sabato 13 gennaio 2024

Gli scritti di San Paolo — LA PRIMA EPISTOLA AI CORINZI (INTRODUZIONE)

 


Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?

(Kent Murphy)

Quando i soldati di Cesare presero possesso del nostro paese, furono assorbiti dal vasto territorio di cui si erano appena impadroniti. Ma gli inocularono la loro lingua, le loro istituzioni. E la Gallia ricevette dalla conquista romana un'anima nuova che la trasformò. Qualcosa di simile accadde, intorno al 140, alle comunità cristiane. In quella data furono invasi dalla falange marcionita. Esse l'assorbirono, ma non poterono sfuggire al suo ideale, alle sue aspirazioni, al suo spirito. La conquista marcionita fu una metamorfosi per la Chiesa cristiana.
(Joseph Turmel, Histoire des dogmes, volume 1, pag. 25)

Non ho mai fatto mistero del fatto che l'argomentazione più forte a favore del miticismo è che 1 Corinzi 2:6-8 costituisce la più antica descrizione della crocifissione di Gesù in nostro possesso, una descrizione talmente mitica — individuando, come fa, nei demoniaci “arconti di questo eone” gli esecutori diretti della morte del “Signore della gloria”, senza nessuna menzione di Pilato — che solo una sua stesura posteriore al primo secolo può essere neutralizzata nei suoi effetti altrimenti assai compromettenti per la storicità di Gesù.

Quel brano è l'esempio più vivido di una mistica cristiana, al di là di chi ne sia l'autore reale. Quella stessa mistica però, che Joseph Turmel intende considerare un'iniezione marcionita prima, e cattolica poi, nelle lettere di Paolo l'apostolo. Quella stessa mistica i cui effetti sono chiaramente visibili nei vangeli, con il Vangelo Più Antico essendo proprio l'Evangelion (*Ev) di Marcione: si apprezzi il geniale commentario, ad opera dello stesso Turmel, del  Quarto Vangelo, un autentico punto di non ritorno per la sua esegesi. 

Spostando con Turmel la mistica di Paolo nel secondo secolo, e facendo di Paolo un apostolo che credette Gesù “salvato dalla volontà di Dio perché li guidasse nelle future battaglie”, proprio come in Guerra Giudaica 3:27-28 si descrive il guerriero Zelota Niger di Perea, la probabilità della storicità di Gesù ne esce pertanto rinforzata. Ricordati infatti l'insistenza con cui il miticista Richard Carrier batte il chiodo — e a ragione — su quel pur giusto motto di Carl Sagan:

«Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie»

Ma venendo a cadere quanto di straordinario si potesse dire a pochi anni dalla sua morte, a proposito di un profeta galileo crocifisso da Pilato (la preesistenza e il sacrificio espiatorio, in primis), per credere nella storicità di questo galileo non sarebbe più richiesta una prova altrettanto straordinaria. In altre parole, la angelizzazione (non posso dire: divinizzazione) di Gesù sarebbe talmente posteriore (in pieno secondo secolo, appunto) da non riguardare più il primo secolo e quindi il Paolo storico, il quale pertanto non sarebbe affatto diverso da un seguace di Niger, quanto a fede nella resurrezione del proprio capo martirizzato dai Romani.

Gesù sarebbe dunque trasformato in un dio mediterraneo solo nel secondo secolo e soltanto grazie al fondamentale apporto marcionita, rimanendo, per tutto il tempo che precedette Marcione, solo un martire antiromano (probabilmente sedizioso) ritenuto, al pari di Niger di Perea, “salvato dalla volontà di Dio perché li guidasse nelle future battaglie”

Perché dunque Marcione lo avrebbe praticamente divinizzato? La risposta dovrebbe essere ovvia: per qualcuno che è già mistico, tutto è filtrato attraverso le lenti della sua mistica, foss'anche una miserabile vittima di Pilato. 

Non si parlerebbe più dunque di origini ebraiche del cristianesimo, intendendo per “cristianesimo” la religione basata sulla mistica del “Christo quasi deo” di pliniana memoria, ma piuttosto, per quella prospettiva, di origini marcionite (o simoniane) del “cristianesimo” così inteso. Se l'eresiarca Marcione, oppure il suo maestro simoniano Cerdone, avesse deciso di avvolgere nella sua mistica non Gesù di Nazaret ma Niger di Perea, allora in questo momento sarebbe Niger a figurare come oggetto di culto dei cristiani: c'è una curiosa ironia in questo paragone, visto che comunque il prodotto finale è la santificazione del debole e dello sconfitto, all'insegna della più esasperata ideologia Woke, la vera erede del cristianesimo a duemila anni di distanza, come ben notato da Narve Strand nella sua recensione di Dominion di Tom Holland:

Sono totalmente d'accordo con Holland sul fatto che il movimento woke sia un vero e proprio figlio del cristianesimo (cfr. pag. 504 ss.) Tornando all'immaturità spirituale del cristianesimo: forse non potrebbe essere pronto a garantire il posto dei poveri e dei deboli in maniera reale ed efficace. Il modo in cui esso feticizza la debolezza, il vittimismo, l'esistenza marginale, però, è sicuramente molto cristiano. Nietzsche ha ragione almeno su questo. Non si può ragionevolmente dire che il cristianesimo abbia influenzato il liberalismo politico nel senso lockiano. Il liberalismo identitario di oggi, e il suo gemello l'universalismo progressista, con l'infinito dibattito sui bagni per transgender e la linea utopica sull'immigrazione, tuttavia? È di sicuro un'eredità del Gesù dei vangeli e del cristianesimo. 
(Christianity as the West’s Moral Conscience and Other Myths, pag. 69, acceduto su academia.edu il 13 gennaio 2024)

GLI SCRITTI DI SAN PAOLO

II

La prima epistola 

ai Corinzi 

traduzione nuova con introduzione

e note

di 

HENRI DELAFOSSE

INTRODUZIONE 

La prima epistola ai Corinzi è stata scritta nella primavera dell'anno 55. A quella data Paolo era da circa due anni a Efeso, e si preparava a ritornare a Corinto dove aveva già fatto un primo soggiorno di diciotto mesi. [1] La lettera, così come la abbiamo, segnala e condanna diversi abusi che si erano introdotti nella chiesa di Corinto sin dalla partenza dell'apostolo; risponde a varie domande dei Corinzi; insegna anche vari punti dottrinali. Ma vedremo che c'è motivo di procedere ad una seria sfrondatura.

NOTE

[1] Parlerei nel seguito del soggiorno di diciotto mesi a Corinto; ma noto una volta per tutte che, secondo Atti 18:11 e 18, la sua durata fu probabilmente più lunga.

1 commento:

Giuseppe Ferri ha detto...

Per il commentario, ad opera dello stesso Joseph Turmel, dell'epistola ai Romani, si veda qui.