lunedì 8 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — L'EPISTOLA AI ROMANI (I SALUTI)

 (segue da qui)

I SALUTI

I saluti del capitolo 16 si dividono in due gruppi. Nell'uno (3-16) si collocano i saluti inviati dallo stesso Paolo. L'altro (21-23) comprende i saluti inviati dai compagni di Paolo. A questo gruppo si può aggiungere la raccomandazione di Febe da parte di Paolo (1-2).

Non vedo alcuna difficoltà nel considerare parti integranti dell'epistola ai Romani i saluti inviati dai compagni di Paolo: Timoteo, Lucio, Giasone, Terzio, Gaio, Erasto (21-23). Paolo ha potuto domandare ai suoi compagni le loro firme al fine di presentarsi ai Romani circondato da una scorta nella quale si trovava Gaio, il principale personaggio della Chiesa di Corinto, poiché la sua casa era il luogo di riunione della comunità. Quindi 21-23 appartengono all'Epistola ai Romani. Si deve dire la stessa cosa della raccomandazione di Febe da parte di Paolo (1-2), raccomandazione che si spiega facilmente supponendo che quella donna abbia portato l'epistola ai suoi destinatari.

Non vale lo stesso di 3-16 che contiene la lista delle persone indicate per nome e salutate da Paolo. In primo piano appaiono Priscilla e Aquila che erano a Efeso pochi mesi prima. Ci viene detto che hanno potuto, nell'intervallo, ritornare a Roma da dove erano stati espulsi per editto di Claudio. D'accordo. Ma come avrebbe fatto Paolo a sapere che riunivano da loro un'assemblea cristiana (5) ?  

Dopo Priscilla e Aquila ventitré persone sono nominate, per non parlare dei quattro gruppi menzionati collettivamente. E, in presenza di quella lista copiosa, il lettore si domanda come Paolo possa conoscere tanti cristiani in una città dove non è mai andato. Ci viene spiegato che questi Romani sono Greci o Asiatici — tra i quali si trovano alcuni ebrei — che Paolo ha conosciuto o a Corinto, o a Tessalonica, o altrove, e che in seguito sono andati a stabilirsi a Roma. Ma quella spiegazione non rende conto di tutti i casi.

Prendiamo ad esempio «quelli di Aristobulo» o «quelli di Narciso». Si tratta di schiavi impossibilitati a emigrare se non con i loro padroni. Ma solo la gente comune doveva emigrare, i ricchi non emigravano. Se, al momento in cui la lettera ai Romani è scritta, Aristobulo e Narciso risiedono a Roma, vi si sono stabiliti da molto tempo. E non si vede né come Paolo abbia conosciuto i loro schiavi cristiani, nemmeno come abbia potuto conoscere questi due personaggi.

In altri casi l'ipotesi di una emigrazione, senza essere assolutamente impossibile, è improbabile. Prendiamo «Asincrito, Flegosìnte, Erme, Patroba, Erma e i fratelli che sono con loro». Siamo qui chiaramente in presenza di uomini che vivono assieme. [1] O meglio, vivevano assieme quando Paolo li ha incontrati o in Grecia o in Asia. Poi, un giorno, sono partiti tutti assieme a Roma.

Quella emigrazione collettiva è probabile? In ogni caso, come mai Paolo sa che, fin dal loro arrivo a Roma, questi compagni non si sono separati e vivono ancora assieme? La stessa osservazione vale per «Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, e Olimpas e tutti i santi che sono con loro», con quella circostanza aggravante che qui ci sono donne.

In sintesi, al momento in cui ha scritto l'epistola ai Romani, Paolo poteva conoscere nella comunità cristiana di Roma solo emigrati partiti recentemente dalla Grecia o dall'Asia; e della vita di questi emigrati non poteva conoscere nulla fin dalla loro partenza per la città imperiale. Ma di fatto egli saluta le persone che non hanno potuto nemmeno emigrare; sa inoltre ciò che molte di queste persone sono diventate dopo la loro presunta emigrazione. Da queste premesse consegue che i saluti contenuti in 3-16 non si rivolgono ai cristiani attualmente domiciliati a Roma.

Non andiamo a concludere che questi saluti siano sprovvisti di autenticità. Essi sono l'opera di Paolo, perché a quale scopo un falsario li avrebbe fabbricati? Soltanto, essi sono rivolti ad una comunità nella quale egli aveva risieduto, di cui conosceva tutti i membri, e che aveva abbandonato recentemente. Quale era quella comunità?

Aquila e Priscilla ne erano membri eminenti, poiché un'assemblea si teneva nella loro casa. Ma noi sappiamo dagli Atti 18 che questi coniugi, dopo un soggiorno transitorio a Corinto, si erano stabiliti a Efeso. Epeneto ne faceva parte ed era il primo uomo convertito al cristianesimo nella provincia dell'Asia; ma la città più importante dell’Asia era Efeso. Si è così indotti a pensare che i saluti di 16:3-16 siano rivolti alla Chiesa di Efeso nella quale proprio Paolo ha soggiornato a lungo.

E ci si domanda necessariamente come questo brano sia giunto a finire nel posto in cui è. Prima di rispondere a quella domanda fermiamoci all’imperativo «salutate». A chi si rivolge questo mandato? Chi è che deve eseguirlo?

L’unica soluzione possibile è dire che l’imperativo «salutate» si rivolge alle persone che si allontanano da Paolo per recarsi ad Efeso. Paolo ha abbandonato recentemente la comunità cristiana di Efeso. Nella città dove è attualmente alcuni fedeli si preparano a partire per Efeso.

Egli raccomanda loro di salutare i cristiani di quella città. E, per dare più importanza alla sua raccomandazione, la consegna per iscritto, designando per nome le persone che devono essere salutate.

Una volta arrivati ​​ad Efeso, i viaggiatori si presentano davanti alla comunità cristiana di quella città ed esibiscono il suddetto foglio che prova agli efesini che Paolo non li dimentica. La Chiesa di Efeso conserva questo ricordo come una lettera.

Più tardi quando, sotto l'impulso marcionita, la letteratura paolina (autentica e fittizia) è messa in risalto, si raccoglie la «lettera» agli Efesini. Ma essendo questo foglio troppo banale per costituire un'epistola, lo si allega all'epistola ai Romani.


NOTE

[1] Scrive Lagrange: «Si direbbe che queste cinque persone formassero un gruppo, poiché altri erano in particolare con loro, meno conosciuti». 

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