giovedì 6 ottobre 2022

IL CRISTIANESIMO AVANTI CRISTOAmbiguità della teologia paolina

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Ambiguità della teologia paolina

Alle concezioni gnostiche della salvezza le epistole di Paolo combinano elementi diversi. Benché la carne del Salvatore fosse celeste (1 Corinzi 15:47), si direbbe che egli abbia sofferto la croce come un malfattore: Romani 1:3; 5:10, 19; 8:34; 14:9; 15:3; 1 Corinzi 8:11; 15:3; 2 Corinzi 4:10; 5:15, 21; 13:4; Galati 3:1, 13; Efesini 2:16; Filippesi 2:8-10; Colossesi 1:20-22.

Paolo ritrae il Cristo che subisce oltraggi, trattato come un peccatore. Divenuto maledizione, egli è appeso al legno, torturato «secondo la debolezza». Egli raccoglie i peccati in sé e li immola nella sua carne al fine di placare l'ira di Dio (Romani 5:10). Grazie alla sostituzione del Giusto con i peccatori, essi sono «riconciliati» con Dio. Qui il Cristo è un Capro espiatorio di concezione ebraica.

La versione di Galati 3:13, che traduce «egli fu fatto peccato» con «fu fatto vittima per il peccato», [44] non pare corretta. Romani 8:3 mostra, infatti, che «il peccato fu condannato nella carne». Ora quella carne è quella del Cristo. È quindi proprio in quanto peccatore che egli può immolare in sé i peccati. Alla dottrina della sostituzione si aggiunge un'altra credenza magica: la distruzione del peccato in una persona che lo incarna momentaneamente. [45]

Si vede da lì che la croce non è più l'antico segno di potenza. Essa è trionfale solo dopo la resurrezione, come strumento di vittoria sulla morte, ma è prima di tutto un patibolo di infamia.

Per cogliere su questo punto il pensiero di Paolo occorre pensare alla legge di compensazione che sottende i miti eroici oltre che l'opinione comune: un vantaggio compensa una debolezza, il bene nasce dal male, un benessere eccessivo conduce alla disgrazia, la rupe Tarpea è presso il Campidoglio... [46

Nella tragedia di Seneca, Ercole sull'Oeta, la tortura dell'eroe è un trionfo, la sua morte gli apre i cieli. Il Maestro di giustizia esseno trova la felicità nei suoi mali: «Il mio castigo è divenuto per me gioia e allegria, le percosse che mi colpirono una guarigione eterna e una beatitudine senza fine»; Inni, P, 9:24-25.

In Paolo, allo stesso modo, la debolezza è il segno della forza: «Quando io sono debole, è allora che io sono forte»; 2 Corinzi 12:9-10. Quando si presenta «tutto tremante» davanti ai Corinzi, crede che sia «una dimostrazione di Spirito e di Potenza»; 1 Corinzi 2:3-4. A sentirlo: «ciò che vi è di debole nel mondo è ciò che Di ha scelto per confondere la forza!»; 1 Corinzi 1:27 b. Fa dire al Signore: «La mia grazia ti basta, perché la mia forza si compie nella debolezza»; 2 Corinzi 12:9.

Ne consegue che il Salvatore trionferà a condizione di subire l'ignominia: incarnazione, svilimento, insulti, oltraggi, crocifissione sono le tappe che permettono l'ascensione gloriosa e la realizzazione della salvezza.

***

Nel complesso, la dottrina paolina è un Mistero. L'apostolo vi fa allusione in Romani 16:25-26 e lo espone in 1 Corinzi 2:6-10: «La nostra sapienza noi la predichiamo agli uomini di età ragionevole; la nostra sapienza non è quella di questo eone, né quella degli Arconti di questo eone, votati alla distruzione. 

Noi predichiamo al contrario la sapienza di Dio, rimasta nascosta in un mistero, e che Dio aveva preparato prima dei secoli per la nostra gloria, e che nessuno degli Arconti di questo eone ha conosciuto; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.

Ma come è scritto, noi annunciamo ciò che nessun occhio ha visto, ciò che l'orecchio non ha inteso, ciò che non è salito al cuore dell'uomo, tutto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. [47] Perché è a noi che Dio l'ha rivelato per mezzo dello Spirito...».

Questo brano ci pone evidentemente al di fuori di situazioni reali e di realtà storiche; non si tratta dei pretesi eventi degli anni 30, ma di una rivelazione spirituale.

Per l'esegesi conservatrice, al contrario, gli Arconti sono capi temporali; l'autore italiano Pesce va fino a dare loro la nazionalità ebraica. [48] Si tratta di un'affermazione gratuita, dalla tendenza apologetica, che vuol far concordare le epistole con i vangeli.

Infatti, il testo paolino è puramente gnostico: non vi si vedono designati nemmeno gli Arconti di questo mondo (Kosmou), ma quelli di «questo eone» (tou aïônos toutou), vale a dire i capi planetari che regnano tra due conflagrazioni cosmiche, e che corrispondono agli Stoïcheïa o Elementi di Galati 4:8-11.

In aggiunta, se gli Arconti fossero agenti umani, la loro «sapienza» si confonderebbe con quella di «questo eone». Ma l'apostolo distingue la loro sapienza specifica da quella di questo eone (1 Corinzi 2:6); essi formano quindi un gruppo a parte, quello dei geni che hanno crocifisso il Signore della gloria.

Infine, nell'ipotesi storicista stessa, non si può pretendere seriamente che ebrei e romani avrebbero condannato Gesù senza conoscere l'uomo e il suo ruolo. In realtà Paolo non ha sentito parlare della mitica Passione degli anni 30, e la sua prospettiva non è quella dei vangeli scritti un secolo dopo di lui.


CONCLUSIONE

Le lettere paoline sono un crogiolo dove credenze venute da orizzonti diversi si combinano meglio che possono. 

Del paganesimo esse conservano la morte e la resurrezione del dio, gli Arconti planetari, l'Immolazione all'inizio delle età, il cui mistero è stato rivelato negli ultimi tempi: Romani 16:25-36; 1 Corinzi 2:6-12. Dallo gnosticismo attingono la creazione del mondo da parte dell'Eone emanato dalla sostanza divina, il Salvatore salvato, la discesa nella materia, il disprezzo della carne, il ritorno al Principio divino. Il giudaismo appare nella credenza nel Giudizio e in un Suppliziato che svolge il ruolo del Capro espiatorio.

Paolo annuncia il cristianesimo evangelico umanizzando l'Eone celeste e facendolo perire sulla croce. La forma di schiavo che riveste il Cristo e la sua «apparenza di carne peccaminosa» contrastano con la maestà del Sommo Sacerdote che l'epistola agli Ebrei vede immolarsi dietro il velo celeste. 

Tuttavia, questi scritti presentano un punto comune: l'umanità del Cristo vi è derivata da considerazioni teologiche: la necessità di essere un uomo al fine di salvare gli uomini, necessità di un corpo materiale perché versi il suo sangue o muoia sul legno.

In Paolo, in effetti, il peccato è entrato nel mondo per la colpa di Adamo: è dunque da un uomo che ne è cacciato; Romani 5:14-19. L'invio del Figlio da parte del Padre suppone una missione che esige la «carne» nella quale il peccato è stato «condannato». Il testo che ne fa menzione, Romani 8:1-3, si trovava nell'edizione marcionita. [49] Così possiamo attribuirlo all'apostolo senza troppe esitazioni; ma non bisogna dimenticare che la «carne» del dio preesistente è stata creata solo in vista di uno scopo specifico e non è che «apparenza»

Ecco perché il Personaggio paolino resta astratto, senza alcun legame con un contesto storico. Pura creazione della fede, non ha nascita. La sua discendenza davidica (Romani 1:3) sembra essere una precisazione [50] dovuta alla generazione successiva e conforme alla tradizione messianica più diffusa. Essa inventerà anche che il Cristo fu «il ministro dei circoncisi» al fine di mostrare che egli ha realizzato «le promesse fatte ai loro padri», gli Ebrei; Romani 15:8. Queste sono affermazioni sciocche nella lingua ebraica.

Più tardiva è l'Istituzione della Cena, frammento di cristianesimo evoluto introdotto in 1 Corinzi 11:23-32, e che interrompe la dissertazione [51] sui pasti profani.


Insomma, si può dire, escludendo alcune interpolazioni grossolane, [52] che il corpus paolino elaborato tra il 50 e il 100 [53] prova che i cristiani di questi tempi non avevano alcuna conoscenza di una vita di Gesù. Nondimeno le Lettere incoraggiano ad ammettere l'Incarnazione e la crocifissione «in debolezza» del dio cosmico preesistente.

NOTE

[44] DE VAUX, Les sacrifices de l'Ancien-Testament, 85.

[45] Contra PETREMENT, o.c., 202-203. Questo autore respinge il carattere specifico del sacrificio.

[46] BROCHER, Le mythe du Héros et la mentalité primitive, passim.

[47] Adattamento di Isaia 64:3 e di Geremia 3:16. — Cfr. Efesini 3:3-11, 18.

[48] PESCE, Paolo e gli arconti a Corinto; secondo NAUTIN, R.H.R., luglio 1979, pag. 98-99.

[49] LOISY, Histoire et mythe..., 74.

[50] Menzione unica della filiazione davidica nell'opera di Paolo, e non autentica per giunta; cfr. GRELOT-BIGARE, L'achèvement des Ecritures, 56; ORY, La croyance de Paul, C.R. 55, pag. 15, 1967.

[51] Questo brano, oltre ad essere interpolato, non può minimamente essere paolino perché nel pensiero di Paolo la carne e il sangue simboleggiano la corruzione, il peccato e la morte.

[52] 1 Timoteo 6:13. La «bella professione di fede» davanti a Pilato è quella che riporta il Quarto Vangelo; DELAFOSSE, Les écrits de Saint Paul, volume 4, 179: «Interpolazione maldestra»; RAGOT, Paul de Tarse, C.R. 40, 1963, pag. 7. — Si tratta peraltro di una falsa Pastorale. — In 1 Tessalonicesi 2:13-16 il punto polemico contro gli ebrei non si comprende; non sarebbe nemmeno un'allusione agli eventi del 70, ma a quelli del 132-135. DELAFOSSE data la lettera «intorno al 165»; ibid., pag. 45-49. — Nell'ipotesi che contenga parti autentiche, essa ha subito importanti rimaneggiamenti che attestano il suo stile e il suo vocabolario; tredici termini non si ritrovano in alcun'altra epistola di Paolo; VON DOBSCHUTZ, secondo GOGUEL, Introduction au Nouveau-Testament, 4, 303.

[53] Per BRANDON, una prima edizione apparve poco dopo il 70, per il Dr ZUNTZ intorno al 100; ma vi furono complementi più tardivi, in particolare le Pastorali (1-2 Timoteo e Tito). Esse suppongono una gerarchia sconosciuta nel I° secolo. La loro autenticità fu respinta da BAUR già nel 1835. — Sugli 897 termini delle Pastorali 304 sono estranei a Paolo; HOLTZMANN, Past., pag. 88; cfr. GOGUEL, ibid., 527. 

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