domenica 21 agosto 2022

IL DOCUMENTO 70La Priorità di Giovanni

 (segue da qui)

IV. La Priorità di Giovanni

Il vangelo di Giovanni è anteriore o posteriore ai sinottici? Partendo dall'assioma che Gesù è stato un uomo deificato dopo la sua morte, la teologia liberale ne conclude che il vangelo di Giovanni, dove il carattere divino di Gesù è ben più accentuato rispetto ai sinottici, può solo essere loro posteriore. La leggenda sarebbe così venuta ad innestarsi sulla Storia, e il dovere dello storico sarebbe di sgomberare il nucleo storico dallo strato leggendario che gli sarebbe stato sovrapposto. 

Se, al contrario, fosse possibile dimostrare che i sinottici dipendono da Giovanni, ne risulterebbe che l'evoluzione si è fatta in senso inverso. Dietro i sinottici, dove la cristallizzazione della leggenda sarebbe sufficientemente avanzata da rivestire le apparenze della Storia, ci sarebbe Giovanni, ancora senza pretesa alla verità storica. Basterebbe allora prolungare ipoteticamente quella linea un po' più avanti nel passato per vedersi ridurre sempre di più e infine svanire ciò che potrebbe essere invocato come il nucleo storico della leggenda. 

La storicità di Gesù è quindi intimamente legata alla priorità dei sinottici, e dovremo cominciare ad apprezzare le argomentazioni che depongono a favore di questo ordine cronologico. Non vedo che gli esegeti abbiano mai provato il bisogno di riunire e di esporci queste argomentazioni. Per loro, la priorità dei sinottici è così evidente che non si discute. A loro sembra sufficiente che risulti necessariamente dalla storicità di Gesù. Ovviamente, questo sillogismo può soddisfare fintantoché si parte dalla storicità di Gesù come da un assioma indiscutibile. Ma proprio per le stesse ragioni, non appena la storicità di Gesù è essa stessa l'oggetto del dibattito, diventa indispensabile sottoporre la tesi della priorità dei sinottici ad una revisione radicale. Non si può, da una parte, provare la priorità dei sinottici mediante la storicità di Gesù, e d'altra parte la storicità di Gesù mediante la priorità dei sinottici. Eppure è proprio questo circolo vizioso che, in assenza di ogni argomentazione storica o letteraria, è più o meno inconsciamente il solo fondamento sul quale poggia la tesi della priorità dei sinottici. L'esame dei testi ci mostra che l'unico caso di interdipendenza tra Giovanni e i sinottici sul quale gli esegeti sono riusciti a fare piena luce, li ha portati proprio a constatare un'eccezione alla loro tesi generale.

Questo caso ha la sua importanza: non è niente meno che il racconto giovanneo della Passione. Rappresenta secondo la teologia liberale una fase più antica della tradizione. In effetti, per Giovanni, fedele alla sua tendenza simbolica, la passione di Gesù è prefigurata nell'antica alleanza dal sacrificio dell'agnello pasquale. Giovanni fa dunque morire Gesù nel giorno e nell'ora in cui gli ebrei immolavano quella vittima. L'ultimo pasto di Gesù, che ebbe luogo la vigilia della sua morte, non poteva quindi essere un pasto pasquale, ed è effettivamente come un pasto ordinario che lo descrive Giovanni.

Nei sinottici, al contrario, l'ultimo pasto di Gesù è stato un pasto pasquale, a causa della Santa Cena che, secondo loro, sarebbe stata istituita in quella occasione. A partire dal momento in cui il rito della Santa Cena aveva preso, nell'economia cristiana, il luogo e il posto della Pasqua ebraica, era in effetti normale farla istituire nel corso di un pasto pasquale. Gesù non può quindi più morire, come in Giovanni, il giorno di Pasqua. Ecco perché i sinottici si vedono obbligati a rimandare al giorno successivo la data della sua morte. Quella cronologia prova chiaramente che il racconto sinottico è secondario.

Se ora volessimo estendere il nostro studio comparativo ad altri testi, siamo fin da subito delusi di trovare così pochi racconti presenti nel contempo in Giovanni e nei sinottici e che si prestano così a questo lavoro di confronto. Ce n'è addirittura uno solo che è riportato pressappoco allo stesso modo dai quattro Vangeli: quello della moltiplicazione dei pani. Marco e Matteo lo riproducono addirittura due volte, sotto forma di doppioni.

Ricordiamo che il racconto della moltiplicazione dei pani da parte di Gesù è imitato dal miracolo di Eliseo raccontato in 2 Re 4:42-44, e basta confrontare i testi per constatare che Giovanni segna una tappa intermedia tra il racconto dell'Antico Testamento e quelli dei tre sinottici. In Giovanni, si tratta, come nell'Antico Testamento, di pane d'orzo; nei sinottici, di pane tout court. In Giovanni, Andrea domanda: «Ma che cos'è questo per tanta gente?»; allo stesso modo, nel miracolo di Eliseo, il servo obietta: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?» I sinottici hanno soppresso quella obiezione. Ma il tratto più significativo, che basterebbe da solo a stabilire nettamente la priorità del racconto giovanneo, è l'impiego che fa del termine opsarion. Le nostre versioni lo traducono con «pesce», ma la parola opsarion, diminutivo di opson, dal verbo epso, (cuocere, far cuocere, bollire), designa un piccolo piatto in generale. Si impiega frequentemente, è vero, per designare un piatto di pesce, e può quindi essere molto spesso tradotto con pesce, ma nel nostro caso l'autore non può aver pensato a del pesce, poiché la parola opsarion tiene esattamente il luogo e il posto che teneva, nell'Antico Testamento, la parola ebraica karmel, che designa un cibo fatto di grano schiacciato, senza dubbio una specie di galletta; difficilmente potrebbe essere reso meglio in greco che da opsarion. È dunque proprio di gallette che Giovanni ha voluto parlare. Ma il termine opsarion che ha scelto si prestava a confusione, perché era impiegato frequentemente per indicare un piatto di pesce. Vediamo quindi i sinottici, ignorando il testo originale che aveva servito da modello per Giovanni, prendere la parola opsarion nel senso di pesce, e renderla con ichthus, che designa un pesce senza alcun equivoco possibile. Il termine opsarion forma così l'elemento di unione, il «missing link» tra il karmel del libro dei Re e l'ichthus dei sinottici; esso solo spiega come le gallette dell'Antico Testamento abbiano potuto, nei sinottici,  mutarsi in pesci. Non credo che, almeno per questo testo, si possa esigere una prova più eclatante della priorità di Giovanni.

Il capitolo 21, aggiunto al vangelo di Giovanni, è composto da frammenti di più racconti, uno di cui è anche un'eco della moltiplicazione dei pani e gallette di Eliseo. Il verso 13: «Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro; fece lo stesso coll'opsarion», rientra perfettamente nel contesto del racconto della moltiplicazione dei pani e degli opsaria. Fin qui i commentatori, che traducevano opsarion con pesce, erano molto imbarazzati di spiegare perché Gesù invita i discepoli a portargli il prodotto della loro pesca, quando dispone lui stesso di pesce tutto pronto sulla brace. La difficoltà scompare non appena si traduce opsarion con galletta. In effetti, il testo distingue sempre tra gli opsaria e gli ichthus, tranne al verso 10, che si rivela per ciò stesso come una sutura praticata posteriormente per collegare il frammento del racconto della moltiplicazione dei pani a quello della pesca miracolosa. Le due parole ichthus e opsarion, così accoppiate da una mano posteriore, riappaiono insieme in Luca 24:42, dove il Cristo risorto mangia dell'ichthus optos (pesce cotto).

Come il racconto della moltiplicazione dei pani, quello della guarigione del figlio del centurione si presta ad un esperimento di filologia comparata, il cui risultato è tutto a favore della priorità del testo giovanneo. Il modello, questa volta, non è attinto dall'Antico Testamento, ma dalla tradizione rabbinica preservata nel Talmud. Il libro Berachot racconta che il rabbino Gamaliele, il cui figlio era caduto ammalato, inviò due dei suoi discepoli dal rabbino Hanina ben Dosa, affinché pregasse Dio in suo favore. Dopo aver pregato nella stanza superiore, Hanina dichiara ai messaggeri: «Andate, la febbre lo ha lasciato». Il seguito del racconto mostra che la guarigione si è effettuata all'istante stesso in cui Hanina pronunciò quelle parole.

Confrontiamo ora il testo giovanneo con quelli di Matteo e di Luca (Marco omette questo racconto), al fine di riconoscere quale dei due dipende più direttamente dalla fonte conservata nel Talmud. Constatiamo dapprima che Giovanni è l'unico a riprodurre letteralmente la formula del Talmud: «La febbre lo ha lasciato».

Nel modello, il malato è un figlio, e Giovanni è l'unico a designarlo con il termine non equivocato di hyios. Ma nel seguito egli impiega il termine païs, che darà luogo, nei sinottici, ad un quiproquo tanto interessante quanto quello che è risultato dall'impiego del termine opsarion nel miracolo della moltiplicazione dei pani. Païs, in greco, può significare sia un figlio che un servo o uno schiavo (come il francese «garçon» o l'inglese «boy»). Luca, fedele alla sua tendenza sociale, sulla quale torneremo ancora, approfitta di questa equivoco per dare al racconto un interesse sociale; fa del figlio uno schiavo prendendo la parola païs in questo senso, e la sostituisce persino con la parola doulos che non lascia sussistere alcun dubbio. Matteo al contrario mantiene il termine equivoco di païs, per cui ci si può domandare se ha voluto parlare di un figlio oppure di un servo. Le versioni attuali, senza dubbio per armonizzare Matteo con Luca, traducono «servo», ma è molto più probabile che Matteo abbia voluto parlare di un figlio; nel seguito del racconto, quando Matteo vuole effettivamente parlare di un servo,  impiega come Luca la parola doulos.

Sia quel che sia, risulta da quel confronto che, per la guarigione del figlio del centurione come per la moltiplicazione dei pani, il testo giovanneo segna la tappa intermedia tra il modello ebraico e il testo sinottico. Grazie all'ambiguità del termine païs, assistiamo così, seguendo nelle sue due fasi successive la storia del centurione, alla metamorfosi di un figlio in un servo.

Nel quarto Vangelo, Giovanni Battista è il precursore del Messia; nei sinottici, il suo ruolo è duplice: è nel contempo il precursore e il battezzatore di Gesù. I commentatori spiegano che il quarto Vangelo accentua talmente il carattere divino del Cristo che sarebbe intollerabile sottoporlo ad un battesimo da parte di un uomo. Ma quella spiegazione è davvero soddisfacente? Non è forse più naturale e più conforme alle leggi che regolano l'evoluzione delle leggende popolari che un uomo che porta già il titolo di Battista e che è il precursore di Cristo sia diventato a poco a poco anche il suo battezzatore? Del resto, come conciliare il battesimo dello spirito dato da Giovanni Battista a Gesù con la dichiarazione in cui Giovanni Battista stesso, nei sinottici, contrappone il suo battesimo di acqua al battesimo dello spirito che sarà il privilegio esclusivo del Messia?

In aggiunta al racconto della passione, della moltiplicazione dei pani, del figlio del centurione e di Giovanni Battista, esiste ancora un gran numero di passi isolati, di parti di frasi o di espressioni che segnalano più o meno nettamente un'interdipendenza tra Giovanni e i sinottici. Loisy, nel suo «Quarto Vangelo», ne cita almeno un centinaio. Partendo dall'ipotesi della priorità dei sinottici, egli interpreta tutti questi punti di contatto come altrettanti esempi del carattere secondario di Giovanni. Tuttavia, non appena l'ipotesi fondamentale, che per Loisy non si discute, è messa in questione, i passi citati non resistono a un'interpretazione in senso inverso, tranne alcuni tratti che si spiegano dai rimaneggiamenti ulteriori che ha subito il testo giovanneo. [1] Per contro, i soli episodi dove il parallelismo dei testi è sufficiente per permettere uno studio comparativo conclusivo, depongono nettamente a favore della priorità di Giovanni.

Notiamo ancora: in Giovanni, Giuda tradisce già Gesù, ma non per del denaro; è in occasione dell'unzione che si mostra avido. Questi due tratti non potevano tardare a confondersi; e infatti nei sinottici vediamo Giuda non solo tradire, ma anche vendere Gesù.

Constatiamo quindi, come primo risultato del nostro studio, che non è del tutto certo che Giovanni sia posteriore ai sinottici, e che di conseguenza l'evoluzione abbia agito nel senso della deificazione di Gesù. Dobbiamo valutare come egualmente possibile l'ipotesi contraria di un'evoluzione in senso inverso, secondo la quale la figura del Cristo avrebbe acquisito l'aspetto di un personaggio storico soltanto in una fase più avanzata dell'evoluzione. Invece di cercare di individuare lo sfondo storico della vita di Gesù, dovremmo allora tentare di scoprire il nucleo di cristallizzazione che ha dapprima permesso alla leggenda di costituirsi. Fintanto che noi non la tratteniamo, la tesi della non-storicità di Gesù resterà difficilmente difendibile, quand'anche la priorità di Giovanni fosse generalmente riconosciuta; perché saremmo obbligati a postulare come punto di partenza della leggenda evangelica un fenomeno sconosciuto e inspiegato. Oso però sperare che, purché lo cerchiamo con metodo e senza partito preso, non tarderemo a trovare questo nucleo di cristallizzazione.

NOTE

[1] Tale per esempio il personaggio di Caifa creato da Matteo e introdotto più tardi in Giovanni, tale anche l'episodio del rinnegamento di Pietro (Loisy).

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