venerdì 5 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — L'EPISTOLA AI ROMANI (IL POPOLO EBREO CASTIGATO ADERIRÀ ALLA FEDE CRISTIANA)

(segue da qui)


IL POPOLO EBREO CASTIGATO ADERIRÀ ALLA FEDE CRISTIANA

Il problema dell'incredulità degli ebrei, già discusso in 9:1-13, e 10, è di nuovo sottoposto all'esame in 11 e nella sua appendice 9:14-29.

In 9 — confermato da 4 — l'incredulità degli ebrei lascia intatte le promesse divine perché queste promesse sono state fatte alla discendenza di Abramo e appartengono alla discendenza di Abramo solo coloro che hanno fede in Cristo Gesù; da ciò consegue che gli ebrei increduli non appartengono alla discendenza di Abramo e che le promesse divine non si rivolgono a loro.

In 9 questo espediente è lasciato da parte. Non una sola volta viene detto e nemmeno insinuato che la fede sola dia diritto al titolo di figlio di Abramo. Al contrario si legge al versetto 16: «Se le primizie sono sante,  anche la massa lo è; e se la radice è santa, anche i rami lo sono». In questo testo le primizie, la radice designano i patriarchi e i profeti; la massa e i rami designano il popolo ebraico. Quest'ultimo è legato ai patriarchi e ai profeti da un legame identico a quello che lega la massa alle primizie, i rami alla radice. Quando le primizie e la radice sono sante, anche la massa e i rami lo sono. Poiché i patriarchi e i profeti sono stati santi, ne consegue che anche il popolo ebraico lo è. Ecco ciò che insegna il versetto 16; e il versetto 28, che traduce lo stesso pensiero sotto un'altra forma, dice parlando degli ebrei: «In quanto concerne l'elezione, essi sono amati a causa dei loro padri».

In 9 e in 4 Paolo ha detto: «Ciò che rende discendenti di Abramo e partecipi della promessa che gli è stata data è la fede in Cristo Gesù». Qui leggiamo che gli ebrei sono amati da Dio a causa dei patriarchi e dei profeti di cui sono i figli e che beneficiano dell'elezione concessa una volta ai loro padri. L'opposizione è assoluta, irriducibile; e poiché la tesi che si espone in 4, 9 è di Paolo, quella che ci è presentata dal capitolo 11 non è del grande apostolo.

Di chi è o, ad ogni caso, in quale epoca è stata scritta? Rileggiamo il testo: (1) «Dio non ha respinto il suo popolo... (5) Vi è un resto per l'elezione della grazia... (11) Gli Israeliti sono caduti ma non per soccombere; grazie alla loro caduta la salvezza è arrivata ai pagani. (12) La loro caduta è stata la ricchezza del mondo e la loro diminuzione la ricchezza dei pagani... (15) Il loro rigetto è stata la riconciliazione del mondo... (21) Se Dio non ha risparmiato i rami che lo erano per natura, non risparmierà neanche te. (22) Vedi dunque la bontà di Dio e la sua severità; severità per coloro che sono caduti... (26) Tutto Israele sarà salvato...»

Cosa indicano questo resto e quella caduta e questa riduzione e questi rami strappati dal tronco e quella severità di Dio? Le cosiddette spiegazioni dei commentatori non spiegano nulla e imbrogliano tutto.

Per comprendere qualcosa di questo quadro occorre tradurre: «Il popolo ebraico è stato terribilmente provato; a migliaia e migliaia i suoi figli sono stati massacrati; è proprio ridotto. Ma un resto sopravvive. Dio, che è stato severo con lui, vuole conservarlo. Il popolo ebraico rinascerà, perché (28) è sempre amato a causa dei suoi padri e (29) i doni di Dio sono senza pentimento». L'autore ha sotto gli occhi immense rovine; sia quelle che ha provocato la catastrofe del 70, sia quelle che hanno seguito la rivolta di Bar-Kochba (132-135). Egli vede queste rovine. Ma ha fede nelle promesse divine. Crede che il popolo ebraico rinascerà, che si donerà al Cristo e che, divenuto cristiano, sarà ricompensato.

Attendendo questo felice giorno, adora i giudizi che hanno colpito così duramente Israele. Li adora nella dissertazione 9:14-29. Lì apprendiamo che Dio, padrone della vita degli uomini, è libero di risparmiare chi vuole, di sacrificare chi vuole. Coloro che ha lasciato massacrare erano, per la loro incredulità, «vasi d’ira preparati per la perdizione». Meritavano tutti di perire.

Dio si è mostrato buono preservando tra questi increduli «un resto» (27), conformemente a quanto aveva annunciato per bocca del profeta Isaia, lasciando «il seme» (29) per la nazione ebraica che, altrimenti, sarebbe stata annientata come Sodoma e Gomorra. Questo «resto» e quel «seme» ci mettono di fronte ad una catastrofe che ha quasi travolto il popolo ebraico. La dissertazione 9:14-29, proprio come 11, è stata scritta dopo il 70 o dopo il 135.

Il versetto 15, dove Dio si vanta di avere misericordia di chi vuole, significa: «Ho lasciato massacrare una moltitudine di ebrei; Ne ho preservato alcuni dal massacro; ho fatto ciò che ho voluto e come ho voluto». E i «vasi d’ira» di cui parla 22 designano gli ebrei che perirono nel disastro generale.

Le due dissertazioni di 11 e 9:14-29 sono state scritte o dopo la guerra di Tito o dopo la guerra del 132-135. Ora che questo punto è acquisito, tentiamo a precisare di più. L'autore, che ha penetrato i consigli della Provvidenza, sa che la rovina del popolo ebraico fa parte di piano tracciato in anticipo da Dio. 

Secondo questo piano che comprende due parti, la rovina del popolo ebraico è il mezzo di cui Dio si è servito per convertire i pagani alla fede. Ma, dal canto suo, la conversione dei pagani è il mezzo destinato a procurare la conversione del popolo ebraico. Senza la rovina del popolo ebraico, la salvezza non sarebbe stata accessibile ai pagani. Ma senza la conversione dei pagani i rami ebrei non potevano essere innestati di nuovo al tronco da cui sono stati separati. Ma nel momento in cui scrive l'autore, la prima parte del piano divino è compiuta, poiché (15) «la riconciliazione del mondo» ha avuto luogo e (30) i pagani hanno ottenuto misericordia. La seconda parte stessa è in fase di realizzazione. Paolo — il Paolo fittizio che tiene in mano la penna — nello stesso tempo in cui è l'apostolo dei pagani, si fa anche l'apostolo degli ebrei. Egli cerca di provocare nei suoi fratelli una santa gelosia nei confronti dei pagani (14), vale a dire sentimenti di emulazione sotto l'influsso dei quali, sull'esempio dei pagani, i figli dei patriarchi passeranno a loro volta alla fede cristiana.

Quindi Paolo si sforza di condurre i suoi fratelli ebrei alla fede cristiana. E, in ciò, egli esegue il piano divino. Ma contro questo piano divino sono appena sorti avversari del tutto inaspettati che altri non sono che ex pagani convertiti. Sì, dei cristiani si trovano qui che, perché sono usciti dalle fila del paganesimo, si gloriano a spese degli ebrei, pretendendo che la defezione della razza ebraica è definitiva e che la fede cristiana non deve nulla alla «radice» (18), vale a dire ai patriarchi e ai profeti.

Ebbene! No. Non è così. Senza dubbio gli ebrei sono stati trattati duramente. Ma (23) «se non persistono nell’incredulità, saranno anch'essi innestati; perché Dio può innestarli di nuovo». Questi antichi pagani, al posto di abbandonarsi all'orgoglio, temano per sé stessi; poiché (21) Dio, che non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà nemmeno loro, se (22) non rimangono nella fede. In ogni caso, sappiano (18) che loro non portano la radice ma che è la radice che li porta.

Ecco la situazione ed ecco ciò che occorre spiegare. Si tratta di trovare cristiani che hanno separato la fede cristiana dalla sua radice costituita dai patriarchi e dai profeti, che hanno creduto gli ebrei incapaci di essere «innestati» sul Cristo, senza dubbio a causa del loro attaccamento ai patriarchi e ai profeti. Ma ciò accadde solo a partire dal giorno in cui Marcione ha separato la fede cristiana dall'Antico Testamento. Il capitolo 11 (meno i versetti 7-10) e la sua appendice di 9:14-29 sono frammenti di polemica anti-marcionita. Sono stati scritti dopo il 150. L'autore ha attinto il suo paragone dell'innesto dall'editore marcionita del capitolo 6.

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