martedì 16 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — LA PRIMA EPISTOLA AI CORINZI (RISPOSTE A UN QUESTIONARIO)

 (segue da qui)


RISPOSTE A UN QUESTIONARIO 

Il capitolo 7 risolve vari casi di coscienza posti dai Corinzi e di cui la maggior parte fanno riferimento al matrimonio. Quali sono i diritti e i doveri dei coniugi? Il matrimonio è permesso? Può essere disciolto? Quando uno dei coniugi è infedele, cosa deve fare il coniuge fedele? La donna vedova può risposarsi? Ecc. Le soluzioni che ci sono presentate richiedono alcune osservazioni. Le si troverà più oltre. Fermiamoci prima davanti al questionario per esprimere la sorpresa che ci provoca. 


1. Le domande

È strana questa raccolta di domande che i Corinzi hanno inviato a Paolo e alle quali Paolo ha risposto punto per punto. Strana innanzitutto per la sua abbondanza. È solo nelle grandi città che si trovano i grandi ospedali in possesso sempre dei campioni delle malattie più varie. È solo nelle parrocchie popolose che si riscontrano i casi frequenti e diversi di coscienza. Occorreva che la chiesa di Corinto fosse molto grande per fornire la collezione che presenta il capitolo 7. 

Non è a quella conclusione che ci conducono alcuni testi. Secondo gli Atti 18 Paolo arrivato a Corinto fu espulso nel giro di breve tempo dalla sinagoga dove aveva tentato di fare la propaganda. Allora Tizio Giusto, uomo «timorato di Dio», gli prestò la sua casa. È nella casa di questo ex pagano affiliato al giudaismo che Paolo predicò il Cristo, è lì che vennero ad ascoltarlo. Queste riunioni in una casa particolare non potevano essere estremamente numerose. Nell'anno 53 la chiesa di Corinto era modesta. 

Si dirà che, tra il 53 ed il 55, l'influenza di Apollo si sia fatta sentire e che questo apostolo ardente abbia dato alla chiesa di Corinto un impulso inaspettato? Lo voglio proprio. Ma tra un anno Paolo, di ritorno da Corinto, scriverà in quella città la sua lettera ai Romani e, al momento di terminare quella lettera, dirà che «tutta la chiesa» si riunisce nella casa di Gaio. [1] Da ciò consegue che, anche dopo il passaggio di Apollo, la chiesa di Corinto non aveva assunto un'espansione considerevole. Ciò ci riporta al nostro questionario che, come abbiamo visto, può provenire solo da una grandissima chiesa. Per quest'unico motivo esso non corrisponde alla realtà, poiché i cristiani di Corinto dell'anno 55 non arrivavano sicuramente alla cifra di duecento. 

Consideriamo il suddetto questionario da un altro punto di vista. Esso è stato inviato da Paolo tre anni dopo la sua partenza da Corinto. Esso verte, ciò va da sé,  su problemi che l'apostolo non ha affrontato durante il suo soggiorno in mezzo ai Corinzi. Dico che ciò va da sé. Infatti, quando si pongono domande, è per acquisire delle conoscenze che non si possiedono ancora e non per sentir dire ciò che si sa già. I fedeli di Corinto non potevano invitare Paolo a insegnare loro per iscritto ciò che lui aveva loro già insegnato di persona. E se, per assurdo, essi avevano spinto la leggerezza fino a domandare ripetizioni, Paolo non avrebbe mancato di farglielo loro sapere; egli avrebbe espresso un'osservazione analoga alla seguente che si legge nella seconda lettera ai Tessalonicesi 2:5: «Non vi ricordate che vi dissi queste cose mentre ero ancora tra voi?» Niente di ciò appare nelle risposte che leggiamo nel capitolo 7. Esse si presentano tutte come soluzioni date a problemi nuovi. Quindi durante i suoi diciotto mesi di soggiorno a Corinto, Paolo non aveva mai trattato le questioni sulle quali lo si è interrogato. 

Egli non le aveva mai trattate: ecco ciò che prova inconfutabilmente il questionario partito da Corinto. Ma non aveva potuto esimersi dal trattarle, era stato inevitabilmente indotto a trattarle, almeno la maggior parte di esse: ecco la conseguenza inevitabile del ministero che ha esercitato a Corinto per diciotto mesi, per quanto poco questo ministero abbia avuto un carattere religioso come si è creduto universalmente finora. Vi è quindi contraddizione tra il testo di Paolo e la missione che gli si attribuisce. Da quella contraddizione si dovrà uscire. Concentriamoci per il momento di stabilirne la realtà. 

Si obietta: Paolo ha predicato ai Corinzi la morale cristiana; ne ha posto i principi, ne ha formulato i precetti; ma il tempo gli è mancato per fare di più, per affrontare certi casi più o meno rari, più o meno complessi che non si erano presentati. Questi casi sorsero dopo la sua partenza e i Corinzi imbarazzati domandarono per iscritto delle soluzioni all'apostolo che egli diede loro per iscritto: così si giustifica il capitolo 7. 

Quella spiegazione non ha nulla in sé di plausibile. Si comprende perfettamente che i Corinzi, familiarizzati con le regole generali della morale cristiana ma incapaci di adattarle alle complessità della vita reale, abbiano pregato Paolo di fare al loro posto il lavoro a cui non potevano dedicarsi essi stessi. E sarebbe stato così se le domande poste si riferissero a situazioni particolarmente complicate. Spetta dunque al questionario decidere. 

Per noi è facile ricostruirlo con l'aiuto delle soluzioni che abbiamo sotto gli occhi. Dalle risposte che Paolo ha fatto, vediamo cosa gli si è domandato. Ecco alcune di queste risposte: 

(10) A coloro che sono sposati prescrivo, non io, ma il Signore, che la moglie non si separi da suo marito; se però lei si separa, resti senza sposarsi oppure che si riconcili con suo marito; e il marito non ripudi sua moglie. (28): Se sei sposato, tu non hai affatto peccato e se la vergine si è sposata, lei non ha affatto peccato. — (39): Una donna è vincolata finché suo marito è vivo; ma se il marito muore, lei è libera di sposare chi vuole. 

Questi testi, lo si vede, non contengono traccia di casistica; non decidono che tale principio morale ha o non ha la sua applicazione in un dato caso; essi esprimono, diciamo che promulgano in termini didattici i principi della liceità del matrimonio, della sua indissolubilità, della liceità delle seconde nozze. Da ciò consegue che le domande poste si limitavano a loro volta, nella regione dei principi. E arriviamo così al risultato che avevo annunciato: Paolo ha passato diciotto mesi in mezzo ai cristiani di Corinto senza parlare loro della liceità del matrimonio, della sua indissolubilità, della liceità delle seconde nozze. Durante i primi tre anni che seguirono la sua partenza i Corinzi divorziarono senza scrupolo. [2

Tuttavia, nel giro di tre anni, essi sospettarono che la loro istruzione morale non fosse priva di lacune, e invitarono l'apostolo a completarla. 

Altri due problemi erano relativi al questionario. Uno era relativo alla sospensione dei rapporti coniugali, l'altro ai matrimoni misti. Occupiamoci dapprima di quest'ultimo. 

Alcuni cristiani, alcune cristiane, avevano congiunti pagani; presi tardivamente dagli scrupoli, essi domandavano se queste unioni potessero essere mantenute. Paolo risponde (12-16). Dalle distinzioni nelle quali entra, soprattutto dalla preoccupazione che ha di motivare per mezzo di argomenti adeguati le sue decisioni, si percepisce qui, ancor più chiaramente che altrove, che egli si trova in presenza di un problema nuovo e che mai prima la questione dei matrimoni misti si era posta di fronte a lui. Perché? Di questo fatto non vi è che una spiegazione possibile, ossia che, per tutto il tempo del suo soggiorno in mezzo ai Corinzi, egli non ha incontrato un solo esempio di un coniuge pagano unito a un cristiano o a una cristiana, e i matrimoni misti hanno atteso la sua partenza da Corinto per fare la loro apparizione in quella città. 

Essi sono stati contratti dopo la partenza dell'apostolo? Impossibile fermarsi a quella soluzione poiché i coniugi in questione hanno figli santi, vale a dire cresciuti cristianamente e, di conseguenza, già usciti dalla prima infanzia. [3] Questi matrimoni sono dunque antichi; ciò che in loro è nuovo è la conversione di uno dei coniugi. La domanda proviene da uomini, da donne che erano sposati da molto tempo, che per molto tempo erano restati pagani, che, fin dalla partenza di Paolo, hanno aderito al cristianesimo senza essere seguiti dai loro coniugi e che non sanno se devono restare con questi coniugi o abbandonarli. 

Ecco ciò che deve essere la domanda per quadrare con la storia di Paolo. Ma il testo permette quella interpretazione? Egli descrive una situazione che si presenta frequentemente e di cui esistono già numerosi esempi. Ciò risulta soprattutto da 14: «altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi». La gente a cui si rivolgono queste parole, vale a dire i cristiani o le cristiane uniti a coniugi pagani, costituiscono necessariamente una porzione apprezzabile della chiesa di Corinto. Ma la conversione di un coniuge ad esclusione dell'altro è sempre stata un fatto rarissimo e i matrimoni misti realizzati con quel percorso hanno sempre avuto un carattere eccezionale. Normalmente e secondo il corso ordinario delle cose, ciò che produceva i suddetti matrimoni era l'unione di un uomo precedentemente cristiano, di una donna precedentemente cristiana, con un coniuge pagano. Il testo conosce quindi solo i matrimoni misti contratti dopo la partenza di Paolo. La domanda a fronte della quale ci mette non si adatta alla storia dell'apostolo. Essa è artificiale. 

Al fianco di gente che non sa cosa pensare dei matrimoni misti, il questionario ci mostra altra gente che si preoccupa dei rapporti coniugali e che domanda se non si debbano sopprimerli. Ho detto più sopra che Paolo — se solo la sua propaganda ha avuto un carattere religioso — non ha potuto mancare di predicare la legittimità del matrimonio, vale a dire dare un insegnamento che rendesse impossibili questi scrupoli. Supponiamo  però che abbia mantenuto il silenzio su uno dei punti fondamentali della morale cristiana. In ogni caso, durante i suoi diciotto mesi di soggiorno a Corinto non ha mai detto nulla contro i rapporti coniugali. I fedeli hanno esercitato liberamente i loro diritti di coniugi. Come mai non hanno visto che il silenzio dell'apostolo equivaleva ad un'approvazione? E come mai, tre anni dopo la partenza di Paolo, hanno avuto preoccupazioni su un tipo di vita contro il quale Paolo non aveva mai protestato? Il minimo che si possa dire è che questi scrupoli tardivi sono degli scrupoli molto sospetti. 


2. Le risposte.

Io non mi sono occupato finora solo delle domande. È tempo di far conoscenza con le risposte. Rivolgiamoci dapprima a 28b. Paolo ha appena parlato di coloro che si sposano. Aggiunge: «Costoro avranno afflizione nella carne; ma io ve la risparmio». In che modo la risparmia? Sconsigliando il matrimonio; infatti si riconosce oggi che questo è il senso del suo testo. [4] Resta da sapere se ciò continuerà. 

Ciò continua. Ecco infatti quanto leggiamo: «Il tempo è breve; quelli che hanno moglie siano come se non ne abbiano». Cosa equivale a dire? A credere ai teologi ciò significa che i coniugi devono usare moderatamente del matrimonio e usarne solo in vista della procreazione dei figli. Ma quando si segue il consiglio solo del buon senso, si vede chiaramente che questo testo richiede la soppressione completa dei rapporti coniugali. Poco prima la gente era invitata a non sposarsi; qui le persone entrate nel matrimonio sono fortemente consigliate ad uscirne. 

Ciò continua ancora. In 32-35, ad avviso degli stessi teologi, l'autore constata che il matrimonio nuoce al servizio di Dio, lo intralcia, lo sminuisce e contiene impurità. Di conseguenza lui distoglie i fedeli dal matrimonio, li distoglie da esso nel loro stesso interesse. Li esorta urgentemente al celibato. Mette loro sotto gli occhi un modello. E questo modello che vorrebbe vederli riprodurre è lui stesso (7). 

Ecco la soluzione che dà Paolo al problema dei rapporti coniugali. Diciamo piuttosto: ecco una soluzione. Perché ve ne è un'altra, formulata in tono perentorio in 2-6. Qui ciascun uomo deve avere la moglie, ciascuna donna deve avere il marito; i coniugi devono mantenere i rapporti coniugali; se sono autorizzati a sopprimere questi rapporti, quella soppressione deve essere solo momentanea; la soppressione momentanea a sua volta è concessa solo per tolleranza, perché è ad essa che si applica il versetto 6: «Dico ciò per concessione, non per comandamento»; e questo regime è presentato come l'unica diga capace di arrestare il dilagare delle fornicazioni e degli adulteri.

Tentiamo di accordare 2-6 con 28b-35. Ecco il risultato che otteniamo: «Laddove non c'è matrimonio vi è la dissolutezza, e il solo modo per sfuggire alla dissolutezza è praticare la vita coniugale. Di conseguenza non vi prescrivo di sposarvi, ma per condiscendenza io tollero che contraiate matrimonio (il versetto 6 è generalmente presentato come il commentario di 2). Tuttavia, pensate agli inconvenienti della vita coniugale; quando ci avrete ben riflettuto, spero che quelli tra voi che sono sposati rinunceranno ai rapporti coniugali, e coloro che non sono sposati rimarranno celibi». Questo formidabile discorso senza capo né coda non è forse la prova per assurdo che si è sulla strada sbagliata quando ci si ostina a conciliare le due dissertazioni e si utilizza 6 per quel tentativo di conciliazione? 

La prova è fatta. Ci sono nel capitolo 7 due dottrine relative al matrimonio, due dottrine che si contraddicono, poiché l'una sconsiglia il matrimonio mentre l'altra lo prescrive, e che non possono di conseguenza provenire dallo stesso autore. Siamo in presenza di due scrittori venuti in date diverse. Il più giovane ha corretto il suo più anziano; lo ha corretto per il buon motivo, vale a dire per interpretarlo, per completarlo. Si tratta solo di sapere dov'è la versione primitiva, dov'è l'interpolazione. Problema che abbiamo già riscontrato e che sappiamo come risolvere. 

La prima versione, quella che è necessario interpretare correggendola, è quella che sconsiglia il matrimonio, quella che è intrisa di misticismo marcionita. Essa risale al 140 circa. Quindici o vent'anni dopo un teologo cattolico, pieno di ammirazione per quella morale sublime che circolava sotto il nome di Paolo, ma tuttavia preoccupato degli eccessi ai quali poteva condurre, si è creduto obbligato ad aggiungervi un commentario esplicativo, un commentario che ha messo in primo piano per servire da introduzione. Noi cominciamo coll'apprendere che il matrimonio è obbligatorio, che la separazione dei coniugi è autorizzata per tolleranza per un tempo molto breve. Muniti di questi principi guida possiamo scalare con passo sicuro le cime della moralità marcionita.

Dunque alla base del capitolo 7 si trova una versione marcionita che è stata più tardi corretta e completata. Ecco come si può ricostruire la versione primitiva: 

1 b. È bene per l'uomo non toccare affatto una donna. 7 Vorrei che tutti gli uomini fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il suo dono, l'uno in una maniera, l'altro in un'altra. 8 Io dico a coloro che non sono sposati e alle vedove che è bene per loro restare come me. 9 Ma se non possono contenersi, si sposino; perché vale meglio sposarsi che bruciare. 28b Ma avranno tribolazioni nella carne e io vorrei risparmiarvele. 29 Io vi dico questo, fratelli, il tempo è breve; affinché nell'avvenire coloro che hanno una moglie siano come se non ne avessero; 30 affinché coloro che piangono siano come se non piangessero, coloro che si rallegrano come se non si rallegrassero, coloro che comprano come se non possedessero, e coloro che usano di questo mondo come se non ne godessero, perché la figura di questo mondo passa. 32 Vorrei che foste senza preoccupazioni. Colui che non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, dei modi per piacere al Signore; 33 Ma colui che è sposato si preoccupa delle cose del mondo, dei modi di compiacere sua moglie, 34 ed egli è diviso. Ne è lo stesso per la donna sposata e la vergine. Colei che non è sposata si preoccupa delle cose del Signore per essere santa nel corpo e nello spirito. Ma colei che è sposata si preoccupa delle cose del mondo, dei modi di compiacere suo marito. 35 Io dico ciò nel vostro interesse: non per non tendervi una trappola, ma per portarvi a ciò che è adeguato e opportuno per legarvi al Signore senza distrazioni. 

Questo è il quadro nel quale l'editore cattolico ha inserito le sue correzioni e le sue aggiunte. Per prepararvi il lettore ha immaginato un questionario inviato dal Corinzi all'apostolo che è ritenuto rispondervi e che ce lo fa sapere: «Per quanto concerne le cose di cui mi avete scritto». La prima dissertazione che tratta della legittimità dei rapporti coniugali, 2-7, è allegata alla prima frase della versione primitiva 1b. Ne ho studiato più su il contenuto.

Una parola soltanto qui su «Satana» del versetto 5. Questo personaggio che, nella teologia marcionita, indica il Creatore, ha ottenuto, come si sa, diritto di cittadinanza nella teologia cattolica dopo essere stato preliminarmente trasformato in uno spirito rivoltatosi contro Dio. Il versetto 7:5 è uno dei primi testimoni di quella metamorfosi. 

Una seconda dissertazione, 10-16, stabilisce il principio dell'indissolubilità del matrimonio, ma vi deroga in favore del cristiano o della cristiana il cui coniuge restato infedele si separa. 

In 17-24 incontriamo una terza dissertazione che prescrive ai cristiani di restare nella situazione in cui erano quando sono arrivati alla fede cristiana. I versetti 25-28a sono raccordi destinati a portare senza troppo contrasto il seguito della versione primitiva. In 2-7 il correttore cattolico ci ha spiegato che ciascun uomo deve avere la sua moglie, che ciascuna donna deve avere il suo uomo e che entrambi, salvo interruzioni passeggere, devono prestarsi all'atto coniugale. Ma a partire da 28b egli sarà obbligato a trascrivere la versione primitiva che raccomanda la continenza. Come conciliare queste contraddizioni? Egli se la cava per mezzo di un'idea ingegnosa formulata nel versetto 26: «a causa dei tempi difficili che si avvicinano, è bene per un uomo essere così». Ecco ciò che vuol dire: «Ho chiesto che tutti si sposassero e procedessero all'atto coniugale; tuttavia, a causa della persecuzione che si prepara, vi permetto quanto segue (questo è il senso dell'espressione «essere così»): coloro che sono sposati devono restare sposati, coloro che non lo sono non devono sposarsi. Ecco la mia maniera di vedere (25) chi non si basa su un ordine del Signore». Il raccordo non è molto soddisfacente; ma va tenuto conto della situazione  in cui l'autore si è messo inserendo nella versione primitiva i versetti 2-7. 

Il frammento 36-38 è oscurissimo. Di solito lo si sente dal padre la cui figlia ha superato l'età del matrimonio e che pensa di sposarla per tagliar corto alle interpretazioni malevole che la malignità pubblica potrebbe far correre. Ma nel testo si parla semplicemente di un uomo e della sua vergine e non di un padre e di sua figlia. Siamo intorno al 165. A quell'epoca esistono nelle comunità cristiane delle «sotto-introdotte», vale a dire delle vergini cristiane che abitano con i cristiani (Erma, Similitudine 10:10, 12). L'autore suppone un cristiano preso dalla passione per la sua compagna e gli permette di sposarla. 

Gli ultimi due versetti autorizzano le seconde nozze. L'autore che dà l'autorizzazione aggiunge: «E anch'io  credo di avere lo Spirito di Dio». Prende di mira i dotti che si pretendevano ispirati dallo Spirito di Dio per condannare le seconde nozze. Questi dotti erano i montanisti. I nostri due versetti appartengono alla polemica antimontanista.


NOTE

[1] Lagrange, Epître aux Romains, pag. 17 definisce Gaio «un personaggio abbastanza influente da dare ospitalità a tutti i cristiani di passaggio». E a pag. 376 dice che questo personaggio «dava ospitalità non solo a Paolo che conosceva personalmente, ma ad ogni cristiano che gliela avesse chiesto passando per Corinto». Quella esegesi dell'espressione «tutta la chiesa» è fantasiosa.

[2] La risposta lascia intendere che l'indissolubilità del matrimonio era frequentemente violata; e questo è uno degli indizi che provano, come ho detto più sopra, che la lettera è indirizzata a una grandissima chiesa; ma come conciliare quella pratica del divorzio con gli scrupoli sulla liceità del matrimonio e delle seconde nozze? Mi limito a segnalare qui il problema di cui tenterò più oltre di dare la chiave. 

[3] Estio ammette: «Paolo parla di figli adulti allevati santamente e castamente da genitori che vivono con loro». Ma i figli nati dai matrimoni contratti dopo la partenza di Paolo avevano tutt'al più due anni.

[4] Estio ammette: «egli consiglia la continenza».

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