nella professione.

Accade la stessa cosa, in una misura peggiore, nelle «scienze» letterarie, ovunque un'abitudine mentale e un insegnamento accademico siano diventati ben consolidati. Negli studi su Shakespeare gli ortodossi accademici operano il loro credo esattamente alla maniera dei baconiani (per confutare i quali essi non hanno fatto nulla), supponendo che tutte le commedie nel Folio devono essere della pianificazione di Shakespeare, e devono essere così interpretate, anche quando il terreno è stato scavato da sotto il dogma dai riconoscimenti isolati di generazioni di critici. Allo stesso modo, ovviamente, i Sonetti devono essere tutti di Shakespeare, e 126 di loro rivolti ad un unico uomo. I teologi stessi, avendo «disintegrato» il Pentateuco e i Salmi e Isaia ed esaminato criticamente l'intero campo dell'Antico Testamento, potrebbero commentare: «Noi, la cosiddetta professione non progressista, siamo stati molto in anticipo rispetto alla critica laica nella sua gestione dei suoi problemi non-sacrosanti».

Possiamo solo dire, con il Galileo drammatizzato: «Eppure si muove». Alcuni razionalisti hanno combattuto nei ranghi della tradizione; mentre si è trovato che alcuni teologi vedono nell'induzione scientifica una scoperta che li libera da una vasta complessità. Ogni espansione della ricerca accademica cristiana fornisce luce che rende più chiara la via del miticista. Proprio come certi soprannaturalisti hanno compiuto passi decisivi nell'analisi del Pentateuco quando alcuni cosiddetti razionalisti si stavano rifiutando di vedere le suture dei documenti, gli analisti testuali clericali, anche se stranamente ciechi ad alcuni fenomeni salienti, hanno preparato la strada all'analisi induttiva che riduce tutti gli elementi dei vangeli ai loro scopi, ed elimina la «Personalità».

In ultima istanza, la soluzione sarà il prodotto di tutto il lavoro onesto che vi è stato speso, sia dai tradizionalisti che da razionalisti senza vincoli. Che la pressione principale della vituperazione debba cadere nel frattempo su coloro che proclamano la legge della scienza come la sola autorità da riconoscere rientra nel corso ordinario della storia della cultura. 

Certo, sarà detto loro, come dal reverendo decano Inge, che stanno sradicando gli elementi che fanno reggere la società; che stanno facendo il gioco dei Bolscevichi, che hanno cercato nel loro modo insensato e inutile di sopprimere la religione proprio come la religione ha normalmente cercato di sopprimere ogni dissenso dal suo dominio. Il decano non spiega la sua profezia. Il Bolscevismo è sorto e ha commesso i suoi crimini nell'area stessa della forma più indurita della religione cristiana; e in nome di quella religione sono state realizzate le guerre più atroci da mille anni, come il Decano ha ammesso lui stesso. Non è facendo il Giuramento di odiare la Scienza, non più che facendo il Giuramento di odiare la Dimostrazione, che la civiltà sarà salvata. 

Un poeta che, essendo un grande esperto innovatore di ritmo, mancò un riconoscimento generale come tale durante la sua vita, ha cantato per noi la risposta al lamento che il mondo ha perso la sua speranza con l'affondamento della grande nave Immortalità: 

Migliaia di ali intorno ai suoi archi

Come lei ha gettato via l'abisso,

La stella del mattino dondolava da un'asta

E ogni vela addormentata......


Nessuna spuma nella tua scia purpurea

Sulla strada solitaria verso il polo;

Bianca come la vela spiegata su di lei

Che prestò le ali alla tua anima......


Apollo.

Com'era fatta, quella tua barca

Così fiera sul mare?

Com'era fatto lo scafo e il ponte?

Che vele aveva?


Marinaio.

Il suo tratto di vela così bianco, così bianco,

Da nessuna mano d'uomo spiegata,

Era il Cielo!


Apollo.

E i ponti che hai tenuto così luminosi?


Marinaio.

Per noi, l'affollato Mondo.


Apollo.

E le stive e la cabina di pilotaggio fuori dalla vista,

Buio pesto e maleodorante,

Pieno di amici del tuo piacere?


Marinaio.

Quella era la fossa dell'Inferno!


Abbiamo letto ciò che i tradizionalisti non leggeranno favorevolmente, la storia del mondo dominata da quella tradizione: abbiamo

Osservato l'orrore di quei ponti

Insanguinati di vino mistico;

e, sapendo che l'uomo non ha mai vissuto veramente bene per mezzo dell'illusione, siamo ragionevolmente sicuri che non lo farà mai. Ma in quel credo non c'è nulla di rivoluzionario: è il messaggio dell'Evoluzione, in base a cui gli stessi ierofanti stanno iniziando curiosamente a dichiarare di agire — proprio nello stesso atto di resistenza. Infatti anche loro costruiscono meglio di quanto sanno, trasportati come sono dall'onda del cambiamento.

Le maree degli uomini obbediscono ad un fantasma,

Il fantasma del non nato; [21]

anche quando stanno prestando omaggio ai fantasmi fabbricati dall'Uomo del passato. Il dottor Montefiore, il migliore di ebrei o cristiani, dopo aver concesso l'irrealtà di oltre la metà della sostanza dei sinottici, si allontana dalla rovina che crolla per assicurare a sé stesso e a noi che il genio in un insegnamento non è una questione di contenuto profondo, e che qui abbiamo un qualcosa al di là dell'eco della parola scritta, una specie di «plusvalore» non noto nemmeno all'economia marxista. E di quell'x elusivo, egli pensa, «noi abbiamo bisogno», e non possiamo farne a meno. Eppure il dottor Montefiore deve essere consapevole che ci sono ora in vita milioni di uomini istruiti che non hanno il suo «bisogno»; che affrontano l'universo senza sognarsi valutazioni nei termini dei luoghi comuni religiosi dell'antichità, e che hanno smesso di tenere il suo presentimento ereditato e inculcato di un «Padre» nei cieli. Una simile omelia non può valere per uomini veramente pensanti.

E il contrario vale allo stesso modo della pura e semplice speciale difesa letteraria. Il signor Middleton Murry, uno spirito generoso, pensa di salvare la leggenda con un eloquente ditirambo. Gesù, ci dice, diede la sua vita perché gli uomini non avrebbero creduto al suo insegnamento, che veicolava un «mistero» che Gesù stesso «non avrebbe potuto esporre». Ahimè, quando milioni di milioni di uomini hanno dato la vita attraverso i secoli senza il pensiero di rivendicare una Figliolanza divina, cosa significa il motivo o il premio? Più triste, sicuramente, è il pensiero di milioni e milioni di individui che nei secoli furono condotti alla loro morte come sacrifici loro malgrado, per «togliere il peccato del mondo».

Il defunto James Darmesteter, un altro spirito generoso, ha dichiarato più plausibilmente che Giovanna D'Arco era una martire più degna del Gesù evangelico. Tali dibattiti meritano di essere condotti, dopo la Guerra Mondiale?

Più sano e più fruttuoso, sicuramente, è lo sforzo di sapere correttamente che cosa è stata realmente la storia del mondo, come le cose andarono realmente, cos'è falso e cos'è vero; e quindi pensare a cosa per gli uomini costituisce una giusta azione ora, alla luce della conoscenza e del pensiero, non dell'omelia tradizionalista e dell'adorazione del passato. Allora, forse, potremmo pretendere di definire «il meno o più ben calcolato» del merito personale reale o immaginario — se ci sembrasse ancora opportuno provarci.

NOTE

[1] Lettera di Cowper a Lady Hesketh, 12 luglio 12 1765.

[2] Prefazione alla traduzione inglese di Paul del defunto professore W. Wrede, 1907.

[3] Leggi, 10. 

[4] Si veda l'opuscolo del dottor Edward Greenly, The Historical Reality of Jesus, R.P. A., 1927, pag. 10.

[5] Si veda The Jesus Problem, pag. 107-112.

[6] Si veda la sezione sul Mitraismo in Pagan Christs.

[7] Si veda The Evolution of States, pag. 114-115 ; e confronta Pagan Christs, Parte I, capitolo 2; Short History of Christianity, Parte I, capitolo 2, § 4.

[8] Come la mente cristiana di parte reagisce contro questo grande fatto storico si vede nella pietosa dichiarazione di Tulloch: “Il personaggio di Çakya-Mouni,  per quanto possa essere stato puro e nobile e sacrificato, non fu mai una realtà vivente, coerente e comprensibile per i milioni che si sottomisero alle sue dottrine o istituzioni” (Lectures on Renan's “Vie de Jésus”, 1864, pag. 162). 

[9] Come citato dal professore Foakes-Jackson.

[10] Christian Difficulties in the Second and Twentieth Centuries, 1903, pag. 117. 

[11] Il vecchio dogma ortodosso poggiava espressamente su questa base. Edward Irving fu censurato con veemenza perché insegnava che il corpo umano di Gesù fosse “materia peccaminosa”, sebbene ciò fosse logicamente implicito nel dogma dell'umanità di Cristo. Si veda Life of Irving di Mrs. Oliphant.

[12] Si vedano le denunce di Tulloch, Lectures on M. Renan's “Life of Jesus”. 1864, pag. 152-154.

[13] Selected Prose Works of Shelley, edizione di H. S. Salt, R. P. A., pag. 162-163. È difficile datare il “Saggio” di Shelley. Il signor Salt pensa giustamente che esso fu scritto “ad una data notevolmente più tarda rispetto a quella assegnatagli di solito — ossia, l'anno 1815”.

[14] Si veda Christianity and Mythology, 2° edizione, pag. 318 seq

[15] L'autore ha suggerito altrove (C. and M., pag. 361) che la Trasfigurazione può essere stata associata al dramma misterico.

[16] Si potrebbe obiettare che tale mutamento sia un'argomentazione a favore della storicità, in considerazione del fatto che Edward Irving ebbe un immenso successo popolare prima del suo crollo. Ma Irving fece la sua impressione con una grande eloquenza espansiva; e questo non è mai stato detto del Gesù evangelico. Irving, infine, fu deposto dai suoi sottoposti in uno stato di decadenza fisica e di volontà piegata, che non sarà ammesso dai crististi essere esistito nel caso del loro Signore.

[17] Opera citata, pag. 52-53.

[18] Naturalmente i campioni della storicità di Gesù possono rispondere che loro non hanno alcuna difficoltà sulla rozza istruzione del Gesù evangelico.

[19] Professor George Forbes, History of Astronomy, 1909, pag. 26.

[20] Professor Bousset in Encyc. Biblica, art. “Apocalisse”.

[21] Herbert Trench, Apollo e il Marinaio

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