sabato 1 ottobre 2022

IL CRISTIANESIMO AVANTI CRISTOL'Epistola agli Ebrei

 (segue da qui)

— II —

L'Epistola agli Ebrei

Pressappoco contemporanea all'Apocalisse, l'epistola agli Ebrei è di un'ispirazione di gran lunga più elevata. Scritta nella sua sostanza negli anni 60, mette in mostra un Sommo Sacerdote celeste che dà agli uomini la Salvezza mediante il suo sangue.

Questo Sacerdote è il Figlio di Dio e suo primo ministro; siede alla sua destra, crea il mondo, comanda gli Elementi; 1:1-7. Poi, avendo ricevuto l'ordine di compiere la Salvezza (5:8), egli è abbassato per un po' di tempo al di sotto degli angeli prendendo carne e sangue; 2:9. Quella materializzazione era necessaria perché occorreva un uomo per salvare gli uomini (2:14-15) e perché forniva la condizione per un sacrificio cruento. 

Una volta umanizzato, il Cristo subì tentazioni e sofferenze al fine di diventare, per assimilazione all'umanità misera, una vittima compiuta. Allora soltanto divenne degno di ricevere l'ordinazione che lo elevò al rango del personaggio biblico Melchisedec, re-sacerdote, estraneo a ogni famiglia umana; 7:3. E allo stesso modo in cui Melchisedec aveva spodestato il sacerdozio levitico, così il Cristo sostituì all'antica Alleanza conclusa tra Jahvé e Mosè un Patto nuovo sigillato col suo sangue. 

Infatti, come il sangue di una vittima perfetta è superiore a quello delle bestie, così l'Alleanza nuova prevale sull'altra, ormai superata; 7:15s; 8,13.


ORIGINE DELL'EPISTOLA

L'epistola fu ammessa al canone solo nel IV° secolo. Per molto tempo la si attribuì generalmente a Paolo, e quella opinione fu avallata dai concili di Trento (8 aprile 1546) e del Vaticano (24 aprile 1870). Ma dal 24 giugno 1914 la Chiesa ammette una «autenticità indiretta». [5]

Una redazione paolina, infatti, non è più riconosciuta. Innanzitutto, non abbiamo a che fare con una lettera, se non negli ultimi versi, ma con una dissertazione suddivisa in piccole omelie. In secondo luogo, il vocabolario dell'apostolo non corrisponde a quello di Ebrei: secondo Jacquier, su 992 parole del lessico dell'epistola, 292 non si ritrovano in Paolo. In compenso, termini familiari al Tarsiota non figurano nel nostro documento: vangelo, schiavo, mistero, ecc. Infine, la frase tagliente delle missive paoline è molto diversa da quella del didascale.

Sarebbe anche vano attribuire agli evangelisti la paternità del testo. L'esame dei passi reputati paralleli ci ha fatto respingere quella conclusione; Gesù è quasi sempre silenzioso in Ebrei, egli parla spesso nel Vangelo; lo sfondo teologico del messaggio agli Ebrei è completamente ignorato dai narratori.

Esistono, a dire il vero, alcune rassomiglianze tra il Quarto Vangelo e il nostro testo; ma le differenze sono di gran lunga superiori; e siccome lo scritto giovanneo è molto tardo (poco prima del 160), la lettera non gli deve nulla. Si possono solo ritenere delle fonti comuni.

L'origine dell'epistola va ricercata dalla parte di Alessandria, da un discepolo di Filone, forse Apollo. Allo stesso modo del Logos filoniano, il Cristo è l'Emanazione del Signore, suo Primogenito, suo erede; è senza peccato, intercessore permanente, ecc. Altre qualità provano pure che le opere del teologo ebreo erano note all'istruttore degli Ebrei. [16]


SCRITTO ESSENO?

Un'altra influenza è quella dell'essenismo. Le parenesi sono spesso simili: salvezza per mezzo della fede, necessità di istruzione religiosa, dell'ortodossia, della sorveglianza reciproca; doveri di fratellanza e di ospitalità, messa in comune delle risorse, orrore per l'apostasia.

Lo stile presenta analogie con quello dei documenti di Qumran: offerta delle labbra, radice amara, simbolo delle mani e delle ginocchia, della terra fertile o sterile, ecc. [17]

Però la lettera non è essena: innanzitutto perché i punti significativi cadono quasi sempre nelle interpolazioni; [18] in secondo luogo perché le persecuzioni che avrebbe subìto il Maestro di giustizia non trovano alcuna eco nel nostro testo: esso presenta il suo Eroe abbassato per un tempo, la sua umanità fu solo effimera.

E poi il Salvatore dell'epistola non è un Messia sofferente; non ha per nulla per prototipo il Servo di Isaia o il Giusto dei Salmi; non deve nulla ai lamenti degli Inni. Le sue sofferenze hanno un solo scopo: assimilarlo all'umanità; 2:10-15. 

Si possono quindi attribuire all'essenismo solo dei rimaneggiamenti tardivi. Il contributo filoniano, al contrario, appare fin dalla prima redazione del testo; ma malgrado un gnosticismo comune, la teologia di Filone non è essenzialmente quella del documento.


L'EPISTOLA NON È CRISTIANA

L'epistola non è cristiana né per i riti né per la cristologia. I sacramenti si limitano all'imposizione delle mani e alla dottrina dei battesimi; 6:2. Non si tratta della cerimonia cristiana, che non si ripete, ma di abluzioni; «Accostiamoci con un cuore sincero... e il corpo lavato con acqua pura»; 10:22-23.

L'eucarestia non appare. «È strano», dice padre Spicq, «che in uno scritto interamente dedicato al culto, al sacerdozio e al sacrificio del Cristo, non si faccia alcuna menzione esplicita dell'eucarestia». [19] Molto strano, in verità!

Per colmare una lacuna così pericolosa, ci si è sforzato di introdurre il sacramento per via di allusioni, soprattutto Loisy. [20] Ma se si esaminano le espressioni che trae nel senso che gli interessa, «avendo gustato il dono celeste» (6:4-6), «il sangue dell'Alleanza» (10:29), la «comunione» (13:15-16), si arriva a conclusioni opposte alle sue. Holtzmann pensa addirittura che la lettera combatta l'eucarestia sconsigliando gli alimenti «senza profitto» (13:9) e opponendo loro «l'offerta delle labbra» confessando Dio; 13:15.


Il personaggio centrale, il Cristo, è un dio preesistente e demiurgo; capitolo 1. Si riveste di carne solo per obbedienza; 2:9 b, 10 b; 5:8. In nessun momento il didascale lo mostra sulla terra; nessuna nascita verginale o altro. Come Melchisedec, suo prototipo, egli è «senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio né fine di giorni»; 7:3. Nessuna menzione di Maria, di Giuseppe, dei fratelli, delle pie donne. Neppure si intravedono gli apostoli, i testimoni e gli attori del dramma del Calvario, da Pilato ai semplici ladroni.

Ancora più gravi, dal punto di vista della storicità, sono il silenzio e l'inerzia del Cristo. L'autore fa allusione alle sue parole solo in 1:2; lo fa sentire solo in 2:12-13 per il tramite del Salmo 22:23, di Isaia 8:17-18, e in 10:5-7 secondo il Salmo 40:7-9. Le sue poche parole, che non hanno evidentemente niente di storicità, hanno per scopo di affermare la sua materialità. Esse sono dogmatiche. 

I suoi miracoli sono ignoti al didascale. Non ne cita nessuno, mentre accumula, nel capitolo 11, quelli che ricava dall'Antico Testamento. Argomentazione bizzarra,  silenzio singolare poiché si tratta di dimostrare la superiorità dell'Alleanza nuova sull'antica! Chiaramente il nostro autore non sa assolutamente nulla di una vita di Gesù.

Infine, egli presenta il sacrificio purificatore non sulla terra ma nel cielo. Promosso Sovrano-sacerdote «secondo l'ordine di Melchisedec», il Cristo usa le sue prerogative sacerdotali per passare «dietro il Velo» dei cieli. È lì che, da «sacerdote e vittima» (Couchoud), è sgozzato sull'Altare «che non è fatto da mani» (umane). [21] E il suo sangue sgorgò, più efficace di quello con cui Mosè aspergeva il popolo; capitolo 9. Aspersione celeste e non crocifissione terrena, ecco ciò che emerge dallo sfondo antico dell'epistola! Alcune minime interpolazioni utilizzate dall'esegesi tradizionale non possono mascherare il senso profondo del messaggio. [22]


IL MITO

Il concordismo non fa dimenticare l'assimilazione del Cristo a Melchisedec, né l'ignoranza dei detti e dei fatti del Salvatore; le numerose citazioni scritturali non compensano la mancanza di informazioni concernenti la sua vita.

Altrettanto bene, ogni esistenza normale è esclusa; egli ha assunto solo «un po' di tempo» la carne; 2:9. Non è vissuto; è solo «apparso» e «sarà visto» una seconda volta; 9:26, 28.

Ma è forse la morte del Figlio che contraddice più chiaramente i racconti evangelici. Essa implica il valore del sangue come agente di purificazione; e quella credenza proviene dal culto ebraico: Ebrei 9:13-14, 19-23. Il sangue agisce da sé grazie ad una virtù quasi magica; è indipendente dalla sofferenza e non ha nulla a che vedere con la nozione del Capro espiatorio. Ecco cosa dice giustamente Hollard: «L'idea che Gesù potesse, al posto dei peccatori, sopportare la loro pena è assente dall'epistola perché l'idea di sostituzione è estranea al rituale levitico. Nel sacrificio di Gesù, come nel rituale levitico, la purificazione per mezzo del sangue è completamente estranea alle sofferenze e alla morte che accompagnano l'effusione. Se tuttavia si tratta di sofferenze, sono quelle che Gesù ha sperimentato in quanto essere umano interamente simile ai suoi fratelli». [23]

Diciamo pure che la sofferenza è immaginata per perfezionare l'assimilazione della vittima all'uomo; il testo lo indica espressamente. Non si tratta di rendere perfetto moralmente perfetto il Sommo Sacerdote senza peccato, ma di completare (greco téléiôsaï) la sua condizione umana facendolo soffrire; 2:10. 


Il sacrificio si compie dietro il velo azzurro che separa il cielo dalla terra: «Non è affatto in un santuario fatto da mani d'uomo, imitazione del vero, che il Cristo è entrato, ma nel cielo stesso, al fine di presentarsi per noi davanti al Volto di Dio. E non vi è entrato per offrirsi spesso lui stesso»; 9:24-25 a.

Dal momento, quindi, in cui il Cristo è entrato nel cielo «per offrirsi», è perché non si era ancora «offerto», vale a dire dato in sacrificio, prima di penetrarvi. Egli vi sale ben vivo; e il suo sangue bagna l'Altare celeste senza dover nulla al «colpo di lancia» inferto ad un cadavere che non poteva minimamente sanguinare; Giovanni 19:34.

Insomma, l'epistola non è cristiana né per i riti, né per il mito dell'Aspersione sanguinosa, e nemmeno per la sua concezione della salvezza: essa presenta una teologia del sangue, non della croce. [24]


L'EPISTOLA È EBRAICA...

Il messaggio si ispira essenzialmente al giudaismo: Dio è l'ordinatore del Sacrificio come un tempo Jahvè; il suo Primogenito (1:6) rappresenta la vittima abituale dei semiti; possiede la purezza rituale; è re-sacerdote secondo le dignità di Melchisedec; la sua intronizzazione corrisponde a quella del Sommo Sacerdote ebraico; la sua consacrazione è garantita da un giuramento analogo a quello che ricevette Abramo (7:5); il santuario celeste è una replica del Tempio; il Velo e la Porta corrispondono alla tenda e al pannello di ulivo che chiudevano l'ingresso al santo dei santi; l'Aspersione cruenta con cui il Cristo inonda l'universo è simile a quella che Mosè compì sul popolo. La credenza nell'efficacia di quella doccia anima la fede del didascale; contrariamente a certe affermazioni, [25] egli non combatte realmente il giudaismo, egli prende un punto di appoggio su di esso per elevarsi ad una concezione superiore della salvezza.

Infine, il mito dello sgozzamento deve la sua origine all'immolazione del re-sacerdote o del suo sostituto presso gli Ebrei prima della Cattività (J.-M. Robertson). Gli Antichi accompagnavano la vittima presso la famiglia di Abtinas, che preparava l'incenso; gli si faceva prestare un giuramento e ci si separava piangendolo. [26]

Zaccaria 12:9-14 fa allusione a un personaggio misterioso sul quale si facevano le lamentazioni rituali alla maniera di quelle di Hadad-Rimmon; egli era sacrificato nell'interesse di Gerusalemme. Il Talmud di Babilonia precisa che si trattava di un «figlio di Giuseppe». [27

Possiamo concludere da ciò che l'epistola è ebraica non solo nei dettagli dell'organizzazione del Sacrificio, ma anche nella sua ispirazione fondamentale. 


...MA DI UN GIUDAISMO ETERODOSSO

Tuttavia, l'ortodossia non ha fornito la nozione di un messia pacifico che si immola per l'umanità. La credenza in un Salvatore universale proviene da una setta sincretistica che aveva subìto l'influenza dei Misteri. Era vicina a quella dei Melchisedechiani, che l'autore dell'epistola voleva convertire. [28]


CONCLUSIONE

L'epistola agli Ebrei è forse il testo più maltrattato dall'esegesi tradizionale. Perché essa fa di uno scritto ebraico eterodosso un documento evangelico. Vuole, contro tutte le probabilità, trovare una vittima di Pilato sotto i tratti del Sommo Sacerdote che si immola nei cieli. 

Ma una volta eliminati i commentari distorsivi, l'opera appare chiaramente come l'espressione di una gnosi precristiana. Ecco perché non si trova nulla a proposito dell'umanità del Cristo. Egli è un'Ipostasi, un secondo dio incaricato della salvezza e appena in via di umanizzazione.

Così il messaggio agli Ebrei si ricongiunge all'Apocalisse. Malgrado le loro divergenze profonde, questi scritti appartengono a sette che ignorano la storicità del Cristo e sono dominate dalla teologia del sangue.

NOTE

[15] SPICQ, L'épître aux Hébreux, volume 1, capitolo 6.

[16] Se «ogni influenza diretta pare poco verosimile» a padre DANIELOU (Philon d'Alexandrie, 213), il padre SPICQ vede in Filone il «predecessore» dello scrittore di Ebrei; L'épître aux Hébreux, volume 1, pag. 76; «La cultura alessandrina dell'autore e la sua dipendenza in relazione a Filone sono certe...»; L'épître aux Hébreux et Qumran, in Revue de Qumran, n° 3, pag. 389.

[17] SPICQ, L'épître aux Hébreux, in Rev. de Qumrân, n° 3, 1959, pag. 365 s.

[18] Le ultime sono probabilmente di Clemente Romano, intorno al 140. 

[19] SPICQ, o.c., volume 1, 316.

[20] LOISY, Les mystères païens..., 2° edizione, 337-8.

[21] La scena si svolge nel santuario celeste: Ebrei 4:14; 6:19-20; 8:1-2, 4; 9:11-12, 23-25; 10:11-12, 19-20; 13:12-14. In questi ultimi versi, «la porta» è quella dei cieli.

[22] WATSON, L'épître aux Hébreux et l'Historicité, C.R. 78, 1972.

[23] HOLLARD, L'apothéose de Jésus, 189. — Ebrei 5:7, dove certi vedono un'allusione alla scena del Getsemani, è un adattamento del Salmo 22, in particolare del verso 25.

[24] Sulla dottrina del sangue, v. Ebrei 6:19-20; 8:1-2; 9:11-14, 22-26; 10:10-12, 19-20, 29. — In 6:6 la traduzione «crocifiggere di nuovo» è un errore; HERING, L'épître aux Hébreux, 60. — La menzione fuggitiva della croce (12:2) è un'interpolazione che contraddice l'insieme del testo. Essa imbarazza la Storicità, perché la crocifissione non è un supplizio cruento e non si sa come armonizzarla con l'offerta celeste del sangue; HERING, ibid., 88. — L'interpolazione va da 12:1 a 12:12 che continua il verso 1 e non il verso 11 (temi del fardello e della corsa). — La pericope 7:14 concernente il Signore «uscito da Giuda» contraddice 7:3 che lo fa «senza padre né madre, senza antenati», e 7:15-16 che nega il sommo sacerdozio alla «legge di un'ordinanza carnale». Essa è tardiva. 

[25] In particolare l'Epître aux Hébreux, traduzione ecumenica della Bibbia; v. le nostre obiezioni in C.R. 78, 1972.

[26] ORY, Le Christ et Jésus, 180.

[27] Riferimento in COUCHOUD, Histoire de Jésus, 235.

[28] Su Melchisedec, v. Appendice 4. A proposito dell'epistola rinviamo ai nostri lavori: L'épître aux Hébreux, C.R. 48, 1965; Réexament de l'épître aux Hébreux, C.R., 59, 1968; L'épître aux Hébreux et l'Historicité, C.R. 78, 1972. — DE ROBERT segnala (R.H.P.R., settembre 1983, 330) l'opinione di SWETNAM (Jesus and Isaac) secondo cui l'epistola sarebbe influenzata da una «teologia del martire» associata al titolo di Figlio dell'uomo. In realtà l'epistola non espone che una Teologia del sangue e l'espressione «Figlio dell'uomo» non vi pare una sola volta. 

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