lunedì 1 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — L'EPISTOLA AI ROMANI (CENSURA DEI PAGANI E DEI CATTIVI CRISTIANI)

 (segue da qui)

CENSURA DEI PAGANI E DEI CATTIVI CRISTIANI

La dissertazione sulla morte redentrice del Cristo è la più importante e la più considerevole dei brani che sono stati interpolati nel trattato della promessa fatta ad Abramo. Ma non è la prima. La precedono due interpolazioni, una delle quali, da 1:18 a 2:29, va studiata ora. 

È un esame di coscienza dei pagani, di un gruppo di peccatori anonimi, e degli ebrei. 

I pagani che hanno conosciuto Dio, che non hanno potuto conoscerlo dalle sue opere, non lo hanno affatto glorificato. Al contrario, hanno cambiato la gloria del Dio incorruttibile in immagini che rappresentavano sia l'uomo che gli animali. Così facendo, hanno commesso un grande crimine. Per punirli, Dio li ha abbandonati a passioni infami.

Ecco altri uomini. Loro non sono pagani, perché giudicano severamente le turpitudini dei pagani e credono i pagani condannati alla riprovazione. Ma la loro condotta d'altro canto non è migliore di quella dei pagani. Commettono gli stessi abomini e credono di poterli commettere impunemente. Da dove viene quella sicurezza? Dal fatto che contano sulla bontà di Dio. Ebbene! Si ingannano. Certo Dio è buono, ma la sua bontà consiste nel perdonare in seguito al pentimento. Se il peccatore non si pente, al posto di un Dio buono troverà un Dio giusto che punirà il peccato ovunque egli lo troverà, senza distinzione di persone. 

Infine, ecco gli ebrei. Essi ripongono la loro fiducia nella Legge. Non la osservano; la infrangono al punto tale da far bestemmiare il nome di Dio tra i pagani. Ma si immaginano che non abbia importanza e che saranno salvati unicamente perché possiedono la Legge, perché hanno la circoncisione. Ebbene! Anche loro si ingannano. La circoncisione sarà loro utile se metteranno in pratica la Legge. Altrimenti non servirà loro a nulla. 

Questo è il senso generale di quella dissertazione. Cominciamo col dire che non è di Paolo. Di questa asserzione esistono parecchie prove.

La prima ci è fornita dal testo 2:25, che ci dice: «La circoncisione è utile se tu osservi la Legge». Secondo questo oracolo, è vantaggioso essere circoncisi posto che si osservi la legge mosaica. Ma Paolo fa di tutto per dimostrare che la fede è tutto, che la circoncisione non è nulla e nemmeno le opere della Legge. Come avrebbe potuto dire qui che, insieme all'osservanza della Legge, la circoncisione è utile? 

Ci viene spiegato che, in 2:25, l'apostolo considera la circoncisione con il valore che aveva una volta o addirittura con il valore che ha ancora nel momento in cui parla. Ma la prima di queste due opinioni travisa il testo, che non pretende affatto di dare una lezione di storia antica e di dire quanto valesse la circoncisione in passato, ma dice semplicemente quanto vale per i lettori ai quali si rivolge. Quanto alla seconda opinione, non coglie il punto, che è quello di sapere come Paolo abbia potuto dire, contemporaneamente, che la circoncisione non serve a nulla, che le opere della Legge sono altrettanto inutili, e che la circoncisione è utile quando vi si unisce l'osservanza della legge mosaica. La verità è che il testo 2:25, che è in opposizione irriducibile con la dottrina di Paolo, non può avere Paolo per autore. 

Non è il solo in questo caso. Gli si devono aggiungere 2:43 e 2:26-29. Questi testi attribuiscono la salvezza all'osservanza della Legge, contrariamente a Paolo che proclama l'inutilità delle «opere», vale a dire della pratica della Legge (9:32). Sembrano meglio accordarsi con Paolo nel disprezzo che professano per la circoncisione della carne, alla quale sostituiscono la circoncisione del cuore. Ma l'accordo è solo apparente. In effetti è esclusivamente alla fede che Paolo sacrifica la circoncisione; e la circoncisione del cuore — se conoscesse quella espressione — sarebbe la fede sotto la sua penna. Per i nostri testi, al contrario, la circoncisione del cuore è la pratica della legge. Tra loro e Paolo vi è contrasto. 

Ma che dire del discorso agli ebrei che va da 2:17 a 24 e soprattutto del discorso all'uomo anonimo col quale esordisce il capitolo 2? Dopo aver parlato di pederastia e di lesbismo, l'autore esclama: «Ti immagini forse, tu che condanni coloro che fanno queste cose e che le fai tu stesso, che sfuggirai al giudizio di Dio?» 

Oggi gli esegeti non sanno bene a chi si rivolgono queste due invettive. Ma trasportiamoci col pensiero presso i cristiani di Roma dell'anno 56, nel momento in cui avevano appena ricevuto l'epistola ai Romani, quella che leggiamo nelle nostre Bibbie. E raccogliamo le loro impressioni. «Non c'è dubbio», dicevano, «che siamo proprio noi ad essere trattati da sodomiti, e che sono proprio le nostre mogli a condividere con noi questo onore! Poiché l'epistola è stata scritta per noi, è anche per noi ad essere rivolto il pacchetto di insulti che vi è contenuto. L'uomo che ci invia questi disgustosi insulti non ha mai avuto motivo di lamentarsi di noi, perché noi non lo conosciamo e lui non ci conosce. La sua impertinenza è quindi imperdonabile. È persino inspiegabile, e non si riesce a capire perché ci abbia assalito così, quando poco fa faceva un elogio esagerato della nostra fede. Per dirla tutta, gli insulti che ci lancia sono talmente sconcertanti che provocano stupore più che indignazione»

La verità è che le invettive di 2:1 e 2:17 sono state inserite artificialmente e a posteriori nell'epistola ai Romani. Se i cristiani di Roma dell'anno 56 le avessero lette, non avrebbero potuto che applicarle a sé stesse, con uno stupore indicibile. Ma queste parole violente rimasero loro sconosciute; l'epistola che ricevettero non le conteneva; esse vi furono aggiunte solo più tardi. 

Ecco il capitolo 2, del tutto provato che si tratti di un'interpolazione.

Passo ora alla dissertazione che comincia con 1:18 e va fino alla fine del capitolo 1. Mette sotto processo il paganesimo; il suo processo morale. Mostra che l'idolatria è la radice di tutti i vizi e che il rifugio della virtù si trova nel monoteismo. E dove tende quella letteratura bellicosa? Il suo scopo è apologetico. Si propone di portare al cristianesimo, unico rifugio della virtù, quei pagani il cui senso morale non è completamente cancellato; di trattenere nell'ovile cristiano quegli ex pagani che sarebbero tentati di ritornare agli idoli. Esercita l'apostolato presso gli uomini che sono attualmente pagani o che lo furono una volta. 

Presso costoro soltanto. Non si rivolge agli ebrei. Non lo vuole; non può. Quale influenza avrebbe su di loro? La loro virtù non ha potuto fare naufragio nell'idolatria, poiché non hanno mai adorato gli idoli e perché il culto degli idoli è persino per loro un oggetto di orrore. E a chi predicherebbe loro la religione cristiana come l'unica depositaria del monoteismo, essi risponderebbero: «Per adorare un solo Dio non abbiamo bisogno di cambiare religione; dobbiamo solo rimanere ciò che siamo; perché il monoteismo è alla base del nostro culto, e il cristianesimo non ne ha il monopolio»

Ho appena messo in scena degli ebrei rimasti fuori dal cristianesimo. Ma nemmeno gli ebrei cristiani avrebbero a che fare col nostro sermone. Infatti, se fossero tentati di abbandonare la religione del Crocifisso, sarebbe ovviamente per ritornare al culto della loro infanzia, non sarebbe per adorare gli idoli. E, contro quella tentazione, l'immagine della perversità degli idolatri non potrebbe fare nulla. 

Dunque la dissertazione apologetica di 1:18-32 si rivolge ai pagani o ai cristiani di origine pagana. È per loro e solo per loro che è stata fatta. Ma abbiamo acquisito la prova [1] che l'epistola ai Romani è stata scritta per cristiani di origine ebraica (Paolo non li conosceva, ma aveva appreso da intermediari dell'esistenza di una comunità giudeo-cristiana a Roma). E si vede la conseguenza che si deduce da queste premesse. La dissertazione di 1:18-32 non è più autentica dei brani che compongono il capitolo 2. Tutto il brano che va da 1:18 a 2:39 è un'interpolazione. 

La dissertazione 1:18-2:29 non è di Paolo. Tentiamo di capire di chi è. 

Il Dio che i pagani hanno conosciuto per le sue opere, che non hanno glorificato ma che avevano il dovere di glorificare, è evidentemente il Dio creatore. Non è certo da Marcione che si rimproverava ai pagani la loro empietà nei confronti del Dio della creazione. L'autore della nostra dissertazione è dunque un teologo cattolico venuto dopo il 150. 

Cosa fa qui? Occupiamoci innanzitutto delle sue intenzioni. Egli si propone di dare in anticipo delle spiegazioni destinate a illuminare la dissertazione dei capitoli 5-8 sul peccato. In realtà la contraddice, amministra ai lettori l'antidoto che permetterà loro di bere in seguito impunemente dalla coppa marcionita. Senza dubbio i pagani sono stati abbandonati da Dio alle loro passioni. Ma non possono prendersela che con sé stessi, perché quella misura è stata inflitta loro solo a titolo di rimprovero. Non è Dio che ha cominciato, ma sono loro. Contro il Creatore, che conoscevano dalle sue opere, sono partiti in guerra rifiutandosi di glorificarlo. Dio li ha puniti. I pagani rinuncino alla loro criminale ingratitudine, e la punizione di cui soffrono sarà revocata. 

I peccatori anonimi e gli ebrei conoscono Dio e lo adorano. Non sono stati abbandonati da Dio ai loro sensi reprobi. Sono dunque — ancor più dei pagani — capaci di fare il bene e di evitare il male. L'autore della dissertazione è proprio di questo avviso; infatti dice ai peccatori anonimi: «Non sapete che la bontà di Dio vi invita al pentimento?» e agli ebrei: «La circoncisione vi sarà utile se osserverete la Legge». Egli presuppone chiaramente che i peccatori possano convertirsi e che gli ebrei siano capaci di adempiere alle prescrizioni della Legge. 

Resta da identificare i peccatori e gli ebrei coi quali ha a che fare. 

Dalla maniera in cui parla dell'osservanza della Legge (2:13, 25, 29), si potrebbe credere che prometta la salvezza agli stessi ebrei non credenti, a condizione che adempiano alle prescrizioni della legge mosaica. Guardiamoci bene dal fermarci a quel pensiero. L'idea non poteva venire a un cristiano del secondo secolo di ammettere alla salvezza degli ebrei nemici del Cristo. Il nostro autore si rivolge a ebrei che credono nella resurrezione del Cristo, che attendono la sua venuta. E se non menziona quella circostanza, è perché va da sé. Gli ebrei ai quali si rivolge hanno dunque la fede, sono quelli che si definiscono i giudeo-cristiani. Essi ripongono la loro fiducia nella circoncisione; e lui dice loro di riporre la loro fiducia nella pratica della Legge. Nel Dialogo 47, scritto intorno al 160, Giustino menziona dei giudeo-cristiani che si ostinano a mantenere le osservanze della legge mosaica e ritiene che questa gente sarà salvata a condizione che non pretenda di imporre il proprio modo di vita ai cristiani che non l'hanno mai seguito o che l'hanno abbandonato. La mentalità di Giustino è affine a quella del nostro autore. La sfumatura che separa l'uno dall'altro verte sul fatto che essi non trattano esattamente lo stesso problema. Ma praticamente entrambi pensano la stessa cosa. 

I peccatori anonimi (1-11) non possono essere pagani, perché condannano tutti i pagani alla dannazione. Sono dunque cristiani, ma cattivi cristiani che si abbandonano alle peggiori turpitudini. Nonostante l'indegnità della loro vita, si aspettano di essere salvati, si aspettano che la bontà di Dio non li confonderà coi pagani e che avrà per loro dei riguardi speciali. Su quale titolo si basa la loro speranza presuntuosa? È sulla loro origine, sul fatto che sono ebrei di nascita e che hanno la circoncisione? Impossibile fermarsi a questa ipotesi, che però ha numerosi sostenitori. Se questi cattivi cristiani sono di origine ebraica, i colpi che l'autore tenta di recare loro qui sono gesti inutili che non li raggiungono, poiché non li attacca nel loro rifugio che è la circoncisione. Egli parlerà presto dei giudeo-cristiani (17-29). Allora saprà ben dirci che questi uomini ripongono la loro fiducia nella circoncisione; e a loro saprà dire che la circoncisione non servirà a nulla finché vivranno male. I cattivi cristiani di cui parla qui sono dunque cristiani di origine pagana. E il titolo nel quale ripongono la loro fiducia, quello di cui, secondo loro, la bontà di Dio non potrà mancare di tener conto, è il loro titolo di cristiani.

NOTE

[1] Si veda più sopra, pag. 12. 

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