sabato 12 marzo 2022

GRANDEZZA E DECADENZA DELLA CRITICACOME SI PONE LA QUESTIONE

(segue da qui)

PRIMA PARTE 

LE EPISTOLE DI SAN PAOLO

I
COME SI PONE LA QUESTIONE

Le epistole paoline si presentano come un documento preso sul vivo, di un valore inestimabile, sulla situazione del cristianesimo a metà del primo secolo; scritte per la maggior parte in risposta alle circostanze e per rispondere ai bisogni concreti e definiti, non si immagina che possa esistere così tanto sulle credenze, le pratiche, i costumi, l'organizzazione delle comunità alle quali esse sono indirizzate, quanto sulla persona del loro autore, una fonte d'informazione più sicura. Costui, d'altra parte, appare generalmente come uno scrittore nato, nel senso che possiede eminentemente la facoltà di esprimersi; la maggior parte delle epistole è l'opera di qualcuno che dice esattamente ciò che vuole dire; abbiamo davanti a noi dei testi che si possono spremere senza pericolo per tirarne il pieno del loro significato.

Così tutte le buone fate si sarebbero concertate per facilitarci la nostra conoscenza del cristianesimo primitivo, se, ahimè, la fata cattiva non fosse venuta a compiere il suo sabotaggio tradizionale, mettendo in questione l'autenticità stessa del documento.

Il problema per molto tempo è stato di sapere se tutte le epistole fossero autentiche, o alcune soltanto, oppure nessuna. Si sa che la scuola di Baur [1] riconosceva come provenienti da San Paolo solo le quattro grandi epistole (Romani, 1 e 2 Corinzi e Galati), e che van Manen e la scuola olandese non ne ammettevano nessuna. [2]

Ma a parte gli studiosi cattolici conservatori, che non possono dubitare che nessun verso sia uscito dalla penna o dalla dettatura dell'apostolo, il problema si pone altrimenti oggi. Non si discute più l'autenticità o l'inautenticità in blocco di ciascuna delle epistole (almeno di otto tra loro), ma quella dei frammenti, presi separatamente, di cui esse si compongono. L'ipotesi di uno scrittore unico che avrebbe scritto le epistole nel secondo secolo sotto il nome di San Paolo, seguendo le procedure della pseudepigrafia ebraica, non è più sostenuta; ma si cerca, in ciascuna epistola, ciò che può essere stata l'opera di San Paolo e ciò che sarebbe stata quella di altri scrittori.

In realtà, si tratta oggi di distinguere nelle epistole:

dal punto di vista storico, quali sono, tra gli eventi che vi sono raccontati o ai quali è fatta allusione, quelli che devono essere considerati come riportati da San Paolo stesso (e che acquistano pertanto un valore di testimonianza considerevole), e quelli che appartengono a scrittori successivi che scrissero sotto il suo nome;

e, dal punto di vista dottrinale, quali sono, nell'insieme di dottrine al quale si dà il nome di «paolinismo» e che è alla base del cristianesimo, gli elementi che provengono dall'apostolo e quelli che provengono dai suoi successori.

È, lo si vede, la storia stessa del cristianesimo primitivo ad essere in gioco. 

Ricordiamo sommariamente quali sono le posizioni attualmente prese dai critici.

Un primo gruppo comprende i critici quasi-conservatori che, vicini alla tradizione, professano la quasi intera autenticità dei frammenti di cui si compongono otto o addirittura nove delle prime dieci epistole, tra le quali ammettono che trasposizioni e riadattamenti difettosi si siano prodotti, ma dove riconoscono solo un piccolo numero di alterazioni e di aggiunte. Questa è la tesi alla quale il signor Maurice Goguel ha prestato il sostegno della sua erudizione. [3]

Altri (tra i quali ci si vedrà schierarci) si differenziano dai primi per l'importanza dei frammenti di cui negano l'autenticità, e si differenziano dai critici estremisti in quanto lasciano a San Paolo le parti più caratteristiche della raccolta, vale a dire quelle che costituiscono il «paolinismo» stesso.

Tra questi due gruppi si ripartiscono la maggior parte degli studiosi tedeschi, tanto i rappresentanti della teologia dell'inizio di questo secolo, quanto quelli delle scuole moderne, dai signori Lietzmann, [4] Lohmeyer, [5] Schweitzer, [6] fino ai signori Barnikol [7] e Bultmann. [8]

Un terzo gruppo è quello dei figli emancipati di van Manen che, sezionando il testo delle epistole, ne attribuiscono la parte più considerevole ad una serie di scrittori che a loro volta sarebbero stati ritoccati e interpolati ulteriormente, ma si separano dal maestro lasciando la sua parte a San Paolo.

Il celebre grecista Thomas Whittaker, nello stesso tempo in cui portava sulle origini del cristianesimo le vedute più penetranti, [9] aveva esposto, poco tempo dopo la pubblicazione dell'Encyclopaedia Biblica, teorie che procedevano direttamente da van Manen. Ma poi lo si vide in seguito riconoscere in San Paolo uno scrittore gnostico al quale aveva motivo di attribuire alcuni frammenti delle epistole, la cui importanza, benché siano poco numerosi, fu determinante nell'elaborazione del «paolinismo». Questo è ciò che conta di fissare in una prossima edizione delle sue Origini del Cristianesimo.  

Molto simile è la posizione di Gordon Rylands che, in un'opera recente, [10] ha appena ripreso e sviluppato la tesi di molteplici scrittori; le sue conclusioni possono riassumersi nello schema seguente:

Uno gnostico, che fu probabilmente San Paolo stesso, e che negli anni 55 e seguenti avrebbe scritto le parti primitive delle epistole ai Romani e ai Corinzi, la prima delle quali che era stata immediatamente arricchita da un'epistola indipendente (probabilmente dovuta a Sostene) dedicata a questioni di ordine pratico;

A partire dall'anno 70, serie di nuovi scrittori, recanti ciascuno la loro opera personale, ed edizioni successive che incorporano tutti questi frammenti nell'insieme;

A partire dal 120, inizio della cattolicizzazione.

Pochi anni prima della pubblicazione del libro del signor Gordon Rylands, l'abate Turmel, nella serie di traduzioni con commentario [11] che pubblicò sotto lo pseudonimo di Henri Delafosse, era ritornato su uno dei temi più infelici di van Manen facendo di San Paolo un banale messianista, e se, contrariamente al maestro olandese, gli concedeva la paternità di alcune pagine ritagliate qua e là nelle epistole, gli accordava solo le più insignificanti e faceva onore alla scuola dell'eretico Marcione [12] delle pagine più importanti, ripartendo così come segue la composizione delle epistole:

Alcune lettere autentiche di San Paolo, che egli riduce a brevi note insignificanti non contenenti nulla di ciò che si chiama paolinismo;

 Redazione marcionita, scritta intorno al 139-144, comprendente tutti i passi caratteristici del paolinismo; 

Redazione cattolica designata ad eliminare il veleno marcionita della precedente redazione, che la Chiesa accoglie accontentandosi di correggerla;

Varie redazioni ulteriori, dovute in particolare agli eretici montanisti della fine del secondo secolo. 

Non c'è bisogno di aggiungere che la dissezione delle epistole ha anche i suoi rappresentanti tra gli studiosi tedeschi. È così che, in contrasto alle opere che difendono le posizioni tradizionali, si è potuto segnalare quella di Sievers, [13] che, secondo il resoconto che ne è stato dato, riconoscerebbe come autentico solo circa un quarto dell'epistola ai Romani e distribuirebbe il resto tra sei autori principali e quaranta autori secondari!

Solo i superstiti della scuola olandese sembrano oggi, [14] conformemente alle tesi di van Manen, rigettare nella loro totalità le epistole nel secondo secolo e negare che esse contengano qualcosa che provenga dall'apostolo.

Sarebbe interessante precisare quali sono attualmente le posizioni del signor Alfred Loisy; ma costui ha appena avvertito i suoi lettori [15] che «riservava» per uno studio ulteriore il problema della critica neotestamentaria. A giudicare però dalle sue ultime pubblicazioni [16] e anche da una dichiarazione molto netta che ho avuto l'onore di raccogliere dalla sua penna, egli rifiuta di «riconoscere il marcionismo nella gnosi di salvezza che contengono le epistole»; ma è «provvisoriamente» disposto «a porre l'elaborazione gnostica di queste successivamente a San Paolo, vale a dire tra quest'ultimo e Marcione».

Dal punto di vista della storia del paolinismo, noi riassumeremo così come segue questo quadro delle posizioni attuali della critica:

gruppo: i quasi-conservatori: San Paolo è l'autore della quasi-integralità di otto o di nove delle prime dieci epistole;

gruppo: San Paolo è l'autore di ciò che nelle epistole costituisce il «paolinismo», così come della maggior parte dei frammenti di carattere autobiografico;

gruppo: San Paolo è l'autore di una parte soltanto di ciò che è paolino nelle epistole, il resto spettante a diversi scrittori, quasi tutti posteriori;

gruppo: San Paolo, semplice messianista, è l'autore di alcune brevi e insignificanti note non aventi alcunché di paolino;

gruppo: niente nelle epistole risale a San Paolo.

A seconda di quale di queste tesi si adotterà, vale a dire a seconda che San Paolo sia stato, alla metà del primo secolo, il promotore del paolinismo tutto, oppure l'iniziatore di una parte soltanto del paolinismo, oppure un volgare messianista, la storia del cristianesimo primitivo si farà su basi fondamentalmente diverse. Così si apprezzerà quale può essere l'importanza del problema dell'autenticità delle epistole.

Per gli studiosi che (come è il nostro caso) collocano il paolinismo all'origine stessa del cristianesimo, le tesi che si tratta prima di tutto di confutare non sono le tesi quasi-conservatrici, il cui inconveniente è solo di attribuire a San Paolo dei frammenti generalmente mediocri e in ogni caso poco caratteristici, ma le tesi estremiste che riportano alle generazioni successive le dottrine e le pratiche che noi attribuiamo alla prima generazione cristiana: come l'abate Turmel, che situa in pieno secondo secolo con Marcione tutto ciò che costituisce l'essenziale del paolinismo, o il signor Gordon Rylands che riserva ai successori di San Paolo la dottrina capitale del sacrificio di redenzione. 

Sono dunque le tesi estremiste che prenderemo di mira più specialmente; quanto ai frammenti di cui le tesi quasi-conservatrici affermano e di cui noi neghiamo l'autenticità, ci basterà indicare, man mano che l'occasione se ne presenterà, le ragioni che ci saranno parse convincenti per scartarle. 

NOTE

[1] La principale opera di Baur, Paulus, 1845.

[2] I tre libri di van Manen, 1890-1896, riassunti da lui nell'articolo Paul, Encyclopaedia Biblica, 1903.

[3] Introduction au Nouveau Testament, volume IV.

[4] An die Roemer, 2° edizione, 1928.

[5] Grundlagen paulinischer Theologie, 1929.

[6] Die Mystik des Apostels Paulus, 1930.

[7] Forschungen zur Entstehung des Urchristentums, 1929.

[8] Die Bedeutung des geschichtlichen Jesus für die Theologie des Paulus, 1929.

[9] Origins of christianity, 1904, seconda edizione ampliata, 1909.

[10] A critical analysis of the four chief Epistles, Londra, 1929.

[11] Delafosse: Ecrits de Saint Paul, 1926-1928. (Vedere già su questo argomento Dieu Jésus, pagine 158-159). E, sotto lo pseudonimo di Louis Coulange: Messe, 1927, per la prima metà dell'opera.

[12] Si veda sotto, pagine 23 e seguenti.

[13] Die paulinischer Briefe klanglich untersucht, 1926.

[14] Per quanto si può giudicare dal piccolo libro di van den Bergh van Eysinga: Littérature chrétienne primitive, 1926.

[15] Mystères païens, 2° edizione, 1930, pagina 200.

[16] Revue Critique del luglio 1926 e dell'aprile 1927, e Origines de la Cène nel Congrès d'Histoire du Christianisme, I, 1928.

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