sabato 6 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — L'EPISTOLA AI ROMANI (I DEBOLI E I FORTI. I PERTURBATORI)

 (segue da qui)

I DEBOLI E I FORTI. I PERTURBATORI

Da 14:1 a 15:7 si presenta una dissertazione relativa ai rapporti che devono esistere tra i «deboli» e i «forti». Essa ha creato grande imbarazzo ai commentatori che, almeno oggi, la collegano all'oracolo 16:17-20. Cercherò di fare chiarezza su di essa e sulla sua presunta appendice.

Cominciamo col cercare chi sono i «deboli» che non mangiano carne. A quella domanda sono state date diverse risposte che sarebbe troppo lungo discutere qui e che d'altronde sono ora abbandonate. Mi andrò ad occupare solo di quella che è in favore oggi. Secondo quella spiegazione i cristiani deboli sono forse di origine pagana, ma forse anche di origine ebraica. Essi si proibiscono il consumo di carne, non perché temono che la carne venduta al mercato sia stata consacrata agli idoli, ma perché obbediscono a influenze orfiche o essene che hanno inculcato in loro sentimenti di avversione nei confronti della carne. Quanto vale quella interpretazione?

Contiene tre gravi lacune.

Principalmente, essa è incapace di rendere conto del versetto 5 che ci mostra i deboli che «apprezzano un giorno più di un altro». Coloro che, sotto l'influenza delle teorie orfiche o essene, consideravano la carne un'impurità, dovevano necessariamente vietarsi la carne tutti  i giorni, e non solo in certi giorni specifici.

Secondariamente, essa rende incomprensibile l’atteggiamento di Paolo. Perché l'apostolo non condanna queste dottrine che accusano di impurità i beni messi da Dio a disposizione degli uomini? Perché non li denuncia come farà più tardi l'autore delle lettere pastorali (1 Timoteo 4:3)? Lagrange (L'Epître aux Romains, pag. 338, 339), presenta la scusa che segue: «Se queste tendenze fossero esistite nella Chiesa romana sotto una forma così sistematica e deliberata, né i loro sostenitori sarebbero stati così esitanti, né Paolo sarebbe stato così indulgente. Esse erano quindi rappresentate da una piccola massa fluttuante che si lasciava intimidire. Quello che bisogna tenere presente in ogni ipotesi è che i deboli erano meno asceti convinti... che individui timidi». 

Come ha fatto a non vedere che queste osservazioni contraddicono lui stesso? Se i deboli erano «esitanti», se non avevano nulla in comune con gli «asceti convinti», era quindi facile illuminarli. Perché Paolo non li ha illuminati? Perché non ha insegnato la verità a gente che, non essendo accecata dai pregiudizi, l'avrebbe accettata senza difficoltà? La scusa di Lagrange non è quindi efficace. Aggiungo che manca di coesione. Ci viene detto qui che i deboli non erano «asceti convinti». Ma un po’ più oltre, a pag. 339, leggo che questi deboli «passavano dagli scrupoli che erano stati loro suggeriti ad una pratica più libera senza liberarsi dal dubbio». Gli scrupoli sono, per definizione, il timore esagerato di infrangere un obbligo di coscienza. Lagrange si contraddice dunque quando ci presenta i deboli come gente che agiva unicamente per timidezza e senza convinzione. Per sua stessa confessione, i deboli erano stati sedotti da cattivi predicatori che li avevano obbligati in coscienza ad astenersi completamente dalle carni. D'altronde Lagrange ci parla, a pag. 339, di «teorici», di un «partito attivo». Paolo si trovava di fronte ad una condanna. Perché non si è adoperato a riformarla?

Se solo l'apostolo si fosse limitato a lasciare i deboli nel loro errore! Ma va ben più oltre. Egli prescrive ai forti di modellare la loro condotta su quello dei deboli. Interpretati secondo la teoria oggi in favore, i versetti 15:20-22 dicono in sostanza  questo: «Voi che sapete che le carni non sono impure, voi siete nel vero. E coloro che vi si astengono sono deboli. Ma sappiate che questi deboli saranno indotti al peccato se vi vedranno ignorare le pratiche che loro tengono a cuore. Quindi mantenete la vostra convinzione, ma non esca dalla vostra fede interiore. Conformate la vostra condotta esteriore a quella dei deboli e sottoponetevi alla dieta vegetariana».

Così, intorno al 56, vi sono a Roma cristiani che, per scrupolo di coscienza, si sottoposero alla dieta vegetariana. Questi deboli costituiscono solo una «piccola massa fluttuante», non sono nemmeno «asceti convinti». In ogni caso, la maggioranza della comunità cristiana di Roma si è tenuta finora al riparo da quella stravaganza. Ma da adesso in poi non sarà più così. La maggioranza dovrà, per evitare lo scandalo dei deboli, conformare la propria condotta a quella della «piccola massa fluttuante» Naturalmente agirà senza convinzione. Ma è inteso che neanche i deboli ne sono convinti. Insomma nessuno crederà alla necessità dell'astinenza; ma tutti si comporteranno come se ci credessero. Ed ecco l’atteggiamento di Paolo luminosamente motivato!

Terza lacuna, gli esegeti moderni sono incapaci di spiegare come si sia formata la mentalità dei «deboli». Si viene detto di influenze orfiche o essene. Ci viene detto che la religione orfica conteneva, tra altre prescrizioni, quella di non mangiare ciò che aveva avuto la vita. D'accordo. Ma bisognerebbe indicare il canale che ha portato ai cristiani di Roma dell'anno 56 le prescrizioni della morale orfica (lascio da parte le teorie essene, che sono molto misteriose e molto sospette). I deboli che avrebbero creduto di commettere un peccato mangiando la carne sono arrivati a quella convinzione solo dopo aver sentito predicare la moralità orfica. Chi glielo ha predicato? «Timidi», essi hanno subìto l'influenza di uomini che li hanno formati alle pratiche ascetiche senza motivarli. Chi sono gli uomini che li hanno così addestrati?

Lagrange trae la risposta da 16:17. Cominciamo col fare conoscenza di questo testo. (Offro la traduzione di Lagrange): «Vi raccomando, fratelli, di mettervi in guardia da coloro che causano i dissensi e gli scandali, contrari all'insegnamento che avete ricevuto, ed evitateli; poiché questa gente non è affatto al servizio di Nostro Signore il Cristo, ma del loro ventre, e con discorsi attraenti e parole seducenti seducono i cuori dei semplici». Ecco ora le osservazioni che questo versetto suggerisce a Lagrange: «Questi avversari sono i giudaizzanti... Non c'è dubbio che Paolo faccia allusione ai suoi avversari comuni, i giudaizzanti, che egli ha combattuto apertamente nell'epistola ai Galati, ai quali fa allusione in 2 Corinzi 10:7; 11:12, e che indica quasi negli stessi termini come qui in Filippesi 3:18, 19».

Dunque i giudaizzanti lavorano contro Paolo a Roma, e Paolo lo sa. Ma forse non sa che la propaganda a favore delle pratiche ascetiche viene da loro? Ascoltiamo dunque Lagrange, a pag. 373: «Se avessimo avuto ragione a considerare i deboli del capitolo 14 dei semplici fedeli che si lasciano guidare, le guide saranno senza dubbio questi stessi giudaizzanti. Forse avevano giudicato saggio cominciare le loro manovre sul terreno dell'astinenza dove era facile adottare atteggiamenti di devozione. Il rimprovero dell'apostolo che li tratta da schiavi del loro ventre proverebbe che non si era lasciato ingannare da queste maniere». Paolo, si vede, non ignora nulla.

Come mai non denuncia la «manovra» dei giudaizzanti? Lui, il nemico acerrimo dei giudaizzanti, come mai non intralcia in questo caso la loro impresa? Perché non lancia un grido d'allarme dicendo: «Attenzione, questa dieta vegetariana alla quale vi sottoponete è di per sé molto innocua. Ma la gente che vi guida ha le proprie opinioni. Essi vogliono condurvi al giudaismo; e se glielo lasciate fare, vi spingeranno a farlo». Invece di denunciare il pericolo, aiuta i giudaizzanti ad avere successo, si fa loro collaboratore!

Che importa che quella collaborazione si sia esercitata nell'ordine di cose indifferenti alla fede? (osservazione di Lagrange che, come si sa, pretende che i deboli non fossero asceti convinti). Egli ha collaborato, vale a dire ha fatto una cosa impossibile. Quella osservazione toglie alla teoria di Lagrange il suo ultimo rifugio e la riduce a niente.

La prova è fatta che gli esegeti non sono riusciti a collocare il capitolo 14 dell'Epistola ai Romani nel contesto della vita di Paolo. Nessuno dei loro tentativi resiste all’esame. Bisogna cercare qualcos'altro. Cerchiamo. E occupiamoci dapprima dei versetti16:17, 18, nei quali si è creduto di trovare una luce che illumini 14.

In realtà, questo testo ci pone di fronte a due scuole nemiche, di cui l'una è denunciata dall'altra; ed esso stesso è il manifesto della scuola denunciatrice.

Quali sono le denunce di quella scuola? Essa accusa la sua rivale di praticare una moralità lassista; da cui siamo autorizzati a concludere che essa professa una moralità rigorista. Essa la rimprovera inoltre di dare un insegnamento contrario all'«insegnamento ricevuto»; leggiamo l'insegnamento che la parte offesa distribuisce. Essa constata che i suoi stessi discepoli sono sollecitati dal nemico e li mette in guardia contro la propaganda organizzata attorno a loro. Siamo sicuri che essa avesse gli stessi appetiti di conquista e che anch'essa cercasse di crescere a spese della sua vicina. Ecco lo spettacolo che abbiamo sotto gli occhi. Inutile dire che niente di simile ha potuto esistere al tempo di Paolo, poiché i giudaizzanti, i soli nemici cristiani che Paolo abbia conosciuto, non hanno nulla a che fare qui. Zelanti nell’imporsi il giogo della legge, non avevano nulla di uomini voluttuosi, «al servizio del loro ventre».

Ma trasportiamoci nei dintorni del 140. Allora incontriamo cristiani dai costumi rilassati e altri che, per contrasto, praticano una grande austerità. Questi fratelli nemici si rimproverano a vicenda di predicare una dottrina contraria a quella che il Cristo è venuto a portare sulla terra. E ciascuno dei due campi si lamenta delle incursioni che fa l'altro. È a quell'epoca che appartiene il nostro testo. Ecco ciò che esso vuol dire: «Attenzione ai cattolici! Cercano di rendervi dei disertori, di staccarvi da noi e di arruolarvi nel loro clan. Ma la loro dottrina non è quella buona, vale a dire quella che avete ricevuto da noi. E poi conducono una vita di materialisti. Le loro parole, conformi ai loro costumi, lusingano i cattivi istinti. Ma non lasciatevi sedurre da loro e teneteli lontani da voi». È, inutile dirlo, nella scuola di Marcione che quella calorosa esortazione è stata scritta, ed è al gregge di Marcione che si rivolge.

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