mercoledì 3 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — L'EPISTOLA AI ROMANI (GESÙ RESO VITTIMA PROPIZIATORIA)

 (segue da qui)

GESÙ RESO VITTIMA PROPIZIATORIA 

Ancora un'altra interpolazione. Va da 3:21 a 26. Il pensiero è questo: «Il peccato è stato universale. Dio lo ha a lungo tollerato. Egli si è infine deciso a mostrare la sua giustizia giustificando gli uomini gratuitamente per mezzo della sua grazia, vale a dire per mezzo della sua bontà. Il progetto divino è stato realizzato mediante l'opera di redenzione che Gesù Cristo ha compiuto. Perché tutti avevano peccato, Gesù Cristo ha esteso a tutti il beneficio della redenzione»

Se Gesù è venuto per redimere gli uomini dal peccato, non si vede, in effetti, perché non ammetterebbe tutti gli uomini a beneficiare della redenzione, poiché tutti ne hanno un uguale bisogno, essendo tutti immersi nel peccato. È il contrario che sorprenderebbe. Il ragionamento che ho appena letto è dunque in regola con la logica. Aggiungiamo che, dal punto di vista verbale, esso è in regola con il contesto grazie ai due termini: «poiché tutti» che, nel testo, gli servono da introduttori. Tramite il termine «tutti», esso sembra prolungare la frase precedente, che parla della giustizia di Dio concessa a «tutti» i credenti. E mediante la congiunzione «perché» sembra spiegarla. Si ha l'impressione di essere di fronte a una domanda seguita da una risposta: «Perché la giustizia di Dio è concessa a tutti i credenti? Perché tutti hanno peccato»

Tutto va bene finché si resta nell'ambito delle parole. Non è più lo stesso quando si passa all'esame delle idee. 

Rileggiamo il versetto 23: «Perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio». Ho detto che quella osservazione è conforme alla logica. Ma quanto più è soddisfacente, tanto più si è sorpresi delle stravaganze accumulate nei capitoli 4, 9 e 10 per stabilire che si possa essere figli di Abramo e partecipare alla sua promessa senza essere circoncisi. Non che ci si debba stupire nel vedere Paolo imbastire una tesi su argomenti grotteschi. Abituato dalla sua educazione rabbinica a trattare la Bibbia come un grimorio, non poteva minimamente sfuggire a questo risultato. E per giunta la sua esegesi non è più ridicola di quella dei nostri scolastici. Ciò che non si riesce a capire è che si butti a capofitto nei sofismi, per ripetere una dimostrazione che ha già fatto una prima volta seguendo il metodo del buon senso. Quando, a colpi di testi biblici interpretati male, Paolo spiega che si può ottenere la giustizia di Dio senza essere circoncisi, come può non vedere che ha già risolto questo problema con alcune espressioni chiare e decisive? Ma il fatto è lì: non ne ha alcuna memoria. La tesi laboriosa e goffa che si trascina lungo i capitoli 4, 9, 10 ignora totalmente la soluzione perentoria e concisa formulata in 3:23. E di quella ignoranza solo la cronologia è capace di darci la spiegazione: la dissertazione 3:23 non appartiene alla versione di Paolo. 

E non ho detto tutto su questo piccolo brano. Gli ho attribuito lo stesso obiettivo che ha la grande tesi di 4, 9, 10. Ciò è vero solo in parte. Senza dubbio da una parte e dall'altra si vuole provare che tutti possono partecipare al beneficio recato dal Cristo. Ma lì si ferma l'accordo. Il Cristo di Paolo è stato incaricato di realizzare la promessa fatta ad Abramo e di fondare l'impero del mondo. La sua morte che ha subìto non ha affatto annientato la sua missione; l'ha solo ritardata. Il Cristo verrà e regnerà sul mondo. Alla sua gloria saranno associati tutti i veri figli di Abramo, tutti coloro che sono giusti davanti a Dio e godono del suo favore. E per essere giusti davanti a Dio una sola condizione è richiesta: la fede nella resurrezione del Cristo. In questo programma, si vede senza difficoltà che non vi è alcun posto per il peccato e per la redenzione. Il testo 3:21-26 ci trasporta in un mondo che Paolo non sospetta. 

Da dove viene quella interpolazione? Il suo contenuto ce lo dirà. Questi uomini che hanno tutti peccato sono gli stessi che, in 5:12, 19, ci sono presentati come peccatori. Questo Dio, per la bontà del quale gli uomini peccatori sono giustificati gratuitamente, è lo stesso che, in 5:8, fa risplendere il suo amore per gli uomini ancora peccatori. Quella gloria di Dio, di cui gli uomini peccatori sono privati, è la stessa che, in 5:3, è oggetto della speranza degli uomini diventati cristiani. Il brano 3:21-26 — fatta eccezione per alcune parole di cui presto si parlerà — ha la stessa origine del capitolo 5: esso è marcionita. Espone l'opera d'amore compiuta da Dio, il mezzo di cui Dio si è servito per compiere la sua opera e il motivo per il quale Dio è intervenuto. L'opera realizzata è la «redenzione», il mezzo è consistito nel rendere Gesù «propiziazione», il motivo è stato «la manifestazione della giustizia» divina. 

Dio, il Dio buono, ha constatato che gli uomini gemevano sotto il giogo del Creatore: per un senso di pietà, ha deciso di procurare loro la «redenzione», vale a dire l'affrancamento dal giogo crudele che gravava su di loro. Per ottenere questo risultato, ha reso il Cristo Gesù «vittima propiziatoria», vale a dire l'agente di rappacificazione.

Come ha fatto Cristo a diventare agente di rappacificazione? Con la sua morte, alla quale i cristiani partecipano nel battesimo. Il Cristo è stato messo a morte dal Creatore. Ma i cristiani innestati sul Cristo e che sono una cosa sola col Cristo condividono la condizione del Cristo messo a morte. Anch'essi muoiono nel momento in cui sono immersi nel bagno battesimale. Avendo cessato di vivere, cessano necessariamente di essere la proprietà del Creatore che ha dato loro la vita. Quest'ultimo non ha più alcun potere su di loro, poiché li ha messi a morte nella persona del Cristo. Inoltre, avendo sfogato su di loro la sua ira, egli deve essere placato. Il Cristo, lasciandosi mettere a morte dal Creatore, ha dato soddisfazione alla rabbia di questo essere perverso; è stato per lui una vittima propiziatoria. Allo stesso tempo, è stato per i cristiani un liberatore, un redentore. 

Nell'opera di redenzione compiuta dal Cristo, ma la cui iniziativa appartiene a Dio, Dio ci ha mostrato il suo amore, ma ha anche «manifestato la sua giustizia». Aggiungiamo che quella giustizia ha tenuto conto dei diritti del Creatore. Costui è stato, infatti, l'artefice della propria rovina. È stato lui stesso che, mettendo a morte i cristiani nella persona del Cristo, si è reso incapace di esercitare più a lungo il suo impero su di loro. Il suo spodestamento è dunque la sua opera personale.

Il versetto 25, che dice che Gesù è stato reso vittima propiziatoria, aggiunge: «per la fede nel suo sangue». Cosa vogliono dire queste parole? Se si tiene conto solo della logica, si deve tradurre che il Cristo ha compiuto la sua missione propiziatoria in virtù del suo sangue. Ma il testo dice a chiare lettere che il Cristo è stato reso vittima propiziatoria per la fede nel suo sangue. Gli esegeti ortodossi e indipendenti si danno un sacco di pena per conciliare la logica con il testo. Non ci riescono. 

Siamo di fronte ad un'interpolazione il cui pensiero è il seguente: «Senza dubbio il Cristo è stato reso vittima propiziatoria; ma beneficiano dell'opera compiuta dal Cristo coloro soli che credono che Cristo ha avuto sangue, che il suo corpo fosse un organismo ricolmo di sangue come il nostro e non un fantasma; in una parola, il Cristo è vittima propiziatoria per la fede nel suo sangue». L'espressione «per la fede nel suo sangue» è destinata a combattere il Cristo spirituale. Essa è di origine cattolica. [1


NOTE

[1] La stessa origine deve essere attribuita a 21b (la giustizia di Dio, attestata dalla legge e dai profeti). 

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