lunedì 17 ottobre 2022

IL CRISTIANESIMO AVANTI CRISTOL'epistola di Giacomo

(segue da qui)


L'epistola di Giacomo

Documento canonico in cinque capitoli, l'epistola di Giacomo dà consigli ed esortazioni concernenti la ricchezza e la povertà, la fede e le opere, l'uso della lingua,  le malvagie inclinazioni, la pazienza, ecc. 
Molti esegeti la situano in un ambiente soggetto alle influenze ebraiche; Massebieau (1895) e Spitta (1896) la attribuiscono ad un autore ebreo.
Però non si può dubitare della sua appartenenza cristiana: le imprecazioni scagliate contro i ricchi, l'impossibilità della loro salvezza sono al di fuori del giudaismo; e, altrettanto bene, le allusioni all'avvento del Signore e la menzione dei «pastori» della Chiesa. In aggiunta, essendo lo scopo dell'epistola di mostrare la superiorità delle buone opere sulla «fede morta», quell'attacco a malapena velato contro le idee paoline svela un aspetto del cristianesimo nascente.
Chi è l'autore del documento? La critica non ha potuto identificarlo al preteso «fratello» del Signore. [25] Egli non ha letto i Vangeli; altrimenti, osserva il teologo Marty, «non si vede perché non avrebbe trovato nulla da estrarre dai loro episodi narrativi». [26
Alcuni passi richiamano le parole di Gesù secondo i sinottici, ma indirettamente: si tratta di temi di moralità in onore nelle comunità. D'altra parte, se l'autore conosce l'opposizione tra fede e opere, non si è potuto dimostrare alcun contatto letterario tra la sua epistola e quelle di Paolo. [27] Non ha nemmeno una parentela definita con l'Apocalisse, l'epistola agli Ebrei e la letteratura giovannea. Si avvicina piuttosto a Pietro, al Pastore e alla Didachè
In base al suo contenuto, lo scritto è di un ebreo per razza [28] legato vagamente alla religione dei suoi antenati: egli non impone la circoncisione né il regime delle osservanze legali. Il nome dell'autore è fittizio.
Il messaggio presuppone una chiesa già antica, che contava ricchi e poveri, e dove degli abusi si sono insinuati; Giacomo 2:6; 4:1. Il momento della sua stesura è difficile da precisare. Marty esita tra il 75 e il 125 e finisce per adottare l'anno 85; Van den Bergh lo colloca «intorno al 130 o 140». Quella datazione ci pare un po' tardiva a causa della teologia rudimentale dell'epistola; la prima un po' precoce a causa dell'esperienza della vita comunitaria. Sembra che abbiamo un mandato adattato in forma di lettera, e scritto quando i vescovi poterono manifestare la loro autorità senza rivendicarsi ancora di una qualche gerarchia. Può risalire agli anni 100.
Per quanto canonico possa essere, il nostro pseudepigrafo è avaro di cristianesimo. Del Signore conosce la glorificazione (2:1), ma non sa nulla del Gesù terreno. Non lo evoca nemmeno per predicare la pazienza in mezzo alle prove. [29] Egli prende per esempi di rassegnazione i profeti, in particolare Giobbe (5:10-11), ma dimentica Gesù Cristo!
Ben di più, i grandi tratti dei Vangeli sono omessi: «Non soltanto», constata Marty, «il nostro autore ignora o passa sotto silenzio ogni tradizione sulla preesistenza o sulla nascita miracolosa, ma i numerosi echi del messaggio evangelico che fa intendere sono appena stati esposti senza che egli senta il bisogno di presentarli come parole del Signore». Da  nessuna parte [...] egli menziona la morte di Gesù sulla croce, cosicché non si può minimamente dubitare che egli si fosse astenuto dal vedere in essa un elemento costitutivo dell'opera di salvezza. [30] Egli non ne ha mai sentito parlare.

Così, in quella epistola scritta per l'edificazione dei fedeli, non troviamo nulla che richiami la vita di Gesù o il suo insegnamento o la sua Passione; i riferimenti sono fatti alle Scritture. Siamo costretti ad ammettere che il messaggio di Giacomo è stranamente lacunoso. 

NOTE
[25] MARTY, L'épître de Jacques, 243-8.
[26] MARTY, ibid., 259.
[27] MARTY, o.c., 260.
[28] «Abramo, nostro padre...»; Giacomo 2:21.
[29] MARTY, ibid., 280.
[30] MARTY, ibid., 269. 

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