venerdì 12 marzo 2021

EPILOGO

 (segue da qui)


EPILOGO

La tesi mitica, essendo un processo di induzione scientifica da una molteplicità di dati, è lontana dall'aver raggiunto una fase che possa definirsi «completamento». Al pari di ogni ipotesi veramente scientifica, resta in fase di revisione e sviluppo. Nelle pagine precedenti molti dei suoi aspetti non sono neppure indicati; e chi vorrebbe padroneggiarla deve andare più lontano. Ma può essere opportuno suggerire qui una evoluzione possibile, non suggerita in precedenza.

Il professor W. B. Smith ha richiamato l'attenzione sul fatto eccezionale ma poco riconosciuto che la Galilea, che recita un ruolo così importante nei vangeli, scompare completamente dalla storia della propaganda e dalla costruzione ecclesiastica del culto, dopo che è detto in Atti (9:31) che «la Chiesa era dunque in pace per tutta la Galilea» e che «la parola......incominciò dalla Galilea». D'altra parte, il dottor Burkitt ammette, parecchie volte, che «non ci furono mai dei cristiani in Galilea fino ai giorni in cui i cristiani dovevano trovarsi in ogni angolo dell'Impero». [1] Eppure non tenta mai alcuna soluzione dell'immensa contraddizione nella documentazione cristiana che è implicata in questa ammissione. I teologi trascurano questioni così profondamente sconcertanti come trascurano il fatto altrettanto impressionante che mai, nelle Epistole o nell'Apocalisse, Gesù venga chiamato «di Nazaret» o «Nazirita», o «Nazareno». Di tali fenomeni, ignorati dagli storici, la tesi mitica deve tener conto.

Il presente scrittore (descritto una volta nel Hibbert Journal come un negatore a priori della storicità di Gesù) in realtà ha trascorso molto tempo cercando di costruire un teorema funzionante di tre possibili Gesù storici; uno il Gesù sfuggente del Talmud, prima datato sotto Alessandro Ianneo; uno un Nazirita;  uno non un Nazirita, e quindi dichiarato «di Nazaret», in modo da eludere l'altro termine. Il teorema non poteva essere portato oltre la fase dell'ipotesi non supportata, e dovette essere abbandonato. Ma la collocazione in Galilea del nucleo della parte narrativa dei vangeli sinottici solleva per il miticista l'interrogativo, Perché quella collocazione, quando non c'era nessuna Chiesa galilea esistente?

Là si suggerisce l'ipotesi che vi potrebbe essere stato un Gesù «operatore di meraviglie» della regione di Genesaret, non un Maestro, non un predicatore di logia, non il capo di una banda di Dodici Discepoli, non crocifisso sotto Ponzio Pilato, ma solo un «guaritore» orientale che per un po' si fece una reputazione locale, che più tardi suggerì ad alcuni degli adoratori del Gesù pre-cristiano l'idea di utilizzare retrospettivamente la sua fama per favorire il loro culto; la cui «pietra angolare» era il sacramento mistico. Un'impresa del genere avrebbe comportato l'invenzione di molti «segni e meraviglie», come più tardi comportò la compilazione dei logia Jesou.

Si supponga, ancora, che questo rozzo operatore di miracoli si fosse messo in rilievo come il «Gesù Bar-Abbas» — Gesù il Figlio del Padre — di un antico culto palestinese, che avrebbe potuto meglio sopravvivere in Galilea, e forse in Samaria (la terra della tradizione di Giosuè), piuttosto che in Giudea; un rito che, una volta un rito di sacrificio umano annuale, [2] era diventato esotericamente un rito di finto sacrificio, e associato esteriormente così al culto sacramentale, che era stato principalmente un culto di un reale sacrificio umano. La fama dell'operatore di miracoli avrebbe potuto così espandere a livello locale il Gesuismo. 

Il punto principale dell'ipotesi è che essa spiegherebbe la preservazione nei vangeli, ad una fase successiva, di uno sfondo galileo. Il suo punto debole ovviamente è che se il rito di Bar-Abbas fosse sopravvissuto principalmente in Galilea, quella base avrebbe potuto bastare senza alcun prominente operatore di miracoli. Una selezione annuale, come quella apparentemente avvenuta ad Alessandria, [3] potrebbe essere stata sufficiente a creare una fama galilea per il nome. Ma una fama particolare, che incorporasse racconti di guarigione, sarebbe servita meglio presumibilmente a fungere da nucleo per la leggenda successiva. 

Forse qualche «storicista» potrebbe accontentarsi di una ipotesi simile se fosse ampliata fino a comprendere un sacrificio reale di una vittima Bar-Abbas in qualche momento di tumulto sociale, il genere di situazione nella quale, si sa, le pratiche rituali antiche avrebbero potuto essere orribilmente rianimate — come nei sacrifici di bambini a Cartagine. Il ricordo di un sacrificio simile in Galilea naturalmente non sarebbe servito agli scopi del culto sviluppato più tardi di Gesù il Cristo. Quello doveva essere messo in scena a Gerusalemme e associato all'Impero Romano. La storia di un vero sacrificio galileo, l'opera di un fanatico bifolco, avrebbe dovuto essere soppressa per scopi propagandistici; anche se si sapeva che aveva avuto luogo. 

Un'ipotesi oscura, invero, che non concede nessuna «Personalità» ai suoi cercatori. La Figura costruita nei vangeli è un molteplice composito letterario, corrispondente a nessun individuo immaginabile. L'ipotetico operatore di miracoli, l'ipotetico Bar-Abbas, deve essere concepito come un squilibrato piuttosto che come una persona straordinaria o dotata. Questo non è un rintracciamento del «Gesù dei vangeli» ad un originale: il suo «originale» è un antico Dio del folclore, sprovvisto di tempio o sacerdozio, trasformato da uomini letterati in un Maestro come pure in un Messia operatore di miracoli. Ma questa ipotesi suggerisce una spiegazione, non offerta da parte «storicista», della collocazione in Galilea di gran parte della storia evangelica. Come tale, può valere la pena considerarla. Essa spiegherebbe, tra le altre cose, il testo: «Dopo la mia resurrezione, vi precederò in Galilea»

Se il lettore, intimidito dalle negazioni truci di alcuni degli anti-miticisti, dovesse rispondere che non c'è un motivo documentario per l'ipotesi del culto di un Gesù precristiano, si assicuri che è stato ingannato. Ci sono motivi nella tradizione ebraica, così come nel libro di Zaccaria, per la convinzione che un antico culto di Gesù soggiace alla leggenda dell'innegabilmente non-storico Giosuè dell'Antico Testamento. E quei motivi non sono mai esaminati dai difensori della storicità del Gesù evangelico. Né i commentatori ebrei né i commentatori cristiani affrontano in ultima istanza il fatto che nella tradizione ebraica «talmudica» c'era un «Gesù, il Principe della Presenza», e un rito de «La Settimana del Figlio», [4] chiamato da alcuni «La Settimana di Gesù il Figlio»

Come si nota a margine della Versione Riveduta, «molte autorità antichissime leggono Gesù» (= Giosuè) invece di «il Signore» nell'Epistola di Giuda, verso 5; e, come è stato sottolineato dal signor Thomas Whittaker, quel passo, che allude chiaramente a Giosuè, gli attribuisce uno status divino. L'esistenza di un antico culto di Gesù entro il mondo ebraico è indicata così nello stesso Nuovo Testamento; e una raccolta dei passi in Esodo 23:20-24; Giosuè 24:11, stabilisce Giosuè come una figura divina, su un piano più elevato di Mosè. E quando a sua volta (Giosuè 4:2) figura mentre sceglie dodici per i suoi scopi, il  parallelo è abbastanza significativo.

Il cosiddetto «Vangelo dei Dodici Santi Apostoli», come preservato nella versione siriaca, comincia così: 

«L'inizio del vangelo di Gesù il Cristo, il figlio del Dio vivente, secondo come è detto dallo Spirito Santo, Io mando un angelo davanti al suo volto, che preparerà la sua via».

Questo non è detto, come nei sinottici, a proposito di Giovanni il Battista: di lui non si fa menzione nel documento. Ed esso contiene sostanzialmente la stessa espressione usata in Esodo 23:20: «Io mando un angelo davanti a te per proteggerti lungo la via», che si risolve in una predizione della conquista di Giosuè, il personaggio assolutamente non-storico del libro chiamato col suo nome. 

Se poi, infine, il Libro di Giosuè, come è generalmente ammesso dagli studiosi, è del tutto non-storico, (1) su quale nome e su quale tradizione derivò la storia; e (2) se l'intero Libro di Giosuè fosse una fabbricazione sacerdotale non-storica, perché un documento egualmente non-storico non dovrebbe essere stato fabbricato più tardi riguardo Gesù il Cristo?

NOTE

[1] Christian Beginnings, pag. 84. Confronta pag. 76, 89, 97.

[2] Si veda The Jesus Problem, pag. 32-39; e Pagan Christs, come ivi citato.

[3] Si veda The Jesus Problem, come citato.

[4] Si veda The Jesus Problem, pag: 85-88, e Pagan Christs, pag. 162-167.

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