giovedì 17 novembre 2022

IL CRISTIANESIMO AVANTI CRISTOGli Atti degli Apostoli e la Chiesa Primitiva

 (segue da qui)

CAPITOLO II

DOPO «GESÙ»

 I 

Gli Atti degli Apostoli e la Chiesa Primitiva

Da appendice alla storia del loro dio, i cristiani hanno pubblicato gli Atti degli apostoli, sorta di vangelo che pretende di raccontare le prime attività dei discepoli dopo la scomparsa del loro maestro. 

Infatti il libro è dedicato quasi interamente a Pietro e a Paolo. E poi il quadro non ha nulla di figurativo: errori, lacune, apologie, misticismo fanno degli Atti una raccolta difficilmente utilizzabile.

I discorsi sono inventati. Dibelius respinge l'idea che si fondano su fonti. Anche se si ispirassero parzialmente su antichi schemi di cui non si sa nulla, essi non sarebbero storici. Vanno persino contro la Storia quando Pietro si proclama apostolo dei Gentili o quando Paolo dichiara di aver ricevuto il permesso di condurre prigionieri a Gerusalemme i cristiani di Damasco. Il discorso di Gamaliele (5:34ss) contiene «una serie di anacronismi»: [48] la rivolta di Teuda, intorno al 45, è collocata prima di quella di Giuda il Galileo, intorno al 7.

«Incoerenti», si è detto, [49] sono i processi di Pietro, di Giovanni e dei Dodici; 4:3; 5:17-42. Non sappiamo esattamente perché Paolo sia tenuto prigioniero dai Romani e poi inviato a «Cesare»; il suo viaggio è più quello di un missionario adulato che di un prigioniero. Il rinvio di Gesù da parte di Pilato dinanzi alla giurisdizione di Erode Agrippa (4:27) è una «assurdità». [50] La geografia è fantasiosa, soprattutto da 9:51 a 18:14. [51]

Gli errori non sono dovuti il più sovente a fonti incerte o a una memoria difettosa, ma a tendenze apologetiche. Si vuole persuaderci che Gesù e la tradizione cristiana rappresentino il solo giudaismo autentico; ne consegue che il «Messia» è derivato da Davide. L'istituzione dei Dodici è una finzione tendente a giustificare la gerarchia ecclesiastica. [52] Paolo non è «apostolo»; il suo conflitto ad Antiochia con Pietro non è menzionato.

Se l'autore è scarno di precisazioni storiche, è prodigo di meraviglie. Vuole farci credere che ha mangiato e bevuto con Gesù dopo la sua resurrezione (10:4) e che il Cristo ha aspettato quaranta giorni (numero sacro) prima di salire in cielo.

Il suo racconto della Pentecoste «non è niente più che un'invenzione»; [53] allo stesso modo la conversione di 3000 persone e poco dopo quella di altre 5000; 2:36-41; 4:4. Di sua invenzione è il parlare in lingue straniere; 10:44-46. La conversione del proconsole Sergio Paolo (13,11-12) e del centurione Cornelio (capitolo 10) sono solo episodi edificanti, come quello di Anania e di Saffira (5:1-11). Le evasioni miracolose degli apostoli, le loro guarigioni, la resurrezione di Tabità (9:36-42) completano a dare all'opera un carattere di romanzo pio e declamatorio. [54]

Insomma, lo spirito del libro è il «travestimento perpetuo»; [55] è un «documento detestabile» [56] che può essere utilizzato solo con la massima circospezione.


Di chi sono gli Atti e da quando datarli? L'ortodossia li attribuisce a Luca, preteso scrittore del terzo Vangelo. Harnack li situa intorno agli anni 60-64, Goguel intorno agli 80-90, Trocmé tra gli anni 80 e 85. Ma la critica indipendente, con Loisy e Guignebert, li respingono intorno agli anni 130-140. Van den Bergh pensa che non siano anteriori al 150 [57] La sua opinione concorda con quella di Lenzman e corrisponde all'esegesi di Couchoud e di Stahl.

Infatti, Luca, il medico, compagno presunto di Paolo, non ha scritto né il terzo Vangelo né gli Atti. Luca è uno pseudoepigrafo tardivo, che non è probabilmente minimamente anteriore al 180. Il suo stile è diverso da quello degli Atti, come sostiene Clarke, ed esclude la sua appartenenza allo stesso scrittore.

Dal canto loro Couchoud e Stahl, basandosi su statistiche, hanno determinato la stesura degli Atti da parte di due autori principali: l'uno, discepolo di Paolo, ha sentimenti ostili verso gli ebrei; l'altro è conoscitore di Filone, di Giuseppe e lettore assiduo della bibbia; egli fa predicare a Paolo la resurrezione materiale. [58]

Se l'attribuzione a Marcione della prima redazione degli Atti è una pura congettura, è probabile che la seconda spetti a Clemente Romano (145 circa). Loisy pensava già che l'inventore di quell'«opera concertata» potesse appartenere «al personale di spicco della comunità romana». [59]


Cosa possiamo ricavare da questo «libro adulterato» (Loisy)? Al termine del suo lungo studio, E. Trocmé conclude che «bisogna rinunciare a ricostruire la storia delle origini cristiane prima dell'entrata in scena di Paolo». [60] Guignebert mostra che non vi fu collegio apostolico a Gerusalemme, né chiesa vera e propria chiesa, né centro di missioni. [61]

Secondo ogni probabilità, vennero, dalla Galilea o dalla Siria, alcuni piccoli gruppi di missionari, tra cui gli Ellenisti; e il loro fallimento fu disastroso. Paolo non vi si recò all'inizio della sua carriera, perché non aveva senza dubbio nessuno da vedervi. In seguito, ci furono probabilmente alcuni «santi» che si sforzarono senza successo di propagare la Buona Novella nella città dei giudei. Da qui la preoccupazione del Tarsiota di provvedere al loro mantenimento mediante collette; Romani 15:26; 1 Corinzi 16:1; 2 Corinzi 9:1; Galati 2:10. 

Noi non sappiamo nulla della fondazione di comunità apostoliche in Giudea, Samaria e Galilea. Gerusalemme non fece propaganda; niente autorizza a dire che una chiesa diretta dai Dodici vi abbia funzionato. I Dodici, come abbiamo visto, sono un prodotto del folclore; la loro lista è fittizia e controversa. [62]

Inoltre, il loro sacro collegio non ha mai ricevuto né spedito lettere (Ory); i primi termini del vocabolario cristiano, ivi compreso il nome Iêsous, sono greci e non semitici: «Gli originali dei nostri vangeli sono greci; nessuno è stato tradotto dall'aramaico». [63] I detti del Signore sono di «redazione ellenistica». [64]

L'esodo della comunità gerosolimitana a Pella al momento della guerra giudaica del 66-70 non sembra più minimamente ammesso. [65] Sembra inventato per porre il gruppo sotto la dipendenza gloriosa e illusoria degli apostoli.

***

Lo sforzo impiegato per collocare a Gerusalemme il punto di partenza delle missioni a Gerusalemme risulta da una illusione tenace. La chiesa romana, in particolare, ebbe un'origine ellenica e per nulla affatto giudaica. Il fatto è stabilito dalle osservazioni seguenti:

Dei nomi salutati da «Paolo» nessuno è ebraico, salvo Erodione in Romani 6:11;

Su una trentina di primi vescovi di Roma, la metà sono greci, gli altri sono latini;

I primi autori cristiani scrissero in greco, salvo Tertulliano e forse Novaziano;

Le più antiche iscrizioni delle Catacombe sono greche;

La liturgia romana ha conservato formule greche: Kyrie, eleïson (Signore, abbi pietà!); eïs aïônas apo aïônos (nei secoli dei secoli); le parole battesimo, eucarestia, sacerdote, vescovo, papa, sono greche;

«L'uso costante della lingua greca negli epitaffi dei papi è una prova evidente che il greco fu la lingua ecclesiastica della Chiesa romana nel III° secolo»; [66]

I cristiani di Lione e di Vienna inviarono in lingua greca, alle chiese d'Asia, i dettagli delle persecuzioni che li colpirono nel 177; [67]

Nel secondo secolo, «il greco era esclusivamente la lingua della Chiesa; la liturgia, la predicazione e la propaganda si facevano in greco». [68]


L'impossibilità di risalire alle fonti gerosolimitane non è sfuggita a tutti i tradizionalisti. Così, secondo Oscar Cullmann, «l'evoluzione che si ha abitudine ad ammettere: all'inizio un cristianesimo strettamente ebraico, in seguito, più tardi, un cristianesimo ellenistico universalista, non corrisponde alla realtà storica». Per il critico protestante, «già nella comunità cristiana primitiva ci sono state contemporaneamente le due tendenze», essendo la storia del cristianesimo primitivo quella dell'«incontro e dello scontro tra queste due tendenze che esistono fin dall'inizio nella Chiesa palestinese». [69]

La «Chiesa palestinese» è senza dubbio utopica; ma l'autore ha il merito di segnalare due correnti antagoniste in ciò che si crede troppo spesso rappresenti il cristianesimo primitivo.

Però ve ne furono altre, distribuite nella Diaspora sotto forme sincretistiche diverse: «Tutte le comunità cristiane insegnavano qualche gnosi, e ogni scuola gnostica costituiva un focolare cristiano». [70] Esistevano probabilmente tante immagini del Salvatore quanti erano i centri gnostici.

Uno gnosticismo ancora molto pagano è percepibile nell'episodio in cui gli Atti ci raccontano la rivalità tra i Dodici e i Sette (capitolo 6-7). Il numero «sette» infatti era sacro, così come il numero «dodici». «Sette» presiedeva ai corpi planetari; per Filone era «la forma» dei pianeti. «Dodici» designava le costellazioni dello zodiaco. 

Ora la religione dei Persiani era legata al dualismo di Ormuz e di Ahriman. Ormuz aveva nel suo campo «dodici generali» (le costellazioni), e Ahriman aveva nel suo i sette pianeti, infine incarcerati con lui nel profondo degli Inferi. Da qui l'osservazione di Saintyves: «L'opposizione del settenario al duodenario o dei pianeti ai segni dà un'assoluta trasparenza alle maschere che ne fanno i generali dell'armata del cielo». [71

La stessa opposizione ci permette di capire perché i sette «Ellenisti», di origine celeste, furono in conflitto con i dodici «discepoli», anch'essi di origine celeste, [72] e perché i «Sette», malefici per natura, furono espulsi dalla santa città. [73]

Inoltre, conviene sottolineare nel racconto degli Atti due dettagli importanti: Stefano, il capo degli ellenisti, è arrestato su istigazione di giudei sincretisti ritenuti difendere l'ortodossia; Atti 6:9ss. In secondo luogo, Stefano impiega l'espressione Figlio dell'uomo, completamente ignorata dal testo, eccetto che in 7:56. È quella che provoca lo scandalo e la lapidazione dell'oratore.

Non si tratta, infatti, della formula banale che significa «uomo», ma di quella che designa l'Intermediario, il dio salvatore che gli ebrei non vogliono conoscere. Pertanto la fonte della storia è più chiara: essa fu elaborata sotto influenze straniere, probabilmente iraniche. Le rivalità delle sette sono raccontate qui sullo sfondo di un'apocalisse cosmica.

Insomma, non possiamo che concordare con l'opinione di M. Simon e A. Benoît: «Sembra ormai assodato e fuori discussione che non vi fu alle origini del cristianesimo un'ortodossia contrapposta a una o più eresie. Al contrario, nel suo periodo primitivo, il cristianesimo ha conosciuto una molteplicità di forme, un numero considerevole di espressioni che hanno dovuto differire profondamente le une dalle altre». [74]

Ciò è bello e buono. Solo, contrariamente agli esegeti cristiani, noi pensiamo che quella molteplicità di forme primitive non possa accordarsi con la presenza a Gerusalemme di un gruppo apostolico diretto da Pietro o Giacomo. Infatti, la proliferazione primitiva di varie sette non può risultare da un messaggio unico divulgato dai compagni di Gesù. Un insegnamento abbastanza semplice nella sua essenza non ha potuto riflettersi immediatamente  in un'infinità di dottrine discordanti.

 

È tempo di concludere. Non si constata la presenza di una Chiesa a Gerusalemme dopo l'ipotetica Crocifissione. I Luoghi sacri sono totalmente sconosciuti, mentre avrebbero dovuto attirare un popolo fervente. [75] «Tutta l'antichità, per quanto ne sappiamo, ha ignorato la tomba di Gesù, ed essa è stata ritrovata solo sotto Costantino, nel 326, per l'ispirazione del Salvatore e in seguito ad avvertimenti e suggerimenti di Dio». [76]

I ventotto capitoli degli Atti non hanno permesso di scoprire la minima pagliuzza preziosa, il dettaglio veritiero che Gesù sia vissuto nella società degli uomini. Essi provano l'irrealtà del suo gruppo e che le regioni ellenistiche furono il punto di partenza delle missioni.

NOTE

[48] GOGUEL, La naissance du christianisme, 494.

[49] GOGUEL, La naissance..., 494.

[50] GUIGNEBERT, Jésus..., 572.

[51] Cfr. TROCME, Le livre des Actes..., 83-84.

[52] GUIGNEBERT, Le Christ, 1° edizione, 66-68.

[53] GUIGNEBERT, ibid., 117. — Oppure scena residua di un culto orgiastico; cfr. Atti 2:4-7; 14.15.

[54] Gli Atti si sono ispirati al romanzo ebraico Giuseppe e Aseneth oppure hanno attinto dalle stesse fonti. V. le c. rd. di MENARD sugli accostamenti effettuati da BURCHARD; R.H.R., ottobre 1972, pag. 202-3.

[55] LOISY, Les Actes des apôtres, 46.

[56] GUIGNEBERT, Le Christ, 59.

[57] VAN DEN BERGH, o.c., 95.

[58] COUCHOUD e STAHL, Les deux auteurs des Actes des apôtres, in Premiers écrits du christianisme, 203-211.

[59] LOISY, ibid., 42-43.

[60] TROCME, Le livre des Actes..., 217.

[61] GUIGNEBERT, Le Christ, 60-130, soprattutto 116-118, 123. — ORY, Analyse..., passim.

[62] V. sopra, 2° parte, capitolo 2; § Discepoli e amici. — FAU, Le Puzzle..., 340-351; GUIGNEBERT, Le Christ, 68-72.

[63] GUIGNEBERT, Jésus, 31.

[64] BULTMANN, L'histoire..., 371.

[65] Cfr. SIMON e BENOIT, Le judaïsme et le christianisme..., 271; G. LUDEMANN (1980) nega quella fuga dei cristiani. 

[66] DE ROSSI, Iscrizioni cristiane, 1-43; Rom. sotter. crist. II, tav. 29-47, pag. 236-237; allo stesso modo MILMAN, Latine christianity, 1, 27, ecc.; secondo CHASTEL, Histoire du christianisme, volume 1, 89.

[67] Su questo punto v. CHASTEL, ibid., 88-89, 91.

[68] RENAN, Marc-Aurèle, volume 5 dell'Edizione definitiva, 784. — Tra gli epitaffi dei papi che De Rossi ha ritrovato nel cimitero di Callisto, quella di Cornelio (+ 252) è la sola che sia in latino. Non se ne parla di epitaffi aramaici.

[69] CULMANN, Les manuscrits de la Mer Morte, 63.

[70] SAINTYVES, Deux mythes..., 41.

[71] SAINTYVES, ibid., 174-175.

[72] V. sopra, 5° parte, capitolo 2, § 2; Discepoli e amici.

[73] «Il Codice nazareno insiste a più riprese sulla composizione dei sette pianeti, responsabili di tutti i mali»; VICTOR; Jésus n'était pas le Christ, 128-9. — Atti 8:1; cfr. Bible de Jérusalem, III, App. 293.  Per JONAS, i sette «esseri demoniaci» sono Arconti planetari attinti dal pantheon babilonese, o.c., 66. — Contra PETREMENT (o.c. 99 e s.) farli derivare dalla Creazione biblica sembra irricevibile; a) la Creazione è operata da Jahvé, non dagli angeli; b) essa accade in sei giorni, non in sette; c) l'origine del numero sette non è fornita; d) gli arconti figurano in Paolo. Sulla Creazione, v. Genesi, 1:31 e 2:1-2.

[74] SIMON e BENOIT, o.c., 300.

[75] WATSON, Les lettres de Paul..., 24-27.

[76] GUIGNEBERT, Jésus, 604. — Sui Luoghi sacri, v. GOGUEL, Jésus, 454 s.; FAU, Les pèlerinages en Terre-Sainte, C.R. 50, 1966.  

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