venerdì 13 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANALA SPERANZA RIVOLUZIONARIA

 (segue da qui)


LA SPERANZA RIVOLUZIONARIA

Fino a qual punto è permesso paragonare la rivoluzione a forma religiosa che è stata l'instaurazione del cristianesimo nel mondo antico con le rivoluzioni politiche che una dopo l'altra hanno trasformato la società moderna? Abbiamo mostrato come il principio fosse lo stesso tra queste ultime e quella: sostituire un mondo decaduto con un mondo rigenerato. Siamo al presente in grado di constatare in un modo concreto che i mezzi con cui la speranza cristiana attende la realizzazione della prima parte del suo programma non sono diversi, in fondo, non solo da quelli che prevede la speranza messianica ebraica, ma anche da quelli che hanno da impiegare le rivoluzioni moderne, e questi mezzi sono quelli della violenza. La Storia deplorerà che tante persone, anche tra quelle che hanno rotto ogni legame con le tradizioni dei loro padri, continuino a opporre le armi «spirituali» di cui si servono le religioni a quelle, tutte materiali, proprie delle rivoluzioni politiche.

I mezzi della violenza sono evidentemente esclusi quando si tratta, per un cristiano, di realizzare la sua salvezza e lo sono (o dovrebbero esserlo) quando si tratta di aiutare il suo prossimo a realizzarla. Ma sappiamo (e lo osserveremo sempre di più avanzando nei nostri studi) che, se i primi cristiani sono stati preoccupati per la loro salvezza individuale, lo sono stati di più per l'avvento del «regno di Dio»; adveniat regnum tuum; e l'avvento del regno di Dio, sappiamo come San Paolo lo comprende: annientamento di «ogni principato, di ogni dominazione e di ogni potenza». [1] I «principati», le «dominazioni» e le «potenze» sono, nel linguaggio di San Paolo, i principi della terra, o meglio, i regni della terra; sono quelli che saranno «annientati» — καταργήσῃ, scrive categoricamente.

Poco tempo dopo la morte di San Paolo, l'Apocalisse descriverà in visioni folgoranti ciò che si chiama la fine del mondo, o, più esattamente, la fine del mondo terreno, e vedremo presto come, accanto ai cataclismi cosmici e fantasmagorici che immagina, metta nel programma la distruzione specialmente implicata dell'impero romano e l'incendio di Roma, la grande città.

Quanto ai vangeli, si sa che essi amalgamano l'escatologia cristiana primitiva e l'escatologia messianica ebraica, prevedono il grande sconvolgimento terreno in termini meno romantici ma altrettanto formali. È dal mezzo di quell'universale sterminio che i fedeli risorgeranno per entrare nel loro beato aldilà.

Tali sono i mezzi «spirituali» per mezzo dei quali sarà instaurato il regno di Dio e che si oppongono ai mezzi della violenza per mezzo dei quali i rivoluzionari moderni pretendono di instaurare la società nuova! E lungi dal vedere nelle righe che precedono un'intenzione anticristiana, domando che vi si veda la testimonianza di un'ammirazione lucida. Una rivoluzione è una rivoluzione; messa a morte e resurrezione; dunque, prima di tutto, messa a morte. Una rivoluzione non si opera altrimenti che per mezzo della violenza, se essa è veramente ciò, una rivoluzione, vale a dire una società rigenerata che sostituisce una società decaduta.

Il cristianesimo primitivo ha inscritto alla prima pagina del suo programma la distruzione dell'antico mondo; si dirà che il programma non è stato realizzato. Se è riuscito a sostituire l'antico mondo con un mondo nuovo, si dirà che ciò non è stato per mezzo del ferro e del fuoco... Evidentemente, il Signore non è apparso sulle nubi in un corteo di angeli, di tuoni e di trombe... Non stiamo studiando qui come si sia realizzata la speranza cristiana primitiva; né stiamo studiando cosa il cristianesimo sia diventato dopo la sua vittoria nel quarto secolo, o come si siano realizzate e ciò che siano divenute le rivoluzioni laiche; ci siamo spiegati su questo punto. Attenendoci alla speranza che è stata la speranza cristiana e a quelle che hanno animato le grandi rivoluzioni laiche, vale a dire alle pie epoche dove si è ancora un piccolo gruppo di compagni poveri e privi di mezzi, un piccolo gruppo di grandi anime che preparano grandi cose, sembra quindi innegabile che la rivoluzione a forma religiosa che è stata l'instaurazione del cristianesimo rientri nel quadro delle rivoluzioni politiche, non solo per il suo principio (sostituire un mondo decaduto con un mondo rigenerato), ma anche perché ha atteso dai mezzi della violenza l'annientamento del mondo che aveva condannato. Ma, essendo acquisito questo punto fondamentale, ci si può domandare se si ha il diritto di stabilire qualsiasi altro confronto tra una speranza che conta per realizzarsi su un intervento soprannaturale e si situa nell'aldilà, e quella che non attende nient'altro se non l'opera degli uomini e solo quaggiù.

Quanto alla fiducia riposta su un intervento soprannaturale, la questione che si pone qui è la stessa che si è posta per ciò che concerne la speranza messianica ebraica. Perché il messianismo, che pure attende da una potenza soprannaturale la sua realizzazione, non ha condotto, come logicamente doveva essere il caso, il popolo d'Israele alla passività di greggi che riceveranno dal padrone una miseria che dovranno solo alla loro sottomissione? Perché il messianismo, l'abbiamo detto, è solo la forma simbolica che ha preso la volontà di potenza di un popolo di dura cervice per perseverare in mezzo alle difficoltà che hanno trionfato degli altri popoli attorno a lui; perché in ultima analisi il dio in cui il popolo ebraico riponeva la sua fiducia era solo la sua stessa personificazione, vale a dire il simbolo sotto il quale esso si concepiva; perché rimettendosi al suo dio, Israele si rimetteva a sé stesso. 

Non ne è altrimenti della fiducia che i primi cristiani ripongono nel Signore quando attendono da lui il compimento della loro speranza. La prima società cristiana non è di quelle che si mettono, la schiena bassa, al rimorchio del grande compagno, quando egli muore e quando risorge; è essa stessa il Signore che si fa carne. Benché differisca nel suo scopo, la speranza cristiana è qui la sorella della speranza ebraica; come pure nel giudaismo la potenza soprannaturale da cui il primo cristianesimo attende l'assistenza non è che la rappresentazione simbolica, creata dall'inconscio collettivo, sotto la quale esso si concepisce.

Così, per i primi cristiani, l'appello al loro dio è quello che l'eroe fa al suo cuore. Nelle religioni misteriche ellenistiche, la rimessa di sé alle mani del soprannaturale è un rifugio e un'abdicazione, e tale ridiventerà, in certe epoche, nel cristianesimo stesso. A metà strada dalle due estremità, il detto «Aiutati, il cielo ti aiuterà» esprimerà la saggezza del cristiano medio che conta sul suo dio e che conta altrettanto su di sé.  

Uno dei principi fondamentali del bolscevismo vuole che l'emancipazione dei lavoratori sia l'opera dei lavoratori stessi. Libertà alle persone pie di credere che l'edificazione del cristianesimo sia stata l'opera personale della Provvidenza. 


Situandosi nell'aldilà, forse ancor più che rimettendosi ad una potenza soprannaturale, la speranza cristiana sembra a prima vista opporsi alla speranza rivoluzionaria; infatti, troviamo là la più grave delle accuse che fanno oggi al cristianesimo i suoi avversari. Retribuzione dopo la morte, denaro che non vale niente, sentiamo esclamare da ogni lato! Religione, oppio del popolo, pronuncia il materialismo storico, il quale non ha saputo definire altrimenti il fenomeno religioso! E vi sarebbe effettivamente un'atroce derisione nell'obbligare la povera gente a soffrire quaggiù in vista di una ricompensa che verrebbe loro quando saranno stesi nelle loro bare.

Se in effetti le religioni misteriche pagane non sapevano, se più tardi il cristianesimo non saprà talvolta offrire ai suoi se non quella soddisfazione post mortem, che ne era degli uomini che, riprendiamo l'espressione, hanno meritato il titolo di fondatori del cristianesimo? Essi lavoravano a ciò che chiamavano l'instaurazione del regno di Dio. Una chimera, diranno i marxisti! No, perché ciò che chiamavano il regno di Dio, e che situavano nell'aldilà, non era che il simbolo della società rigenerata, che di fatto doveva realizzarsi nell'instaurazione del cristianesimo.

La sociologia è d'accordo su questo punto particolare con il materialismo storico, benché partendo da presupposti opposti. Domandare all'uomo di lavorare per un aldilà equivale a domandargli di lavorare per l'oggetto che si nasconde sotto i colori di questo aldilà. L'oggetto per il quale le religioni domandano all'uomo di lavorare è talvolta la conservazione ad ogni costo del passato; è talvolta il suo rinnovamento. In un caso, la religione sarà senza dubbio l'oppio del popolo; nell'altro caso, sarà stata l'alcol generoso che li condurrà sul cammino della sua rigenerazione.

Ne è lo stesso per le rivoluzioni a forma laica e come per le rivoluzioni a forma religiosa. Allo stesso modo in cui il regno di Dio è stato la rappresentazione simbolica che l'inconscio dei primi cristiani si era fatta del mondo rigenerato al quale aspiravano, la società futura che i rivoluzionari politici si sforzano di realizzare è la rappresentazione simbolica delle loro aspirazioni. Forse i più chiaroveggenti potranno talvolta riconoscere quale sia la realtà che si cela sotto il simbolo che la esprime; ma non vi è comprensione possibile della Storia se ci si rifiuta di ammettere che gli uomini che aprono nuove strade lavorano, come regola generale, per un tutt'altro scopo rispetto a quello per il quale essi vogliono o si immaginano lavorare; in nessun'epoca della storia l'inconscio collettivo ha parlato diversamente da un linguaggio simbolico. Abbiamo citato più sopra la formula famosa di Bossuet: l'uomo si agita e Dio lo conduce; potremmo darne una seconda traduzione: la coscienza si agita e l'inconscio lo conduce; oppure, se si preferisce: la Ragione si agita e lo Spirito la conduce.

Non basta quindi dire che la prima generazione cristiana ha fatto una rivoluzione che non credeva di fare; essa ha fatto, diremmo noi, la rivoluzione che la sua coscienza non voleva, ma che il suo inconscio voleva.

Si addurrà che, dando per vero scopo alla speranza cristiana l'instaurazione di una società nuova, noi la riconduciamo alla speranza messianica ebraica?... Sì, se si identifica la liberazione dei popoli proclamata dalla Rivoluzione Francese con l'impresa di asservimento universale sognata da qualcuno di loro a suo profitto, detto altrimenti, se si assimila l'opera rivoluzionaria all'opera imperialista.

È in questo senso che si deve concepire il carattere rivoluzionario della speranza che i primi cristiani hanno opposto tanto alla speranza ebraica quanto alla volgare speranza misterica, non dimenticando che soli vi si eleveranno coloro che noi chiamiamo i fondatori del cristianesimo.


Ci siamo domandati poc'anzi se si avesse il diritto di stabilire un confronto tra una speranza che conta per realizzarsi su un intervento soprannaturale e si situa nell'aldilà, e quella che non attende altro che l'opera degli uomini e solo quaggiù. A parte il fatto che entrambe hanno lo stesso principio (sostituire un mondo decaduto con un mondo rigenerato) e che entrambe realizzano similmente per i mezzi della violenza la prima parte del loro programma, entrambe mirano allo stesso obiettivo e contano in ultima analisi sulle stesse mani operaie; esse differiscono per le forme simboliche che hanno assunto nel risalire dall'inconscio al conscio. 

Allo stesso tempo si spiega, alla luce dell'analisi sociologica, l'atteggiamento delle rivoluzioni religiose e delle rivoluzioni laiche nei confronti di Dio. Le rivoluzioni laiche, lo si sa, non negano necessariamente Dio; quella del 1789 era teista; quella del 1917, al contrario, si è apertamente dichiarata atea. Ma se l'ateismo significa negazione di Dio, il termine si comprenderà veramente solo alla condizione di aver precisato ciò che significa quello stesso di Dio; ora, pochi vocaboli sono serviti a indicare gli oggetti in apparenza più diversi, dagli innumerevoli dèi del paganesimo e dal dio unico creatore, governatore e grande giudice dell'universo disceso sulla terra nella persona di suo figlio nel corso del regno degli imperatori Augusto e Tiberio, fino all'essere infinito e assoluto delle grandi metafisiche, passando per la combinazione half and half in cui si usano da sedici secoli le acrobazie della cosiddetta filosofia spiritualista, per non parlare del dio dell'immanenza che esiste solo nell'intelligenza che lo configura. 

Tra delle concezioni così variegate e lasciando a lato quelle che rientrano nella metafisica (Spinoza, per esempio) e che non interessano il nostro soggetto, la sociologia scopre un carattere comune e fondamentale, ed è quello stesso che abbiamo riconosciuto agli dèi dei primitivi: tutti sono simboli di ciò che nell'uomo supera l'individuo, vale a dire della Società stessa; tutti sono simboli sotto i quali i gruppi che li adorano si concepiscono come gruppi; tutti sono allo stesso tempo i padroni e i servi della collettività: la Società, ha scritto Durkheim, è ciò che comanda e protegge. 

E questo punto di vista permette di risolvere il problema del teismo e dell'ateismo rivoluzionario.

Ho già ricordato che uno dei libri cristiani del secondo secolo [2] racconta che i pagani salutarono allora i cristiani con il grido: Abbasso gli atei! I pagani avevano ragione nel fatto che i cristiani non credevano ai loro dèi, ma essi si sbagliavano nel ritenere che non ne avessero alcuno. Quando i comunisti marxisti si proclamano loro stessi atei, hanno ragione se vogliono dire che essi negano il dio del cristianesimo; sbagliano (come si sbagliano i loro avversari) se non comprendono che sociologicamente hanno anche loro il loro dio. Questo dio è il simbolo sotto il quale si concepiscono in quanto gruppo; che lo si chiami il Partito o la Causa o ogni altro nome che si vorrà, è in realtà la società socialista stessa, con tutti i poteri che, per non essere soprannaturali e per essere stati promulgati al Cremlino al posto di esserlo al Sinai, sono nondimeno quelli ai quali l'individuo deve sottomettersi.

Dal punto di vista sociologico, il vero ateo è l'uomo che, non credendo né ad un Dio, né ad una Causa, né alla Società, vuole conoscere solo i suoi interessi individuali e familiari, e ritorna pertanto all'animalità, fosse pure ad un'animalità civilizzata, telefono, aviazione, guerra chimica.

Ancora una volta, noi riconosciamo come differenza tra i principi della rivoluzione cristiana e quelli delle rivoluzioni laiche moderne solo quella dei simboli di cui l'inconscio si riveste per risalire alla coscienza. 


Una domanda però si pone.

Nei sobborghi di Parigi, di Londra o di Ginevra, dove preparavano la loro rivoluzione, in ogni tempo i bolscevichi si tenevano pronti a passare, venuto il momento, dalla preparazione all'azione. Nessuno dei grandi riformatori, da Savonarola a Calvino, esitò a marciare alla testa dei suoi. Mai gli ebrei pensarono che avrebbero dovuto, il giorno della grande battaglia messianica, nascondersi in rifugi di cemento. Resta da sapere se, tra i primi cristiani, alcuni si riscontrassero che, pur accordando la loro fiducia nei loro simboli, avessero un certo senso delle realtà secolari che si celavano sotto questi simboli e, di conseguenza, delle necessità di ordine pratico ai quali li obbligavano queste realtà. 

Precisiamo.  

Accanto a San Paolo, o in altri gruppi, alcuni uomini ebbero la sensazione che sarebbe stato utile, perché la speranza si realizzasse, che loro stessi si mettessero al lavoro?

Allorché annunciarono che il Signore sarebbe venuto a distruggere tutti i regni della terra, fino a che punto si accordarono nel credere che non avrebbero avuto che da attendere, nel loro angolo, che egli avesse compiuto il necessario?

Allorché dissero: «il Signore brucerà la grande città», alcuni almeno non previdero che avrebbero fatto bene a preparare delle torce?

Una cosa almeno è certa: è che, come tutti i veri rivoluzionari, essi sapevano che saranno loro che «giudicheranno il mondo». [3

NOTE

[1] 1 Corinzi 15:24.

[2] Martirio di San Policarpo 3:2, e 9:2. 

[3] 1 Corinzi 6:2-3.

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