mercoledì 11 settembre 2024

ECCE DEUS — IL MALINTESO PRIMITIVO

 (segue da qui)

IL MALINTESO PRIMITIVO 

47. Tornando ora alle argomentazioni del Professor Schmiedel, notiamo che egli solleva la questione “se Giovanni ritenesse il miracolo dei pani un evento reale”. Se sì, allora certamente “erroneamente”. “Ma siccome c'era stato un tempo in cui si sapeva ancora che non fosse un evento reale, non è del tutto impensabile che anche Giovanni avesse ereditato questa percezione da quel tempo” (pag. 84). Ciò sembra non solo “non del tutto impensabile”, ma, alla luce del metodo completamente autocosciente dell'Evangelista, come appena illustrato, sembra decisamente necessario, e la contraddizione impensabile. Stranamente, però, il Professor Schmiedel aggiunge: “D'altra parte, però, anche questo è poco probabile, poiché i Sinottici in ogni caso non avevano più alcuna percezione di questo tipo, e Giovanni scrisse dopo di loro e derivò da loro”. Ma qui va posto più di un punto interrogativo. Molto probabilmente, in alcune parti dei Sinottici, la corretta visione originaria di tutti questi episodi come simboli è stata persa; ma in altre parti la si trova ancora distintamente preservata; in altre ancora può essere discutibile. Così anche il fatto che Giovanni scrisse più tardi non prova nulla, come abbiamo già visto. Nei circoli gnostici più illuminati il senso simbolico originario delle narrazioni evangeliche fu riconosciuto a lungo; e, come abbiamo visto, se ne possono trovare tracce anche in Girolamo e Agostino. Così uno dei più evidenti tra tutti i simboli si trova nella guarigione della mano appassita, di Sabato, nella Sinagoga. Manifestamente l'uomo è l'Umanità ebraica, ferita dalla lettera della legge e della tradizione ebraiche, ma restituita alla forza e al potere per il bene dal culto emancipatore del Gesù. Ciò è così chiaro che persino Girolamo non poteva non vederlo. Nel commentario al parallelo matteano, egli dice: “Fino all'avvento del Salvatore, era secca la mano nella sinagoga dei Giudei, e non vi si compivano opere di Dio; dopo la sua venuta sulla terra, la mano destra fu restituita ai Giudei che avevano creduto agli apostoli, e fu restituita al servizio”. Proprio a questo punto pensiamo che Schmiedel difficilmente abbia reso giustizia ai Sinottici. Lui sembra aver minimizzato indebitamente la loro consapevolezza della natura simbolica delle loro narrazioni. Sospettiamo che essi vedessero le cose molto più chiaramente di quanto lui pensi, anche se non diremmo in alcun modo che non vi sia stato un tale malinteso cristallizzato nei Vangeli.

48. Questo, tuttavia, non è essenziale: se gli Evangelisti o i loro successori fraintendessero o meno è relativamente poco importante. Il fatto rilevante, chiaramente ammesso e persino sottolineato da Schmiedel, è che qualcuno fraintese: quel simbolismo originale è stato frainteso per Storia. [1] Ecco lo stesso nervo scoperto e lo stesso nucleo centrale di questo libro nonché la tesi esegetica che espone. Siamo lieti di trovare tale riconoscimento, almeno parziale, della sua correttezza da parte di uno come Schmiedel, che naturalmente rappresenta molti. Il suo grande predecessore, Volkmar, ha parlato molto di Sinnbilder. Le mie riflessioni personali sull'argomento sono state originate e sviluppate del tutto indipendentemente persino da Volkmar, il quale, sono libero di ammetterlo, le ha anticipate in un numero di punti, come sopra, nella spiegazione della mano appassita (Marcus 206, R. J. 224). Ma Volkmar, Schmiedel e gli altri sono davvero lontani dal portare questo giusto riconoscimento fino alla sua logica conclusione. Non hanno alcun dubbio di sorta sul fatto che Gesù visse e parlò realmente; che i suoi detti furono fraintesi, e da qui l'immensa crescita di leggende e taumaturgie. Per giunta, Schmiedel è convinto che una storia come quella di Lazzaro in primo luogo fosse stata realmente fraintesa e, in seguito a tale fraintendimento, fosse stata realmente elaborata nel racconto giovanneo. Egli infatti vorrebbe sollevare l'Evangelista dal rimprovero di aver inventato l'intera storia; anche se si domanda se ciò necessiti di essere davvero un rimprovero, sull'ipotesi che la resurrezione gli fosse realmente  “tramandata” come un fatto, qualora qualche persona — forse una donna! — avesse frainteso l'affermazione simbolica che Lazzaro resuscitò, ma ancora i giudei non credettero. A nostro avviso, questa tesi, pur giusta in così tanti punti, è tuttavia incredibile nella sua interezza, perché riduce Giovanni a un mero cifrario, mentre egli era un profondo pensatore e un grande artista letterario, e trascura l'intensa consapevolezza di sé che il suo Vangelo tradisce in quasi ogni versetto. Il pensiero centrale lo prese invero da Luca; ma l'elaborazione appare interamente e consapevolmente sua. 

49. Ma il punto principale di differenza con Schmiedel riguarda i nove pilastri: un argomento così importante, come già osservato, che in questo libro gli è dedicato un intero capitolo. Solo un'osservazione resta qui da aggiungere: Schmiedel riconosce giustamente che la questione di questi pilastri è una questione di tenuta o caduta dell'intera tesi critica moderna del Gesù puramente umano. “D'altra parte, sono solo questi passi che ci danno la certezza di poter basarci sui Vangeli in cui ricorrono — cioè sui primi tre — almeno in qualche misura. Qualora tali passi mancassero del tutto, sarebbe difficile tener testa all'accusa che i Vangeli ci mostrano dappertutto solo l'immagine di un santo dipinta su uno sfondo d'oro; e perciò non avremmo mai potuto sapere in alcun modo come Gesù fosse apparso in realtà — anzi, forse, se invero fosse mai vissuto” (pag. 17). Noi vedremo vacillare questi pilastri apparenti: che “tali passi” sono “del tutto mancanti”. 

50. È stato notato che è sostenuto davvero enfaticamente dalla scuola contro cui queste pagine sono dirette che il Gesù parlò in immagini che furono poi fraintese. La prova di questo modo di parlare (ma non, naturalmente, di un discorso letterale di Gesù) sta esposta in quasi ogni pagina dei Vangeli, secondo cui la parabola fu la forma preferita del suo parlare. Le parole di Marco (4:33, 34): “E con molte parabole disse loro la parola, come erano in grado di ascoltarla; e senza parabole non parlò loro” non possono essere enfatizzate troppo fortemente. Ecco la testimonianza inequivocabile che l'insegnamento primitivo fu esclusivamente in simboli, e il significato di questo fatto è indescrivibile. Infatti perché questo antichissimo insegnamento fu così rivestito di simboli? Per renderlo comprensibile? Sicuramente no! È detto chiaramente che esso dovette essere spiegato privatamente ai discepoli (Marco 4:34), e che dovette trattenere la moltitudine dalla sua comprensione. “A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono fuori, tutte le cose sono fatte in parabole, perché vedano e non comprendano”; ecc. [2] Appare difficilmente possibile per il linguaggio essere più chiaro. Qui sembra essere descritto un culto segreto di una società segreta; essi si capiscono l'un l'altro mentre parlano in simboli, ma rimane un mistero e incomprensibile per “quelli di fuori”: per tutti tranne che per gli iniziati, membri del regno di Dio. 

NOTE

[1] Che siffatti travisamenti caratterizzassero l'antico pensiero cristiano è ben noto e talvolta riconosciuto francamente. Dice Conybeare (Myth, Magic, and Morals, pag. 231): “Qui vediamo trasformata in episodio un'allegoria spesso impiegata da Filone”. E ancora: “Ciò che è metafora e allegoria in Filone fu trasformato in Storia dai cristiani”. 

[2] Marco 4:11, Matteo 13:11, Luca 8:10.  

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