sabato 19 novembre 2022

IL CRISTIANESIMO AVANTI CRISTOI falsi

 (segue da qui)

— IV —

I falsi

Conviene parlare di falsi, poiché certi sono ancora utilizzati. Ce ne sono di diversi tipi: alcuni sono semplici errori di copisti, o glosse marginali, o aggiunte considerevoli incluse nei testi; altri sono racconti fittizi destinati a presentare un personaggio o a propagandare una credenza. Altri corrispondono a un volo dell'immaginazione: lettera del re Abgar a Gesù e risposta del Salvatore, lettere di Seneca a Paolo e di Paolo a Seneca, discorso del Cristo sulla fertilità della terra, lettere della Vergine a Ignazio di Antiochia, ecc. I nostri vangeli canonici sono falsi nel senso che presuppongono più scrittori e la loro attribuzione a un autore determinato è fittizia. 

La polemica generò falsi pericolosi. Così Giustino afferma nella sua prima Apologia l'esistenza di un rapporto di Pilato a Tiberio a proposito di Gesù. Ma siccome non ne dà alcun dettaglio, senza dubbio non l'ha letto. Inoltre, se questo rapporto è esistito, esso si confonde molto probabilmente con quello di cui parla Tertulliano.

Questo apologeta, infatti, scrivendo intorno al 197, pretende che Tiberio, ricevuto un rapporto che riferiva i miracoli e la resurrezione del Cristo, domandò al senato di ammetterlo al rango degli dèi, che i padri coscritti vi si erano rifiutati, che Tiberio però aveva continuato a favorire i cristiani e minacciato i loro accusatori; Apologia 5.

Questo rapporto non seduce più nessuno; ma alcuni accordano ancora credito al passo 18:63-64 delle Antichità Giudaiche di Giuseppe e ad alcune minori interpolazioni disseminate in questa raccolta da una mano cristiana. Di questo passo si presentano di tanto in tanto versioni parziali e divergenti per accreditare una testimonianza assolutamente negativa. [100]

È stato introdotto dopo Origene, che lo ignora. Secondo G. Fau, Eusebio non lo conosce. [101] Giustino, verso il 160, non lo utilizza contro Trifone: è perché non lo ha trovato in Giuseppe (Weill-Raynal). Secondo Drews, Vossius, nel XVI° secolo, possedeva un manoscritto che non conteneva una sola parola su Gesù. [102]

È chiaro, d'altra parte, che se Giuseppe, intorno al 79, avesse conosciuto la diffusione del cristianesimo raccontata alla maniera cristiana, e la viva opposizione della nuova religione all'ortodossia ebraica, questo antico rabbino non avrebbe scritto una piccola nota elogiativa e insignificante.

Quanto alla versione slava di Giuseppe, è un falso cristiano scritto in Lituania intorno al 1260; un manoscritto greco ha servito da originale. Ma gli altri manoscritti non conoscono il passo; esso taglia la trama primitiva del testo originale e sfrutta l'interpolazione delle Antichità 18:63-64 (edit. Buchon 18:4). 

Altri due testi, di gran lunga più corti, della versione slava, mancano nella maggior parte dei manoscritti e sono visibilmente ispirati dalla tradizione cristiana. Szyszmann ha dimostrato che il testo slavo è stato composto «per uno scopo interessato» e che è servito come tale per più secoli. Secondo lui «il testo russo dell'opera di Flavio Giuseppe perde nella nostra epoca, sembra, ogni importanza pratica». [103]

Giuseppe non è il solo ad argomentare contro la Storicità. Sappiamo da Fozio che Giusto di Tiberiade, in una nuova Guerra dei giudei e in un nuovo Riassunto della loro storia, «non fa alcuna menzione della venuta del Cristo, degli eventi della sua vita e dei suoi miracoli».

Stesso silenzio in Plutarco (46-120), Giovenale (55-140), Marziale (40-103), Persio (34-62), Plinio il Vecchio (23-79), Seneca (2-63), [104] Apuleio (114-190?).

Svetonio (75-160 circa) non fa che evocare l'antico nome cultuale, Chrêstos, e non apporta nulla alla Storicità lasciando supporre che esistessero a Roma adoratori di questo dio a Roma sotto il regno di Claudio. [105]

Il mandeismo non fornisce alcuna prova di un Gesù storico. Il Libro di Giovanni lo identifica con il dio planetario Nebu (Ermes).


È per la prima volta negli Annali di Tacito che sentiamo parlare della condanna di Chrêstos da parte di Pilato e della nascita in Giudea della setta cristiana; Annali 15:44. La nota dello storico latino è inclusa nell'episodio dell'incendio di Roma del 64 e ha dato luogo a tutta una letteratura. L'ipotesi di un falso risalente al XV° secolo e comprendente l'insieme delle opere di Tacito [106] è oggi smentita, [107] ma l'autenticità del passo è lungi dall'essere stabilita. Vi abbiamo notato l'impiego dell'espressione non solum... sed etiam (non solo... ma anche); ma essa è quasi inusuale negli Annali. D'altra parte, il titolo di procurator vi è attribuito a Pilato; ma Tacito (che fu proconsole d'Asia) doveva sapere che il titolo esatto di Pilato era stato quello di praefectus. [108] L'inizio del brano rassomiglia stranamente alla liturgia cristiana.

Volney pensava che le «pretese testimonianze» di Giuseppe e di Tacito siano interpolazioni risalenti al tempo del Concilio di Nicea (325). [109] Noi le riteniamo posteriori all'imperatore Giuliano (331-363); infatti, nella sua polemica con Cirillo di Alessandria, «Giuliano dichiarò che Gesù è stato sconosciuto agli scrittori illustri della sua epoca (o dell'epoca immediatamente successiva)». Ora Cirillo non invoca la testimonianza di Tacito. [110

A parte gli Annali 15:44, il castigo dei cristiani in quanto incendiari sembra ignorato da tutti. Svetonio, che aveva accesso agli archivi dell'Impero e non ha affatto esitato a consultarli, non ne parla. Bisogna aspettare una lettera apocrifa di Seneca a Paolo (IV° secolo) e la Storia sacra della Chiesa scritta intorno al 400 da Sulpicio Severo.

Sulpicio Severo è lui stesso interpolato; infatti il manoscritto del XIII° secolo che Henrique Florez scoprì e pubblicò nel diciottesimo secolo non ne fa menzione. [111] Secondo Estryn alcuni cristiani si erano uniti ai saccheggiatori durante l'incendio di Roma; li si considerò più tardi le vittime di una persecuzione religiosa; Tacito fu interpolato da questo punto di vista. [112]

La Lettera di Plinio il Giovane (144 circa), di cui si è negata l'autenticità totale o parziale, [113] mostra semplicemente i cristiani che si rivolgono al Cristo «come a un dio», quasi deo. Il Cristo (Christos) è il Messia (Mashiah). Noi non vi vediamo una presunzione a favore della storicità di un personaggio il cui vero nome sembra ignorato dall'autore della lettera. Nulla di più bizzarro per l'autore della lettera dell'adorazione del Messia di Israele promosso al rango degli dèi.

Di fatto, gli scrittori ebrei, greci e romani non forniscono alcuna prova dell'esistenza di Gesù. 

NOTE

[100] HERRMANN, Chrêstos, 94-121; FAU, La preuve par Agabius, B.R. 171, 1972. — Su «La transmission des documents historiques et le climat chrétien», v. GYS-DEVIC, C.R. 50, 1966, pag. 9 s.

[101] FAU, Eusèbe de Césarée..., C.R. 94, 1976, pag. 10.

[102] DREWS, o.c., 156.

[103] SZYSZMANN, Recensions, Rev. de Qumran, n° 3, 1959, pag. 458.

[104] A proposito di Seneca opinione contraria e ben discutibile di HERRMANN, o.c., 42-43; v. FAU, Les pièges du vocabulaire chrétien, B.R. n° 164-165, 1970. — Per SANT'AGOSTINO, Seneca ignora totalmente il Cristo: De civitate Dei 6:11.

[105] SVETONIO, Vita di Claudio 25:11.

[106] Tesi del professore bordolese HOCHART.

[107] GAUDEFROY, Les Annales et les Histoires sont-elles de Tacite? C.R. 72, 1971.

[108] FAU, L'authenticité du texte de Tacite..., C.R. 72, 1971; WATSON, Tacite et les chrétiens, B.R. 185, 1975; GUILLET, art. c., pag. 3.

[109] VOLNEY, o.c., 338.

[110] CIRILLO, Contro Giuliano, libro 6; secondo WEILL-RAYNAL, art. c. 29.

[111] DREWS, o.c., 173-4.

[112] ESTRYN, L'incendie de Rome sous Néron, C.R. 108, gennaio-febbraio 1979.

[113] Lettera autentica per l'essenziale; v. FAU, Idée libre, n° 7, 1964.

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