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LA CHIESA «GALILEA» DI GERUSALEMME
Il carattere rivoluzionario che riconosciamo al cristianesimo primitivo e sul quale ci siamo soffermati nelle pagine precedenti, non fa che confermare, lo si è visto, i risultati ai quali ci hanno condotto le prime tre sezioni di questo capitolo, dove abbiamo considerato solo il suo aspetto religioso. Non ci sarà quindi affatto indispensabile argomentare di questo carattere rivoluzionario quando, ritornando allo studio del fatto religioso in sé, formuleremo la nostra conclusione sul presunto conformismo dei primi cristiani nei confronti del giudaismo; le persone che non amano che si confrontino le rivoluzioni religiose e rivoluzioni politiche lo constateranno.
Per i cristiani della Diaspora, non abbiamo che da accettare le acquisizioni della critica: sebbene, legalmente, la maggior parte di loro appartenga al «popolo giudeo», essi sono, dal punto di vista dell'ortodossia, solo degli ebrei molto approssimativi.
Per i Galilei che erano venuti a stabilirsi a Gerusalemme, vale a dire per gli uomini che la tradizione rappresenta come i discepoli di Gesù, concludiamo: conformisti quanto all'osservanza delle leggi mosaiche (alla quale nessun membro del «popolo giudeo» può sottrarsi a Gerusalemme), non-conformisti quanto al culto segreto che praticano, non-conformisti quanto alla speranza messianica, il cui posto è occupato nel loro cuore da un'altra speranza. Noi ci opponiamo dunque radicalmente alla dottrina del razionalismo evemerista, che dei primi cristiani galilei fa degli ebrei ortodossi amanti della speranza di Israele.
In un articolo-manifesto che ha dedicato alla confutazione del Mystère de Jésus del signor Couchud, [1] il signor Guignebert ha enunciato, con formule un po' trancianti, che la tesi di quest'ultimo riposava su due errori: «un errore di cronologia: la priorità della cristologia paolina»; «un errore di Storia: la confusione degli ambienti palestinesi e siro-asiatici».
Quanto al primo dei due cosiddetti errori, che concerne solo indirettamente il problema trattato nel presente capitolo, rimandiamo di nuovo all'appendice dove è posta la questione. [2]
Quanto al secondo, possiamo dire in conclusione di questo capitolo che l'affermazione è peggio che incauta. L'errore di Storia è piuttosto confondere i circoli eterodossi di sangue misto della Galilea con i circoli puro sangue del giudaismo gerosolimitano, ed è nondimeno dimenticare le condizioni nelle quali la Galilea era stata giudaizzata, circoncisione o sfratto, scriveva lo stesso dotto professore.
Ci si permetterà infatti di richiamare in quali termini formali costui ha stabilito (abbiamo dato più sopra il riferimento) non solo che il giudaismo della Diaspora diveniva nel primo secolo sempre più eretico, ma che la Galilea stessa era un focolaio di dissidenze e di infiltrazioni pagane; riprendendo le espressioni di Renan, egli descrive quella provincia come un paese di popolazione assai mista, dove la penetrazione ebraica si era fatta solo tardivamente e non completamente; egli ripete che gli ebrei di Giudea rimproverano a quelli di Galilea i loro compromessi pagani; si spinge fino a dichiarare che ci si può domandare senza paradosso se «Gesù» non fosse uscito da una di queste sette dissidenti. D'altra parte, egli racconta con il pittoresco che sa congiungere alla sua notevole erudizione, come, un secolo prima la nascita dei «discepoli di Gesù», i Galilei fossero stati costretti con la violenza a convertirsi al giudaismo... E, poste queste premesse, egli fa fede ai racconti evangelici, di cui egli stesso proclama la poca sicurezza, e a quei primi capitoli degli Atti, così universalmente criticati dai suoi amici, e ci canta la loro perfetta ortodossia; l'idea non gli viene in mente che i discepoli di Gesù, appartenenti a questo paese intriso di paganesimo, possano benissimo essere, dopo tutto, i discendenti di quegli indigeni convertiti a forza al giudaismo, e ne fa i modelli dell'anima ebraica. Che l'eminente professore faccia attenzione! Non occorre di più al critico interno per sostenere che sotto il nome di Charles Guignebert due storici nemici sono stati associati.
A dire il vero, il razionalismo evemerista glissa un po' sul conformismo che avrebbero manifestato i discepoli di Gesù prima della morte di quest'ultimo; ma non appena dopo la sua morte si sono insediati a Gerusalemme, tutte le reticenze scomparvero; essi incarnano l'ortodossia ebraica; tra loro e i Farisei, ci sarebbe solo quest'unico oggetto di disaccordo (il quale non è né di dottrina né di osservanza): il loro maestro, risorto a creder loro, stava per realizzare la speranza di Israele; il solo errore che possono loro rimproverare i Farisei è di attendere da lui ciò che loro, i Farisei, attendono da un altro e per più tardi...
Ci si domanda se, per un fenomeno di amnesia collettiva che spiegherebbero i bisogni della tesi alla quale sono devoti, gli studiosi evemeristi non dimentichino, a partire dal giorno in cui si installano a Gerusalemme i primi cristiani, che costoro erano Galilei.
Ciò non è una battuta. Si leggano i lavori di questi studiosi: il gruppo di cristiani insediatosi a Gerusalemme dopo la Passione, diciamo il gruppo dei Dodici, vi è costantemente denominato «la Chiesa di Gerusalemme», senza mai il minimo richiamo che si tratta di Galilei recentemente arrivati in quella città. Forse posso proporre ai critici razionalisti un modo di premunirsi contro i fallimenti della loro memoria. Quando si parla di un gruppo dei Savoiardi stabilitosi a Parigi, non si dice «il gruppo di Parigi»; si dice «il gruppo dei Savoiardi di Parigi». Io domando semplicemente a questi signori di sostituire nei loro lavori l'espressione «la Chiesa di Gerusalemme» con questa «la Chiesa galilea di Gerusalemme», o semplicemente, se la cosa non è loro troppo penosa: «la Chiesa galilea».
Non oso illudermi che gli studi che io perseguo saranno di qualche utilità per un gran numero di critici; non riterrei però di aver lavorato invano per quarant'anni, se ho potuto aiutare qualcuno a ricordarsi che i cristiani che hanno formato la «Chiesa di Gerusalemme» erano Galilei.
Alle affermazioni del razionalismo evemerista, si vede che il mio vecchio maestro Joseph Halévy aveva risposto in anticipo, includendo nella stessa frase cristiani della Diaspora e cristiani di Galilea.
— Dei cattivi Giudei, dei cattivissimi Giudei, i Galilei come gli altri.
Così sarà colmato il divario che l'evemerismo ha creato tra «Ebrei» ed «Ellenisti»; la sola differenza che constatiamo tra i due gruppi, oltre l'habitat e la lingua, è che gli uni hanno dovuto piegarsi e si sono d'altronde volontariamente piegati alla stretta osservanza delle leggi ebraiche, mentre gli altri hanno potuto dispensarsene.
...E così rompiamo deliberatamente con i mirabolanti sistemi (troppo a lungo presi sul serio) che fanno di San Pietro e di San Paolo non dei compagni che litigano, ma dei fratelli nemici che si scannano tra subdoli. [3]
NOTE
[1] Revue de l'Histoire des Religions, 94, pagina 244.
[2] Appendice 7.
[3] Si veda Appendice 2.
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