sabato 27 agosto 2022

IL DOCUMENTO 70Pietro l'Antipaolo

 (segue da qui)

II. Pietro l'Antipaolo.

Van Manen, nel primo volume, apparso nel 1890, della sua grande opera su Paolo, [1] ammette che il libro degli Atti nella sua forma attuale risulta dalla combinazione di due fonti: Atti di Pietro e Atti di Paolo. Questo è il risultato che sembra emergere più chiaramente dal grande lavoro di critica ed esegesi di cui il libro degli Atti è stato l'oggetto, o come certi pretendono, la vittima. Gli studi più recenti di Spitta, Feine, Schärfe, Jüngst, Hilgenfeld, Harnack, Jülicher, Johannes Weiss, Schwartz, Wellhausen, Wendland, Norden, Bousset, de Faye, Torrey, Foakes, Jackson, Kirsopp Lake, Loisy e Goguel hanno potuto modificare quella tesi, ma non hanno potuto scalfirne il principio.

Queste due fonti, quella che racconta la vita di Pietro e quella che racconta la vita di Paolo, sono in parte parallele, essendo l'una modellata sull'altra. Formano così dei doppioni, come per esempio nell'Antico Testamento le storie di Elia e di Eliseo. Nel racconto della guarigione dello zoppo, il parallelismo delle due fonti è addirittura spinto fino all'identità letterale di diverse parti della frase, il che permette di stabilire questa tabella sinottica:

Guarigione di uno zoppo.

Pietro

(Atti 3)

Paolo

(Atti 14)

Vi era un uomo zoppo

fin dal ventre di sua madre ...

Vi era un uomo ... zoppo

fin dal ventre di sua madre ...


Pietro ...

fissando gli occhi su di lui,

disse ...

Paolo ...

fissando gli occhi su di lui ...

disse ...


E con un salto fu in piedi

e camminò;

Ed egli saltò

e camminò.


E tutti lo videro ...

Ma la folla, vedendo …

Se avessimo solo questo racconto della guarigione di uno zoppo, sarebbe forse difficile, nonostante il parallelismo dei testi, stabilire a quale delle due fonti tocchi la priorità. Ma ne è diversamente del racconto della resurrezione di Eutico da parte di Paolo e di Tabità da parte di Pietro. Basta mettere questi due racconti a confronto con il loro modello comune, mutuato come quello della moltiplicazione dei pani dal ciclo di Elia-Eliseo (1 Re 17:17-24, 2 Re 4:33-37), per convincersi che il miracolo di Paolo rappresenta l'anello intermedio tra l'Antico Testamento e il miracolo di Pietro, con un'evidenza simile a quella che ci ha permesso, nei racconti della moltiplicazione dei pani e della guarigione del figlio del centurione, di stabilire la priorità del testo giovanneo.

Nel Nuovo Testamento, i morti resuscitati da Gesù e dai suoi apostoli sono in numero di cinque. Gesù resuscita Lazzaro, la figlia di Giairo e il figlio della vedova di Nain; Pietro Tabità e Paolo Eutico. Ma la resurrezione di Eutico da parte di Paolo è l'unica, nel Nuovo Testamento, che sia ancora stata praticata secondo l'antico metodo imitato dall'Antico Testamento: Paolo si getta ancora sul cadavere, come hanno fatto Elia ed Eliseo, e vi alita il suo soffio, che gli antichi identificavano con l'anima, avendo generalmente una sola parola per designare nel contempo l'anima e il soffio: in ebraico ruach, in greco psyche, in latino anima. Tutti gli altri racconti dei morti risorti nel Nuovo Testamento, ivi compresi i Vangeli, hanno abbandonato quel metodo antiquato — vedremo fra poco perché — e si caratterizzano per ciò stesso come posteriori alla storia di Eutico.

Ovviamente, se Paolo ha potuto resuscitare un morto, non si può, a buon diritto, rifiutare un miracolo simile al suo antagonista Pietro, e poiché Elia, Eliseo e Paolo hanno resuscitato ciascuno un giovane, l'autore della vita di Pietro tenterà di rompere la monotonia ponendo il suo eroe davanti al cadavere di una giovane ragazza. Ma quella velleità di indipendenza gli provocherà presto un imbarazzo imprevisto: è come se, tutto di colpo, si sentisse arrestarsi la sua penna. Si accorge che non può più seguire decentemente il suo modello, e lasciare Pietro gettarsi sul cadavere di una ragazza, come ha fatto Paolo con Eutico.

L'autore dovette quindi cercare altrove dei modelli di pratiche taumaturgiche in grado di resuscitare Tabità, e non c'era affatto bisogno di cercare molto lontano: Paolo aveva guarito il suo zoppo con la formula anastêthi (alzati), e Pietro il suo con il tocco della mano. L'autore si è accontentato di combinare queste due pratiche, e ci mostra Pietro che resuscita Tabità afferrandola per la mano e pronunciando contemporaneamente la formula Tabitha anastêthi! (Tabità, alzati!).

Questo esempio ci mostra ancora una volta quanto sia debole la facoltà creativa della fantasia umana. Perfino nel dominio del miracoloso, dove nessun limite o vincolo sembra imposto al libero gioco dell'immaginazione, essa si accontenta di creare delle combinazioni nuove con elementi già esistenti.

La situazione imbarazzante nella quale l'autore della vita di Pietro si era imprudentemente impegnato sostituendo un cadavere femminile a quello di Eutico, aveva così dato nascita ad un nuovo metodo di resuscitare i morti, che presentava un serio vantaggio rispetto al vecchio metodo ispirato alla storia di Elia-Eliseo: richiedeva un minimo sforzo da parte del taumaturgo, e il miracolo diventava tanto più meraviglioso. Così il vecchio metodo per incubazione sarà d'ora in poi abbandonato, ed è con il nuovo metodo di Pietro, cioè con il tocco della mano accompagnato dalla formula anastêthi, che Gesù resusciterà il figlio della vedova di Nain e la figlia di Giairo.

«Tabità, alzati!» disse Pietro alla ragazza, o in siriaco: «Tabitha, qoumi!». Con la sostituzione di una sola lettera, questo «tabitha qoumi» di Pietro diventerà nei Vangeli «talitha qoumi» (giovane ragazza, alzati!), formula che Gesù pronuncerà resuscitando la figlia di Giairo. L'ipotesi di un'evoluzione in senso contrario, da talitha a tabitha, cioè da un nome comune a un nome proprio, sembra innaturale e meno conforme alle regole che governano l'evoluzione delle leggende popolari.

Nella storia del Concilio di Gerusalemme e nei racconti che vi si riconducono, Pietro e Paolo hanno proprio i ruoli che convengono loro in quanto rappresentanti, Pietro del legalismo giudeo-cristiano, e Paolo dell'universalismo pagano-cristiano. Ma sembra che il libro degli Atti, allo stato attuale del testo, si preoccupi di mascherare la gravità del conflitto che metteva alle prese le due parti rivali del cristianesimo primitivo. Nella storia del centurione Cornelio, Pietro appare addirittura come l'iniziatore della missione tra i gentili. Nelle epistole, sia quelle di Deutero-Paolo che quelle derivanti dal partito giudeo-cristiano e attribuite a Pietro o a Giacomo, il conflitto appare molto più acuto che nel presente testo degli Atti. Paolo accusa Pietro di codardia, di dissimulazione e di ipocrisia, e si vanta di avergli resistito in faccia. Pietro, dal canto suo, assume un tono dolce-amaro per mettere in guardia i suoi lettori dalle epistole del «suo beneamato fratello Paolo,... nelle quali ci sono dei punti difficili da comprendere....». Con meno attenzioni, l'epistola di Giacomo prende nettamente posizione contro la dottrina paolina della giustificazione per fede.

NOTE

[1] PAULUS, 1, de handelingen der Apostelen, Leyde 1890.

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