sabato 27 agosto 2022

IL DOCUMENTO 70Il paolinismo nell'Apocalisse

 (segue da qui)

SECONDA PARTE.

I. Il paolinismo nell'Apocalisse.

Abbiamo visto, nella nostra prima parte, il paolinismo, di origine pagana-cristiana, entrare in competizione con l'apocalitticismo, di origine ebraica. Troviamo questi due elementi fianco a fianco nello stato attuale dell'Apocalisse di Giovanni.

In effetti, le fonti dell'Apocalisse manifestano una tendenza puramente escatologica, e ciò nell'accezione ebraica del termine, cioè concepiscono come l'elemento essenziale della catastrofe escatologica la disfatta delle armate romane e l'instaurazione di un impero universale a costituzione teocratica, sotto l'egemonia degli ebrei. Tra queste fonti, il documento 70, ricostruito con i frammenti rilevati dall'analisi del capitolo 12, costituisce un pezzo di interesse capitale: è il nucleo di cristallizzazione della leggenda evangelica, l'atto di nascita del cristianesimo, il cordone ombelicale che lega la giovane Chiesa a sua madre, la sinagoga.

Tutt'altro è la teologia degli strati più recenti dell'Apocalisse. Dall'introduzione, il Messia vi è indicato come colui «che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue». L'inno del capitolo 5 esalta l'agnello sgozzato, e nel capitolo 7 i beati sono coloro che «hanno lavato le loro vesti», e che «le hanno imbiancate nel sangue dell'agnello».

Queste sono le idee familiari alle epistole di Deutero-Paolo, è la dottrina che abbiamo visto formarsi nelle comunità pagano-cristiane della diaspora dalla fusione del messianismo ebraico con elementi attinti dal sincretismo orientale, fusione grandemente favorita, come è stato dimostrato, da equivoci verbali e artifici di traduzione.

«Come può», domanda Maurice Vernés in «Le Tappe di Deificazione di Gesù» (Parigi, 1918), una persona anche solo leggermente versata in esegesi biblica leggere l'Apocalisse del Nuovo Testamento senza rendersi conto che questo libro è un rappresentante risoluto del paolinismo e della sua dottrina essenziale dell'espiazione sostitutiva!»

Ma, come spiega Goguel, uno dei tratti caratteristici del genere apocalittico è che lo scrittore «non fa tabula rasa di ciò che è stato scritto prima di lui; egli raccoglie al contrario con pia cura la tradizione dei suoi precursori, la corregge, ne combina i vari elementi, e cerca di adattarli alla situazione in cui si trova e ai segni dei tempi che crede di discernere».

Lo scrittore dell'Apocalisse di Giovanni ha così lasciato sussistere, nella sua opera, i tratti essenziali dell'escatologia ebraica. Ma l'apocalittica aggrega, non sintetizza. Il legame tra i due elementi è dei più precari; così presto li vedremo separarsi, come l'olio e l'acqua che si sarebbe tentato di mescolare.

L'elemento escatologico, peraltro smentito dal fallimento definitivo dell'insurrezione ebraica contro il potere dei Romani, era troppo rozzo per essere assimilato dall'élite intellettuale dei pagano-cristiani, generalmente più colti dei loro fratelli di origine ebraica. Tollerato e conservato dagli uni, come i redattori che hanno introdotto il paolinismo nell'Apocalisse, si scontrerà al contrario con una decisa opposizione nei circoli più colti delle comunità pagano-cristiane, e il deposito letterario di questo movimento di opposizione si cristallizzerà in un romanzo storico, scritto con i metodi ispirati al genere apocalittico, e che noi oggi conosciamo sotto il nome del Vangelo di Giovanni. È là tutta la chiave del problema del quarto vangelo.

Tra gli elementi che l'Apocalisse fornirà al quarto vangelo, e ai quali questo darà un significato nuovo, è opportuno citare in primo luogo il titolo di «Logos» (Verbo o Parola) che l'Apocalisse, nel capitolo 19, dà al Messia. Loisy, che crede che l'Apocalisse sia posteriore al vangelo, pensa che con questo titolo «l'Apocalisse si unisce al prologo del quarto vangelo», e trova che «stona singolarmente». Mi sembra al contrario che il titolo di Logos sia perfettamente al suo posto qui, poiché due versi più sotto il Verbo è simboleggiato da una spada affilata uscente dalla bocca del Messia. Baldensperger (o. c.) mostra che quella immagine della spada affilata o a due tagli, che si trova già in Apocalisse 1:16 e alla quale è fatta allusione in Ebrei 4:12 e 2 Tessalonicesi 2:8, non è che il risultato logico dell'evoluzione del pensiero messianico, che unisce nella persona del Messia, alla sua antica funzione di fulmine di guerra, simboleggiata dalla spada, quella più recente di giudice supremo che annienta i suoi nemici con il verdetto della sua bocca. Quella rappresentazione del Messia, naturalmente, non piace ai ferventi del Gesù storico, che trovano che essa «distorce deplorevolmente la fisionomia storica di Gesù». (Vernes, o. c.)

D'altra parte, l'universalismo della dottrina paolina incontrerà opposizione da parte  dell'angusto nazionalismo delle comunità giudeo-cristiane, la cui reazione si concretizzerà, seguendo le stesse procedure letterarie, nella creazione di un personaggio fittizio che sarà dapprima l'anti-tipo di Paolo, per diventare più tardi il suo collaboratore, quando l'antagonismo primitivo avrà ceduto il posto ad una tendenza più conciliante: questi sarà l'apostolo Pietro.

La fusione dell'escatologia ebraica con l'universalismo paolino, come appare tra l'altro nel presente testo dell'Apocalisse, diede così luogo a due movimenti di reazione, che vogliono essere studiati separatamente. Cominceremo col personaggio di Pietro in quanto anti-tipo di Paolo. 

La Chiesa attribuisce l'Apocalisse del Nuovo Testamento all'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Si sa però che quella tradizione non solo è inautentica (la questione non si pone), ma nemmeno primitiva. Chi era allora questo Giovanni al quale la stesura della nostra Apocalisse era primitivamente attribuita ?

Sappiamo che i messianisti prima del 70, in seno ai quali il cristianesimo ha preso nascita, si consideravano i seguaci di Giovanni Battista (Atti 18:25, 19:3). Sempre nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista è chiamato il più grande dei profeti. Ora, la pratica costante dei messianisti era di attribuire le loro apocalissi ai patriarchi o ai profeti. Essendo esaurita la lista dei nomi prominenti dei patriarchi e dei profeti dell'Antico Testamento, sarebbe ben singolare se Giovanni Battista, a sua volta, non avesse ricevuto la sua Apocalisse. Quella che segna la transizione dal messianismo ebraico al messianismo cristiano e che respira lo stesso spirito delle parole di Giovanni Battista conservate nei Vangeli, doveva sembrare del tutto indicata per essergli attribuita. Naturalmente, quella tradizione dovette essere abbandonata in seguito, dal momento che la Chiesa fa morire Giovanni Battista all'inizio del ministero di Gesù (non ancora nel Vangelo di Giovanni!) e i passi paolini introdotti nell'Apocalisse presuppongono necessariamente la sua morte. Ma la Chiesa primitiva proverà serie difficoltà a sostituire, come autore dell'Apocalisse, Giovanni Battista  con un altro Giovanni, e queste difficoltà non hanno cessato fino ai nostri giorni di imbarazzare i teologi. Per quanto paradossale possa sembrare quella affermazione, essa si impone con fin troppa forza perché si possa persistere alla lunga a scartarla: l'Apocalisse di Giovanni era originariamente l'Apocalisse di Giovanni Battista.

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