mercoledì 7 febbraio 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLA AI COLOSSESI (IL PIANO DIVINO DELLA REDENZIONE)

 (segue da qui)

3. IL PIANO DIVINO DELLA REDENZIONE

Fin dall'inizio, l'epistola che dice ai cristiani che la loro speranza è «situata nei cieli» (1:5) domanda loro allo stesso tempo di progredire nella «conoscenza di Dio» (1:10), nella «conoscenza della sua volontà» (1:9). Per «la volontà» di Dio va inteso l'insieme delle disposizioni prese da Dio nei confronti dell'uomo, vale a dire il piano divino. 

Questo piano, che in 2: 2, è chiamato «il mistero di Dio», in 4:3, «il mistero del Cristo», è consistito nel fatto che il Padre, per procurarci l'accesso alla luce, ci ha «strappati al potere delle tenebre» (1:13). Ma quando eravamo sotto l'impero del potere delle tenebre, commettevamo «opere malvagie» che stabilivano un'inimicizia tra Dio e noi (1:21). Ne consegue che «la liberazione» (1:14) di cui siamo stati privilegiati è stata anche una «riconciliazione» (1:20, 21), una «remissione dei peccati» (1:14). Come mai Dio ha realizzato quella duplice opera di liberazione e di riconciliazione? Per «il figlio del suo amore» (1:13). «La pienezza della divinità abita in questo figlio» (2:19), in lui sono anche «i tesori nascosti della sapienza e della scienza» (2:3), tesori che sono identici al mistero di cui si è parlato più sopra. Questo mistero che una volta era «nascosto» non lo è ora; esso è stato «rivelato» da colui che Dio ha incaricato di realizzare il suo piano, vale a dire dal Cristo (1:26, 27). Cosa ha fatto il Cristo per realizzare questo piano? Egli è morto (1:22), poi è risorto (2:12; 3:1). Con lui anche noi siamo morti e siamo risorti. Egli è diventato il nostro capo, noi siamo il suo corpo (1:18,24); tutta «la pienezza» della Chiesa abita in lui (1:19; si veda in Romani 11:25 «la pienezza delle nazioni»).

Ritorniamo ora a Paolo. Anche lui conosce un piano divino la cui esecuzione è affidata al Cristo. Ma questo piano, che comprende due parti, si occupa, nella prima, della Palestina, il cui possesso è garantito ad Abramo e alla sua discendenza. Nella sua seconda parte egli fissa le condizioni richieste per appartenere alla discendenza di Abramo partendo dal principio che la discendenza di Abramo è incentrata nel Cristo. Non vi è nulla in comune tra il piano divino di cui Paolo è l'interprete e il piano esaltato nell'epistola ai Colossesi. Quest'ultimo, di natura spirituale, oltrepassa l'orizzonte dell'apostolo le cui preoccupazioni sono materiali. Concludiamo che l'essenza dell'epistola ai Colossesi è estranea a Paolo. Ma confrontiamola con la cosiddetta letteratura paolina; con gli scritti giovannei e con le lettere ignaziane. La seconda epistola ai Corinzi (5:1) parla della «dimora» che ci attende «nei cieli». Il Cristo giovanneo (Giovanni 8:12) promette a coloro che lo seguono «la luce della vita»; e nella lettera ai Romani (6:2) Ignazio domanda che lo si lasci raccogliere «la pura luce». — Il Cristo giovanneo dichiara (Giovanni 17:3) che la vita eterna consiste nel conoscere Dio, colui che è il solo vero Dio, che era sconosciuto prima della venuta del Cristo e che il Cristo ha fatto conoscere (1:18). Dal canto suo, Ignazio (Efesini 19:3) descrive il turbamento che provarono gli spiriti del mondo quando Dio, che fino ad allora era sconosciuto, si manifestò sotto una forma umana. Il «potere delle tenebre» è menzionato solo nell'epistola ai Colossesi e in Luca 22:53; ma è identico al «Principe di questo mondo», di cui parlano il Cristo giovanneo (Giovanni 12:31; 14:30) e Ignazio (Efesini 19:1; Magnesiani 1:3; Romani 7:1; Filippesi 6:2); identico al «Dio di questo mondo» di cui parla 2 Corinzi 4:4; identico al «Maligno» di cui parlano il Cristo giovanneo (Giovanni 17:15), lo storico di quest'ultimo (1 Giovanni 3:12; 5:18, 19) e l'epistola ai Galati 1:4; identico infine al «Diavolo» di cui parla il Cristo giovanneo (Giovanni 8:44). Il Cristo giovanneo dichiara (Giovanni 12:31) di essere venuto per cacciare il Principe di questo mondo; egli prega suo Padre (Giovanni 17:15) di mettere i suoi discepoli fuori dalle insidie del Maligno; e l'epistola ai Galati 1:4 spiega che il Cristo è venuto per strapparci dal giogo del Maligno. L'epistola ai Romani insegna (5:10) che il Cristo è morto per riconciliarci con Dio di cui eravamo i nemici; spiega peraltro (7:18-25; 8:2) che la nostra carne è una macchina per peccare e, di conseguenza, per fare di noi i nemici di Dio fino al giorno (6: 6) in cui il nostro corpo di peccato è ucciso dal battesimo. Il Cristo dell'epistola ai Romani (5:10) ci ha riconciliati con Dio per mezzo della sua morte, e (8: 3) Dio lo ha inviato nella rassomiglianza della carne di peccato per condannare il peccato nella carne. Infine leggiamo nella prima epistola ai Corinzi (12:27) che i fedeli sono il corpo del Cristo. 

Si vede che le idee che abbiamo raccolto dall'epistola ai Colossesi non sono sconosciute. Tutte si ritrovano altrove. Ma questi testi nei quali le abbiamo incontrate da dove vengono a loro volta? La loro origine non ha nulla di misterioso per noi. Abbiamo acquisito la prova che tutti recano l'impronta marcionita. Tutti, vale a dire quelli delle epistole paoline così come quelli di Ignazio e del Quarto Vangelo, sono usciti dalla scuola di Marcione. Concludiamo che l'epistola ai Colossesi considerata nella sua parte essenziale è marcionita. 

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